Giovedì, 07 Aprile 2016 19:03

5 anni in Comune. Il turismo di Gnassi

Gran parte della sua immagine e della sua credibilità il sindaco uscente Andrea Gnassi ha deciso di giocarsele sul turismo, settore per il quale non ha nominato un assessore, riservandosi la relativa delega.

È su questo terreno che il sindaco ha manifestato una sorta di “ansia da prestazione”, volendo sempre e comunque dimostrare che con la sua presenza a Palazzo Garampi la città è tornata ad essere al centro dell’attenzione nazionale e internazionale. Si spiegano così i ripetuti interventi per ogni evento e per ogni week end primaverile: ogni evento è sempre un successo, la città è piena, gli alberghi non hanno una camera libera, i ristoranti fanno affari d’oro. Ma una seria verifica dell’esito degli eventi non è mai stata compiuta, e su questo ritorneremo.

Il primo punto da esaminare sono le famose presenze turistiche, esaltate quando hanno il segno positivo, sminuite nel loro valore di indicatore quando presentano il segno negativo; comunque l’unico criterio certo, al momento, che il sistema pubblico ha a disposizione per valutare l’efficacia delle proprie politiche promozionali.

Il 2011, primo anno dell’era gnassiana, si era concluso per Rimini con 7 milioni e 700 mila presenze, con un aumento del 4,7% rispetto all’anno precedente. Ma su questo risultato, il sindaco uscente non ha influito, essendo stato eletto a giugno. Il 2015 si è concluso con 6 milioni e 900 mila presenze, ed un calo dell’1,1% rispetto all’anno precedente. Una performance negativa che distingue Rimini da Riccione (+5,1), da Bellaria (+4,1), da Cattolica (+2,1) e da Misano (-0,4). Ma il dato più eclatante è che in cinque anni Rimini ha perso 800 mila presenze, cioè il 10,3%. Andamento generale? No, Bellaria ha perso l’1%, Riccione ha guadagnato il 14,5%, Cattolica è cresciuta del 2%, Misano è calata dell’1,6%. Noi di Buongiorno Rimini abbiamo più volte scritto che non è più la locomotiva Rimini a trainare la Riviera. Una performance negativa tutta attribuibile a Gnassi? Chi lo sostiene usa i legittimi argomenti di una campagna elettorale, anche se ci sono nodi storici che vengono da lontano (è da tempo che Rimini ha perso smalto). Però è il sindaco stesso, preso da quell’“ansia di prestazione” di cui prima si diceva, ad esaltare dati e successi che poi non trovano un riscontro oggettivo, e si risolvono in un boomerang.

L’hardware di Gnassi

Le linee che Gnassi ha seguito in questi cinque anni sono facilmente riassumibili, avendole il sindaco ripetute in tutte le occasioni, utilizzando la metafora dell’hardware e del software.

Hardware sono gli interventi strutturali che cambiano la città, per renderla più vivibile dai cittadini e più attraente per i turisti. Il contesto è il mondo che cambia, dove i potenziali turisti non hanno più le abitudini del tempo; mutamenti che la politica turistica gnassiana ha l’ambizione di intercettare con una narrazione (identità, innovazione, eventi) che per il momento non ha varcato i confini del Marecchia.

Hardware significa lo stop al consumo del territorio e ai progetti delle archistar per il lungomare, la messa in campo dei cosiddetti motori culturali (dal Fulgor al Teatro che torna a “dialogare con la Rocca”), gli interventi sulla viabilità (dal Fila diritto alla sistemazione delle vie del centro), il programma per eliminare gli scarichi a mare e garantire la balneazione (impropriamente presentato come le nuove fogne di Rimini). Tutte iniziative delle quali i suoi critici tendono a minimizzare il valore e che Gnassi esalta oltre il dovuto (come la battuta secondo cui con la nuova piazza Malatesta “ce la giocheremo con l’Arena di Verona”), ma che di fatto rappresentano quanto di meglio si può ascrivere al suo mandato, poco o tanto che sia. Abbiamo omesso dall’elenco il Parco del Mare, che sarebbe l’unico intervento davvero hard, capace di incidere sul prodotto Rimini, ma al momento si riduce solo a una idea (peraltro partorita dal Piano Strategico) e ad una serie di non impegnative manifestazioni di interesse da parte degli operatori privati. Difficile prevedere se troverà mai realizzazione concreta almeno in un tratto che possa funzionare da traino per il resto del lungomare. I passi finora compiuti (con le scadenze sempre prorogate rispetto alle date fissate) lasciano capire come la composizione di interessi pubblici e privati implichi procedure complesse che richiedono enormi capacità di relazione, di ascolto e di umiltà, doti che non sono quelle per cui Gnassi spicca.

Sempre a proposito dell’hardware, si può imputare al sindaco uscente una scarsa attenzione ai problemi strutturali dell’offerta ricettiva di Rimini, per i quali il Comune può intervenire con le norme urbanistiche e può esercitare pressioni ai livelli superiori (Regione, Stato). Nella sua vision, comunicata a più riprese, non si è mai sentita una parola su questo argomento.

