A sentire il papa parlare di santi e di santità, può venire da pensare che Francesco questa volta ha fatto un discorso per addetti ai lavori, per pii devoti, o al massimo che si è concentrato su questioni di “marketing interno”, niente che riguardi la vita concreta della gente comune.

In realtà Francesco, specialmente con una citazione di Edith Stein, filosofa ebrea che lui giustamente chiama santa Teresa Benedetta della Croce, offre una chiave di lettura interessante sul fenomeno della santità, visto come un fatto centrale e non periferico nel flusso storico delle vicende umane. Cosa disse la mistica tedesca morta a Auschwitz- Birkenau dove fu deportata? «Nella notte più oscura sorgono i più grandi profeti e i santi. Tuttavia, la corrente vivificante della vita mistica rimane invisibile. Sicuramente gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali nulla viene detto nei libri di storia. E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale, è qualcosa che sapremo soltanto nel giorno in cui tutto ciò che è nascosto sarà svelato».

La santità come fattore di costruzione della storia. È la stessa prospettiva indicata da un famoso autore di romanzi che hanno per oggetto le vite dei santi, Louis de Whol   «Le vite dei santi appartengono alla storia, perché sono loro stessi a fare la storia e, meglio ancora, la fanno come piace a Dio. La storia senza i santi si riduce a guerre, battaglie, nazioni soggiogate o liberate, leggi e decreti, paesi che si avvicendano nella supremazia reciproca. Di tanto in tanto, però, Dio mostra la strada, e ogni volta per indicarla si avvale di un santo».

Ecco dunque una prospettiva a cui guardare a quella santità della porta accanto che papa Francesco porta in primo piano nella recente esortazione apostolica Gaudete et exultate. Invitando a vedere la santità «nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere», non ha tessuto l’elogio di una storia minore, inincidente nelle vicende che contano, ha in realtà sottolineato che anche i più umili membri del popolo di Dio partecipano all’ufficio profetico di Cristo, e quindi fanno la storia.

Sul diario della venerabile Carla Ronci, ragazza della porta accanto di Torre Pedrera, stroncata da un tumore a 34 anni, nel 1974, è stata trovata appuntata questa frase «Solo i santi lasciano tracce, gli altri fanno rumore». Era una ragazza come altre, bella ed elegante, amava ballare e vestirsi bene. Poteva restare una sconosciuta, se ha lasciato dietro di sé una traccia profonda è perché ha ceduto all’attrattiva dell’ideale della sanità.

Nel ventesimo secolo a Rimini la santità della porta accanto ha abbondato. Si è così arricchita quella schiera di santi e beati del territorio che già provocò un moto di stupore in Giovanni Paolo II, ricevendo i pellegrini della diocesi. E a quel tempo l’elenco comprendeva solo i santi storici, lontani nel tempo, mancavano quelli recenti. È di poche settimane fa la proclamazione a venerabile di Sandra Sabattini, la cui biografia pubblicata nei mesi scorsi presenta come titolo proprio La santa della porta accanto. Sandra sarà probabilmente la prima fidanzata a salire alla gloria degli altari: quando un incidente stradale stroncò i suoi ventitré anni stava andando ad un incontro della Comunità Papa Giovanni XXIII insieme al fidanzato Guido. «Ha fatto risplendere la virtù della condivisione con i poveri e della contemplazione. Una vera discepola di don Benzi», ha detto di lei Giovanni Paolo Ramonda, successore di don Benzi alla guida della Comunità.

Ma se per Carla e Sandra ancora deve essere riconosciuto il miracolo che sancisca il titolo di beate, per Alberto Marvelli, il traguardo è già stato raggiunto. Per il giovane ingegnere, che fu anche assessore nella prima giunta comunale dopo la liberazione dal fascismo, è ancor più evidente lo stretto legame fra santità della porta accanto e contributo alla costruzione della storia comune. La santità di Marvelli è stata con ogni evidenza un fattore di speranza e di umanità diversa nella Rimini distrutta dai bombardamenti della guerra.

Alla storia di santità del Novecento appartiene anche la santa, non della porta in questo caso ma della corsia accanto, suor Maria Rosa Pellesi, che, gravemente ammalata di tubercolosi, trascorse gran parte della sua vita in una corsia di ospedale, facendo di quel piccolo angolo un campo di azione missionaria che aveva le dimensioni del mondo. Beatificata nel 2007, le sue spoglie sono venerate nella chiesetta di sant’Onofrio in via Bonsi.

Questo è un invito a leggere la recente esortazione apostolica di Francesco con gli occhi rivolti alla santità della porta accanto che a Rimini è stato un fattore di costruzione di storia. «Non avere paura di puntare più in alto, - scrive Francesco in un bellissimo passaggio del documento - di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia. In fondo, come diceva León Bloy, nella vita “non c’è che una tristezza, quella di non essere santi”».

