Se si guarda ai primi sei mesi dell’anno, da gennaio a giugno, si può concludere che la stagione non va poi tanto male, visto che il segno negativo è solo dell’1,2 per gli arrivi e dello 0,5 per le presenze. Un risultato determinato soprattutto dagli incrementi a due cifre registrati nel periodo gennaio-marzo. Se infatti si prende in esame il primo trimestre che guarda alla stagione estiva, aprile-giugno, i dati parlano di un calo del 7,9 di arrivi e del 5,4 di presenze. Si risente fortemente di un maggio che ha registrato un -20 per cento, per nulla compensato da un giugno che ha visto aumentare gli arrivi dell’8,7 e le presenze dell’1 per cento. Il lungo week end del 2 giugno, con la presenza di Rimini Wellness, ha fatto sì che i dati si mantenessero positivi, nonostante il resto del mese, soprattutto a causa del maltempo,non abbia regalato grandi soddisfazioni agli operatori turistici.

Esaminiamo i dati Comune per Comune, finalmente messi a disposizione dall’Osservatorio Turistico Regionale.

Bellaria Igea Marina era uno dei comuni, insieme a Riccione, che nel 2015 aveva registrato aumenti a due cifre. Nei primi sei mesi del 2016 il movimento è decisamente all’indietro: -5,1 per cento di arrivi e -2,6 per cento di pernottamenti.

A Riccione le cose vanno leggermente meglio: gli arrivi sono calati dell’1,7 e le presenze dell’1 per cento.

Più pesanti le perdite per Cattolica che da gennaio a giugno registra arrivi in calo del 5,3 per cento e presenze che diminuiscono dell’1,9 per cento. Bilancio negativo anche per Misano Adriatico che perde il 3,5 per cento di arrivi e il 2,7 per cento di presenze.

L’unico Comune ad avere un saldo completamente positivo è Rimini che così inverte, almeno per il momento, la tendenza degli ultimi due anni che vedeva il proprio ruolo di locomotiva della Riviera in pesante frenata. Anche a Rimini c’è stato un disastroso maggio, ma il bilancio finale del primo semestre vede gli arrivi crescere dello0,7 e le presenze dello 0,8. Si tratta di percentuali minime, che soprattutto indicano stabilità, ma rispetto ai continui arretramenti degli anni scorsi è comunque un passo in avanti. Si tratta ora di vedere se la tendenza sarà confermata in luglio e agosto. Giugno a Rimini ha visto crescere gli arrivi del 10,9 per cento; per la maggior parte probabilmente si è trattato solo di una notte perché le presenze sono cresciute solo dell’1,3 per cento.

È interessante notare che a livello provinciale, fra gli italiani, sono crollati i tradizionali bacini di utenza della Riviera: Emilia Romagna – 83 per cento di presenze; Lombardia -91,3; Veneto -88,8. Un fatto insolito, qualora questi dati, per il momento provvisori, fossero infine confermati. Grossi incrementi invece per Abruzzo, Basilicata, Bolzano, Friuli, Piemonte.

Guardando il mercato estero, si vede che dalla Germania, nonostante la campagna promozionale dell’Apt che evidentemente non ha funzionato, il calo è dell’8,4 per cento. Le presenze francesi sono calate dell’11,1, e le svizzere del 2,8 per cento, tanto per restare nei tradizionali bacini. In crescita Paesi Bassi (+7,6), Regno Unito (+5,5), Spagna (+26,8), Ucraina (+26,3). E i russi? Dopo anni di pesanti segni negativi, sembra esserci una live ripresa: +2,9 per cento nei primi sei mesi dell’anno.

Se si fa il confronto con le altre località della Riviera romagnola, si vede che Cesenatico se la passa molto peggio: -7,2 per cento di arrivi e -5,6 per cento di presenze. Stesso discorso per Cervia: -7,1 per cento di arrivi e -5,2 per cento di presenze. I Lidi ravennati anche se accusano un calo di arrivi del 3,4, vedono le presenze cresciute delllo 0,8 per cento.

