L'anarchico e il religioso: la statura dell'uomo secondo don Giussani

Mercoledì, 23 Novembre 2022

Che cosa accomuna Amilcare Cipriani e Alberto Marvelli? Niente, verrebbe da dire d’istinto. In effetti, a parte la comune origine riminese, cosa può tenere insieme il campione dell’anarchia e il grande testimone di fede che la Chiesa ha proclamato beato? Anarchia e fede religiosa sono agli antipodi. Eppure…

Eppure, il pensiero di don Luigi Giussani, al quale fino al 27 novembre è dedicata una mostra nel cortile della Biblioteca Gambalunga, offre una prospettiva diversa, originale. Secondo il sacerdote milanese, del quale si celebra il centenario dalla nascita, «solo due tipi d’uomini salvano interamente la statura dell’essere umano: l’anarchico e l’autenticamente religioso». Un paradosso che Giussani spiega in questi termini: «La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito: l’anarchico è l’affermazione di sé all’infinito, e l’uomo autenticamente religioso è l’accettazione dell’infinito come significato di sé».

Entrambe le posizioni salvano la statura dell’essere umano, ma non sono alla pari: «l’anarchia costituisce la tentazione più affascinante, ma è tanto affascinante quanto menzognera». L’anarchico tende a dire «io mi affermo contro tutti e contro tutto», ma, osserva Giussani, «è molto più grande e vero abbracciare la realtà e l’essere, piuttosto che affermare se stessi di fronte a qualsiasi realtà».

L’attenzione di Giussani alla posizione anarchica ha probabilmente anche delle ragioni biografiche. Non tutti sanno che il padre Beniamino, militante socialista, era stato in rapporto con Anna Kuliscioff, anarchica rivoluzionaria russa, compagna di Andrea Costa, il romagnolo primo deputato socialista in Italia.  Dal loro rapporto nacque Andreina, che andò in sposa a Luigi Gavazzi, rampollo della famiglia titolare della fabbrica dove lavorava il padre di Giussani. Andreina si convertì al cattolicesimo e, probabilmente tramite il parroco di Desio, entro in rapporto con Angela, la mamma del futuro sacerdote. Se Giussani ha potuto continuare gli studi in seminario, è stato grazie al fatto che Andreina ha pagato le rette. Insomma, il futuro fondatore di Comunione e Liberazione è diventato prete grazie alla figlia di due massimi esponenti dell’anarchia prima e del socialismo poi.

Tornando a Rimini, è interessante notare che la città è sempre stata considerata un covo di anarchici. Non solo per lo storico nucleo che si sviluppò nel Borgo San Giuliano e che provocò qualche grattacapo alle autorità. Al di là del fenomeno storico e politico, ormai concluso, sono in molti a ritenere che l’anarchia faccia parte del carattere dei riminesi. Sono tendenzialmente individualisti, facilmente litigiosi, restii a unirsi in un progetto comune. I riminesi poi sono anche romagnoli, anche se di confine, e ciò conferisce loro un carattere sanguigno, caldo e appassionato. Sono pronti a spendere energie, se intravedono un ideale che li convinca. Ed anche ad attaccar briga con chiunque si frapponga ai loro progetti. Una miscela esplosiva il carattere anarchico romagnolo. Si può dire che qui, fra l’Arco e il Ponte, i due tipi umani, l’anarchico e il religioso, si siano sviluppati al massimo, ed anche incontrati, scontrati, e probabilmente anche capiti.

Don Giussani amava i riminesi. Dagli anni Sessanta in poi, dopo che anche a Rimini era nata Gioventù Studentesca, ha molto frequentato la città. Dopo la crisi del Sessantotto nella Rimini anarchica e individualista è cresciuta una fiorente comunità di Comunione e Liberazione. «Rimini è un po’ una seconda patria di questo movimento», ha osservato di recente il vescovo Francesco Lambiasi. C’è qualche connessione fra il carattere dei riminesi e l’accoglienza data al carisma di don Giussani? C’è sicuramente qualche indizio che i riminesi piacessero a don Giussani proprio per la loro indole.  Bruno Sacchini, uno dei primi giessini, ricorda una visita di don Giussani nella sede di via Cairoli ed una frase di commiato: «soprattutto non perdete mai l’anticonformismo che caratterizza voi romagnoli». Cosa intendeva? Tutto il suo pensiero lascia pensare che in quella parola «anticonformismo» intendesse apprezzare la loro volontà di non piegarsi al potere dominante, di non lasciarsi intruppare, di essere aperti alla realtà piuttosto che alle ideologie. Forse li voleva richiamare al fatto che «l’esigenza della bontà, della giustizia, del vero, della felicità, costituiscono il volto ultimo, l’energia profonda con cui gli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze accostano tutto». Solo la scoperta delle esigenze originali del cuore, salva l’anarchico, o l’anticonformista, dalla tentazione di farsi lui stesso infinito.

Valerio Lessi