Diciamolo fuori dai denti: molti elettori di centrodestra non hanno molta voglia di votare una leghista al collegio uninominale della Camera. A sentir parlare di Lega vengono in mente le – chiamiamole così - intemperanze verbali di Salvini e tutta una serie di slogan che solo con molta fantasia si possono definire moderati. La signora leghista, Elena Raffaelli, 39 anni, bagnina, assessore della giunta Tosi a Riccione, ha la risposta pronta di un’abile politica: “Mi piace l’equilibrio, la correttezza, la moderazione ma anche la determinazione nell’affrontare tutte le questioni”. Viene in mente il “ma anche” di veltroniana memoria, modo erudito per salvare capra e cavoli. Lei non si scompone e insiste: “Gli elettori devono capire che sono lo strumento per portare a Roma loro stessi e le loro istanze. Non c’è bisogno che si identifichino nella politica, possono identificarsi nella persona. Sono sempre stata coerente, lineare, non ho mai fatto cambi di casacca. Sono una mamma, una moglie, una lavoratrice nell’impresa di famiglia, una frequentatrice del mondo cattolico”.

Molto abile, con una battuta ha ammiccato a diversi mondi. Proviamo allora a snidarla sulle questioni divisive. Gli immigrati, per esempio. “Noi non ce l’abbiamo con gli immigrati. Quelli che arrivano a causa di guerre o persecuzioni abbiamo il dovere di accoglierli. Ma a chi arriva alla ricerca di un futuro migliore dobbiamo dire che non siamo in grado di garantire risposte che non riusciamo a fornire neppure ai nostri giovani e ai nostri poveri. Inoltre sappiamo che molti immigrati guardano all’Italia come al paese in cui è garantita l’impunità a chi commette reati. Questi certamente non li vogliamo”.

Il suo competitor diretto del centrosinistra, Sergio Pizzolante, ama ripetere che la Raffaelli ha imbrogliato gli elettori perché in campagna elettorale accusava Sabrina Vescovi, candidata del Pd, di voler riempire San Lorenzo di immigrati, e poi alla fine ce li ha portati lei. L’assessora leghista di Riccione anche in questo caso non si scompone: “In campagna elettorale avevamo detto che c’era la previsione di accogliere gli immigrati in tre centri, uno di questi era San Lorenzo. E ne abbiamo accolti secondo il numero previsto. La candidata del Pd aveva invece proposto di fare di una scuola un centro di accoglienza e integrazione. Tutta un’altra cosa, ben altri numeri”.

Elena Raffaelli ha assorbito il verbo leghista in famiglia, essendo il padre un militante della prima ora. Ha poi avuto una maestra di politica in Renata Tosi, insieme alla quale ha fatto cinque anni di opposizione in consiglio comunale alla giunta di Massimo Pironi. “E in questi anni ho sempre studiato molto, e continuo a studiare ancora oggi”, tiene a precisare.

Continuiamo con le questione calde. I vaccini, per esempio. “Sono per i vaccini, ma non per l’obbligo. Le mie figlie le ho vaccinate. Ma non si può stabilire un obbligo totale, eludibile poi con il pagamento di una multa. Questa monetizzazione non mi convince. Bisogna trovare una soluzione più equilibrata”. A questo punto è lecito pensare che sia anche per l’abolizione integrale della legge Fornero, a differenza degli alleati di Forza Italia che propongono un semplice ritocco. “Sì, quella legge va abolita, poi con gli alleati si troverà un punto di mediazione. Ma non si può pensare di allungare all’infinito l’età pensionabile, altrimenti uno non smette mai di lavorare”.

Nel dibattito di lunedì sera fra tutti i candidati, ha sostenuto solitaria la posizione del rifiuto totale della Bolkestein per le spiagge italiane: va bene che fa la bagnina, ma non è una sparata semplicemente elettorale? “Abbiamo di fronte a noi l’occasione per rappresentare al meglio la specificità delle nostre attività. La stessa sentenza del 2016 della Corte europea si può leggere in due modi: come una risposta alle esigenze dei grandi gruppi e delle cooperative legate al Pd che vogliono accelerare il processo che porterà alle evidenze pubbliche, dall’altra come la risposta al bisogno di sicurezza dei nostri operatori e come il riconoscimento del valore economico di imprese dove forte è la presenza femminile e giovanile. Dipende da che punto di vista la si guarda. Dipende da quale posizione si va a trattare in Europa. Se si va con la proposta di legge approvata dalla Camera, non si arriva da nessuna parte”.

A proposito d turismo, Elena Raffaeli aggiunge che il nuovo Parlamento dovrà trovare il modo per valorizzare le risorse storico-artistiche ed eno-gastronomiche del nostro entroterra, in modo che non venga impoverito dall’ababndono delle energie migliori.

Ribadisce che gli economisti della Lega hanno stabilito che la flat tax (cioè l’aliquota unica per l’irpef) non cozza contro la progressione dell’imposta fiscale fissata in Costituzione. Sottolinea, infine, di essere per la famiglia, formata da uomo e donna, che va aiutata con provvedimenti tipo gli asili nido gratuiti per chi ha redditi bassi.

Nella vicenda di Giulia Sarti, candidata Movimento 5 Stelle autosospesa, così come in quella degli altri candidati espulsi per l’affare dei rimborsi o perché in odore di massoneria, c’è un aspetto – vogliamo chiamarlo tragicomico? – che non viene mai sottolineato con adeguata forza.