Dell’hardware fa parte in modo speciale l’aeroporto, la cui crisi ha influito non poco sui flussi turistici. Del contributo di Gnassi al fallimento di Aeradria si occupa la magistratura (il 20 aprile deciderà sul rinvio a giudizio) ma anche senza i pronunciamenti giudiziari è evidente che il sindaco uscente fa parte di quella classe politica alla quale sono imputabili le principali responsabilità.

Il software di Gnassi

L’hardware per funzionare al meglio e produrre risultati, ha bisogno di software, il campo nel quale Gnassi si sente particolarmente forte, tanto da essere accusato di svolgere il mestiere di direttore artistico piuttosto che quello di amministratore. Siamo cioè sul terreno della politica degli eventi, visti come la vernice giusta per rendere Rimini più attrattiva e per moltiplicare le presenze. L’inventore della Notte Rosa (quando era assessore al turismo della Provincia) arrivato a Palazzo Garampi ha pensato bene di moltiplicarli, avendo sempre come target di riferimento quel mondo giovanile (o di aspiranti ever green) che lui tout court assimila ai propri gusti e interessi personali. Ecco allora la Molo Street Parade, con l’accoppiata dj set & sardoncino, Al Meni (con gli chef stellati sotto un tendone felliniano), il Capodanno più lungo del mondo (con la messa in cartellone di tutti gli eventi di un mese), oltre alla riproposizione, senza alcuna variante significativa, della Notte Rosa. Ad un certo punto si era parlato anche di una parata carnevalesca in piena estate, ma se ne sono perse le tracce.

La politica degli eventi di Gnassi è criticabile sotto vari aspetti. È ripetitiva e mai aperta verso altri target e interessi; non si fonda su un’analisi di mercato e su un’analisi economica sui possibili ritorni; si rivolge prevalentemente al mercato italiano, mentre è quello estero che deve essere rafforzato; rischia di trasformare il Comune in un permanente imprenditore di spettacoli e non favorisce la nascita di un prodotto notte davvero nuovo da parte degli operatori privati; di fronte alle piazze piene si grida al grande successo senza distinguere fra turisti (che pernottano) ed escursionisti dalle città vicine. Soprattutto il Comune non si è mai misurato con un’analisi critica e scientifica degli eventi, per verificare i reali flussi turistici che producono e quanto incidono sul fatturato economico della città.

Senza dubbio alcuni eventi (Notte Rosa) hanno un forte impatto mediatico, però è stato osservato che l’immagine che veicolano non è quella che oggi interessa le tendenze del mercato, dove prevale il turismo delle esperienze, della enogastronomia, della cultura.

In sintesi. Con il Parco del mare l’amministrazione cerca di coinvolgere gli operatori nel rilancio del turismo cittadino, con la Molo continua a surrogare l’assenza del prodotto turistico corrispondente e di un qualche gruppo di imprenditori che su essi (prodotto e target) ci scommetta come impresa. Con gli eventi si vuole comunicare un certo brand cittadino e in genere costituiscono occasioni piacevoli da frequentare, ma l’unico criterio per la loro continuità è la gratificazione degli stessi cittadini e non l’efficacia del ritorno turistico. Il turismo è una parte consistente dell’economia cittadina ma il sindaco sembra ben più coinvolto nell’ideazione (e anche nella organizzazione) del prossimo evento che nelle problematiche e nei ritardi di quegli operatori che dovrebbero costituire il suo principale stakeholder di riferimento. Forse perché con gli eventi si diverte di più.

La notizia delle dimissioni del direttore generale di Rimini Fiera, Ugo Ravanelli, è stata per il mondo politico, istituzionale ed economico della città un vero fulmine a cielo (solo apparentemente) sereno.

Ravanelli era stato nominato solo qualche mese fa all’interno di un percorso che lo avrebbe portato, una volta eletto il nuovo consiglio d’amministrazione, a diventare amministratore delegato. Lo schema prevedeva un presidente, di espressione politica, che svolge unicamente un ruolo di rappresentanza, ed un amministratore delegato che prende in mano tutta la gestione operativa.

Già, ma quale presidente? A quanto risulta il prossimo CdA non vedrà l’annunciata uscita di scena di Lorenzo Cagnoni. In realtà e a sorpresa, Cagnoni ancora una volta succederà a se stesso. Il ragionamento che avrebbe portato a questa scelta è il seguente: la Fiera vive un momento delicato con la nuova quotazione in Borsa (peraltro rinviata ad ottobre, senza una spiegazione), è bene garantire la stabilità, per cui invece che un presidente nominato da un sindaco e da un presidente di Provincia uscenti, è preferibile la conferma di quello attuale. Osserviamo che lo si sapeva da sempre che il rinnovo sarebbe avvenuto sotto elezioni, eppure Cagnoni aveva sempre confermato di voler terminare il suo mandato.