Le Fiera di Rimini, Parma e Bologna hanno siglato una lettera di intenti inc ui si impegnano a verificare la fattibilità di una società (‘Newco’), la cui composizione sarà da definire, con l’obiettivo di raggiungere una integrazione funzionale o societaria.  La lettera è stata sottoscritta oggi in Regione, alla presenza del presidente Stefano Bonaccini, dai presidenti delle Fiere di Bologna, Rimini e Parma, rispettivamente Franco Boni, Lorenzo Cagnoni e Giandomenico Auricchio.
In particolare, in esecuzione della lettera di intenti, le tre fiere procederanno nella collaborazione e nelle attività congiunte sulla base della seguente attività e documentazione da preparare congiuntamente:

-Elaborazione di un elenco di dati e informazioni inerenti i modelli operativi e le strutture organizzative dedicate da condividere con il gruppo di lavoro;
-analisi dei costi/benefici derivanti dal Progetto e simulazione degli impatti economici;
-analisi del mercato/calendario internazionale e delle relative opportunità di business;
-analisi del mercato utilities e facility management in un’ottica di una auspicata ottimizzazione risorse e centralizzazione acquisti;
-analisi dei diversi possibili scenari di integrazione immobiliare che potranno andare dalla gestione accentrata dei servizi immobiliari, sino alla più articolata possibile operazione di integrazione degli asset immobiliari;
-analisi dei costi (generali, real estate, ecc.) e dei rispettivi modelli organizzativi per supportare l'evoluzione del progetto;
-business plan triennale;
-term sheet sulla ipotizzabile struttura dell’accordo e della Newco (struttura societaria, patti parasociali, altri accordi);
-dettaglio di scopo e azioni principali da attuare e relativa tempistica”.

La lettera di intenti ha validità fino al 31 dicembre 2016. Per seguire la realizzazione del progetto, le tre società fieristiche hanno selezionato un advisor di comprovata esperienza internazionale: KPMG.

La lettera di intenti non preclude operazioni commerciali già in corso (vedi accordo fra Rimini e Vicenza), così come potranno esserne avviate di nuove dalle singole società fieristiche sentite le altre.

A quanto sembra, le tre Fiere, nel siglare la lettera di intenti, si sono lasciate ampio spazio di manovra e di fuga.

Lunedì, 01 Agosto 2016 09:51

1 Agosto

Schianto all'alba, muore ventenne | Solo a San Marino islamici a Messa | Grassi spiega i suoi progetti per il Rimini

Sabato, 30 Luglio 2016 09:27

30 luglio

L'Europa gela i bagnini | Rapina il bar di cui è cliente | Lambiasi censura il Summer Gay Pride

La diocesi di Rimini, alla vigilia del raduno, ha espresso il proprio giudizio sul Summer Gay Pride.

In primo luogo, la Diocesi ribadisce il pieno rispetto per le persone con tendenza omosessuale, verso le quali la Chiesa è chiamata ad un atteggiamento di accoglienza nelle proprie Comunità e a contribuire ad una mentalità non violenta e antidiscriminatoria. (cfr. Papa Francesco, Amoris Laetitia, n. 250). Il Vescovo Francesco Lambiasi, anche di recente, si è espresso in questi termini, affidando il suo pensiero in interventi pubblici e anche dalle colonne del settimanale ilPonte. Oltre che a sentimenti di fraternità e comunione, la Diocesi auspica  - inoltre - per le persone con tendenza omosessuale la massima integrazione e un accompagnamento personalizzato del cammino di fede.

In secondo luogo, la Chiesa riminese manifesta una forte riserva critica nei confronti di un raduno che – per quanto compreso dal programma proposto – tende a usare e ridurre la situazione, spesso travagliata, delle persone con tendenza omosessuale ad una ostentazione fin troppo esibita che vuole far passare il messaggio che ogni tendenza sessuale è uguale all’altra e che ogni desiderio è fonte di diritti (ad esempio cavalcando lo slogan: “stesso amore , stessi diritti”).

La Diocesi di Rimini prende le distanze anche da un’equiparazione superficiale di ogni tipo di unione con la realtà della famiglia, in perfetta sintonia con quanto di recente dichiarato da papa Francesco (cfr. Amoris Laetitia 251).