La sua autosospensione è un semplice dovuto omaggio alle regole dei 5 Stelle e probabilmente anche una mossa compiacente per ottenere l’assoluzione dai giudici interni del Movimento. Nella sostanza nulla cambia, lei resta candidata, il suo nome resta sulla scheda, e se i consensi pentastellati saranno gli stessi annunciati dai sondaggi, lei ritornerà in Parlamento. Sarà un esemplare caso di studio per chi vorrà dilettarsi a capire quanto nel voto grillino contano le persone o conta invece il richiamo di un simbolo di protesta.

Il tragicomico arriverà dopo il 4 marzo. Giulia Sarti ha solennemente dichiarato che se sarà espulsa dal Movimento e sarà comunque eletta, lei non accetterà mai di iscriversi al gruppo misto e si dimetterà dalla Camera dei Deputati.

Facile a dirlo, quasi impossibile a farlo. Non è che un deputato si può dimettere con una firma e tutto finisce lì. No, le dimissioni devono essere accettate dall’Assemblea. Significa che se la nuova Camera dei Deputati dice no, lei resta parlamentare suo malgrado, come a sua insaputa non ha versato tutti i bonifici dovuti al Fondo per il microcredito. Che l’impresa non sia facile, lo sa bene il senatore Giuseppe Vacciano, espulso dal Movimento, che si è visto respingere le dimissioni per ben cinque volte. È tornato a casa solo dopo che sono state indette le elezioni del 4 marzo, anzi resterà in carica finché non saranno proclamati i nuovi eletti.

È quindi propaganda a buon mercato quella di Luigi Di Maio che assicura che i reprobi saranno cacciati dal Parlamento. Al massimo sono cacciati dal suo movimento politico, in questo caso basta un click.

Appare davvero improbabile che all’indomani di questa campagna elettorale, i parlamentari di centrodestra e di centrosinistra votino le dimissioni degli espulsi da Di Maio. Primo, perché qualche deputato o senatore “responsabile”, utile a far nascere un governo, non lo si manda a casa. Non a caso Berlusconi ha già fatto le sue avances. Secondo, perché al loro posto subentrerebbero probabilmente grillini fedeli alla linea, rendendo più difficile accordi di governo. Può dispiacere, ma la politica ha certe regole non scritte che contano, anche se ufficialmente si dichiara il contrario. Solo il moralismo delle anime belle non riesce (o non vuole) vederle.

Quindi Giulia Sarti si rassegni, se lo vorranno gli elettori, a tornare a fare la deputata suo malgrado. Sostengono i suoi critici che non sia un impegno tanto faticoso.

Solo verso la fine della serata il clima si riscalda, quando dalle compassate e dotte domande del moderatore Leonardo Carmine Pistillo si è passati a quelle più sanguigne (nomadi, per esempio) del pubblico. Pubblico sorprendentemente numeroso, tutta la sala del Villaggio Primo Maggio piena e molte persone in piedi. C’erano molti supporter ufficiali, nutrite le rappresentanze di Lega e Patto Civico, presenti anche gli esponenti della destra sovranista, nemmeno l’ombra di qualcuno di Forza Italia.

Fra i candidati, la pentastellata Giulia Sarti ha brillato per la sua assenza. Le vicende sono note, ma l’impressione è stato quello di un deja vu: quando nei dibattiti per le comunali del 2016 non c’era il candidato a sindaco a 5 stelle. L’unica differenza è che gli elettori troveranno la Sarti sulla scheda ma non hanno avuto il piacere di sentirla parlare se non per una dichiarazione su rimborsi, ex fidanzati, sottrazioni di denaro a sua insaputa ed altre cianfrusaglie dell’armamentario grillino. Nemmeno il candidato invitato a rappresentare comunque il Movimento si è presentato, pare sia stato colto da un’improvvisa influenza. I grillini di Rimini sembrano figli di una stella minore.

Così la scena è stata tutta per i tre protagonisti rimasti: l’ex sindaco Giuseppe Chicchi (Liberi e Uguali), sceso in campo per ostacolare il deputato di lungo corso Sergio Pizzolante (Lista Lorenzin alleata del Pd), la signora bagnina di Riccione, nonché assessora alla corte di Renata Tosi, Elena Raffaelli, candidata della Lega, ultima arrivata in mezzo a due vecchi leoni della politica locale. La Raffaelli, ovviamente, vista la mala sorte della Sarti, spera di beneficiare dei dispetti della sinistra nei confronti del centrosinistra.

La serata organizzata da Cuore di Rimini è stato un talk show stile Porta a Porta, senza interventi che si accavallano e senza polemiche dirette verso i propri avversari, al massimo solo qualche allusione interpretabile esclusivamente da chi è abituato a masticare la politica. Quest’ultima, intesa come prospettive per il dopo voto, alleanze, intese più o meno larghe, inciuci nascosti o manifesti, è rimasta fuori dalla porta. I candidati nel collegio uninominale alla Camera sono stati messi a confronto sui mitici programmi, croce e delizia di ogni campagna elettorale, con il moderatore che addirittura li riprendeva se osavano sconfinare in qualche tema locale. Si è così parlato di lavoro, di tasse, di sanità, di sicurezza, di spiaggia e Bolkestein, avendo un quadro più o meno completo delle ricette elaborate dai rispettivi schieramenti.