Valerio Lessi

Mario Galasso da qualche mese direttore della Caritas di Rimini, verso la fine della mattinata apre la finestra dell’ufficio e si mette a parlare con i poveri che stanno facendo la fila per chiedere un aiuto. “La relazione e l’incontro sono gli elementi fondamentali del mio lavoro, - spiega – altrimenti sarei un burocrate della carità. Qui in Caritas abbiamo molti servizi, vi lavorano molti operatori professionalmente preparati. Penso che però dobbiamo tutti imparare a leggere ciò che facciamo con gli occhi delle persone che si rivolgono a noi. Il rischio è di guardare ai poveri con i nostri occhi, di interpretare i loro bisogni, invece bisogna partire da loro, guardarli in faccia, ascoltarli. Insomma seguire ciò che dice papa Francesco. Vedere nel povero il volto di Cristo”.

Papa Francesco invita anche a guardarli negli occhi, a toccarli.

“Sì, è vero. E ciò provoca uno scambio di umanità incredibile. A volte mi chiedono cosa fare con chi chiede l’elemosina per strada. Rispondo sempre che ciascuno agisca secondo la sua coscienza. In ogni caso, se non si ha nulla da dare, è importante chiedere loro chi sei, come ti chiami, come stai, da dove vieni. Parlando con loro, mi dicono che bene o male i soldi per sfamarsi li trovano, ciò che invece manca e hanno più bisogno è il calore umano”.

Galasso, 53 anni, è sposato, padre di due figli, Matteo e Chiara, ed accoglie in casa sua un giovane senegalese, Mamadou. Fino al 2000 la sua vita scorre lungo il doppio binario del lavoro come militare dell’Aeronautica e di militante in associazioni di volontariato contro l’Aids. Poi ha lasciato l’Aeronautica e si è dedicato professionalmente all’attività sociale. È stato anche assessore al Comune di Riccione e alla Provincia di Rimini, durante il mandato di Stefano Vitali.

Torniamo all’argomento da cui siamo partiti: cosa significa in concreto privilegiare l’incontro e la relazione nel lavoro in Caritas?

“La grande sfida è come rendere protagoniste e autonome le persone che vengono da noi. Il rischio è che si crei una situazione di dipendenza dalla Caritas. Dal rapporto 2017 sulle povertà è emerso che alcuni si rivolgono a noi anche otto volte in un anno. Non va bene. Occorre fare un salto di qualità, anche coordinandoci meglio con i servizi sociali del Comune. Se c’è l’emergenza va bene pagare la bolletta, ma forse è meglio impiegare le risorse disponibili, private e pubbliche, per pagare tirocini formativi, così la persona avrà i soldi per pagarsi le bollette e magari anche conquistarsi un posto di lavoro. È un salto da fare insieme, perché ci occupiamo delle stesse persone. Certo, questo implica un lavoro impegnativo, perché è più gravoso prendersi in carico una persona e portarla verso l’autonomia, che offrirle un contributo”.

Qual è la mission della Caritas?

“Lo scopo della Caritas è principalmente educativo. Attraverso le opere e l’incontro con le persone vogliamo educare tutta la comunità all’attenzione verso gli altri. Nella lettera d’incarico il vescovo fra i vari punti ha ricordato una frase del Concilio: non sia dato come dono ciò che è dovuto come giustizia. È una prospettiva enorme, di umanità e di relazione. Dobbiamo aiutare il nostro popolo, la Chiesa, a cambiare atteggiamento, a maturare uno sguardo, una sensibilità diverse. E questo non è facile, con la mentalità di paura e di rancore che domina nei mass media e nei social”.

Cosa direbbe a chi esprime questa mentalità soprattutto nei confronti dei migranti?

“Rischio di essere ripetitivo ma la risposta sempre la stessa, l’incontro. A volte agli amici e conoscenti porto l’esempio del ragazzo che ho accolto in casa, Mamadou. Mi rispondono: ma lui lo conosciamo! Appunto, replico io. I problemi si risolvono solo con l’incontro e il dialogo. Se si erigono i muri, bisogna ricordarsi che hanno due facce, che incidono anche su chi sta dall’altra parte. Bisogna inoltre capire che chi viene da noi, starebbe tranquillamente a casa sua se non fosse spinto dalla disperazione. La mamma che “abbandona” il suo bambino sul barcone perché non ha i soldi per pagarsi il viaggio esprime questo desiderio di futuro per il proprio figlio. Bisogna ricordarsi di tre cose: che non abbiamo scelto noi dove nascere, che a spingere i migranti verso di noi è la fame, che ci sono molti lavori che noi italiani non vogliamo più fare. Bisogna tornare alla politica delle quote, così si favorirebbe un’immigrazione regolare. Poi, se uno sbaglia, dovrò rispondere di fronte alla legge. Non ci sono sconti per nessuno, ma nemmeno la responsabilità è moltiplicatanse a commettere un reato è un non italiano.”

Che novità ha introdotto in Caritas?