Sì, è molto probabile che Silvano Cardellini, di fronte all’incontro in sua memoria celebrato ieri pomeriggio nella bella cornice del lapidario romano al Museo, avrebbe fornito al suo capo pagina questa sintesi: “Non c’è notizia”. E con quella frase lui intendeva che nel diluvio di parole – molte appropriate, altre grondanti di retorica – non c’era nulla di memorabile da trattenere, nulla che introducesse elementi di conoscenza nuova, da farci un titolo definitivo. A parlare dell’uomo che dagli anni Settanta in poi, fino al 2006 anno della sua morte, è stato “il” cronista di Rimini, c’erano due frequentatori assidui come l’ex segretario della Dc (ed ex presidente della Fondzione Carim) Massimo Pasquinelli e l’ex governatore Vasco Errani, il sindaco Andrea Gnassi, coordinati dal penultimo capo della redazione del Carlino, Pierluigi Martelli. Abbiamo usato la parola cronista non a caso perché quando si parlava di e con i giornalisti aveva il vezzo di dire “i tuoi colleghi”, quasi a stabilire una distanza con coloro che si fregiavano soprattutto di un’iscrizione all’albo. Il pubblico era variamente composto da uomini del potere locale, da Maurizio Melucci a Lorenzo Cagnoni, da amici come Aureliano Bonini e Giulietto Turchini, dal capopagina storico del Carlino Andrea Basagni, dal capo attuale Stefano Muccioli, e da un drappello di colleghi. L’impressione finale è che ancora manchi un ritratto a tutto tondo di Cardellini, un ritratto che possa stare alla pari con quelli che lui era capace di vergare con la sua formidabile penna. Ognuno ha raccontato il suo Cardellini, quello che ha conosciuto personalmente. E forse è inevitabile che sia stato così.

Pasquinelli, per esempio, si è soffermato sulla stagione irripetibile e da tempo sepolta del “partito del Carlino”, espressione coniata dai dirigenti del partitone all’epoca (siamo negli anni Ottanta) saldamente al potere, il Pci. Una stagione oggi spesso rimossa, perché poco in sintonia con la tendenza che poi ha avuto il sopravvento nella narrazione delle vicende politiche locali. “Partito del Carlino” (formato dalla coppia di diversi e complementari Cardellini e Basagni) voleva dire un giornale che svolgeva fino in fondo il ruolo di cane da guardia del potere locale, mettendone in evidenza vizi, debolezze, incapacità e intrighi. E ha ben sottolineato Pasquinelli che questo non voleva minimamente dire fare la sponda all’opposizione, che anzi era fustigata per la propria mancanza di idee e di strategie. A meno che non emergesse un fatto, una notizia che cambiava le carte in tavola. Fino a seguire, accompagnare – sempre in una posizione di autonomia e indipendenza, secondo Pasquinelli – il processo che sfociò nello storico ribaltone del 1989, con il Psi che ruppe con il Pci e portò alla nascita della prima giunta di pentapartito (come si chiamava allora l’alleanza dei partiti avversari dei comunisti).

Nel 1997 (un’epoca politica lontana anni luce da quella del “Partito del Carlino), Vasco Errani, da Massalombarda, diventò assessore regionale al turismo. Ha raccontato l’ex governatore: “Lui prese informazioni su di me e gli dissero che ero un burocrate comunista. Io presi informazioni su di lui e me lo dipinsero come spietato e durissimo. Siamo diventati amici”. Con Errani il racconto si sposta sul rapporto di Cardellini con Rimini, città che ha visceralmente amato e raccontato in ogni suo aspetto, dalla politica al turismo, dall’economia al costume. Sempre con penna brillante e spesso con un filo di distaccata ironia, come se invitasse i lettori a non prendere troppo sul serio il teatrino che lui stesso ogni giorno allestiva. Errani propone questa sintesi dell’atteggiamento di Cardellini verso Rimini: “Siamo meglio di come pensiamo di essere e di come lo raccontiamo agli altri”. Ad avere la meglio nei ricordi e nelle narrazioni è il cronista di “Una botta d’orgoglio”, il testo che anche Gnassi ha citato e ricitato per sottolineare che Silvano usava sempre il “noi”, facendo sempre prevalere il sentimento di appartenenza ad una comunità, della quale, per quanto rissosa o inconcludente, condivideva il destino.

Nell’incontro di ieri pomeriggio sono state dette ovviamente molte altre cose. Martelli ha parlato della sua incredibile capacità di lavoro che lo portava ad essere sempre sul pezzo, Errani della profondità della sua conoscenza di persone cose e situazioni. Si è fatto di conseguenza l’impietoso confronto con lo stato attuale dell’informazione (Pasquinelli si è addirittura lanciato in un attacco frontale a giornali e giornalisti di Rimini), spesso distante dalla certosina professionalità che Cardellini ogni giorno metteva in campo. Ha avuto torto Errani nel sostenere che non era giornalista da scoop: il suo obiettivo, anche di fronte d una notizia che tutti avrebbero pubblicato, era di avere il particolare in più che facesse la differenza. Forse, fra le tante qualità che i relatori dell’incontro hanno voluto mettere in evidenza, non è stata sottolineata adeguatamente la sua capacità di memoria storica. Ogni fatto era sempre ricondotto ai suoi precedenti, per meglio capirlo e spiegarlo, anche perché è vero che a Rimini da decenni si discute sempre degli stessi temi. Lui pensava che compito del cronista fosse anche quello di “decodificare” i messaggi lanciati nell’agone pubblico. E se qualcuno si alzava al mattino annunciando di aver inventato l’acqua calda, si poteva star certi che il giorno dopo una strapazzata di Silvano sul Carlino non gliela risparmiava nessuno. Bisogna riconoscere che oggi molti inventori dell’acqua calda godono della massima impunità.