Cosa è rimasto sul taccuino? Giuseppe Chicchi ha onorato la bandiera dicendo alcune cose di sinistra: ha proposto una politica keynesiana di investimenti pubblici come leva per far ripartire l’economia, ha sostenuto che la flat tax proposta dal centrodestra non è costituzionale perché non è progressiva, ha proposto la tracciabilità di ogni movimento di denaro, anche minimo, ma per il resto ha sfoggiato una cultura progressista che prova a misurarsi con i problemi e a risolverli. Ha insomma prevalso l’esperienza dell’amministratore, del sindaco e dell’assessore regionale sulle pulsioni violentemente antirenziane del suo schieramento. Ha addirittura scavalcato a destra Pizzolante, proponendo di resuscitare la vecchia legge Tremonti sulla detassazione degli utili delle imprese che investono nell’aggiornamento tecnologico, mentre il deputato aveva sparato contro un provvedimento tremontiano del 2010 perché impone al contribuente l’onere della prova nelle contese con il fisco.

Pizzolante ha fatto chiaramente capire qual è la cifra del nuovo centrosinistra: per poter fare investimenti pubblici, per distribuire ricchezza occorre prima produrla, altrimenti si accumulano solo debiti, quindi va attuata una politica a sostegno delle imprese e proseguire con i provvedimenti che hanno portato a creare più di un milione di nuovi posti di lavoro. Ha rivendicato la soluzione trovata al problema delle concessioni balneari e ha detto che nel nuovo Parlamento occorrerà ripartire dal testo uscito approvato dalla Camera. Ha osservato che la sicurezza percepita non sarebbe a livelli così bassi se tutti fossero più calmi e cauti nelle dichiarazioni, senza spingersi a disegnare scenari da Bronx ogni volta che accade un reato.

Elena Raffaelli ha recitato la parte della leghista di buon senso, che non le spara grosse alla Salvini, anche se sui temi specifici ha ripetuto una dopo l’altra le parole d’ordine del capo, senza spiegare perché l’aliquota unica della flat tax non sarebbe in contrasto con il dettato costituzionale. Ha cercato l’acuto e il facile applauso sul tema della sicurezza, quando ha lamentato che le forze dell’ordine sono impotenti visto che vedono rimettere in libertà quanti hanno arrestato il giorno prima. In perfetta solitudine rispetto ai due competitor, ha paventato che la Bolkestein non sia applicabile alle spiagge italiane e che in ogni caso si possono fare proroghe di venti o trent’anni.

Fra il pubblico c’erano anche gli esponenti dei comitati anti-nomadi (proprio in quella sala aveva preso avvio la protesta) che hanno stuzzicato soprattutto Pizzolante sul tema delle microaree, al momento in “congelatore” in attesa di essere estratte dopo le elezioni. Il deputato ha ribadito che Patto Civico è per soluzioni unifamigliari, non per piccoli campi nomadi.

Una domanda del moderatore sui rapporti fra Stato e Regioni ha evocato un argomento tabù del dibattito politico attuale, e cioè la domanda sul quadro politico che avremmo se al referendum costituzionale avesse prevalso il sì anziché il no. Non c’è armonia fra Stato e Regioni, sul turismo ognuno per la sua strada indebolendo il marchio Italia? Signori, di che vi lamentate? - ha replicato sommessamente Pizzolante, - il referendum ha detto no ad una riforma costituzionale che, fra le altre cose, risolveva proprio questo problema. E saremmo andati al voto – aggiungiamo noi – con una legge elettorale molto più semplice di quella complicatissima piena di insidie che l’avvocato Michele Maresi ha cercato di spiegare con dovizia di particolari in apertura di serata.

In una recente dichiarazione, l’ex sindaco di Rimini Giuseppe Chicchi, candidato al Senato per Liberi e Uguali, ha affrontato alcuni temi relativi all’attuale gestione dell’aeroporto ed ha osservato: “Le carte prevedono che siano mantenuti al massimo dell’efficienza i sistemi di sicurezza (recinzione, sistemi di controllo imbarco, ecc.). Ma il team ispettivo ENAC sulla security il 19/9/2016 verbalizza l’esistenza di molti problemi in materia. E per favore nessuno dica che bisogna tacere queste cose per carità di patria. È per carità di patria che vanno dette”.

Nessuno è intervenuto per contraddire o smentire Chicchi. Esiste veramente un rapporto del team ispettivo dell’Enac datato 19 settembre 2016 che mette in evidenza molti problemi di sicurezza dell’aeroporto?

Si esiste, buongiornoRimini ha avuto occasione di leggerlo. Si riferisce ad una ispezione svolta dal 16 al 19 settembre 2016 sui maggiori elementi della sicurezza dell’aeroporto, dalla recinzione del perimetro esterno ai controlli sui bagagli e i passeggeri. La lettura del documento suscita un comprensibile moto di preoccupazione, anche perché per alcuni capitoli si parla di non conformità con carenza grave.

