Solidarietà e risveglio dell'umano. L'esperienza di Team Bòta

Martedì, 12 Maggio 2020

Piuttosto che stare seduti sul divano a lamentarsi delle cose che non vanno e aspettare con le mani in mano che ritorni la cosiddetta normalità, è più umano lasciarsi provocare dai fatti che accadono e dare tempo ed energie per aiutare chi si trova nel bisogno. Per Giorgio Matassoni e gli altri amici oggi impegnati in Team Bòta (nome anglo-romagnolo che non ha bisogno di spiegazioni), all’indomani del 9 marzo, inizio del lockdown, era facile lasciarsi andare al lamento in attesa di tempi migliori. Alcuni di loro gestiscono un ristorante nel centro storico, Come stai, e un altro, Somar Lungo, che avevano appena aperto alla darsena. “Abbiamo pensato che non era il caso di rimanere fermi a piangerci addosso. – racconta Giorgio – E così è venuta l’idea di Team Bòta. Abbiamo stampato tremila cartoline e le abbiamo diffuse porta a porta in città. Volevamo mandare un messaggio di solidarietà a tutta Rimini e invitare ad aiutare concretamente chi ha bisogno. Volevamo dire: siamo un gruppo di giovani, noi ci siamo, chi vuole unirsi a noi? Nella cartolina abbiamo anche stampato tre numeri di telefono. Mai avremmo immaginato la risposta che c’è stata. Sono arrivate tantissime chiamate, tutti pronti a dare la loro disponibilità”. Talmente tante telefonate che in appena due mesi si è creata una rete di duecento volontari.  Insieme alla disponibilità dei volontari sono arrivate anche le richieste di aiuto che in questo tempo di Coronavirus sono altrettanto numerose.  

La frase scritta a mano su ciascuna delle tremila cartoline recitava: “Sono le piccole cose, le azioni quotidiane della gente comune che tengono a bada l’oscurità. Semplici atti di gentilezza e di amore”. E poi la domanda: “A te cittadino di Rimini regaliamo il nostro tempo. Possiamo fare qualcosa per te?”.  L’inizio assomiglia molto ad una sorta di guerrilla marketing, una provocazione lanciata per suscitare una risposta che poi è arrivata. 

I giovani trentenni di Team Bòta, ai quali si sono aggiunti altri giovani e numerosi adulti, a partire dai loro genitori, si sono offerti per i servizi più vari. Hanno cominciato con consegnare la spesa a domicilio a chi per motivi di prudenza sanitaria non poteva uscire. A Pasqua hanno consegnato il pranzo e uova di cioccolato a circa 200 famiglie riminesi, offerti da associazioni ed enti. L’Ikea ha deciso di regalare fiori e piante e i volontari di Team Bòta li hanno consegnati agli anziani ospiti delle case di riposo di Rimini. Ormai collaborano stabilmente con molte parrocchie, con la Caritas, che ha offerto il proprio “ombrello” assicurativo, con la Protezione civile, per la quale hanno distribuito migliaia di mascherine.  Alla Caritas i volontari hanno aiutato anche nel prezioso lavoro di selezionare e smistare gli abiti ricevuti in dono.

Hanno pure lanciato l’idea della spesa sospesa, cioè l’acquisto di alimentari per chi ne ha bisogno. “Funziona alla grande. – racconta Giorgio con entusiasmo – Abbiamo coinvolto molti supermercati della città dove i clienti trovano un carrello dove possono lasciare qualche genere alimentare. Noi passiamo a raccoglierli e poi provvediamo a consegnarli alle famiglie che ne hanno bisogno. C’è una lista che va allungandosi in base alle segnalazioni che arrivano. Quando arriva una richiesta, andiamo personalmente a trovare la famiglia, cerchiamo di capire di cosa ha bisogno. Arrivano anche tante donazioni da parte dei commercianti. Una pescheria ci regalato 40 chili di pesce suddivisi in porzioni famigliare. Anche una macelleria ci rifornisce. I locali del ristorante Come stai sono diventati una sorta di magazzino per l’attività della spesa sospesa”. 

Negli ultimi giorni altre iniziative si sono aggiunte: un team di professionisti, composto da infermieri, psicologi, fisioterapisti, medici e ottici è disponibile a intervenire su richiesta in casi di difficoltà, online sono organizzati corsi, laboratori, giochi per i bambini. 

Nato come movimento spontaneo, come rete di persone Team Bòta pensa già a consolidarsi, a costituirsi in associazione per poter interloquire con l’ente pubblico, a continuare in altre forme anche dopo l’emergenza Coronavirus. “E’ un’esperienza che ci ha dato tanto e non vogliamo che vada dispersa”, dice Giorgio Matassoni. E cosa ha dato? “Normalmente viviamo ciascuno chiusi nel nostro individualismo, preoccupati solo delle nostre cose, del nostro lavoro, dei nostri interessi. Poi arriva un problema come il Coronavirus che ha avuto l’effetto di risvegliare l’umano che c’è in noi, il sentimento di solidarietà verso gli altri. Questa esperienza ci ha insegnato che è più umano, più gratificante vivere in questo modo. Questi mesi ci hanno anche insegnato che tutti abbiamo qualcosa da redistribuire agli altri. Può essere il tempo, una capacità professionale, un pacco di pasta, o anche solo la compagnia al telefono. Siamo chiamati a condividere tempo e risorse con chi è più sfortunato”.