Cosa direbbe a una persona ignara che le chiedesse chi era mai quell’uomo per il quale ha celebrato i funerali il 14 luglio nel duomo di Rimini? Perché tanta gente in un caldo pomeriggio d’estate, e poi perché quel clima quasi di festa, di gioia e dolore che convivevano insieme senza stonature? Don Claudio Parma, amico di Vittorio Tadei, l’imprenditore fondatore del gruppo Teddy, riflette e risponde: «Direi che è morto un uomo, un uomo vero. Un uomo che ha avuto la consapevolezza dei propri limiti e del proprio peccato e, insieme, dell’inspiegabile misericordia di Dio. Può Dio avere tanta misericordia? Questa è la domanda che ha accompagnato la sua vita. Quando accade che un uomo viva così, gli altri uomini accorrono perché capiscono chi sono. Vittorio era un uomo pieno di limiti stupito della misericordia di Dio che lo salva».

Già nell’omelia del 14 luglio don Parma aveva citato un episodio della biografia di Tadei: «Da giovane fu folgorato dalla frase letta in un libricino trovato fra le macerie di una casa distrutta dai bombardamenti. “A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?” Un’altra frase biblica alla quale riandava spesso era: “Chi è mai l’uomo perché Tu ne abbia cura?”».

Fra don Parma e Tadei la frequentazione era di lunga data, quasi trent’anni. Da insegnante di religione all’Istituto per ragionieri Valturio aveva avuto fra i suoi alunni il figlio Gigi, scomparso dieci anni fa. Oggi avrebbe 47 anni. «Era molto intelligente, il più bravo della classe». Ma dovette lasciare gli studi per l’insorgere della malattia che cambiò la sua vita e quella del padre. Vittorio Tadei ha sempre detto che i suoi maestri erano appunto il figlio Gigi e don Oreste Benzi. Perché il figlio Gigi, cosa intendeva dire? «La malattia del figlio gli ha fatto avvertire tutta la sua debolezza, tutta la sua fatica di essere padre. Si sentiva incapace, impotente di fronte al figlio che accusava gravi fragilità. Il primo aiuto gli venne da don Oreste Benzi, che aveva fatto anche una sua diagnosi, poi non confermata dai medici. I vari specialisti consultati avevano stabilito che si trattava di una particolare forma di depressione. Non poteva essere guarita completamente ma si poteva curare per controllarla.

Vittorio di fronte a tutto questo si chiedeva perché la gente stesse male, non riusciva ad accettare che nel mondo ci fosse la malattia. Diceva: “Quando sarò dal Padreterno gli chiederò perché consente che le persone stiano male”. Con me il rapporto si è approfondito perché lui riconosceva in me una persona capace di stare con suo figlio. “Dove trovi questa forza?”, mi chiedeva. Lui viveva la sua impotenza e si stupiva che qualcuno riuscisse a fare del bene a suo figlio».

È un’amicizia da vertigine quella che con Parma ha vissuto con Tadei. «Abbiamo condiviso tutte le sue fatiche, non solo quelle personali. Si parlava anche dei problemi dell’azienda, che pure andava bene. Abbiamo condiviso i momenti di difficoltà, la fatica di stare in piedi fra tanti controlli e vincoli di legge. Lui era orgoglioso di ciò che era riuscito a realizzare. Commentava: “Mi dovrebbero dare la medaglia perché ho creato tanti posti di lavoro, e invece mi creano un sacco di difficoltà”».

Parlare dell’azienda, il gruppo Teddy, significa parlare del sogno, parola centrale nel vocabolario di Vittorio. Il sogno voleva dire un’azienda impostata su criteri diversi da quelli soliti, dal lavoro per i disabili alla destinazione degli utili per opere sociali. «Il sogno – spiega don Parma - è nato dalla sua posizione di uomo di fede educato dalla croce di Gigi. Vedeva che don Oreste aiutava gli ultimi e lui uno di questi ultimi lo aveva in casa. Tutte le opere sociali che ci sono nel mondo, finanziate da Vittorio, sono nate perché c’è stato Gigi nella sua vita. Quando passavamo davanti alla polisportiva Stella, commentava: “Questa c’è perché c’è stato Gigi, ho iniziato a comprare i terreni perché lui potesse giocare”. Si è fatto educare da suo figlio, ed è nato quel che è nato».