Da allora è quasi trascorso un anno e mezzo. Non è affatto detto che la situazione di oggi sia la stessa del settembre 2016. Certamente – tutti almeno se lo augurano - saranno stati presi provvedimenti. Chi meglio del gestore dell’aeroporto e dell’Enac, organismo di controllo, può dare una risposta tranquillizzante per i cittadini e gli utenti dello scalo? Abbiamo chiesto delucidazioni, per iscritto, ad Airiminum 2014, e la risposta, orale, tramite l’addetta stampa, è stata che su quelle e altre questioni risponderanno in una prossima conferenza stampa, probabilmente dopo le elezioni. Probabile che in quell’occasione la società voglia anche comunicare il suo piano di investimenti, visto che finalmente è arrivata la stabilità della concessione trentennale.

Gli stessi quesiti sula sicurezza abbiamo inviato alla direzione Enac di Bologna. “Quando c’è un’ispezione – risponde la dottoressa Maria Rosario Gallo, direttrice per l’Emilia Romagna – i risultati vengono comunicati al gestore che ha un determinato periodo di tempo per adeguarsi”. Ma avete controllato che a Rimini ciò sia avvenuto? “Ogni aeroporto italiano è sottoposto a periodiche ispezioni nazionali, e anche da parte dell’Unione europea”.

Facciamo presente alla direttrice Gallo di aver visto foto recenti che documentano “buchi” nella recinzione a monte dell’aeroporto. “La ringrazio della segnalazione, manderò un ispettore a verificare. Probabilmente questa carenza era sfuggita ai precedenti ispettori”. E sugli altri punti del rapporto del 2016 non ci può dire se adesso la situazione è a posto oppure no? “Ogni cittadino che vede qualcosa che non funziona può fare un esposto all’Enac. Lei vada in aeroporto, osservi se c’è qualcosa che non va e ce lo segnali, lo può fare anche in modo anonimo”. Rispondiamo che noi non abbiamo la competenza per valutare se le apparecchiature in dotazione e le procedure sono corrette, ci pare che l’Enac sia l’organo deputato a farlo. “Noi teniamo sempre un costante monitoraggio”, risponde la dottoressa Gallo.

L’altro argomento aeroportuale entrato in campagna elettorale è il ricorso presentato da Airiminum all’Unione europea perché non conceda il via libera al finanziamento di venti milioni deliberato dalla Regione Marche in favore di Aerdorica, di cui è il principale azionista. Alcuni candidati (per esempio Pizzolante e Barboni) sono intervenuti per appoggiare l’iniziativa di Airiminum secondo cui il finanziamento regionale contravviene alla libera concorrenza. È indubbio che il destino dell’aeroporto di Ancona ha ripercussioni sul futuro di quello di Rimini. Tuttavia, per il momento, il rischio di fallimento immediato di Aerdorica si allontana. La società, per prendere tempo in attesa delle decisioni della Ue, ha presentato in Tribunale la richiesta di concordato preventivo. Ciò ha l’effetto di congelare l’istanza di fallimento; inoltre concede agli amministratori 60 giorni di tempo, ai quali se ne possono aggiungere altri 60, per trovare una soluzione ai debiti della società. Gli amministratori sperano che dalla Ue arrivi il sì al finanziamento di 20 milioni. Un’udienza, per ascoltare le ragioni contrarie di Airiminum, è prevista il 23 febbraio. Il percorso di Aerdorica a questo punto è lo stesso di Aeradria. Si cominciò con la richiesta di concordato e si finì con il fallimento. Ad Ancona ovviamente sperano che per loro il finale sarà diverso.

Secondo la fonte della trasmissione Le Iene ci sarebbe anche la deputata riminese Giulia Sarti fra i parlamentari del Movimento 5 Stelle che avrebbero fatto i furbi sulla restituzione di parte dell’indennità. È il caso clamoroso che sta infiammando la campagna elettorale: alcuni parlamentari avrebbero “finto” un bonifico poi ritirato. A quanto pare all’appello mancherebbe qualcosa come un milione mezzo di euro.

Per Giulia Sarti, che è candidata alle elezioni del 4 marzo,  piove sul bagnato: proprio ieri si era svolta la prima udienza nel processo a suo carico, accusata di aver diffamato in un post su Facebook il giornalista del Resto del Carlino Filippo Graziosi perché in un articolo aveva messo in evidenza che la Sarti era passata da reddito zero a 78.229, 76 euro. Sui social poi erano apparsi numerosi post di insulti e minacce nei confronti del giornalista, scrutti da commentatori che non è stato possibile rintracciare.

Martedì, 13 Febbraio 2018 17:01

Elezioni, Civica Popolare sogna il 3 per cento

L’obiettivo è il mitico 3 cento, che consentirebbe di avere una pattugli di Parlamentari. Dovesse essere raggiunto, potrebbe diventare probabile anche l’elezione di Mario Erbetta, capolista di Civica Popolare, la lista alleata del Pd nella coalizione di centrosinistra. Anche se i sondaggi, per il momento, non sono confortanti.

Erbetta e soci sono comunque decisi a correre fino in fondo, per procurare voti alla lista e per sostenere Sergio Pizzolante all’uninominale. “La lista con il maggior numero di riminesi”, ha sottolineato il deputato.

Oggi c’è stata la presentazione dei candidati. Per la Camera sono in lista anche Daniela De Leonardia, 53 anni, imprenditrice di Torre Pedrera (“Io mi fido di Serio, è rappresentativo delle istanze del ceto medio), Francesca Ugolini, 39 anni, sindaco di Talamello (Pizzolante è sempre stato disponibile a rappresentare a Roma le istanze del nostro territorio), e, appunto, Mario Erbetta, 49 anni, avvocato , che ha rivendicato la cultura del fare, propria di Patto Civico, ed ha polemizzato le con proposte irrealizzabile (abolizione della legge Fornero, pensione sociale di 1000 euro) fatte dalle altre forze politiche.

