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Un dono di nome Govindo. Marina Ricci si racconta

Mercoledì, 19 Aprile 2017

“La cosa più grande che Govindo mi ha lasciato è un realismo su me stessa”, così la giornalista Marina Ricci, autrice del libro ‘Govindo, il dono di Madre Teresa’ che mercoledì 19 aprile 2017 ha partecipato all'incontro promosso da Portico del Vasaio e Famiglie per l’accoglienza. Ha raccontato la storia che l’ha portata ad adottare il suo quinto figlio, un bimbo disabile conosciuto nell’orfanotrofio Shishu Bhavan, a Calcutta.

Giornalista esperta di storia della Chiesa dell’Est per il Sabato e 30Giorni, vaticanista per il Tg5 fino al 2012...

“Giovanni Paolo è stato il papa della mia vita. Del resto, 27 anni di pontificato sono tanti. E lì c’era già Benedetto, alla guida della congregazione per la dottrina della fede. Grazie a loro due ho capito che nella Chiesa c’è posto per tutti, che la santità è per tutti, può avere colori differenti. Come loro due: amici, tra di loro così diversi ed entrambi persone molto sante”.

Sempre per lavoro hai incrociato la vita di Madre Teresa di Calcutta...

“Nel corso degli anni ho incontrato tante persone che mi hanno lentamente cambiato la vita. E’ la dinamica che può sperimentare ognuno e non è detto che accada solo di fronte ai ‘grandi’. Io Madre Teresa non l’ho conosciuta se non attraverso il rapporto con le sue figlie, le suore missionarie della carità. E lei attraverso loro mi ha cambiato la vita con la richiesta di adottare Govindo, il bambino protagonista del libro che ho scritto”.

Come è accaduto l’incontro con Govindo?

“In modo banale, è il primo bambino che ho visto nella prima stanza dell’orfanotrofio a Calcutta dove sono entrata per girare un servizio”.

A Calcutta ti aveva mandata Enrico Mentana, direttore ai tempi del Tg5 perché le agenzie avevano battuto la notizia secondo cui Madre Teresa, ormai molto anziana, era ricoverata e in gravi condizioni. Una casualità?

“Il motivo per cui ho scritto questo libro è perché sono state talmente tante queste circostanze casuali nella loro apparenza, ma talmente tante, che sulla casualità ci metti un punto interogativo. Mi rendo conto che la vita di tutti quanti è costellata di incontri e fatti che accadono e molte volte la bellezza che portano dipende da come rispondi, da quanto accetti il rischio di accogliere qualcosa di nuovo e diverso nella tua vita rispetto a un’abitudine. Le persone che incontri possono cambiarti, dipende se tu glielo lasci fare. Io non credo di essere una persona diversa dalle altre”.

Nella storia che ha portato Govindo a Roma hanno giocato un certo ruolo anche Tommaso, il marito di Marina, e i figli Maria, Angela Cristina e Luigi...

“Noi non ci siamo accorti di niente per fortuna, nel senso che abbiamo vissuto la vita di una famiglia normale con tutte le cose normali, con naturalezza, senza intellettualismi. Siamo stati contenti e felici, o abbiamo litigato, come tutti. I miei figli raccontano anche dei litigi per dargli da mangiare, dei turni per mettergli il pigiamino la sera, solo crescendo si sono affezionati a quei gesti. Insomma, abbiamo vissuto una vita normale e a tante cose ci abbiamo pensato dopo. Io, in modo particolare, al fatto che Dio ha vinto la scommessa che aveva fatto con me sui figli. Amici e parenti mi avevano giustamente messo in guardia rispetto all’adozione di un bambino con problemi, facendomi notare il peso che avrebbe potuto gravare in un futuro sui nostri figli. E invece la scommessa era al contrario e cioè sul fatto che accogliere Govindo sarebbe potuto essere un bene per la famiglia. Questa scommessa per fortuna l’ha vinta Dio e non i parenti”.

Insomma, non si tratta di essere uomini, o donne, o ragazzini diversi dagli altri, migliori...

“È diverso lo sguardo che uno impara ad avere su se stesso e sugli altri. A me non è stato risparmiato nulla, né l’adolescenza dei miei figli, né il dolore per la morte di mio figlio, ma non ho potuto, in nessun istante pronunciare una parola di disperazione ripensando a tutto quello che era accaduto e per come le cose erano andate. Il dolore è diventato una domanda di senso”.

Come è stato possibile?

“Perché con Govindo c’è stato qualcosa di più chiaro, che con i miei figli più grandi non era accaduto. Noi avvertiamo i nostri figli come qualcosa che ci appartiene (anche in senso positivo), con Govindo invece era chiaro che fosse una dono. E quando un dono ti viene tolto t’interroghi sul suo senso. Ma mai sono riuscita a dire una parola di disperazione, quando è morto. Anzi mi ha aiutata a guardare in maniera piu vera innanzitutto me stessa. A prescindere dall’essere credenti o no, il genere umano è convito di essere onnipontetente, che tutto alla fine dipenda dalla tua volontà e da cosa sai fare. Io ho vissuto la tentazione che dipendesse tutto da me.
In realtà la cosa più grande che Govindo mi ha lasciato è che non è così, mi ha lasciato un realismo su me stessa, una consapevolezza più grande. Non mi scopro più ricca, mi scopro più povera nel senso di più aderente a quello che in realtà sono, non una donna potente non un dio del giornalismo, ma una persona umana. Il 99 per cento delle volte che faccio esperienza della mia umanità mi accorgo che il bello e la felicità mi vengono da qualcosa che è fuori da me. Questo significa essere piu poveri, essere più realisti, un aiuto immenso a vivere”.

Nel tuo libro non ti nascondi, è anzi evidente l’esigenza di raccontare tutto, il bello e i momenti difficili.

“Quel libro non nasce per gli altri. E’ un libro che nasce per me. Tutta la prima parte è stata scritta tra il 1998 e il 1997, aspettando che lui arrivasse, con l’intento di non dimenticare. Non volevo perdere quello che avevo vissuto perché mi ero resa conto che per me era stato qualcosa di straordinario.
La sincerità nasce dal fatto, quindi, che io scrivevo a me, non agli altri. E infatti per pubblicarlo ci ho messo venti anni, nel 2016. E se non fossi stata molto incoraggiata dalle suore forse non l’avrei mai fatto. Sono due i fatti che mi hanno mossa a pubblicare il libro: il primo è la morte di mio figlio, il secondo è l’incitamento delle suore di Madre Teresa. Questo libro è uno dei frutti dell’incontro con Govindo. Attraverso il libro ho poi incontrato un sacco di persone e realtà che non conoscevo e ho potuto scoprire tante storie. E questo probabilmente grazie alla sincerità che traspare dalle pagine”.

Quali reazioni hai raccolto intorno alla tua storia e a questo libro?

“È un libro che, mi accorgo, produce effetti che qualche volta vedo e altre no, magari che non vedrò mai: ciò che accade attorno a questo libro produce qualcosa di cui sono diventata una spettatrice.
Ogni volta che vado a Roma al cimitero trovo qualcosa sulla tomba, un pupazzetto, un fiore. L’altro giorno ero preoccupata che i fiori fossero secchi, volevo rinnovarli per Pasqua e invece ne ho trovati tantissimi e bellissimi. Vuol dire che c’è qualcuno che gira attorno a quella tomba. Quello che è accaduto con Govindo fa parte di qualcosa di più grande di me, di cui ho imparato a fidarmi”.


Le vostre foto

Rimini by @lisaram, foto vincitrice del 15 febbraio

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