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Dreamini non fa la lista, ma detta il programma

Venerdì, 14 Marzo 2014

9bDreamini non fa la lista, ma detta il programma

 

No, non è l'incubatore di una lista civica per le prossime elezioni comunali, assicurano a più riprese i promotori. Eppure resta da capire qual è lo scopo ultimo di un’associazione culturale che riunisce una assortita compagnia dove tutti sono accomunati dall’avere un illustre passato: chi è stato l’ultimo segretario della Dc, chi ha fatto il vice sindaco del pentapartito, chi l’assessore comunale nelle giunte di sinistra. Loro l’hanno ripetuto come un mantra («non abbiamo più l’età», ed è vero), i giornalisti presenti ci hanno creduto per dovere di cronaca. Chi vivrà, vedrà.

 
Intanto prendiamo atto dei contenuti lanciati da Dreamini (neologismo formato da Dream e Rimini) attraverso gli interventi di presentazione di Bruno Sacchini, scrittore e intellettuale, e di Mario Ferri, esperto di bilanci. La location è un negozio disabitato del centro storico di Rimini, preso a simbolo del destino di declino ineluttabile della città se, per dirla alla Renzi, non si cambierà verso.


Per Bruno Sacchini il difetto principale di tutta la classe politica locale (maggioranza e opposizione) è di non avere una vision su cui poggiare il rilancio della città. A suo giudizio il punto di partenza è capire che il turismo a Rimini ha una dimensione culturale. Non nel senso che uno debba venire in riva all’Adriatico per vedere bellezze artistiche che non ci sono (almeno al pari delle grandi città d’arte), ma nel senso antropologico. Rimini si è distinta perché ha offerto agli italiani del nord e agli europei un certo clima umano, fatto di ospitalità autentica, buona cucina e belle donne da abbordare. Insomma Rimini ha avuto successo perché è una città dove non c’è niente (nel senso delle bellezze naturali) ma dove accade tutto. E qui è partito l’attacco frontale al sindaco Andrea Gnassi e alla sua ossessione ecologista di voler trasformare Rimini per farne una Friburgo in riva al mare. Perché mai i friburghesi dovrebbero venire in una città che è uguale alla loro? No, secondo Sacchini bisogna puntare sull’identità, sul genius loci, su ciò che davvero caratterizza il territorio. Sessant’anni di amministrazioni di sinistra non sono state capaci di creare un evento che trasmetta indissolubilmente il nome Rimini, come è il Festival per Sanremo. Oppure, passando per dirla alla Gnassi dal software all’hardware, perché – butta là come provocazione – invece di fare una metropolitana di costa che sarà una ulteriore fonte di indebitamento, non si costruisce una bella monorotaia sopraelevata in modo che i turisti abbiano la sensazione di essere arrivati in un luogo che è un luna park senza confini?


Se l’intellettuale Sacchini ha provato a ribaltare la vision gnassiana, a Ferri è toccato spiegare che il Comune di Rimini andrà spedito verso il collasso finanziario se non si metterà in cantiere una riforma strutturale per far acquisire risorse. La ricetta è che il Comune dismetta le varie partecipazioni che detiene in quasi 30 società, riporti in casa i servizi che ha delegato all’esterno, avvii un progetto di privatizzazione spinta del polo fieristico e congressuale.
Questo è il punto sul quale più si è speso. Gli enti pubblici devono vendere almeno l’80 per cento del capitale e affidare le dismissione ad advisor internazionale esperto e conoscitore del mercato. La procedura deve essere totalmente trasparente e non deve esserci nessun contatto previo con i potenziali investitori. Dalla vendita, secondo Ferri, si possono ricavare almeno 200 milioni, al netto del debito, che possono essere investiti per risolvere il problema ambientale e per dotare la città di una mobilità più efficiente e funzionale.


Fine delle trasmissioni. Dove approderà Dreamini lo si vedrà nelle prossime puntate.

Valerio Lessi


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