Al Senato è invece in lista Maurizio Nanni, 66 anni, libero professionista, che ha ribadito nel contesto politico attuale i rifornisti devono stare con i rifornisti.

«Chi non vota per me, di fatto vota i populisti della Lega o dei 5 Stelle”. È il mantra elettorale di Sergio Pizzolante, candidato della coalizione di centrosinistra nel collegio uninominale della Camera. È un messaggio lanciato a quanti nel Pd soffrono di notevoli mal di pancia e sono orientati a votare Giuseppe Chicchi, candidato di Liberi e Uguali? “E’ un messaggio per tutti coloro che a sinistra sono suggestionati dal richiamo degli spiriti primordiali e finiscono con il favorire Lega e 5 Stelle. A costoro ricordo quanto ha dichiarato l’assessore bossiano della regione Lombardia, Gianni Fava, dopo i fatti di Macerata e le conseguenti dichiarazioni di Salvini: non mi riconosco più in questa Lega dove prevalgono personaggi parafascisti. E mi rivolgo ai moderati che sono di nuovo attratti da Berlusconi ma finiscono per favorire la Lega alla Camera”.

Le critiche rivolte a Pizzolante sono alimentate dal suo percorso politico, giudicato incoerente, perché è passato dai socialisti a Berlusconi, e adesso è alleato del Pd. Il deputato ha la risposta pronta: “Certe accuse le considero un'infamia. Sono un socialista craxiano dagli Ottanta e in questi anni sono stato coerente con questa storia. Dopo Tangentopoli, sono stato dodici anni fuori dalla politica e quando sono tornato a farla mi sono schierato contro la spinta giustizialista che dominava nel Paese. Cinque anni fa, dopo il fallimento della rivoluzione liberale promessa da Berlusconi, non essendoci una maggioranza stabile in Parlamento, ho aderito all’accordo fra Berlusconi e Bersani che ha fatto nascere il governo Letta, e ho sostenuto i successivi governi Renzi e Gentiloni. Due anni fa a Rimini ho dato vita a Patto Civico che ha portato alla rielezione di Gnassi. Oggi mi candido a stare nello stesso campo, non mi sembra affatto un percorso incoerente”.

Pizzolante sostiene che il prossimo 4 marzo la scelta è fra riformisti e populisti, fra chi vuole costruire e chi si limita a distruggere. “Bisogna capire – afferma – che in questi anni sono avvenuti radicali cambiamenti. È scoppiata la crisi del ceto medio che dal 74 è passato al 32 per cento della composizione sociale. È venuto meno quello che Giuliano da Empoli chiama il tetto di cristallo della democrazia. In questo contesto, dopo la crisi che abbiamo vissuto, il bipolarismo non è fra centrodestra e centrosinistra, ma fra riformisti e populisti. Dobbiamo decidere se essere come la Francia e la Germania, dove governano forze responsabili, o come gli Stati Uniti dove hanno vinto i populisti. Per la prima volta abbiamo un centrosinistra senza i comunisti radicali e nel centrodestra c’è il dominio delle forze populiste ed estremiste. La situazione è diversa, chi non lo vede è affetto da pigrizia mentale o da malafede”.

Pizzolante non risparmia fendenti ai suoi competitor diretti, la grillina Giulia Sarti e la leghista Elena Raffaelli, entrambi colpevoli, a suo dire, di imbrogli nei confronti degli elettori. La Sarti perché “è arrivata in Parlamento con qualche click e poi per cinque anni è sparita e adesso torna a chiedere il voto”. La Raffaelli perché “nella campagna elettorale per le comunali a Riccione attaccava la Vescovi che, diceva, voleva portare gli immigrati a San Lorenzo, cosa che ha fatto lei come assessore della giunta di centrodestra”. La sentenza finale è inappellabile: “Con Lega e Cinque Stelle la politica peggiora”.

Lo slogan scelto da Pizzolante in questa campagna elettorale è “La mia professione? Fare gli interessi del territorio a Roma”. Il legame con il territorio è la carta che gioca per uscire vincitore da una competizione difficile dove i Liberi e Uguali di Chicchi, con il loro richiamo alla sinistra dura e pura, gli insidiano il ritorno a Montecitorio. Fra le liste che lo sostengono, quella di Civica Popolare, guidata dal capogruppo in consiglio comunale Mario Erbetta, è quella dove sono più presenti candidati riminesi. Pizzolante pensa dunque di fare il pieno degli elettori di Patto Civico di Rimini e di Riccione? “Sono due realtà diverse, perché diverse sono le elezioni amministrative e le elezioni politiche. Nelle prime è forte il legame con il territorio, nelle secondo prevalgono le Tv e il richiamo dei simboli nazionali. Patto Civico è un contributo locale alla lista nazionale Civica Popolare”.