A questo punto l’ipotesi più verosimile è che sia saltato l’equilibrio istituzionale che si pensava di aver raggiunto. Cosa è successo? O Cagnoni ha fatto sapere di non voler nominare al momento un amministratore delegato o è emerso che l’amministratore avrebbe voluto pieni poteri e che Cagnoni non abbia voluto concederglieli. Comunque siano andate le cose (molto probabile la seconda ipotesi indicata), è chiaro che fra i due qualcosa si è rotto. Se ne può rintracciare un segnale anche nel comunicato ufficiale diramato da Rimini Fiera. Si annunciano le dimissioni di Ravanelli “per motivi personali (la formula più generica che ci sia) e non si spende una riga per ringraziarlo del lavoro svolto ed augurargli buona fortuna. È una prassi, per quanto formale, che ogni società segue in casi come questi. Se saltano anche le cortesie formali, significa che lo scontro è stato grosso.

Non è una bella pagina della storia di Rimini Fiera quella scritta oggi. Le attese dell’opinione pubblica erano che finalmente ci fosse un ricambio alle scadenze naturali. La scelta di Ravanelli, viste le capacità manageriali dell’uomo, era stata salutata con entusiasmo. Uno scenario che va in archivio ed un altro che se ne apre con molte incognite.

Martedì, 05 Aprile 2016 18:43

5 anni in Comune. La spesa sociale

La narrazione dell’amministrazione comunale uscente sostiene che il Comune di Rimini impiega il 40 per cento delle proprie risorse per il welfare, includendo anche le relative spese per il personale e l’organizzazione. L’assessorato di spesa con il portafoglio più consistente è quello di Gloria Lisi, che oltre ad occuparsi dei servizi sociali detiene anche la delega per i servizi educativi, la famiglia, la casa, le politiche socio-sanitarie. Nell’insieme si parla di un budget di oltre 40 milioni. Se invece ci si limita ai servizi sociali propriamente detti, quelli che vengono definiti e programmati nei piani di zona, l’ultimo bilancio parla di 29 milioni 839 mila euro.

Li spende il Comune ma non sono tutte risorse del Comune. Il mondo del sociale è una realtà estremamente complessa, dove numerosi sono gli incroci di competenze e di finanziamenti e dove altrettanti numerosi sono i canali attraverso cui le risorse sono erogate. Per i non addetti ai lavori è difficile orientarsi e capire come stanno le cose. Le fonti di spesa sono le seguenti: 10 milioni 120 mila euro li mette il Comune di tasca propria, 18 milioni 103 mila euro vengono dalla Regione per tutti i soggetti non autosufficienti, la Regione aggiunge 1 milione 207 mila euro, 329 euro dai fondi per la sanità, qualche spicciolo dai Fondi europei per l’immigrazione. E il committente dei servizi non è semplicemente il Comune: spesso sono Comune e Ausl insieme. E a produrli normalmente sono cooperative sociali e associazioni di volontariato, a volte sono Comune e Ausl in modo diretto.

Il punto che interessa è come e con quali criteri vengono spesi tutti questi soldi e se le iniziative finanziate rispondono effettivamente ai bisogni esistenti in città. L’assessore Gloria Lisi, approdata alla guida dell’assessorato dopo essere stata la presidente della cooperativa della Caritas Madonna della Carità (una provenienza che fin dalla nomina ha generato polemiche e procedimenti giudiziari sul presunto conflitto di interesse, conclusisi in niente), sostiene che dalle casse del Comune non esce un euro che non sia stato destinato o attraverso un bando o attraverso un’istruttoria pubblica. Nessun contributo e nessuna convenzione sono decisi in modo discrezionale. Spiega: “Se devo dare in gestione un servizio, faccio un bando al quale partecipano le cooperative sociali; se devo realizzare un progetto specifico invito le associazioni di volontariato competenti e presenti in quel settore. In quest’ultimo caso vige la regola che il 40 per cento delle risorse umane impiegate deve essere formato da volontari”.

Come nascono servizi e progetti

Vediamo dunque come sono definiti e finanziati i piani di zona, che sono l’attuazione del piano socio-sanitario regionale che da tre anni è in proroga. Il prossimo anno dovrebbe finalmente uscire il nuovo. Quella dei piani di zona è una procedura che vede all’inizio un’assemblea plenaria dove partecipano tutte le coop sociali e le associazioni di volontariato accreditate. Nell’assemblea plenaria l’amministrazione indica le priorità dell’anno, soprattutto i criteri. Recentemente criteri prioritari sono stati il welfare delle capacità (meno interventi assistenziali e più valorizzazione delle risorse residue delle persone in difficoltà) e la cosiddetta captazione dell’utenza, cioè riuscire a far incrociare le persone bisognose con i servizi. Dopo le indicazioni, coop e associazioni si riuniscono in gruppi di lavoro tematici secondo le aree definite dalla Regione: minori e famiglia, impoverimento, carcere, immigrazione. In questi gruppi di lavoro vengono individuati i possibili progetti. Quindici giorni dopo i progetti vengono presentati in assemblea plenaria. Quelli che l’amministrazione ritiene meritevoli ed in linea con le proprie indicazioni, vengono messi a gara. Così può succedere, ed è successo, che un progetto presentato dall’associazione A sia poi realizzato dall’associazione B, perché ne ha vinto la gara. E ciò provoca qualche comprensibile malumore in chi si vede “scippato” della propria idea. Spesso accade che a concorrere sia una sola associazione, che è poi quella che vince. E accade anche che chi ha avuto l’idea brillante poi non partecipi alla gara. A decidere è una commissione tecnica. La maggior parte dei servizi e dei progetti è realizzata da realtà che fanno capo alla Caritas e alla Papa Giovanni XXIII.