Il suo percorso umano ha dovuto affrontare prove fino all’ultimo giorno. «La fatica di accettare la malattia l’ha vissuta direttamente sulla sua pelle. Da quando è stato male, circa quattro anni fa, ciò che ha tenuto in piedi l’azienda è stata la sua malattia. Prima c’è stato il rifiuto poi lentamente l’abbraccio di questa condizione nuova, fino a riconoscere che quella era la sua vocazione, il modo a cui era chiamato per amare il mondo».

Ma qual è stata la sua genialità? «E’ stata un’intelligenza, vera, acuta della realtà. Per questa ragione aveva uno spiccato senso degli affari. Ascoltava tutti, ma proprio tutti, era interessato al parere di ciascuno, poi faceva le sue valutazioni e prendeva le decisioni. Ma era un uomo molto capace di ascoltare».

Vittorio Tadei era figlio di una famiglia di tradizione cristiana, la fede l’aveva ricevuta dal padre e dalla madre. Da ragazzo era rimasto colpito che il babbo avesse accolto in casa i cugini che erano rimasti orfani. Di lui si sono sottolineate all’infinito la bontà e l’enorme generosità. «Tutto vero ma tutto nasce dall’accusa dei propri peccati e dall’abbraccio della misericordia. Non è un caso che nel suo libretto dei salmi fossero sottolineati proprio quelli che esprimevano questi temi».

Cosa le ha insegnato? «Per temperamento sono un uomo che si butta nelle cose, lui mi ha insegnato a spendere la mia vita, ad essere in prima linea - come diceva lui - con un sguardo attento ai giovani e al loro bisogno di educazione. Lui mi ha aiutato ad essere prete in questo modo. La cooperativa Amici di Gigi è sorta così. “Io non so come fare ad aiutare i giovani, ma posso finanziare, fin dove posso, chi è capace di farlo. Oggi ti offro questo contributo, domani, se me lo chiedi, ti dirò se posso fare un altro passo”».

E anche don Claudio Parma ama sottolineare che Tadei era un uomo amante dell’amicizia, un romagnolo verace, a cui piaceva cantare Romagna mia e giocare a carte. E – osserva - forse non è un caso che il suo funerale si sia svolto il 14 luglio, festa di san Camillo de Lellis, un santo che teneva sempre un mazzo di carte sotto il cuscino. E Tadei lo teneva sempre in tasca.

Valerio Lessi

Per arrivare all’hotel di Rodolfo Albicocco, presidente degli albergatori di Riccione, bisogna attraversare il villaggio western che è stato allestito sul ponte di viale Dante. È lo spunto per avviare la conversazione: ma questo trionfo del kitsch serve a Riccione? “Alla gente piace, - risponde - si diverte, scatta le foto e le posta su Facebook. È molto nazional-popolare. Certamente è utile per tenere desta sui social l’attenzione su Riccione. Vogliamo contestare i gusti dei nostri clienti?”.

Per carità, ci mancherebbe. Il rischio è che fra una scelta e l’altra, fra questa e l’altra iniziativa, si vada perdendo una certa immagine di Riccione. Dove è finita la città che anticipava le tendenze, la capitale modaiola della Riviera, il paradiso del divertimento notturno, la meta preferita dai giovani? Al Marano dicono che adesso sia un deserto… “E va bene così – risponde deciso Albicocco – Perché quello era un fenomeno che non è coerente con la nostra città. È un turismo predatorio: gente che il più delle volte non dorme, che fa confusione, che non permette agli altri di riposarsi, che coi suoi bivacchi e i segni del suo passaggio deteriora la nostra immagine. La nostra scommessa è un turismo per tutti, che tenga insieme le varie anime, ma ci vuole il rispetto delle regole condivise, se qualcuno ne esce fuori, è meglio che vada via”.