“Sono arrivato qui dopo diciassette anni di direzione di don Renzo Gradara. Inevitabile che ci fosse l’esigenza di ripartire. Ho cominciati chiedendo ad ogni operatore: come stai, come ti trovi in Caritas, come immagini il tuo futuro. All’inizio rimanevano un po’ sorpresi. Ma c’era bisogno di spostare l’attenzione sulla persona, di far esplodere al massimo l’umanità di ciascuno. Credo che questo abbia immediate ripercussioni anche sulla qualità del servizio che rendiamo ai poveri”.

Lei è stato anche assessore. Come ci si rende più utile agli altri, con la politica o con il volontariato?

“Bella domanda. La politica è indispensabile. Se con il volontariato trovi una soluzione per alcune persone, la politica ti permette di rendere quella strada praticabile per tutti. La politica può aiutare a mettere a sistema le risposte che ciascuno realizza nel proprio ambito. A volte mi chiedo se sia giusto che la Caritas o gli altri organismi di volontariato si sostituiscano a ciò che devono fare le istituzioni. Penso che in ogni caso sia sbagliato che le istituzioni pensino di risolvere il loro problema affidandosi al volontariato. E se questo per qualche ragione dovesse venire meno? Credo quindi che sia necessaria una sinergia, una concertazione. Così come è necessario che anche fra noi privati ci sia maggiore collaborazione, se siamo uniti nel fare proposte all’ente pubblico, saremo anche più forti. Non caso il vescovo, accogliendo un mio suggerimento, ha annunciato la creazione di una Consulta delle associazioni caritative”.

Qual è la povertà emergente nel territorio di Rimini?

“Sono impressionato da un fenomeno, che dal punto di vista numerico nel rapporto 2017 è limitato a cinquanta persone, ma forse è solo l’emergenza di una realtà più vasta. Penso a quegli imprenditori, liberi professionisti, proprietari di case che hanno trovato il coraggio di bussare allo sportello della Caritas. Sono una domanda a pensare servizi che tengano conto del loro dramma, con discrezione e rispetto alla loro sensibilità”.

Quali sono stati i suoi maestri?

“In ambito cattolico, oltre all’educazione negli scout, devo molto a monsignor Luigi Bettazzi e a don Luigi Ciotti. Ma grande maestro di umanità per me è stato un non credente, il professor Alain Goussot, scomparso due anni, pedagogista della scuola di Andrea Canevaro. Mi diceva: quando non sai da che parte stare, scegli di stare con i più piccoli”.

Valerio Lessi

È una situazione in movimento quella fotografata dal rapporto Caritas 2017 sulle povertà nel territorio riminese. La marea di dati e considerazioni in esso contenuta restituisce l’immagine di un universo che cambia di anno in anno. Il primo dato che balza in evidenza è che è diminuito il numero di coloro che si rivolgono ad un centro di ascolto per chiedere un aiuto economico, generi alimentari, un tetto, un lavoro. Il picco è stato toccato nel 2015 con 7.455 persone, scese nel 2017 a 5.238. Se si tiene conto anche dei famigliari, il numero tocca quota 15 mila, pari al 4 per cento della popolazione residente.

L’aspetto più preoccupante è che per la stragrande maggioranza (63 per cento) si tratta di ritorni, segno che la situazione di disagio non si è risolta. Mediamente, nel 2017, ogni persona si è rivolta al Centro di Ascolto 8 volte. Il rapporto parla di un “vortice” della povertà: li eventi si susseguono in una catena che può partire ad esempio dalla perdita del lavoro, a cui segue la difficoltà economica, poi l’impossibilità nel pagare affitto e utenze, spesso si aggiungono i conflitti in famiglia che rischiano di sfociare in separazioni o rotture drastiche tra i familiari, e così ci si ritrova soli, la salute può diventare precaria e nasce il pericolo di sfogare le proprie frustrazioni in dipendenze o in atti devianti.

A rivolgersi agli sportelli della Caritas sono sempre di più gli uomini, colpiti da crisi occupazionale ed anche da senso di smarrimento: “appaiono sempre più fragili e reagiscono o trasmettendo una profonda sofferenza o con rabbia e prepotenza, dovuta al senso di fallimento”. È più che triplicata la presenza degli italiani, passati da 530 unità nel 2004 a 1.876 nel 2017. Il 39% degli uomini italiani sono senza dimora, tra le donne la percentuale è del 13%, complessivamente gli italiani senza dimora sono 520 pari al 27,6% del totale degli italiani.

All’aumento degli italiani corrisponde un sensibile calo di stranieri: erano 5.295 nel 2011, sono diventati 3.310 nell’ultimo anno. Non si conoscono le motivazioni reali di questo calo; gli operatori nei colloqui hanno constatato la volontà dio cercare fortuna in altre città italiane o europee o di tornare nel paese d’origine. Se poi questo sia avvenuto, non è dato di saperlo. Sono rimaste le famiglie che ormai considerano come propria patria l’Italia e che vorrebbero continuare a crescere i propri figli in questa terra. Fra gli stranieri che si sono rivolti ai Centri Caritas sono 1.740 quelli con residenza nella provincia di Rimini.