Onestà e competenza. Carla Franchini, candidata al senato per il Movimento 5 Stelle, ci tiene a sottolineare che in lei trova sintesi il binomio che, agli occhi di molti, i grillini proprio non riescono a tenere insieme. Gridano “Onestà, onestà”, ma spesso non hanno lo straccio di un mestiere e, messi alla prova, vincono il festival dell’incompetenza. Lei, 48 anni, 22 dei quali trascorsi a fare il funzionario pubblico (adesso a Coriano), mette sul piatto della bilancia i suoi tomi sul procedimento amministrativo, le docenze realizzate a destra e a manca, le partecipazioni a questo o quel congresso specialistico. Il messaggio che manda è chiaro: con me, rassegnatevi, la critica dell’incompetenza non regge.

Alle elezioni amministrative del 2011 è stata la prima degli eletti, ed anche l’unica a restare fino alla fine. Prese 155 voti di preferenza, Giulia Sarti (che poi si è fatta un mandato alla Camera e ora è ricandidata), solo 124, Raffaella Sensoli, solo 48 ed ora è felicemente consigliere regionale, Marco Affronte, felicemente parlamentare europeo (fuoriuscito) solo 71. Se gli elettori veri l’avevano premiata nel 2011, i click della piattaforma Rousseau l’hanno promossa per il rotto della cuffia, solo 83 preferenze, che le sono valsa la candidatura nel collegio uninominale del Senato dove la certezza di essere eletti non c’è. Con una che si è spesa cinque anni a tenere alta la bandiera dei 5 Stelle in consiglio comunale, il Movimento poteva essere più generoso.

Lei, Carla Franchini, ovviamente non condivide questa sommaria ricostruzione. Spiega che il sistema di votazione per il Senato, dopo c’erano 195 candidati, era complicato, non comparivano foto e curriculum, ma uno dove fare una ricerca in base a età, nome e professione. Sostiene che non avendo fatto alcuna pubblicità, l’ha votata solo chi l’ha cercata e quindi si tratta di voti in qualche modo più pesanti. Aggiunge che il meccanismo delle liste con alternanza uomo/donna consentiva, di fatto, che lei potesse aspirare solo al collegio uninominale.

E dire che si era anche tenuta fuori dalla bagarre che nel 2016 ha impedito che fosse certificata una lista riminese con il simbolo pentastellato. Anzi, per la prima volta ne rivela le ragioni: “Nel 2014 avevo avuto una visita della Guardia di Finanza su esposto di alcuni consiglieri comunali del Pd di Coriano. Ne era nato un procedimento penale dal quale sono uscita perfettamente pulita nel giugno 2016”. Un atto di autotutela preventiva. Aggiunge: “Sono molto contenta che il Movimento abbia cambiato le regole sugli indagati. Si è capito che in quel modo ci si esponeva ai colpi di chi se ne approfittava per far fuori gli esponenti migliori del Movimento”. Una grillina che ammette che ci possa essere un uso politico della giustizia è come il famoso uomo che morde il cane. Una notizia, e come tale la registriamo.

Fatto è che il Movimento nel suo caso non ha premiato la militanza e la competenza con un seggio sicuro. L’hanno chiamata a correre per la gloria. “No, no, mi piace correre per vincere, non per partecipare. Il collegio è in una zona dove il Pd ha sempre avuto risultati molto inferiori rispetto alla media nazionale, quindi la partita è assolutamente aperta, considerato poi che i sondaggi danno quel partito in caduta libera. E non credo nemmeno ad una clamorosa rimonta del centro destra, che da noi è sceso ai minimi storici”.

Ecco allora la domanda facile facile per una candidata: perché gli elettori la dovrebbero votare? “Perché sono l’unica novità nel panorama politico locale, perché sono l’esponente di un movimento che mantiene le promesse che fa”. La solita tiritera sull’onestà? “L’onestà è un pre-requisito, che in Italia è diventato un valore perché in Italia i politici dei tradizionali partiti l’hanno messo sotto i piedi. Penso che debba votare per me chi è come me, una persona normale, con i figli, la famiglia, un lavoro, la passione per le cose concrete”.

Proviamo allora a saggiare questa concretezza: sugli immigrati cosa dice? “Su immigrazione e sicurezza sono una talebana. Chi non ha diritto di stare in Italia deve essere rispedito nel paese d’origine. Per questo noi proponiamo l’assunzione di diecimila uomini delle forze dell’ordine perché siano accelerati i tempi di verifica. Inoltre diciamo di bloccare gli sbarchi con accordi di cooperazione internazionale fra gli Stati”. I riminesi vivono di turismo, cosa gli dirà: “Dirò che vogliamo un ministero del turismo perché la Romagna possa tornare agli splendori di un tempo, sapendo comunque che la fortuna del turismo riminese l’hanno fatto gli imprenditori, non certo i politici locali”. Perché i grillini difendono in molti campi le posizioni stataliste? “Credo sia giusto che ci sia un controllo pubblico di beni essenziali per la collettività come l’acqua. Dopodiché sono contrario ad una Fiera che vende anche le piadine, Penso anche che la pubblica amministrazione a volte sia inefficiente perché gestita con metodi clientelari e non meritocratici. Se la pubblica amministrazione torna efficiente, non c’è più bisogno di creare margini di profitto per gestire un’attività”. Anche la scuola deve essere pubblica cioè statale? “Certo, gli investimenti vanno fatti per elevare la qualità della scuola statale. Spesso si sceglie la scuola privata perché quella pubblica non funziona. Quindi la priorità è farla funzionare”.