Quindi un turismo per pensionati, senza giovani, divertimenti? “Chi l’ha detto che i giovani non ci sono? I giovani sono solo quelli tatuati o con i ferri negli orecchi? Non credo proprio, penso che quelli rappresentino solo una piccola parte. Occorre invece che gli imprenditori siano capaci di inventarsi un prodotto nuovo e diverso per la zona del Marano. Questa è la sfida e non vale solo per il Marano. Se il giudizio è che in città mancano locali e luoghi di ritrovo per talune fasce di età, non chiediamo certo che sia l’amministrazione comunale a crearli. Siamo noi imprenditori a dover intercettare le nuove tendenze, le aspettative dei potenziali ospiti e creare strutture e prodotti che vi rispondano. Poi l’amministrazione, se vuole essere lungimirante, creerà le condizioni favorevoli, tutto il sistema pubblico e privato si metterà in sintonia”.

Torniamo al punto di partenza. I villaggi western, la moquette verde in viale Ceccarini, il silenziatore ai locali notturni, adesso arriverà anche lo scivolo d’acqua gonfiabile in pieno centro. Tutto questo ambaradan da sagra da paesone aiuta Riccione? Nel senso: i turisti arrivano e gli alberghi si riempiono? “Secondo me sì. Queste iniziative sono molto apprezzate dai turisti. Non esauriscono certo il lavoro che dobbiamo fare per realizzare un’ottima immagine della città. Dobbiamo trovare elementi che ci qualifichino e ci distinguano dalle altre località balneari. La creazione di ambienti piacevoli, divertimenti adeguati per tutti coloro che ci frequentano, infrastrutture che funzionano, parchi per le famiglie con bambini dove ci sia anche la possibilità di mangiare una pizza mentre i figli sono sugli scivoli, luoghi belli per gli aperitivi (magari una palafitta sul mare) aperti dalle 19 alle 22. Dobbiamo realizzare cose belle perché il bello paga”. E allora torna l’obiezione: il bello sarebbe la moquette in viale Ceccarini? “Fa parte di ciò che la gente apprezza. Chiediamoci anche: se la gente è contenta della moquette, quanto di più lo sarà del verde reale? Quindi il bello lo si fa anche con le scelte urbanistiche, con l’arredo urbano. Dobbiamo offrire ai turisti l’ambiente che non trovano nelle loro città. Noi imprenditori dobbiamo puntare sulla ricerca della qualità, sulla riqualificazione delle nostre strutture, sulla formazione, nostra e dei dipendenti. All’amministrazione chiediamo meno tasse, meno burocrazia e più infrastrutture”.

Albiccoco ritiene che un tema cruciale sia quello della internazionalizzazione. “Non so quanto potremo ancora ricavare dai nostri mercati tradizionali come quello tedesco. Però se i tedeschi non sono più attirati dal bagno in Adriatico, forse occorrerà inventarsi eventi che suscitino il loro interesse. La gastronomia, un festival particolare. Sono rimasto colpito che il concerto di un neomelodico tedesco abbia attirato ottantamila persone. Qualcosa bisogna inventarsi. Se i tedeschi vengono per i tornei di beach volley, allora bisogna trovare eventi e manifestazioni che incontrino i loro interessi. E un’altra strada da percorrere è quella di tematizzare i periodi stagionali: la settimana della gastronomia, del benessere, dello sport, della famiglia. Proporre dei nuovi prodotti ed individuare i giusti canali promozionali, la promozione generica non serve più”.

Fin qui il presidente Albicocco. Si può osservare che i turisti che oggi affollano Riccione si sono mossi seguendo l'immagine consolidata che nel recente passato la città ha offerto di sè. Si tratta di vedere se nel medio e lungo periodo il nuovo stile della Perla Verde risulterà vincente. E' una scommessa tutta da verificare.

Venerdì, 22 Luglio 2016 16:03

Turismo, una stagione in chiaroscuro

Un’estate 2016 salvata per il momento dal gran caldo che spinge verso il week end non programmato o a prolungare le vacanze di qualche giorno in più. Per il resto “andamento lento”. Non ci sono ancora dati statistici a suffragare queste impressioni (gli ultimi si fermano a maggio, adesso che a raccoglierli è la Regione arrivano più tardi) ma operatori e osservatori concordano sul giudizio.

“All’inizio eravamo più euforici, – ammette Aureliano Bonini, di Trademark Italia, che per conto della Regione Emilia Romagna cura l’Osservatorio sui dati turistici – adesso l’andamento è più tranquillo. Si lavora nei week end. Credo che alla fine potremo dire che complessivamente sarà una buona stagione”.