Fra gli stranieri si registra si registra un forte calo della Romania, che passa dal 23,5% al 9%; stesso andamento per l’Ucraina che dal 15% scende al 6%. Crescono invece il Marocco, dall’8% al 14%, il Senegal dall’1% al 6%, di poco l’Albania, dal 5% al 6% e la Tunisia dal 3% al 4%. Osserva il Rapporto: "Questi andamenti sono molto influenzati dalla situazione economica mondiale e dallo stato di avanzamento dei conflitti. Sembra incredibile che un territorio piccolo come Rimini sia tanto influenzato da tutto ciò che accade nel mondo, eppure è così!"

Un altro fenomeno nuovo è apparso nel 2017: famiglie di immigrati con i permesso di soggiorno ma in condizione di estrema povertà. Ci sono stati casi in cui, nonostante la persona fosse in Italia da molto tempo, non aveva più le condizioni per rinnovare il documento di Soggiorno. Questo ha comportato la perdita della residenza, la possibilità di trovare un lavoro regolare, di mantenersi una casa e di avere un medico di base (nonostante i problemi di salute); inoltre un senso di smarrimento nel non sapere dove andare.

“È difficile – si legge nel rapporto - raccontare l’imbarazzo che si prova di fronte a queste situazioni, nelle quali si avverte il contrasto tra burocrazia e ragionevolezza, tra legge e senso di umanità”. 

Il rapporto offre inoltre uno spaccato sulla realtà dei senza dimora: il 79% sono uomini, prevalgono gli italiani (413 maschi), i rumeni (221), i marocchini (203) e i tunisini (85).Con l’aumentare dei profughi si è abbassata l’età di coloro che vivono in strada: il 29,7% dei senza dimora ha tra i 19 e i 34 anni.Tra gli italiani la percentuale più alta di senza dimora è rappresentata da coloro che hanno tra i 45 e i 54 anni, si tratta quindi di un’età più matura, nella quale si è spesso vittime di fallimenti lavorativi e affettivi.

Si può essere nella povertà anche se si ha la casa in proprietà: i casi sono passati dal 2,1% del 2010 al 5,1% del 2017. Sono in totale 197 persone, di cui l’85% sono italiani. Tra questi la maggioranza ha tra i 45 e i 64 anni, mentre tra gli stranieri coloro che hanno casa in proprietà hanno prevalentemente tra i 25 e i 34 anni. Ma sino in crescita dal 2,9% al 9,5% coloro che hanno un alloggio pubblico con affitto calmierato al quale, tuttavia, non sono in grado di provvedere. Spesso lo stato di disoccupazione si protrae per tempi elevati, le persone sopravvivono con piccoli lavoretti temporanei, incapaci di garantire un regolare reddito mensile. Le pensioni non rispondono ai minimi bisogni economici della persona/famiglia.

Le famiglie non riescono a sopperire alle spese scolastiche dei figli e, dove sono presenti malati cronici, disabili o anziani, le spese sanitarie risultano essere troppo elevate rispetto al reddito percepito.

È stato pubblicato lo scorso 7 aprile sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero delle Infrastrutture che fa l’elenco delle opere realizzabili in regime di attività edilizia libera. Ciò significa che i piccoli interventi di manutenzione privati da adesso in poi, per la loro attuazione, non hanno più bisogno come in precedenza dell’obbligatorio placet del Comune. Rientrano in questa attesa operazione di semplificazione edilizia la sostituzione della pavimentazione interna e esterna, il rifacimento degli intonaci e degli infissi, il rinnovamento e la messa a norma degli impianti, l’installazione e la sostituzione dei pannelli solari, il rinnovamento degli arredi nelle aree di pertinenza (muretti, fioriere, riposti attrezzi etc.).

“Si tratta indubbiamente – osserva l’assessore all’urbanistica del Comune di Rimini, Roberta Frisoni - di una bella sforbiciata a procedure e lunghe attese e carichi per Comuni e cittadini. Interventi che possono essere realizzati senza necessità di titolo abilitativo i quali andranno anch’essi a dare impulso a un settore che solo adesso, e molto lentamente, sta riprendendosi dalla grande crisi iniziata una decina di anni fa. Il Comune di Rimini accoglie questo decreto con favore, in piena linea con la filosofia programmatica (no al consumo di nuovo suolo, sì alle riqualificazioni e alle rigenerazioni) e soprattutto organizzativa”.