Sussidiarietà ed economia

Qualche altra cifra per avere un’idea delle risposte messe in campo nel sociale dal Comune. Sono 6.000 le persone assistite dall’insieme dei servizi, 2.220 gli anziani in carico, 70.000 all’anno le ore di assistenza domiciliare, 700 i ricoverati in strutture per anziani, 480 gli assegni di cura erogati per altri anziani, 550 i disabili in carico, 170 i senza fissa dimora seguiti, 3.550 gli accessi allo sportello della famiglia e 500 le consulenze erogate.

Per l’assessore Lisi, applicare il principio di sussidiarietà nei servizi sociali significa riconoscere che il Comune ha bisogno del terzo settore anche per leggere in modo più adeguato i bisogni esistenti e per fornire risposte più appropriate, più vicine alle esigenze delle persone. Un altro criterio guida che l’assessore sottolinea è che si fa welfare anche contribuendo, attraverso i servizi, a creare nuovi posti di lavoro. Il welfare stesso, con la propria rete di servizi, diventa un fattore di sviluppo economico. E se c’è più lavoro per tutti, si riducono le aree di disagio sociale.

Lo sportello sociale

Ma il Comune ha strumenti per conoscere direttamente la mappa delle povertà e dei bisogni vecchi e nuovi presenti fra la popolazione? Dispone di uno sportello sociale che è un punto di riferimento al quale nell’ultimo anno si sono rivolte cinquemila persone, esprimendo i bisogni più diversi. All’inizio questo sportello aveva solo una funzione di orientamento: si presentava un anziano in difficoltà e lo si indirizzava al relativo servizio. L’esperienza ha però fatto emergere che sempre più spesso emergevano bisogni per i quali non c’era un servizio dedicato e pertanto rimanevano senza risposta. Se quindi in precedenza lo sportello non disponeva di un proprio capitolo di spesa, si è deciso di finanziarlo per rispondere con nuovi servizi a quelli che sono stati chiamati i “vulnerabili”: mamme sole con figli a carico, famiglie colpite da sfratto esecutivo, invalidi civili con più del 75% di invalidità, over 50 che hanno perso il lavoro con minori a carico, ex detenuti a rischio di recidiva, over 45 con minori, persone colpite da un disagio psico-sociale non rientrante in una categoria definita.

Complessivamente per questi interventi nel 2015 sono stati spesi 386 mila euro.

È stato nel tentativo di creare servizi e progetti per i “vulnerabili” che si è sviluppato l’approccio del welfare delle capacità. Un approccio che ha trovato una modalità di attuazione concreta nella norma, votata dal consiglio comunale, secondo cui le imprese vincitrici di appalti devono impiegare una quota di lavoratori di queste categorie indicate da Comune. Grazie a questa norma negli ultimi anni hanno trovato un posto di lavoro un centinaio di persone. Molte mamme sole, per esempio, sono occupate a porzionare i cibi nella ditta che ha vinto l’appalto delle mense scolastiche.

Come abbiamo scritto la volta scorsa, le elezioni sono la possibilità per ogni cittadino di scoprire l’oggi della propria città e anche di riformulare il proprio rapporto con essa. In questo senso abbiamo provato a rileggere comportamenti, motivazioni ed esiti dei vari protagonisti della campagna elettorale.

Dalle liste civiche, delle quali abbiamo parlato nel primo articolo, passiamo ai partiti tradizionali.

Lega Nord

Appena “il Morrone” (per dirla alla lombarda) è comparso sulla scena elettorale riminese, tutti si sono accorti di avere davanti un politico molto diretto, che poco indulge a discorsi astratti e cortesie di maniera. Così, mentre la Lega sedeva al tavolo di Dreamini, chissà se solo per cortesia o per ammesso ‘deficit culturale’, Morrone accettava di aspettare, ma solo per un po’, il candidato eccellente promesso da Arcuri e che il suo partito non sarebbe comunque stato in grado di individuare. In questo modo, quando ha infine deciso di correre con un candidato proprio, ha mandato all’aria non uno solo ma entrambi i tavoli principali del civismo locale, e che fin dall’inizio si contendevano – con strumenti e lusinghe diverse – proprio i suoi voti.