Rodolfo Albicocco, presidente degli albergatori di Riccione parla esplicitamente di “una stagione al di sotto delle aspettative”. Cita anche alcuni dati riferiti a Riccione: i primi mesi dell’anno con il segno positivo, maggio con un traumatico -20 per cento (comune a tutta la Riviera), giugno che è riuscito a racimolare un +1 per cento, e luglio che vede concentrazioni nei week end e vuoti durante la settimana.

“Si naviga a vista, giorno per giorno, – afferma Patrizia Rinaldis, presidente degli albergatori di Rimini – è un’altalena continua, le prenotazioni arrivano all’ultimo momento, dipendono sempre più da fattori contingenti. Per fortuna qualcosa si è mosso per gli eventi.”

Le aspettative quali erano? Innanzitutto l’Italia, e quindi anche l’Emilia Romagna, pensavano di intercettare quei turisti tedeschi, austriaci, svizzeri e del nord Europa che hanno rinunciato alle vacanze nei paesi del Medio Oriente colpiti dal terrorismo. Qualcuno sarà anche arrivato, ma non c’è stato un movimento di tale quantità da diventare un fenomeno registrabile.

È la stagione che segue la campagna dell’Apt in Germania dove ha investito un milione di euro. “Bella campagna, molto bella anche la presentazione che è stata fatta, - osserva Bonini - ma i tedeschi che arrivano in Italia con l’automobile non si fermano da noi, si spingono più a sud, vanno a scoprire l’Abruzzo, la Puglia. Parlo di quei turisti della fascia di età avanzata, perché le giovani famiglie con i bambini le troviamo tutte in Spagna”. Anche Albicocco, nell’intervista al Carlino osserva: «Tedeschi non se ne vedono. Molte cose sul fronte della promozione andrebbero ripensate, così non mi pare si ottenga granché». Si spera che lo scarso riscontro della campagna in Germania (criticabile sotto molti punti di vista) faccia riflettere i vertici di Apt: non è drammatico sbagliare un’iniziativa di comunicazione se poi se ne traggono valutazioni utili per il futuro.

Il mercato estero è tornato ad essere il tallone di Achille della Riviera. “Dobbiamo lavorare di più sull’internazionalizzazione”, promette Patrizia Rinaldis. Cosa voglia dire, è tutto da scoprire. Negli anni del boom dei russi, la Riviera era arrivata alla quota di mercato estero del 25 per cento. Con i russi che si sono rarefatti e i tedeschi che non sono più l’esercito di un tempo, si è tornati alla storica quota del 20 per cento. L’aeroporto ha riaperto ma non è ancora decollato, la stagione della crescita è stata spostata al 2017 (e tutti sperano che sia la volta buona).

Il mercato italiano tiene, la vicinanza e il tempo bello favoriscono i week end, i prezzi sono ancora competitivi. Ma è evidente che tutto questo non può portare ai pienoni di cui ormai si è persa memoria.

“La stagione è così: d’altra parte cosa abbiamo fatto per renderla diversa?”. La domanda di Bonini coglie nel segno. O c’è qualcosa di realmente nuovo nell’offerta turistica della Riviera, oppure è normale che dai mercati internazionali arrivino risposte fiacche. Come eravamo, lo sanno benissimo; come siamo oggi anche (ancora fermi a 30/40 anni fa, e le campagne dell’Apt glielo confermano); ciò che saremo domani è tutto da costruire. E molte idee, Parco del Mare a parte, purtroppo non si vedono.

È stato - prima dell’estate - l’argomento principale per convincere i bagnini della bontà del progetto del Parco del Mare. Aderendovi – si diceva più o meno esplicitamente – i bagnini avranno la possibilità di evitare di incorrere negli effetti della direttiva Bolkestein. Chi mai parteciperà ad una gara per una concessione dove le cabine e altri servizi sono stati spostati dalla spiaggia sul lungomare? Imbarcatevi nel progetto del Parco del Mare e vedrete che metterete al sicuro le vostre imprese balneari.

Tutto questo prima dell’inizio della stagione estiva. Poi il sindaco Andrea Gnassi è stato impegnato in campagna elettorale, i bagnini hanno cominciato a “fare legna”, e il discorso è rimasto come sospeso a mezz’aria, in attesa di nuovi eventi.

L’evento è arrivato il 14 luglio, con la sentenza della Corte Europea di Giustizia che ha stabilito che la proroga delle attuali concessioni al 2020 non è valida. Sentenza attesa, scontata, si dice oggi, ma mentre la si aspettava niente è stato fatto per adeguare la normativa nazionale alle direttive europee. A livello politico è stata suonata la grancassa per l’emendamento Pizzolante-Arlotti che mette in salvo le concessioni fino al 2017, in attesa della legge delega. In realtà le concessioni era già salve perché i pronunciamenti della Corte europea non hanno l’effetto di cassare le leggi nazionali. Quindi di per sé la proroga fino al 2020 resta in vigore. Resta solo il dovere del governo di concordare un periodo transitorio per passare dall’attuale sistema di proroga al nuovo.

