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Circhi acquatici a rischio chiusura. Parliamo del delfinario di Rimini

Giovedì, 18 Luglio 2013

2bCirchi acquatici a rischio chiusura. Parliamo del delfinario di Rimini

 

L’idea l’ha lanciata l’ex ministro Michela Brambilla alla vigilia della Giornata mondiale contro la cattività dei mammiferi marini (4 luglio): una legge per la chiusura dei delfinari o, meglio, per il divieto alla detenzione e addestramento di cetacei che avrebbe come conseguenza, se approvata, la chiusura dei delfinari esistenti. Quasi di pari passo sono intervenute le associazioni Lav e Marevivo rendendo pubblica una video investigazione in cui raccontano la vita di questi animali, denunciando una serie di violazioni e sostenendo, in particolare come in Italia i delfinari non abbiano alcuna funzione educativa né scientifica o di conservazione della specie (caratteristiche in realtà obbligatorie per legge), dedicandosi esclusivamente allo spettacolo.

 
Ovviamente, chi ha trascorso una vita intera nei delfinari la pensa in un altro modo. Quello di Rimini è stato fondato, appena la legge istituita nel 1968 lo ha consentito, da Nemmo Fornari, agronomo e appassionato di animali, che pochi anni prima, nel 1963 a Cesenatico aveva incontrato un delfino finito nel porto canale con cui aveva giocato e parlato tutta una serata e che aveva conquistato. Rispetto alle rivendicazioni di Lav e Marevivo, da Rimini possono rispondere nel merito.

 
Punto primo: a Rimini la ricerca si fa. “Grazie a mio padre – spiega Monica Fornari - negli anni Novanta, quando ancora la scienza rispetto ai delfini non esisteva, abbiamo assunto la dottoressa Raffaella Pizzi, allora appena laureata in biologia marina, come responsabile delle ricerche del Delfinario di Rimini. Oggi è considerata riferimento a livello europeo per lo studio di questi animali. Sono state sviluppate quattro aree di ricerca: etologica, bioacustica, ecologica e biologica. E’ merito nostro se oggi si può ottenere il dna dai delfini senza inciderli (bensì semplicemente strisciando il vetrino sulla pelle dello sfiatatoio), pratica che è stata ed è utile per studiare sia le malattie sia le potenzialità di questi animali. Io stessa, che per venti anni mi sono occupata del settore commerciale, andavo spesso nelle scuole per spiegare l’importanza della ricerca che stavamo portando avanti. Ancora oggi ospitiamo tantissime scolaresche”.
Il delfinario di Rimini, è, in effetti, primo in Europa per nascite e per sperimentazioni scientifiche. Sono oltre 100 le tesi di laurea state realizzate sugli animali nel vascone che ora sta all’ombra della ruota panoramica, 13 le università con cui la struttura collabora e gli studi pilota sul dna hanno conquistato anche il Cnr. Il delfinario di Rimini ha all’attivo anche una cinquanta di conferenze internazionali sulle sue ricerche nell’ambito dei mammiferi marini.


Le associazioni puntano anche il dito sul fatto che nei delfinari sarebbero consentiti incontri troppo ravvicinati del pubblico con i delfini, a scapito della salute di questi ultimi. “Gli animali, anche nel nostro delfinario, obbligatoriamente non possono entrare a contatto con il pubblico nemmeno quelli chiamati sul palco”, precisa Fornari. “I nostri istruttori sono rigidissimi. E’ una questione di igiene: un delfino può morire per un raffreddore. La specie, una volta molto diffusa (e in contrasto con i pescatori perché si nutre di pesce azzurro), adesso è in via di estinzione (categoria a1). E’ anche vero, comunque, che al delfino l’uomo piace. Ci sono tanti casi nel mondo in cui il delfino è stato protagonista per aver salvato la vita all’uomo”. Tutto in regola, assicurano quindi da Rimini. “Noi abbiamo avuto 75 ispezioni in incognito e ogni volta gli ispettori ci hanno fatto i complimenti per la modalità con cui abbiamo approcciato gli animali. Abbiamo sempre rispettato tutti i protocolli stabiliti dalla legge”.


Il delfinario dei Fornari ospita quattro delfini a Rimini, mentre due sono attualmente al parco Oltremare di Riccione. Per una attenzione sempre maggiore degli animali “abbiamo chiesto al Comune di costruire una vasca aggiuntiva per cura medica e per i parti dei nostri delfini”. Se davvero la proposta di legge per la chiusura andasse in porto verrebbero a generarsi diversi problemi. Di cui uno molto grave. “I delfini nati in cattività non possono che rimanere in cattività, sono stati allevati in casa. Se li prendessi e li abbandonassi in mare aperto sarei una criminale, probabilmente morirebbero perché loro non sono abituati a quella vita. Aldilà delle difficoltà reali di procurarsi il cibo, c’è anche il fatto che l’acqua del mare è troppo inquinata. Noi la prendiamo la ripuliamo con quarzi rosa, togliendole detriti, piombi, metalli pesanti rifiuti organici. Sinceramente prendere i nostri delfini e ributtarli nell’acqua sporca non ci va. Anche per questo, secondo me chi vuole chiudere i delfinari va contro la legge. Anzi, i delfinari sarebbero piuttosto da sostenere per il tanto che portano: emozione, ricerca, pet terapy anche con bambini autistici”.


Dall’esperienza del delfinario di Rimini, infine, è anche nata la onlus “Save the dolphins” che pone al centro “il delfino come anello di collegamento tra il mare e l’uomo. Ha i polmoni, respira come l’uomo ma sta in acqua. E’ il simbolo più interessante dell’interazione tra la terra e il mare”. Nata nel novembre del 2012, l’associazione ha il compito di “approcciare il problema della salute dell’ambiente e dei suoi abitanti, per poter parlare di condivisione e di studi di ricerca, per poter organizzare corsi formativi di conoscenza della nostra realtà marina”.


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