L’assessore coglie l’occasione per informare che da metà gennaio 2018, infatti, è possibile consultare online l’elenco delle pratiche edilizie associate al fabbricato di riferimento sul territorio. Una ricerca delle pratiche che, tramite un applicativo sviluppato dal Sistema informativo territoriale del Comune di Rimini, consente di effettuare ricerche per via e numero civico, oppure per estremi catastali dell’ immobile o, infine, per numero pratica. L’applicativo consente la consultazione del Fascicolo Edilizio, vale a dire l’elenco dei procedimenti edilizi relativi ai fabbricati presenti nel territorio. La base dati, che al momento rappresenta oltre il 70% della documentazione ed è in corso di completamento, è stata costruita mettendo a sistema il patrimonio informativo rappresentato dai vari archivi dei settori dello Sportello per l’Edilizia (SUE). Per accedervi basta cliccare sul link ‘Vai alla consultazione elenco pratiche edilizie’ presente nella pagina web raggiungibile all’URL http://www.comune.rimini.it/consultazione-elenco-pratiche-edilizie. Un pezzo di un processo in corso ancora più ambizioso, e cioè la digitalizzazione dei documenti in archivio e la trasmissione digitale delle pratiche, per migliorare il servizio offerto a cittadini, professionisti e operatori del settore. Una rincorsa per recuperare settant’anni di pratiche pregresse che sta riguardando circa 15.000 faldoni."

Prima o poi doveva succedere, era impensabile che l’esito delle elezioni del 4 marzo non avesse un contraccolpo destabilizzante sulla maggioranza che governa il Comune di Rimini, dove accanto al Pd c’è quel Patto Civicoche è stata l’invenzione dell’ex deputato Sergio Pizzolante, spazzato via dall’ondata di voti di centrodestra e pentastellati.

Il primo scricchiolio lo si è avuto questa mattina quando il capogruppo di Patto Civico Mario Erbetta ha annunciato il voto di astensione sul bilancio consuntivo del 2017. A titolo personale, ha poi precisato. Precisazione necessaria perché l’unico consigliere del Patto presente in commissione, Mirco Muratori, ha votato a favore.

Erbetta ha anche spiegato che il suo voto di astensione vuole essere di di monito per il futuro, per sollecitare una svolta soprattutto sul tema dell’imposizione fiscale (vedi reintroduzione della tassa sui passi carrai, aumento della Tari) e della riduzione della spesa. Il voto del 4 marzo è un segnale che va colto, e "se non si cambia registro valuterò il da farsi", ha precisato. Dice Erbetta a BuongiornoRimini: "Le elezioni le abbiamo perse non solo per le ragioni nazionali, ma anche per fattori locali. Certamente la gente non ha compreso la reintroduzione della tassa sui passi carrai. E' stato mostrato che i famosi 80 euro di Renzi sono stati del tutto vanificati dalle tasse locali. Quindi per il futuro bisogna cambiare registro, Nel 2017 la spesa è aumentata di 1,5 milioni, non va bene, bisogna fare una precisa azione di spending rewiew per non dover sempre azionare la leva fiscale".

Sulla crepa si è infilato Gennaro Mauro, consigliere del Movimento per la sovranità, che parla di un “regolamento dei conti all’interno della maggioranza che amministra la città, che poi non è altro la contrapposizione tra l’ex deputato Pizzolante e la classe dirigente del Partito Democratico. Queste dispute di potere non interessano i cittadini riminesi”.

Osserva Mauro: “Dopo aver votato qualsiasi delibera consiliare senza aver mai inciso nelle scelte compiute da Gnassi oggi Patto Civico uscito con le “ossa rotte” dalle elezioni, entra con i suoi 5 consiglieri con forza dirompente nel dibattito politico interno al PD”.

“Gnassi – conclude il consigliere - ne dovrebbe prendere le dovute conseguenze, rimettendo l’incarico di sindaco. Le dispute di “palazzo” non devono condizionare negativamente l’azione amministrativa comunale. Gnassi non ha più il consenso della maggioranza dei riminesi e la sua maggioranza in consiglio comunale vacilla pericolosamente”.

È evidente che a Pizzolante e a Patto Civico non sono piaciuti quei giudizi di valutazione sulle elezioni, espressi nella direzione del Pd da più esponenti, sulla fine del modello Rimini (quello promosso da Pizzolante) e sul fallimento politico (il 4 marzo) della formula del civismo moderato alleato al Pd. Il comportamento di Erbetta (solo il suo?) nel voto sul bilancio è un preciso segnale che l’ascia di guerra potrebbe presto essere dissotterrata. "Mi sono volutamente tenuto fuori da queste polemiche - spiega Erbetta - però sono convinto che anche per il futuro, sia a livello nazionale che a livello locale, ci sia bisogno di una forza centrista, moderata, che rappresenti i ceti produttivi. Solo una forza di questo genere può garantire stabilità politica".

Alla direzione provinciale del Pd Emma Petitti, assessore regionale e, secondo indiscrezione possibile candidata a sindaco nel 2021, ha sostenuto che “il voto ci ha consegnato un doppio bipolarismo. Il bipolarismo tra gli inclusi rappresentati dal PD e da Forza Italia (da quell'idea delle larghe intese già bocciata con il referendum del 4 dicembre) e tra gli esclusi, che sono la maggioranza e che hanno scelto di votare il m5s e la Lega.