C’è qualche attinenza fra la sentenza della Corte e la questione del Parco del Mare? Un’attinenza immediata assolutamente no. La Corte chiarisce che le spiagge vanno concesse immediatamente con le evidenze pubbliche, il Parco del Mare è un progetto di valorizzazione urbanistica del waterfront che non può decidere nulla rispetto al problema delle concessioni.

All’indomani della sentenza il sindaco Andrea Gnassi ha però in qualche modo collegato i due fatti. Ha chiesto che nella “definizione di un periodo transitorio per l’applicazione della Bolkestein (è ciò che stabilirà una legge delega), siano favoriti attraverso un’anticipazione temporale i territori che abbiano già avviato le procedure di riqualificazione del sistema costiero per l’incremento dell’attrattività turistica”.

Rimini, pertanto, “chiede e pretende sia riconosciuto questo sforzo e questa tensione positiva e concreta (il progetto del Parco del Mare, ndr) , attraverso l’individuazione di un criterio che premi chi è già pronto ad investire su quello che in Italia è il programma integrato di rigenerazione urbana più ambizioso e innovativo attualmente in corso d’opera. Questa ‘case history’ riminese va valorizzata attraverso un’azione intelligente, trasformando quello che è un grave problema nazionale (frutto di errori sparsi in serie) nell’opportunità di dare gambe e modernità a un settore che mai come ora può essere attrattiva bandiera di una ‘nuova’ Italia se saprà investire e ammodernarsi”.

Bene. La domanda a questo punto diventa: è possibile che una legge nazionale possa stabilire criteri che, nel regolare le evidenze pubbliche delle concessioni, in qualche modo privilegino alcuni operatori rispetto ad altri? Cioè privilegino coloro che hanno deciso di aderire ad un progetto di investimento promosso dal Comune e che non riguarda la spiaggia, ma il lungomare di proprietà comunale? Una persona che conosce ampiamente la materia, come l’ex assessore al demanio Roberto Biagini, qualche riserva ce l’ha. “Dubito fortemente - ha scritto sul proprio profilo Facebook - che i principi di diritto comunitario possano autorizzare qualsivoglia preferenza, vantaggio, prelazione, da attribuirsi con legge e/o con atto amministrativo per la futura evidenza pubblica delle attuali concessioni demaniali marittime a finalità turistico ricreative, a coloro, singoli o in “cartello”, che saranno titolari di un futuro diritto di superficie sul sedime del Parco del Mare per essersi aggiudicati i progetti di riqualificazione”. La già citata delibera nemmeno può trasferire i diritti che oggi chioschisti e bagnini vantano sul nuovo sedime del Parco del Mare; costoro potranno partecipare, come ogni altro cittadino, ai futuri bandi che assegnano tali diritti.

Se queste puntualizzazioni non costituiscono una novità, diverso è il giudizio negativo che Biagini esprime sulla possibilità che possano essere attribuiti privilegi o prelazioni a chi concorre per le concessioni e contemporaneamente partecipa agli investimenti del Parco del Mare.

È una questione rilevante, che probabilmente sarà risolta solo quando l’autorità a ciò demandata emetterà i bandi per le concessioni di spiaggia. Passerà del tempo, perché il progetto del governo è di riordinare la materia entro il 31 dicembre 2017, e quindi è da escludere che i primi bandi possano uscire prima del 2018. A meno che qualcuno, facendosi forte della sentenza della Corte europea non si rivolga al Comune per chiedere il bando per questa o quella zona. C’è chi sostiene che alcuni avvocati siano già al lavoro. Di fronte alla risposta del Comune (molto probabile un no in attesa delle nuove norme in materia), ci sarebbe la possibilità di un ricorso al Tar, e i giudici sono chiamati ad applicare la legge europea dove in contrasto con la legge nazionale.

La materia è ingarbugliata. Se per avventurarsi nel Parco del Mare, i bagnini chiedono certezze sulle loro concessioni, queste allo stato attuale non gliele può dare nessuno. C’è il rischio che i tempi del Parco del Mare, al di là delle ottimistiche dichiarazioni del sindaco, seguano necessariamente quelli delle concessioni.

Pagina 76 di 115