Purtroppo Progetto Rimini ha disatteso le proprie promesse e invece che con un candidato forte si è presentato all’appuntamento con le mani vuote, mentre Dreamini, almeno pubblicamente, ha insistito inutilmente su contenuti e programmi. Ma quando si sa che non si vincerà, ed è questo il giudizo che la Lega deve avere dato a un certo momento della trattativa con i possibili alleati, i contenuti contano poco, serve invece attestarsi in difesa dei propri dati identitari, del proprio stile di politica e così capitalizzare al massimo la propria presenza sul territorio e in consiglio comunale. Ed evidentemente, né Camporesi, né le altre opzioni che Dreamini poteva mettere sul tavolo, le sono sembrate utili a migliorare il proprio risultato (sempre dando per scontato che da Dreamini queste candidature gliele abbiano offerte anche cedendone la primogenitura pubblica, e l’associazione stessa non abbia avuto pensieri identitari o protezionistici per una cifra intellettuale che non si sarebbe dovuta confondere con quella del partito di Salvini).

Di certo, decidendo di correre da sola, la Lega ha deciso di guardare solo al proprio obiettivo a breve termine, invece che dare respiro a un progetto che, nel tempo, anche se non avesse vinto al suo esordio, sarebbe potuto diventare il punto di raccolta delle opposizioni e che proprio per questo avrebbe costituito una vera novità nel centrodestra. Al contrario, come conferma anche la decisione di Forza Italia di schierarsi con il candidato sindaco della Lega, la disfida tra Camporesi e Pecci ha sancito e radicalizzato una divisione politica tra il civismo da una parte e i partiti tradizionali dall’altra, una spaccatura netta che certo trascinerà sospetti e antagonismi fin nella prossima legislatura. Intanto, complice la debolezza degli interlocutori, la forzatura di Morrone risulta vincente (per lui) e funzionale ai propri obiettivi.

A questo proposito, se infine dobbiamo restare alla parte realistica della politica, così come abbiamo riconosciuto a Morrone la legittimità di privilegiare il proprio capitale di voti, non possiamo non dire che, certo, anche la vicina scadenza elettorale del 2018 qualcosa deve avere contato, con la sua possibilità di avere un candidato della Romagna forte di un successo recente. E chi possa essere questo candidato è facile da immaginare.

Movimento 5 stelle

Alle scorse elezioni amministrative, i pentastellati avevano come proprio candidato sindaco Luigi Camporesi. Oggi, dopo che Grillo e Casaleggio hanno deciso che il movimento non presenterà una propria lista ufficale, Camporesi potrebbe riprovare, da altre sponde, a rappresentarne di nuovo le istanze. Il tutto mentre Gnassi comunque ringrazia.

Come si sia arrivati a dilapidare un patrimonio di un 20% almeno di voti si fa ancora fatica a dirlo. A bocca stretta, i protagonisti cominciano ad ammettere che qualche errore, forse, è stato commesso. La mossa iniziale l’ha fatta la dirigenza del movimento, la quale è caduta vittima di una sorta di delirio di eugenetica politica, per il quale i più puri, i soli che avrebbero potuto designare un candidato in modo moralmente ineccepibile, gli unici che non avrebbero avuto pensieri per il potere e, ancora, i soli depositari del pensiero pentastellato nella sua più limpida ortodossia, erano, guarda caso, proprio loro.

La discussione che ne è seguita è stata di quelle tipiche sul web, nelle quali accade più facilmente di mandarsi a quel paese che concedersi il tempo di un ragionamento o per avviare una trattativa politica. E l’esito è stato una sorta di “Ah, sì? Vedremo chi è il vero Movimento”. Alla prova dei fatti nessuno dei due.

Una nota particolare la merita la scelta dei candidati. Se il secondo (la seconda) è certo frutto della reazione al colpo di mano della dirigenza e forse anche un tentativo di captatio benevolentiae nei confronti del ‘capo’, il primo spicca per la scelta tattica particolare di cui era espressione.

I 5 Stelle, come in tutta Italia anche a Rimini, hanno fin qui raccolto elettorato scontento del centrodestra ed elettorato scontento del centrosinistra. Storicamente, a Rimini, anche ricordando il voto nel ballottaggio del 2011, sembra essere maggioritario il secondo, quello di sinistra. Ma un candidato che, per physique du role, sembra preso più dal comitato centrale di un partito comunista che dalle riunioni libere e incasinate di attivisti non professionisti, avrebbe dovuto anche erodere la base elettorale di Gnassi? E poi, in caso di un ballottaggio molto probabile tra Pd e 5Stelle, avrebbe invece dovuto raccogliere il voto del centrodestra? Non lo sapremo mai. Dispiace comunque che, come sembra, il Movimento non potrà essere rappresentato nel prossimo consiglio comunale. Sarebbe però interessante se, dopo quanto è successo, i pentastellati locali provassero a comporre in un puzzle unico le tante tematiche su cui si sono documentati in questi anni, spesso meglio di tutto il resto dell’opposizione, per abbozzare e rischiare una propria idea di città. Non solo come guardiani della legalità, ma come compagni di strada dei riminesi.

