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5 anni in Comune. La spesa sociale

Martedì, 05 Aprile 2016

La narrazione dell’amministrazione comunale uscente sostiene che il Comune di Rimini impiega il 40 per cento delle proprie risorse per il welfare, includendo anche le relative spese per il personale e l’organizzazione. L’assessorato di spesa con il portafoglio più consistente è quello di Gloria Lisi, che oltre ad occuparsi dei servizi sociali detiene anche la delega per i servizi educativi, la famiglia, la casa, le politiche socio-sanitarie. Nell’insieme si parla di un budget di oltre 40 milioni. Se invece ci si limita ai servizi sociali propriamente detti, quelli che vengono definiti e programmati nei piani di zona, l’ultimo bilancio parla di 29 milioni 839 mila euro.

Li spende il Comune ma non sono tutte risorse del Comune. Il mondo del sociale è una realtà estremamente complessa, dove numerosi sono gli incroci di competenze e di finanziamenti e dove altrettanti numerosi sono i canali attraverso cui le risorse sono erogate. Per i non addetti ai lavori è difficile orientarsi e capire come stanno le cose. Le fonti di spesa sono le seguenti: 10 milioni 120 mila euro li mette il Comune di tasca propria, 18 milioni 103 mila euro vengono dalla Regione per tutti i soggetti non autosufficienti, la Regione aggiunge 1 milione 207 mila euro, 329 euro dai fondi per la sanità, qualche spicciolo dai Fondi europei per l’immigrazione. E il committente dei servizi non è semplicemente il Comune: spesso sono Comune e Ausl insieme. E a produrli normalmente sono cooperative sociali e associazioni di volontariato, a volte sono Comune e Ausl in modo diretto.

Il punto che interessa è come e con quali criteri vengono spesi tutti questi soldi e se le iniziative finanziate rispondono effettivamente ai bisogni esistenti in città. L’assessore Gloria Lisi, approdata alla guida dell’assessorato dopo essere stata la presidente della cooperativa della Caritas Madonna della Carità (una provenienza che fin dalla nomina ha generato polemiche e procedimenti giudiziari sul presunto conflitto di interesse, conclusisi in niente), sostiene che dalle casse del Comune non esce un euro che non sia stato destinato o attraverso un bando o attraverso un’istruttoria pubblica. Nessun contributo e nessuna convenzione sono decisi in modo discrezionale. Spiega: “Se devo dare in gestione un servizio, faccio un bando al quale partecipano le cooperative sociali; se devo realizzare un progetto specifico invito le associazioni di volontariato competenti e presenti in quel settore. In quest’ultimo caso vige la regola che il 40 per cento delle risorse umane impiegate deve essere formato da volontari”.

Come nascono servizi e progetti

Vediamo dunque come sono definiti e finanziati i piani di zona, che sono l’attuazione del piano socio-sanitario regionale che da tre anni è in proroga. Il prossimo anno dovrebbe finalmente uscire il nuovo. Quella dei piani di zona è una procedura che vede all’inizio un’assemblea plenaria dove partecipano tutte le coop sociali e le associazioni di volontariato accreditate. Nell’assemblea plenaria l’amministrazione indica le priorità dell’anno, soprattutto i criteri. Recentemente criteri prioritari sono stati il welfare delle capacità (meno interventi assistenziali e più valorizzazione delle risorse residue delle persone in difficoltà) e la cosiddetta captazione dell’utenza, cioè riuscire a far incrociare le persone bisognose con i servizi. Dopo le indicazioni, coop e associazioni si riuniscono in gruppi di lavoro tematici secondo le aree definite dalla Regione: minori e famiglia, impoverimento, carcere, immigrazione. In questi gruppi di lavoro vengono individuati i possibili progetti. Quindici giorni dopo i progetti vengono presentati in assemblea plenaria. Quelli che l’amministrazione ritiene meritevoli ed in linea con le proprie indicazioni, vengono messi a gara. Così può succedere, ed è successo, che un progetto presentato dall’associazione A sia poi realizzato dall’associazione B, perché ne ha vinto la gara. E ciò provoca qualche comprensibile malumore in chi si vede “scippato” della propria idea. Spesso accade che a concorrere sia una sola associazione, che è poi quella che vince. E accade anche che chi ha avuto l’idea brillante poi non partecipi alla gara. A decidere è una commissione tecnica. La maggior parte dei servizi e dei progetti è realizzata da realtà che fanno capo alla Caritas e alla Papa Giovanni XXIII.

Sussidiarietà ed economia

Qualche altra cifra per avere un’idea delle risposte messe in campo nel sociale dal Comune. Sono 6.000 le persone assistite dall’insieme dei servizi, 2.220 gli anziani in carico, 70.000 all’anno le ore di assistenza domiciliare, 700 i ricoverati in strutture per anziani, 480 gli assegni di cura erogati per altri anziani, 550 i disabili in carico, 170 i senza fissa dimora seguiti, 3.550 gli accessi allo sportello della famiglia e 500 le consulenze erogate.

Per l’assessore Lisi, applicare il principio di sussidiarietà nei servizi sociali significa riconoscere che il Comune ha bisogno del terzo settore anche per leggere in modo più adeguato i bisogni esistenti e per fornire risposte più appropriate, più vicine alle esigenze delle persone. Un altro criterio guida che l’assessore sottolinea è che si fa welfare anche contribuendo, attraverso i servizi, a creare nuovi posti di lavoro. Il welfare stesso, con la propria rete di servizi, diventa un fattore di sviluppo economico. E se c’è più lavoro per tutti, si riducono le aree di disagio sociale.

Lo sportello sociale

Ma il Comune ha strumenti per conoscere direttamente la mappa delle povertà e dei bisogni vecchi e nuovi presenti fra la popolazione? Dispone di uno sportello sociale che è un punto di riferimento al quale nell’ultimo anno si sono rivolte cinquemila persone, esprimendo i bisogni più diversi. All’inizio questo sportello aveva solo una funzione di orientamento: si presentava un anziano in difficoltà e lo si indirizzava al relativo servizio. L’esperienza ha però fatto emergere che sempre più spesso emergevano bisogni per i quali non c’era un servizio dedicato e pertanto rimanevano senza risposta. Se quindi in precedenza lo sportello non disponeva di un proprio capitolo di spesa, si è deciso di finanziarlo per rispondere con nuovi servizi a quelli che sono stati chiamati i “vulnerabili”: mamme sole con figli a carico, famiglie colpite da sfratto esecutivo, invalidi civili con più del 75% di invalidità, over 50 che hanno perso il lavoro con minori a carico, ex detenuti a rischio di recidiva, over 45 con minori, persone colpite da un disagio psico-sociale non rientrante in una categoria definita.

Complessivamente per questi interventi nel 2015 sono stati spesi 386 mila euro.

È stato nel tentativo di creare servizi e progetti per i “vulnerabili” che si è sviluppato l’approccio del welfare delle capacità. Un approccio che ha trovato una modalità di attuazione concreta nella norma, votata dal consiglio comunale, secondo cui le imprese vincitrici di appalti devono impiegare una quota di lavoratori di queste categorie indicate da Comune. Grazie a questa norma negli ultimi anni hanno trovato un posto di lavoro un centinaio di persone. Molte mamme sole, per esempio, sono occupate a porzionare i cibi nella ditta che ha vinto l’appalto delle mense scolastiche.


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