Il populismo è egemone nei settori popolari, e torna un voto privo di ideologia, ma di classe. Sostanzialmente, la collocazione sociale ha la sua proiezione nel comportamento politico, cosa che non accadeva da tempo.
Il populismo o quello che noi chiamiamo populismo (forse dovremmo riconsiderare le parole), è stato un impasto di antipolitica, campagna sulla sicurezza e questione sociale. E allora non si può fronteggiare l'antipolitica inseguendo il populismo sul suo terreno e agitando parole d'ordine che alla fine hanno rafforzato i populisti.”

“Noi abbiamo bisogno – ha quindi sostenuto Petitti - di ricostruire un campo largo, competitivo, aperto al centro ma molto largo a sinistra. Non alla sinistra politica ma ai contenuti e ai valori della sinistra.
Lo si è fatto nel Lazio, lo si era fatto prima a Milano, non lo si è fatto con le elezioni politiche, ora lo si dovrà fare alle prossime scadenze amministrative comunali e regionali.

Per la prima volta sappiamo che la nostra regione è contendibile da parte del centro destra a trazione leghista e una lettura del voto in tutta la nostra regione dice chiaramente che no esistono più zone dove lo 'zoccolo duro' ci protegge dal rischio di perdere le elezioni. Semplicemente perché lo 'zoccolo duro' non c'è più. Esistono delle enclave che hanno permesso di eleggere i nostri parlamentari. A Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ravenna ma fortemente ridimensionati nel consenso. I voti li abbiamo mantenuti nei centri urbani, dove la gente sta meglio, perdendoli nelle periferie che una volta davano voti sicuri alla sinistra”.

Al centro della politica del Pd deve esserci la questione sociale: “C'è un tema poi di dimensione competitiva delle imprese anche sul piano della tutela della sicurezza del lavoro e rispetto dell'ambiente e di regole europee a tutela anche della concorrenza nella comunità europea. C'è il tema di come rilanciare il dibattito sul valore della sanità pubblica e del nostro Welfare in Emilia-Romagna in termini di efficienza anche in rapporto al privato. C'è il tema di come declinare la solidarietà, tenendo insieme l'accoglienza dei rifugiati e degli immigrati con il tema della sicurezza, prevenendo le derive alimentate dalle paure e dal senso crescente di insicurezza (figlia del disagio sociale ed economico che diventa anche disagio sul piano culturale)”.

Quanto alle scelte politiche nazionali del momento secondo Petitti “non basta dire in questa fase che noi siamo all'opposizione. E non possiamo limitarci a rinfacciare accuse al M5S di inciucio.
Noi abbiamo messo in campo soluzioni migliori? No, si è preferito assistere ad un accordo destra-M5S. È stata una scelta non discuto. Ma in parte è anche il segno del disarmo, politico e culturale, con cui siamo arrivati fin qui. Quello che è accaduto alle Camere è semplicemente la Politica. Ed è il proporzionale. Di Maio e Salvini l’hanno capito.

Sperare nella disfatta degli altri non ci porta vantaggi. La linea aventiniana non ci da autorevolezza. Affidiamoci alla Costituzione e al presidente Mattarella e vediamo se riuscirà a incaricare una figura di alto livello istituzionale capace di individuare un programma e una sintesi tra forze politiche”.

Fra gli interventi di peso della direzione provinciale del Pd, che si è concusa lunedì sera, quello di Maurizio Melucci, già vice sindaco e assessore regionale.

È andato giù molto duro sul cosiddetto modello Rimini: “Dopo le elezioni vi è stato chi è ha fatto una considerazione politica conseguente al risultato delle elezioni: il modello Rimini non esiste. In questo caso non vi era nessuna critica all’azione amministrativa, ma l’idea di esportare la coalizione cha ha vinto le elezioni amministrative del 2016 sul piano romagnolo e forse regionale. Il Pd alleato di una lista (Patto Civico) che doveva rappresentare il ceto medio riminese con una visione programmatica lontano dai populismi. Modello in qualche modo riproposto a Riccione (con i noti risultati).
Il voto alle politiche ha dimostrato la totale inconsistenza politica di quel progetto, nonostante fosse candidato una dei teorici di questa proposta, Sergio Pizzolante, ed ampiamente sostenuta in campagna elettorale dal Pd. L’elettorato di quella lista civica ha votato centro destra, anzi una buona parte Lega.
Ebbene questa valutazione politica ha fatto innalzare un fuoco di sbarramento per stroncare sul nascere questa discussione. Non è lesa maestà al sindaco Gnassi E’ un confronto necessario. Non funziona, semmai ha funzionato, un uomo solo al comando. E non funziona neanche prendere atto di scelte fatte in pochi e poi che debbono essere ratificate senza poter obiettare nulla”.