Partito Democratico

Qualche tempo fa abbiamo scritto che, dopo il fallimento del centrodestra e, ancora di più (sarebbe stato da aggiungere) dopo il suicidio dei grillini, Gnassi avrebbe dovuto preoccuparsi del suo partito e di quelli che si sarebbero potuti mettere di mezzo tra lui e la sua riconferma. Era ovviamente una esagerazione retorica, però qualche dispetto bisognava metterlo in conto. E poi, adesso, sono solo dispetti, ma dopo si vedrà. Anche perché la spada del rinvio a giudizio è ancora lì che dondola sopra la testa del sindaco.

E dire che il Pd, Melucci per primo, e anche generosamente, dovrebbe fare una colletta per erigere almeno una statua equestre a Gnassi, una scultura celebrativa a colui che fin dall’inizio della sua campagna elettorale cinque anni fa ha subito, quasi fulmineamente, disinnescato l’unica bomba che a Rimini sarebbe stata per l’opposizione il corrispettivo efficace del TRC a Riccione, vale a dire “il mattone”, unico grande tema che stava coagulando il malumore popolare (#gnassiequestre).

In ogni caso, è vero che il partito, e anche i circoli, hanno improvvisamente avuto un sussulto, approfittando della necessità di comporre le liste al consiglio comunale; ma più che una chiamata alla politica, un invito alla discussione sulla città che Rimini sta cominciando o dovrebbe cominciare a diventare a breve, sembra proprio e soltanto il rituale che prevede e precede il Manuale Cencelli del caso (come se la riflessione teorica sulla città fosse stata definitivamente abbandonata nelle mani del solo sindaco). Insomma, una gran tristezza. La stagione dei circoli, quelli che dovevano rinnovare il partito, è finita; le figure più carismatiche sono ormai in pensione; gli emergenti, più o meno giovani, hanno preferito – tra la battaglia e l’abbraccio mortale con il sindaco – ritirarsi e coltivare un proprio percorso lontano da piazza Cavour. Non parliamo delle tessere, che tanto non contano nulla. Infine, voilà, con la lista di Pizzolante abbiamo anche “il partito della nazione” versione cittadina.

In sintesi. La Lega a Rimini praticamente non è mai esistita; esistono invece eccome i riminesi che la voteranno, probabilmente tanti. Per vedere se ne nascerà un partito reale o se invece si confermerà soltanto un partito d’opinione bisognerà aspettare dopo le elezioni. Anche i grillini avrebbero i loro voti, e pure una gerarchia consolidata (tra eletti e incaricati), ma, per adesso, è venuta meno l’occasione che possa coinvolgere i riminesi nel progetto 5 Stelle. Il Pd invece governa e questo risolve ogni questione o, meglio, le copre tutte. Certamente, l’annullamento del pensiero del partito in quello del sindaco che amministra non suona per niente bene. O si tratta di dominio assoluto, come un novello Sigismondo, che governa la famiglia e la città, oppure non c’è più nessuno che abbia voglia di buttarsi. E forse è anche peggio.

Primo simbolico colpo di ruspa a piazzale Kennedy (il cantiere è stato aperto e delimitato da tempo) per la costruzione della grande vasca di laminazione che il sindaco Andrea Gnassi ha definito “l’opera simbolo” del Piano di salvaguardia della balneazione. Per sottolineare l’evento ha invitato il presidente della giunta regionale Stefano Bonaccini.

Nessuna novità rispetto a ciò che già si sapeva, solo l’ennesima sottolineatura di un’opera importante per la città a poco più di due mesi dalle elezioni amministrative.

La vasca di piazzale Kennedy è diventata l’opera simbolo perché oltre a risolvere i problemi degli scarichi a mare della zona (accumula acque che poi pompa al depuratore e che tornano in mare appunto depurate) sarà anche una prova generale di quel qualche Parco del Mare ancora in cerca d’autore. Sopra la vasca sorgerà infatti un Belvedere, un complesso architettonico-paesaggistico che riqualifica l’area.

La vasca costa 30 milioni di ero, quasi un quinto dell’intero costo del Piano che è di 154 milioni. È stato detto e ribadito che i tempi di realizzazione dell’intero piano saranno rispettati (traguardo 2020) e che non ci sarà lievitazione dei costi.

Il presidente Bonaccini ha colto l’occasione per annunciare che stanno partendo i cantieri per il ripascimento della spiaggia (20 milioni per l’intera costa emiliano-romagnola) e gli altri 20 milioni messi a disposizione dalla Regione per i Comuni della costa che vogliono rinnovare e riqualificare il proprio fronte mare.

E' guerra aperta fra Airiminum, gestore dell'aeroporto di Rimini,  e Aerdorica, la società che gestisce l'aeroporto di Ancona. Dopo la segnalazione alla Commissione Europea sul contributo straordinario concesso dalla regione Marche a Aerdorica, considerato un aiuto di stato illegittimo, AIRiminum 2014  ha presentato una lettera-esposto all’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile - ENAC e al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - MIT, per chiedere formalmente di vigilare sulla procedura di privatizzazione della partecipazione azionaria detenuta dalla Regione Marche in Aerdorica.
 
