San Gaudenzo, l'omelia del vescovo Lambiasi: "insieme per camminare"

Giovedì, 14 Ottobre 2021

(Rimini) Oggi con la festa del patrono San Gaudenzo inizia ufficialmente per la diocesi di Rimini ilnuovo anno pastorale. Quest'anno inoltre la festa del patrono è anche l’occasione in cui la Chiesa riminese rinnova l’espressione del suo affetto al suo Vescovo, Francesco Lambiasi, che festeggia il 50esimo anniversario di ordinazione sacerdotale (25 settembre 1971-2021). La solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo Francesco, celebrata in Basilica Cattedrale alle ore 17.30, ha segnato anche l'apertura diocesana del cammino del Sinodo della Chiesa Universale che si svolgerà da ora fino a Ottobre 2023 sul tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Come indicato da Papa Francesco, domenica 17 Ottobre il cammino sinodale si aprirà in tutte le Diocesi.

Il percorso diocesano non vuol essere un “bla bla bla” accademico e neppure si tratta di elaborare un ulteriore documento, ma un processo di ascolto, confronto, discernimento e deliberazione che attivi la vita delle Comunità parrocchiali, degli Istituti religiosi, delle aggregazioni laicali, uffici pastorali, per scoprire ciò che lo Spirito dice alla Chiesa al fine di essere in grado di annunciare il Vangelo in questo tempo. Dunque, non un peso in più ma una opportunità per acquisire uno stile nuovo di Chiesa: camminare insieme, ascolto della gente e dello Spirito, ansia apostolica di annuncio del Vangelo.

Di seguito, l'omelia pronunciata dal Vescovo Lambiasi durante la solennità di San Gaudenzo.

 

Sinodalità è camminare insieme

Omelia del vescovo per la solennità di San Gaudenzo

Rimini, Basilica Cattedrale - 14 ottobre 2021 -

 

               L'immagine di Chiesa quale traspare dall'affresco pennellato da Luca nella pagina degli Atti degli Apostoli proclamata poco fa come seconda lettura, appare una icona ideale, ma tutt'altro che idilliaca, equilibrata ma non equilibrista, audace ma mai temeraria e spericolata. La Chiesa degli Atti non è angelica. E’ evangelica, insieme santa e peccatrice. E portatrice di un tesoro in vasi di creta.

               1. A metà del suo secondo volume il terzo evangelista ci racconta una discussione aspra, un dibattito rovente, nel contesto di una crisi dura, a rischio di dirompente rottura. In ballo si agita una contrapposizione ad alta tensione. Da una parte si impone il problema teologico della salvezza: se è vero che, se non c'è circoncisione non si appartiene al popolo di Dio, allora alcuni farisei entrati nella comunità cristiana (cf. At 15,5) arrivano perfino a concludere che se non si appartiene al popolo di Dio, non si dà nessuna possibilità di salvezza per gli incirconcisi. Ma il rischio annesso e connesso è ancora più grave. E’ il rischio di creare due categorie di cristiani: quelli provenienti dal giudaismo e quelli che vengono dal paganesimo. Le due posizioni sembrano identificarsi con le due chiese: Gerusalemme, la tradizione. Antiochia, l'innovazione. Posizioni che espongono alla possibilità, tutt’altro che remota e irreale, di creare due chiese diverse e divise.

Le divergenze hanno sempre agitato le acque dei bracci di mare dove naviga la nave della Chiesa. Ma i conflitti non rappresentano un rischio mortale per la vita della comunità ecclesiale, nella misura in cui tutti puntano sul tutto: la comunione. Se tutti mirano alla unità di tutti in Cristo, unità che va costruita e ricostruita continuamente, instancabilmente, tenacemente. Ed è quanto avviene nel cosiddetto ‘concilio’ di Gerusalemme. Alla fine si arriva alla conclusione: “Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi”. Fin dall’inizio la comunità cristiana sa di essere al servizio dello Spirito Santo, di godere della luce e della forza invincibile della sua verità, quando il discernimento viene condotto con animo fraterno, se le decisioni vengono adottate con un cuore solo e un’anima sola.