Melucci ha quindi invitato a non bollare tutto come populismo o demagogia. “In realtà è stata una campagna elettorale tra chi nella società si sentiva in qualche modo incluso e chi invece si sentiva escluso. Gli esclusi del Sud senza prospettiva, gli elettori del Nord preoccupati dalle tasse e dai migranti, per questo si sentivano esclusi dalle politiche di governo. In Italia non è in atto un confronto/scontro tra Populismo e riformismo. Ma tra inclusi ed esclusi
Noi riferimento degli inclusi (ma anche Forza Italia) Lega e 5 stelle degli esclusi per la questione sociale o preoccupati per la sicurezza. Inclusione ed esclusione non solo per motivi economici ma anche legati alla qualità urbana in senso ampio”.

Infine l’ultima considerazione. “Il prossimo anno vi saranno elezioni amministrative importanti. Sento dire che sono altre elezioni, contano i programmi ed i profili dei nostri candidati. Ricordo che le ultime tornate amministrative le abbiamo perse. A Rimini ed in Italia. La differenza di voto è sempre più debole, anche in Emilia Romagna. Non abbiamo molto tempo”.

L’obiettivo dichiarato è di raggiungere il tetto di quarantamila passeggeri nei mesi che vanno da oggi a fine ottobre. Ovviamente se gli aerei che andranno e arriveranno da Londra, Varsavia e Kaunas saranno pieni o quasi. È la scommessa del rinnovato rapporto con Ryanair, la principale compagnia low cost europea, che da ieri ha ripreso a volare su Rimini. Con il primo volo da Londra è arrivato anche John F. Alborante, manager per l’Italia, che in aeroporto ha tenuto una conferenza stampa insieme al presidente di Airiminu Laura Fincato e all’amministratore delegato Leonardo Corbucci.

I voli che sono partiti (cinque alla settimana, due per Londra e Varsavia, uno per Kaunas) saranno operativi fino ad ottobre, mentre sulla stagione winter c’è ancora il punto interrogativo, sono in corso trattative fra le due società. Per lo start up delle nuove rotte sono state avviate iniziative promozionali con i biglietti in vendita a partire dal 12,99 euro. Per portare i viaggiatori dall’aeroporto agli alberghi Airiminum ha organizzato due navette, una per Rimini e una per Riccione.

Il dirigente di Ryanair ha spiegato che fa parte della politica commerciale della società dare suggerimenti di viaggio ai propri clienti, in sostanza a fare promozione per le località dove arrivano gli aerei. A Londra, Varsavia e Kaunas prenderanno l’aereo per Rimini se sapranno che Rimini esiste e li aspetta con un’adeguata offerta turistica. È il discorso del co-marketing con il territorio. Per tornare a Rimini Ryanair ha sottoscritto un contratto che prevede incentivazioni: i termini, ovviamente, non sono stati rivelati. Ovunque la compagnia va, è questa la regola, ha confermato Alborante. Se in questa fase quindi è Airiminum che è fatta carico dei costi (così pare), in pentola bolle la promessa della Regione Emilia Romagna di mettere a bando 400 mila euro per azioni di co-marketing con le compagnie che atterrano in regione e quindi anche a Rimini. Quindi, si vedrà.

Certo è che, come ha ben spiegato Alborante, Ryanair è una società che non ama rimetterci. Quindi se le rotte funzioneranno, se ci sarà la convenienza economica, continueranno; altrimenti si fa presto a spostare un aereo da un punto all’altro della carta geografica europea. Non ha escluso che nel futuro la presenza di Ryanair possa ulteriormente svilupparsi, offrendo nuove rotte nei paesi che interessano al territorio, Germania e Scandinavia, e anche in altre città dell’est europeo. Tutto dipende da come andrà l’esperimento cominciato in questi giorni.

Non vede, Alborante, problemi di conflittualità con Bologna, che è una base di Ryanair. Da parte sua Corbucci afferma che Bologna non può essere la risposta alle esigenze di mobilità aerea della Romagna. Quanto all’ipotetica riapertura dell’aeroporto di Forlì (il 16 aprile scade il bando pubblicato da Enac), secondo Corbucci non ci sono le condizioni industriali per un secondo aeroporto della Romagna.

Ma l’aeroporto di Rimini serve per l’outgoing o per l’incoming?, ha chiesto il presidente di Confcommercio Gianni Indino. Corbucci ha risposto che va bene l’incoming, ma lo scalo deve rispondere anche alle esigenze di mobilità del territorio.

Non ha invece voluto rispondere alla nostra domanda sui programmi di investimenti per il futuro, ora che ha ricevuto l’auspicata concessione trentennale. Si è invece ancora una volta soffermata sui successi economici della società ricordando che nel 2017 con 300 mila passeggeri ha realizzato un utile di 1,8 milioni.

Il 2018, prima della cura Ryanair, è invece cominciato poco bene. I passeggeri nei primi due mesi dell’anno sono calati del 6,2 per cento (addirittura dell’11 per cento in gennaio). Anche in questo caso i conti definitivi si faranno a fine stagione.