Airiminum contesta le modalità attraverso le quali si sta ora procedendo alla stesura del nuovo bando per la dismissione della quota azionaria di maggioranza della Regione Marche. Si ricorderà che il precedente tentativo di vendere la maggioranza delle azioni a Novaport Italia era fallito perchè l'Enac aveva contestato la procedura senza gara ad evidenza pubblica. Ora l'amministratore unico di Novaport Italia, Andrea Delvecchio,  è diventato amministratore unico di  Aerdorica, con il compito, assegnato dalla Regione, di procedere alla provatizzazione.
 
AIRiminum, che di Aerdorica è un diretto concorrente, "ritiene che la procedura di individuazione del socio privato in Aerdorica S.p.a. così come ora configurata dalla Regione Marche determini l’inevitabile compromissione della garanzia di imparzialità nella redazione del bando di gara, nonché dei principi di trasparenza e di parità di trattamento".
 
Pertanto, AIRiminum  richiede all’ENAC e al MIT, in qualità di enti competenti, di svolgere appieno la propria attività di vigilanza nel corso dell’attuale fase di redazione della documentazione di gara, rimuovendo ogni potenziale conflitto di interessi e garantendo la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori del settore.
 
Qualora la documentazione di gara si palesasse in contrasto con tali principi, AIRiminum  si riserva ogni iniziativa volta a tutela dei propri diritti ed interessi legittimi in ogni sede competente.

Oggi pomeriggio si è riunita l’Assemblea dei Soci della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e, nell’ambito dell’iter previsto per il rinnovo del Consiglio Generale, ha provveduto a designare i sette componenti del nuovo organo di propria competenza.
 
Si tratta di: Fabio Bonori (45 voti), Alduino Di Angelo (35), Patrizia Farfaneti Ghetti (39), Fabio Maioli (35), Roberto Manzi (38), Antonio Polselli (34) e Pierino Venturelli.(35)

Hanno partecipato al voto 66 soci, due sono state le schede bianche. I consiglieri eletti sono tutti della lista maggioritaria, nessuno della lista promossa da Mauro Ioli che ha preso solo 27 voti.
 
Il nuovo Consiglio Generale sarà completato con altri sette componenti che saranno individuati il prossimo 11 aprile dal Consiglio Generale uscente nell’ambito delle proposte ricevute dalle istituzioni del territorio.
 
L’iter di rinnovo degli organi si concluderà, dopo l’approvazione del bilancio 2015, con l’insediamento del nuovo Consiglio Generale e l’elezione di presidente e vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini per il prossimo mandato.

All'aeroporto di Rimini ha oggi apertoil  Desk Operativo del Consolato Onorario della Federazione Russa in Bologna – Circoscrizione Emilia-Romagna. Per l’occasione, Airriminum ha organizzato la colazione di lavoro “Welcoming Russia”, che ha riunito le principali figure istituzionali e operatori economici italiani e russi.
 
"L’apertura del desk e l’incontro di lavoro - si legge in una nota - sono un segnale del legame sempre più stretto tra AIRimium 2014 s.p.a e la Federazione Russa, da cui l’Aeroporto e l’intera area riminese potranno trarre vantaggio."

Molto soddisfatto l’amministratore delegato di AIRiminum 2014 S.p.A. Leonardo Corbucci, il quale ha sottolineato l’importanza dell’incontro affermando che “il numero di viaggiatori che arrivano dalla Russia è in constante aumento. L’apertura del Desk rappresenta un ulteriore passo verso il consolidamento dei rapporti con il Paese, e permetterà all’aeroporto e all’intero territorio di Rimini di attrarre sempre più passeggeri”.

Indipendentemente dal proprio orientamento politico, è normale che ogni cittadino riminese si aspetti, dalla prossima tornata elettorale, di conoscere meglio la propria città, quello che potremmo chiamare il suo stato di salute, e, insieme, le prospettive che essa può offrire; oltre a ciò di cui la città stessa ha bisogno.
Proprio in questa doppia direzione – tra ciò che ci viene offerto e ciò che chiede invece un nostro impegno – la chiamata al voto rappresenta per ognuno un’occasione privilegiata, occasione per rinnovare il rapporto con la propria città e con le persone che vivono e lavorano in essa.

Naturalmente, in tutto questo, ogni riminese si aspetta anche che nelle elezioni trovino il modo di manifestarsi soprattutto quelle novità che la città ha ospitato e ‘prodotto’ al proprio interno negli ultimi cinque anni. Ma quali sono le novità emerse in questo scorcio, pur già indicativo, di campagna elettorale? I soggetti che si sono affacciati alla ribalta del dibattito pubblico sono tanti; cominciamo a scorrerne i principali.