               2. Insieme, per vincere l’individualismo. “Essere cristiani significa essenzialmente vivere il passaggio dall’essere per sé stessi all’essere gli uni per gli altri” (J. Ratzinger). La prima domanda che io, tu, ci dobbiamo fare, non è “chi sono io”, ma: “per chi sono io?. Ognuno è chiamato al continuo superamento di sé. Si realizza così il passaggio dall’essere centrati sull’io all’aggancio della propria esistenza alla croce pasquale di Gesù Cristo. Ed è così che nasce il noi ecclesiale. La forma del vangelo è la vita fraterna. Il soggetto della comunità cristiana non è il singolo individuo: è la comunità. Un comunità fatta non di perfetti, ma di peccatori, che però sanno e si sentono amati e perdonati. Di qui discende che il primato nella vita della comunità non va alle attività e alle ‘buone azioni’, ma alle relazioni. Le persone vengono prima dei ruoli, e le relazioni prima delle strutture. La Chiesa è una rete di relazioni fraterne: “Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8).

               Insieme, per camminare insieme. Per i cristiani, per dei credenti in Cristo, significa camminare sulla via di Cristo, nella e con la sua Chiesa. Via di Cristo, a sua volta, significa via che Cristo continua a percorrere camminando davanti a noi per guidarci. Accanto a noi per sostenerci, Dietro a noi per difenderci. Seguire Gesù risorto nella con la Chiesa significa camminare con questi pastori. Con questi fratelli e sorelle di questa precisa e concreta comunità. Con questi poveri. Sul passo degli ultimi. Camminare insieme significa mettersi in fila dietro al Risorto, e lasciarsi inondare dalla gioia di offrire un servizio alle ‘retrovie’.. Significa avanzare, senza fughe solitarie, svicolando su altri sentieri. Significa rallentare il passo per farlo accelerare agli altri. Velocizzare la marcia per destare i sonnolenti. Incoraggiare chi si è fermato. Rialzare chi è caduto. Prendere per mano e, perfino, caricare sulle spalle chi non ce la fa proprio più. Essere – come diceva don Mazzolari a proposito della parrocchia – l’ambulanza per chi è ferito e non riesce più a camminare.

Insieme, per discernere. Abbiamo bisogno di avviare un processo di discernimento, a cominciare dalla sua prima, insostituibile fase: quella dell’ascolto. Della Parola di Dio, prima di tutto, per non ritrovarci meritevoli del suo insindacabile giudizio: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8). Ma per non incorrere in sbagli e abbagli del genere, dobbiamo liberarci dalla sklerocardìa (=durezza di cuore), cioè l’incapacità di cogliere gioiosamente la novità di Dio, propria di chi rimane chiuso nella sclerosi delle proprie abitudini protette, di chi dà la precedenza ai propri schemi blindati (religiosi, culturali, sociali ecc.) anziché ai fatti che effettivamente accadono e al primato della realtà…

            Insieme, per convertirci. Abbiamo bisogno di attivare un autentico percorso di conversione. E’ estremamente difficile indicare con precisione le cose da cambiare e quelle da assumere, oggi e per l’immediato futuro. E’ più pertinente fare-memoria del nucleo irrinunciabile che la vita cristiana deve costantemente custodire e riaccendere, per riuscire a parlare all’uomo di oggi e di domani. Ci è chiesto di imboccare il sentiero di una vita evangelica, idonea nel contempo a trasformarsi via via nelle forme storiche più adatte. Ma rimanendo identica a se stessa, coerente con la sua grande Tradizione, fedele alla sua inalienabile missione…

            Insieme, per ricordare che lo Spirito Santo da solo non fa la Chiesa. E neppure noi da soli facciamo la Chiesa. Solo lo Spirito Santo e noi, facciamo la Chiesa. Quando ci troviamo di fronte a scelte rischiose e difficili, solo se ci lasciamo illuminare dalla luce dello Spirito e contagiare dalla sua forza coinvolgente, riusciamo a metterci non gli uni sopra-contro-senza gli altri, ma gli uni con-in-per gli altri. Nell’ascolto reciproco riusciamo a bypassare sia gli scogli dell’ottimismo ingenuo che del pessimismo sterile. Sia dello gnosticismo élitario e intellettualoide che del neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico. Sia del “si è sempre fatto così” che del “si dovrebbe fare cosà”.

            Insieme, per contribuire alla crescita di una città che sia più umana, più abitabile, più respirabile, più vivibile. Che sia più accogliente e ospitale. Noi cristiani non possiamo, non vogliano essere, non siamo indifferenti al bene comune della nostra città.

Care Sorelle, Cari Fratelli, ce la faremo? Ora non ci è chiesto affatto di pianificare tutto il percorso da praticare. Ma ci è chiesto di individuare – “lo Spirito Santo e noi” (At 15,28) - la grande direzione da imboccare, e ci è dato di discernere - “noi e lo Spirito Santo” (At 5,32) - i primi passi da compiere.
+ Francesco Lambiasi