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Privatizzazione soft per Rimini Fiera che vale 128 milioni

Martedì, 16 Giugno 2015

8bPrivatizzazione soft per Rimini Fiera che vale 128 milioni

Valorizzare i singoli eventi di cui Rimini Fiera detiene la proprietà attraverso la costituzione di società miste con partner privati. È l’opzione principale indicata dall’advisor KPMG, incaricato da Rimini Congressi (la società che detiene la maggioranza, il 52, 56% delle azioni di Rimini Fiera) di studiare la possibile privatizzazione del polo fieristico-congressuale riminese. Ma è un’ipotesi che i tre soci pubblici (Comune, Provincia e Camera di Commercio) non percorreranno. Il perché lo ha spiegato questa mattina in commissione l’assessore al bilancio Gianluca Brasini. Non si vuole correre il rischio che le nuove società proprietarie dei gioielli di famiglia (Sigep, Ttg, Rimini Wellness, ecc.) decidano un giorno di trasferirle altrove, realizzando certo un guadagno ma facendo fuori tutto l’indotto che tali eventi provocano sul territorio.

 

La strada che invece i tre soci pubblici intendono percorrere è quella, pure indicata come fattibile da KPMG, di una quotazione sul mercato borsistico (quello particolare AIM, riservato alle piccole e medie imprese che vogliono investire sul loro sviluppo) pari al 10 per cento del capitale di Rimini Fiera.

 

Le altre ipotesi formulate da KPMG sono nell’ordine: la privatizzazione classica, cioè la vendita del pacchetto di maggioranza, un aumento di capitale da parte di Rimini Congressi e, infine, il cosiddetto spin-off, cioè la separazione fra proprietà degli immobili e società di gestione. Queste ultime ipotesi sono scartate perché non ci sarebbe interesse da parte del mercato. Così almeno afferma nella sintesi offerta ai consiglieri l’amministratore unico di Rimini Congressi, Marino Gabellini; sintesi da prendere per buona visto che nella documentazione risulta assente la parte dello studio KPMG dedicato appunto alle ipotesi di valorizzazione.

 

Il punto di vista di fondo da cui partono gli enti pubblici riminesi è che non si è con l’acqua alla gola (refrain cavallo di battaglia di Lorenzo Cagnoni) e che pertanto, visto che la Fiera è tornata a produrre utili, si può optare per una privatizzazione soft che consenta comunque di affrontare con maggiore serenità il debito per il Palacongressi. È del tutto esclusa dal pensiero prevalente l’ipotesi di una privatizzazione volta a liberare risorse da investire in altri settori pubblici, anche perché a questo punto c’è il responso di KPMG che la giudica impraticabile.

 

La parziale privatizzazione di Rimini Fiera avverrà attraverso una duplice operazione: una OPV, cioè una offerta pubblica di acquisto del 10 per cento del capitale sociale, ed una OPS, ovvero una offerta pubblica di sottoscrizione di un altro 10 per cento del capitale sociale riservata esclusivamente a nuovi investitori privati.

 

Ma quanto vale Rimini Fiera? Secondo KPMG, che ha utilizzato per la valutazione il metodo DCF il valore è stimabile fra i 117 e i 141 milioni di euro, optando per la cifra intermedia di 128 milioni. Se il valore che sarà effettivamente attribuito dal mercato è questo, Rimini Congressi – afferma l’amministratore Gabellini - dovrebbe incassare fra i 10 e i 12 milioni di euro che sarebbero utilizzati per un’estinzione anticipata del mutuo con Unicredit, facendo così scendere il debito da 42 a 30 milioni. Diminuendo il debito, calerebbe anche l’importo della rata annuale che da 3,6 milioni passerebbe a 2,6 milioni. Con Unicredit c’è in atto lo stand still, cioè il blocco del pagamento delle rate. Rimini Congressi ritiene di poter riprendere il pagamento già con la rata in scadenza il 30 giugno, utilizzando i 2,181 milioni di euro provenienti dagli utili 2014 della Fiera più altri 530 mila euro derivanti dal recupero di imposte del Gruppo Rimini Fiera. Questo è il progetto di Rimini Congressi, sul quali i dirigenti di Unicredit si sono riservati di riferire ai propri organi deliberanti. A detta di Gabellini, al verificarsi di tutte queste condizioni, la banca sarebbe anche disponibile ad accettare il ritiro, da parte del Comune di Rimini, della lettera di patronage inviata il 21 giugno 2010 (e sarebbe sgomberare il campo da una bella grana).

 

L’altra operazione delineata, l’emissione di nuove azioni riservate al mercato AIM, dovrebbe portare Rimini Fiera ad incassare 9-10 milioni di euro, da destinare all’internazionalizzazione degli eventi di maggiore successo.

Un corollario importante di tutta l’operazione è il conferimento a Rimini Congressi delle altre quote della Fiera detenute direttamente dai soci pubblici: 8,92 la Provincia, 8,92 la Camera di Commercio, 8,92 fra Comune e Rimini Holding.

 

Ciò significa che al termine della privatizzazione e dei passaggi azionari, Rimini Congressi conserverà ampiamente la maggioranza di Rimini Fiera con il 60 per cento. L’impresa rimane pubblica anche se la quota degli enti locali passa dal 79,32 per cento ad appunto il 60 per cento. In commissione e nella relazione di Gabellini non si è mancato di osservare che, qualora le esigenze lo richiedano, Rimini Congressi conserverà in questo modo una quota di capitale (meno del 10 per cento) da immettere sul mercato.

 

La delibera di indirizzo è passata in commissione con il voto favorevole della maggioranza e l’astensione delle minoranze. Adesso la parola passa al consiglio comunale.

 

 


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