Progetto Rimini
Potremmo chiamarla la lista degli ‘eccellenti’. Nata sulle ceneri del gruppo cosiddetto dei curiali, si è subito distinta per l’ingaggio di un consulente esterno, come accade con gli allenatori nel calcio.
Ci si sarebbe aspettati che un soggetto con quel tipo di origine cavalcasse un’ipotesi di politica popolare, sostenuta da esperienze di base, da persone che operano a diversi livelli della vita sociale ed economica e invece, dopo un inizio con qualche accenno di contenuto e qualche iniziativa pubblica, la vita del “Progetto” piano piano si è ridotta al solo tentativo di Arcuri di trovare un candidato sindaco da proporre al centrodestra. Un candidato, ma solo se eccellente, appunto.
Con molto realismo, per sedersi al tavolo vero con i partiti, e con la Lega in particolare, Arcuri aveva infatti promesso qualcosa di tangibile, che i partiti, certo, non avrebbero potuto sperare di ottenere da soli.
Ma se Noi Riccionesi (grazie certo alla madre di tutte le battaglie, il TRC), oltre a individuare un candidato sindaco vincente ha avuto anche una sua base popolare, a Rimini, questa, non si è mai formata e così, alla richiesta degli alleati di ‘vedere’, quando il bluff è venuto allo scoperto, l’intero progetto è, almeno nei fatti, venuto meno. E si può dire che l’ansia di ‘contare’, e di farlo per la via breve, si sia mangiata la pur buona intenzione con cui la vicenda era iniziata.

Dreamini
In questo caso, invece, se gli idealismi non sono mancati, a difettare è stato probabilmente il realismo. E potremmo chiamarla, se pur non lo sia tecnicamente, la ‘lista degli intelligenti’ (o degli illuminati).
Fin dall’inizio infatti il gruppo di Dreamini si è proposto come un laboratorio di idee sulla città e l’unico dal quale sarebbe potuta uscire una vision alternativa a quella del sindaco Gnassi. Tanto che fino a una certa distanza dalla scadenza elettorale, ben volentieri, tutti i partiti e i rappresentanti di diversi raggruppamenti civici si sono seduti al suo tavolo per discutere e selezionare proposte.
Peccato che la politica funzioni con regole proprie. Così, quando è stato il momento, la Lega ha fatto le proprie scelte e ha abbandonato il tavolo.
Che poi la scelta di Morrone di correre da solo fosse già stata presa o invece sia mancata la volontà o la capacità di lasciare alla Lega, almeno pubblicamente, quello che chiedeva, cioè l’indicazione del candicato, si resta comunque nell’ambito delle dinamiche della politica e dei rapporti di forza che la governano, all’interno dei quali un soggetto politico deve ingaggiare le proprie battaglie.
Dalle reazioni di Dreamini traspare invece una stizza malcelata, una punta di sdegno per dover sottostare a queste regole meschine; una specie di insolenza verso gli dei della politica, rei di favorire chi è solo furbo e opportunista e non chi è culturalmente solido, moralmente impeccabile, tecnicamente competente. In fondo una autoreferenzialità appena diversa da quella della politica contro cui si scaglia.
Ma forse c’è ancora tempo per mostrare alla città che quelli che sono coinvolti in Dreamini e nelle liste che da essa sono nate non credono solo in se stessi ma anche nei riminesi.

Lista Pizzolante
In buona sostanza, quello avviato dal deputato ex-Ncd, è il tentativo di raggruppare in una lista il salotto buono riminese (se pure esclusa la sua parte più aristocratica): quelli che lavorano, che producono, che siedono ai tavoli cittadini e hanno frequentazioni continue con il padrone del vapore (contro il quale, peraltro, raramente si espongono in pubblico).
Ma questa ‘prudenza’, pur se non obbligatoria, è ancora più che comprensibile. Ciò che un po’ disturba nell’operazione Pizzolante è una certa opacità di scopi e di strategie nella sua origine.
Pubblicamente si è detto, almeno all’inizio, che la lista avrebbe dovuto difendere Gnassi dall’attacco grillino; più o meno pubblicamente, che sarebbe dovuta servire, all’indomani delle elezioni, a mitigare i comportamenti assolutistici di un Gnassi bis: secondo lo schema, appunto, Alfano/Renzi.
Per fare questo, l’idea è di selezionare i propri candidati all’interno di associazioni e gruppi cittadini, il più possibile rappresentativi e in grado di portare buone quantità di voti. Così che un buon risultato della lista possa anche essere premiato, diciamo, con un assessorato nella prossima Amministrazione.
Ciò che non è chiaro per il momeno è di quale livello di rappresentanza delle associazioni si parli (presidenti, direttori, consiglieri, semplici iscritti) e soprattutto si fa fatica a vedere un qualche collante ideale che non sia solo il raggiungere la stanza dei bottoni, ‘e poi ci penseremo’. Speriamo pure che l’eventuale promessa di un futuro assessore, visto che sarebbe il successo più evidente della lista, e che tutti i candidati della lista praticamente lavorerebbero per la sua nomina, venga – nel caso – dichiarata presto pubblicamente. Per chiarire poi i contenuti e i motivi di un fare squadra che, al momento, proprio mancano. E anche dove coincidono e dove invece si distinguono da quelli del candidato del Pd.

Continueremo la nostra carrellata. Ci premeva iniziare dalle liste civiche (almeno dalle maggiori) perché il civismo è una risorsa particolarmente preziosa per la città e per tutti. Ma il rischio che una iniziale novità si perda nella autoreferenzialità o nei tatticismi della politica è sempre presente.

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