Secondo una ricerca del Censis dell’estate 2016, il 2031 sarà l’anno del completo azzeramento dei matrimoni religiosi. Non ci sarà più una coppia che si sposerà in chiesa. Viene in mente un verso del poeta inglese Thomas Stearn Eliot nei suoi Cori della Rocca: «E sembra che la Chiesa non sia desiderata Nelle campagne e nemmeno nei sobborghi; in città Solo per importanti matrimoni». A quasi cent’anni di distanza la realtà avrà dunque superato l’immagine usata dal poeta per descrivere il processo di secolarizzazione e la progressiva marginalità dell’esperienza ecclesiale nella vita di tutti i giorni.

Quella del Censis è una proiezione statistica, ottenuta applicando, anno dopo anno, il tasso di diminuzione dei matrimoni religiosi. È evidente che le proiezioni statistiche, basate sui numeri, non riescono a tener conto di due elementi che sono sempre in agguato, l’imprevisto e la libertà delle persone.

Tuttavia a leggere i dati sui matrimoni a Rimini, pubblicati dall’ufficio statistica del Comune, si ha l’impressione che quel movimento verso la progressiva scomparsa del matrimonio religioso abbia compiuto nella nostra realtà passi da gigante. Nel 2017, per esempio, su 362 matrimoni solo 130 sono stati celebrati davanti a un sacerdote. Tradotto in percentuale, solo il 36 per cento delle coppie ha scelto di fondare la propria convivenza sul sacramento del matrimonio. Nell’analisi del Censis si osservava che in Italia nel 2014 i matrimoni civili erano il 43%, ma nel nord e nel centro erano, rispettivamente il 55 e il 51 per cento. A Rimini in quell’anno erano già il 57 per cento, per diventare, solo tre anni dopo, il 64 per cento. Il sorpasso del rito civile su quello religioso nella nostra città è avvenuto nel 2011: 216 contro 213. In sei anni il processo ha subito un’accelerazione notevole. Sembra proprio che si stia marciando speditamente verso quell’anno zero ipotizzato dal Censis.

I numeri dell’ufficio statistica del Comune fotografano come sia cambiata la società locale negli ultimi 25 anni. E si capisce che il crollo dei matrimoni religiosi altro non è che un aspetto del più generale calo dei matrimoni, dovuto sia a cambiamenti culturali che all’incertezza sociale, fenomeni che portano a non scommettere sul futuro. Se nel 1992 se ne celebravano 705 all’anno (171 civili e 534 religiosi), nel 2017 le nozze sono quasi dimezzate (362, con la proporzione fra civili e religiose che abbiamo visto). Non sappiamo invece quale sia la progressione statistica delle coppie conviventi, le cosiddette unioni di fatto: nel 2017 erano 2.365 pari al 3,5 per cento del totale delle famiglie.

Se nel 1992 tre matrimoni su quattro venivano celebrati in chiesa, non è perché in quel periodo non si vivesse già in una società secolarizzata. C’era invece un peso diverso della tradizione culturale in cui si era cresciuti. Magari non si frequentava abitualmente la chiesa, ma nel momento in cui si trattava di costruire una nuova famiglia, era quasi normale farlo all’interno della tradizione in cui si era cresciuti. A questa tradizione corrispondeva anche una trama di rapporti sociali (famigliari, amicali, di quartiere) più solidi rispetto all’individualismo e alla solitudine oggi dominanti. Quando sempre più rare coppie decidono di sposarsi, la Chiesa non è più cercata nemmeno per i matrimoni. Il riferimento alla tradizione non ha la forza di determinare una scelta, anche perché nel proprio orizzonte esistenziale e sociale quella tradizione (intesa come qualcosa di vivo e attuale) è difficilmente incontrabile. Per la comunità ecclesiale si aprono seri e radicali interrogativi, che lasciamo a chi detiene autorità e competenza.

Qui vogliamo sottolineare un altro aspetto di questo crollo dei matrimoni: il cambiamento della composizione sociale. A Rimini le famiglie di tre o più componenti rappresentano solo il 36 per cento del totale. Il resto è composto da famiglie – giuridicamente si chiamano comunque così – di uno o due componenti. In particolare, i nuclei unipersonali sono il 36 per cento, quelli di due persone il 27 per cento. Quindi la famiglia intesa come convivenza, tendenzialmente stabile, di genitori e figli è un fenomeno assolutamente minoritario nel panorama sociale attuale. Prevalgono le persone sole o al massimo le convivenze di due persone. Se a ciò si aggiunge che gli anziani soli (over65) sono circa diecimila, che sono quasi ottomila i figli dai 25 ai 44 anni che ancora vivono con i genitori, che l’indice di vecchiaia negli ultimi venticinque anni è passato da 138,36 a 179,83, si capisce quali problemi una composizione sociale di questo tipo ponga a chi deve amministrare una città o governare l’intero Paese. Si avverte in modo evidente la carenza storica di concrete politiche a sostegno della famiglia.

