Poveri: "Ci si salva solo insieme". La Caritas presenta il bilancio sociale

Martedì, 18 Ottobre 2022

Sono state 966, “quasi mille” fa notare Isabella Mancino, responsabile Osservatorio sulle povertà, le persone incontrate dalla Caritas diocesana durante il 2021. Il 32% di queste persone non si era mai rivolto alla Caritas prima di ora e, fanno notare fuorisacco dalla Caritas, la percentuale raggiunge il 60 per cento se si fa la somma dei nuovi arrivi dal 2020 al 2022, dovuti con alta probabilità alle difficoltà economiche causate dalla lotta alla pandemia.

E’ stato presentato oggi in Diocesi a Rimini il primo bilancio sociale della Caritas. ra i dati che stridono rispetto a un comune abituale intendere la povertà due in particolare: il 48 per cento delle perone che hanno chiesto aiuto ne 2021 era abbastanza giovane, tra i 45 e 64 anni, e nel 40 percento dei casi non è senza tetto. “Quello della casa, però, è uno dei più segnalati. C’è chi ha lavoro ma non riesce a sostenere il costo di un affitto. C’è chi non ha il lavoro, ma grazie al reddito di cittadinanza si è potuto pagare un residence nei mesi invernali ma poi per mangiare è costretto a venire a mensa. Tra i nuovi arrivi, persone che dopo un periodo di cassa integrazione per la chiusura dell’azienda causa covid, non sono state reintegrate in organico quando l’attività è stata riavviata. Tra chi fa fatica a trovare una nuova casa, ci sono persone soggette a sfratto che non riescono ad ottenere la fiducia di possibili nuovi locatori”, spiega Mancino.

Un altro dato, pesante, salta all’occhio: “se sei nato in Italia servono cinque generazioni perché un nucleo familiare riesca uscire dalla povertà”. E’ per questo motivo che la povertà intragenerazionale è tra le sei priorità individuate dalla Caritas assieme a casa, lavoro, solitudine, analfabetismo digitale, senza dimora soggetti a violenza.

Grazie al fondo per il lavoro, “prima dell’estate abbiamo aiutato l’inserimento di 40 persone, poi c’è stato un rallentamento”, spiega il responsabile Roberto Casadei Menghi. “Molte aziende rinunciano a tenere persone valide nell’incertezza economica del periodo, nonostante dopo un periodo di prova si sano trovate bene con queste persone e ritengano di poterne avere bisogno”. La crisi attuale, “nei prossimi mesi porterà tante persone a perdere il lavoro, ci richiederà un impegno sempre più puntuale”.

Come se ne esce? “Se ne esce solo insieme”, ribadisce il direttore della Caritas Mario Galasso. “Per questo vi ritrovate tra le mani un documento in cui nel raccontare un’emergenza si cerca di farlo con cura e con un’esigenza di bellezza. Quando parliamo di poveri ci sembra di parlare di qualcosa di lontano da noi, mentre noi vogliamo raccontarvi anche la bellezza faticosa che viviamo giorno dopo giorno nel lavoro alla Caritas nell’incontro con l’altro. Ma in questi tempi complicati e difficili non possiamo fare da soli, come non possono farlo le istituzioni. Il papa ci dice: non fatevi rubare la speranza. Per non farci rubare la speranza dobbiamo camminare insieme”.

La bellezza di un cammino insieme, per la Caritas diocesana significa collaborare con oltre 70 Caritas parrocchiali presenti sul territorio. “Abbiamo messo in atto quello che chiamiamo Piano Marvelli: chi ha bisogno non deve arrivare fino a Rimini, da noi, ma trovare una presenza vicino casa sua, nella sua parrocchia. Per organizzarci bene, abbiamo suddiviso il territorio diocesano in tre aree, ognuna fa riferimento al comune capofila del rispettivo distretto sociosanitario”.

Chiosa il vescovo di Rimini Francesco Lambiasi, presidente della Caritas: “Oggi ci è richiesta una buona dose di umiltà e coraggio. Per guardare la realtà come ci si presenta dobbiamo cambiare le lenti, non fermarci alla non divisione tra ottimisti e pessimisti, metterci una buona dose di realismo. Ma il realismo della speranza”, ribadisce Lambiasi, non il cinismo, “quell’acido che ci paralizza”.

La Caritas “ci invita ad aprire gli occhi del cuore”. Cita Saint Exupery: “Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. La speranza, prosegue il vescovo, “non è un prodotto. La speranza è un germoglio che può diventare un fiore, che può diventare un frutto. Come cattolici dobbiamo capire che quello dei poveri è un discorso nodale, non un optional. voglio dire che su questo ci giochiamo la vita eterna”. Poi cita il Vangelo. “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere”.