Quando si parla di lui è normale accompagnare il suo nome all’epiteto “mister preferenze”. Riconoscimento pienamente meritato perché alle elezioni amministrative del 2001 ha racimolato oltre 600 voti personali, in assoluto il più votato del consiglio comunale. Di solito, deteneva anche un altro record, quello del consigliere con il reddito più alto. Oggi che dichiara oltre 400 mila euro, si capisce perché la moglie non sia molto contenta che corra per un posto dal “misero” stipendio di 12 mila euro al mese. Ma la politica è una brutta bestia, quando il virus della passione ti contagia, non c’è medicina che possa guarirti. E il medico Antonio Barboni, candidato al Senato nel collegio uninominale per la coalizione dei centrodestra, ha sempre militato sotto le insegne di Forza Italia, partito per il quale è stato consigliere comunale dal 1995 al 2011 e consigliere provinciale dal 2011 al 2014.

Questa volta si sono ricordati di lui per una candidatura prestigiosa. Da quanto si sa, le cose sono andate in questo modo. Barboni, 58 anni, ufficiale medico in pensione, è presidente dell’Associazione provinciale dell’aeronautica, che conta circa 600 iscritti. Nelle settimane scorse ha organizzato la consueta cena annuale alla quale fra avieri e amici del Rotary hanno partecipato circa 200 persone. Fra gli invitati c’era anche il coordinatore regionale di Forza Italia Massimo Palmizio, chiamato a bilanciare la presenza del nostrano Tiziano Artlotti, del Pd. Palmizio vedendo il seguito di Barboni avrebbe avuto l’illuminazione: “Ma tu perché non mi hai mandato il curriculum?”. E che curriculum sia: Barboni è così diventato il candidato, sopravvissuto anche al siluramento di Palmizio.

“Ho sempre detto di essere a disposizione, mi hanno chiamato, obbedisco”, dice Barboni vestendo felicemente i panni dell’aspirante senatore. Ha organizzato due comitati elettorali, uno per l’area riminese, affidata al fido Nicola Marcello, il secondo per il cesenate, guidato da Luca Bartolini. Presto farà il suo debutto anche sui social. Ma la campagna elettorale che ha in mente è molto vintage. “Mentre Arlotti farà il giro dei circoli del Pd, io passerò questo mese a incontrare gente e a stringere mani nelle piazze, nei bar, nei mercati, nei piccoli paesi. Non perdo tempo per incontri di partito, vado in giro a far vedere la mia faccia”.

Anche perché a fare incontri di partito incontrerebbe ben poca gente. Quando lui diventò mister preferenze, Forza Italia era il primo partito di Rimini. Adesso…”Alcune volte a Rimini abbiamo preso percentuali più alte della media nazionale. Significa che c’era una classe dirigente amministrativa all’altezza. Poi bisogna considerare che noi siamo un partito d’opinione, e quindi anche nelle situazioni locali seguiamo il trend nazionale”. Ma quella Forza Italia vincente è stata accusata di pratiche consociative: “Non confondiamo il consociativismo con la cultura di governo. Se una forza politica si vuole accreditare come forza dirigente, non può usare i toni e gli argomenti della protesta sterile, fine a se stessa. Non per questo la nostra opposizione non è stata rigorosa. Noi eravamo contrari al sito scelto per la nuova Fiera, ma una volta che la maggioranza si è assunta le sue responsabilità, abbiamo premuto perché venisse fatta presto e bene”.

E adesso che c’è da fare per rilanciare il centrodestra a Rimini? “Riprendere lo spirito del ’94, dare risposte ai bisogni dei cittadini. Se un movimento di antipolitica prende i consensi che sappiamo, significa che c’è una carenza di offerta politica e noi dobbiamo rispondervi”. Cosa significa fare politica oggi? “Fare il bene comune. La politica è ascoltare i cittadini, interpretare le loro esigenze, dare loro le risposte. Se lo si fa con intelligenza e lungimiranza, si realizza un servizio. La politica, come diceva un democristiano della mia terra d’Abruzzo, Remo Gaspari, è un’arte. Un’arte che si impara. Io ho cominciato a 17 anni facendomi eleggere nei consigli scolastici, poi ho continuato nel movimento giovanile della Dc. C’è tutto un percorso formativo da fare per arrivare a impegnarsi in politica. Quando nel ’94 siamo partiti con Forza Italia c’eravamo noi inesperti, ma accanto a noi altri che avevano esperienza. Non come adesso che basta un clic per ritrovarsi candidati”.

Di cosa parlerà con la gente quando andrà a stringere le mani? “Beh, innanzitutto di sicurezza, è il tema oggi più sentito”. Allora è vero che Forza Italia va al traino della Lega? “Il problema è reale, la Lega ha un modo di trasmettere il messaggio che non è il nostro. Sull’immigrazione noi semplicemente diciamo che chi ha diritto di rimanere, può restare, gli altri devono rientrare nei paesi d’origine”. E sull’economia, sul lavoro, cosa dirà? “La nostra proposta è la flat tax. L’esperienza di chi l’ha applicata dice che in questo modo si dà impulso all’economia e quindi si creano anche maggiori opportunità di lavoro”.

Da un po’ di anni non è più in consiglio comunale, che impressione le fa la Rimini di oggi? “Osservo che finalmente, con colpevole ritardo, si è messo mano ad alcuni nodi storici strutturali. Come per esempio, la viabilità. Se fossi stato candidato sindaco avrei fatto come Micucci a Cattolica: le rotonde e l’eliminazione di tutti i semafori. Certe cose poi si potevano fare meglio: certe piste ciclabili lasciano molto a desiderare”.

Se non sarà eletto senatore, potrebbe sempre candidarsi nel 2021…”Sono sempre a disposizione”.

Valerio Lessi

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