L’educazione ricevuta da Alberto Marvelli nel mondo cattolico da lui frequentato (prima la parrocchia dei salesiani, poi l’Azione cattolica) certamente formava ad una concezione della persona e dei rapporti sociali diversa da quella proposta dalle organizzazioni e dalle istituzioni del regime fascista. La diversità era talmente pronunciata che, se non si poteva esprimere in un’azione politica, ricorreva però alle armi dell’umorismo e della messa in ridicolo dei miti e dei vizi del regime. Fra gli inediti che Cinzia Montevecchi, responsabile dell’Archivio Marvelli, ha rivenuto fra i materiali del giovane proclamato beato da Giovanni Paolo II, c’è un quaderno dove Alberto, oltre a segnare giochi, proverbi, indovinelli da usare con i ragazzi affidati alle sue cure educative, annotava, numerandole una dopo l’altra, anche le barzellette e le storielle che prendevano di mira il regime, Mussolini e i suoi gerarchi.

Cinzia Montevecchi ha pubblicato questo inedito in un volume, Volare nel sole (editrice Ave), dedicato a Alberto Marvelli e la gioia dell’educare. La modalità che Marvelli aveva di vivere la responsabilità educativa è stata al centro della relazione che Montevecchi ha tenuto al seminario di studi organizzato dall’Istituto di scienze religiose in occasione del centenario della nascita del beato. Marvelli era infatti nato il 21 marzo 1918 e, per una felice coincidenza di date, il centenario della nascita coincide con l’anno in preparazione al Sinodo sui giovani che papa Francesco ha convocato dal 3 al 28 ottobre prossimi. Un bell’esempio di giovinezza vissuta nell’adesione all’ideale cristiano.

Marvelli è conosciuto molto per l’eccezionalità della sua testimonianza di fede, per l’eroica carità vissuta sotto i bombardamenti di Rimini, per l’impegno sociale e politico che lo ha portato ad essere assessore nella prima giunta costituita dopo la Liberazione. Il merito del lavoro di Montevecchi è di aver messo in luce un aspetto trascurato della sua personalità, quello di educatore. Fin da quando, all’età di quindici anni, si è occupato degli aspiranti della sua parrocchia, Alberto, che poi ha ricoperto molti incarichi dirigenziali nell’Azione cattolica, ha svolto a più riprese nella sua breve esistenza, un ruolo educativo.

Ha svolto questo compito nella consapevolezza che per essere educatori bisogna innanzitutto lasciarsi educare. Si è tanto più padri quanto più si è stati figli, è quasi una legge di natura. Lui per primo è stato assiduo agli incontri di formazione proposti dall’Azione cattolica a livello nazionale. Non solo; la sua biblioteca documenta come si nutrisse con sistematicità dei documenti del magistero, di libri di riflessioni teologica, di opere di interpretazione della Sacra Scrittura, di libri di educazione sociale come le Premesse della Politica di Giorgio La Pira. Soprattutto si alimentava dalla vita dei santi: Paolo, Girolamo, Agostino, Benedetto, il Curato d’Ars, Teresa del Bambin Gesù, Caterina da Siena, Francesco d’Assisi, Francesco Saverio.

Marvelli aveva deciso di puntare tutto sul cristianesimo («Voglio farmi santo», si legge sul suo Diario) ed anche nel rapporto educativo con i ragazzi a lui affidati indicava sempre una meta alta da raggiungere. In un appunto cita una favola di Lessing dove l’aquila dice a proposito dei suoi aquilotti: «Come vorreste voi che, fatti adulti, fossero capaci di volare nel sole, se dalla loro nascita li lasciassi camminare nel fango?». Ai ragazzi vanno quindi proposti ideali elevati, da vivere nel quotidiano. Per essere santi – spiegava - non occorre «farsi frati o sacerdoti o pregare sempre i chiesa»; semplicemente occorre «servire Dio nell’ambiente abituale di famiglia, di lavoro, di scuola, di svago». Del resto, il giovane Marvelli non è un “santino” dipinto secondo un’antiquata agiografia, ma un ragazzo che va in montagna, al mare, in bicicletta, pratica sport, si diverte con gli amici.

Ai giovani bisogna proporre l’ideale ultimo con un metodo e un linguaggio appropriati. Si legge in un appunto: «Amare ciò che amano i ragazzi, affinché i ragazzi amino ciò che noi amiamo». In alcune pagine del Diario esemplifica (facendo riferimento ai “pericoli” derivanti dai giornali e dalla radio (gli unici mass media dell’epoca) una educazione che mira a indicare un atteggiamento e un comportamento positivi, piuttosto che attardarsi su proibizioni e repressioni. E su un valore che l’educazione cattolica dell’epoca privilegiava, la purezza, scrive: «Non è la virtù dei rinunciatari, dei timidi, degli inconsapevoli. Non è frutto di sole proibizioni…un’imposizione dall’esterno, una violenza a non vedere, a non sapere, a non sperimentare. La purezza non è una corazza di ghiaccio…ma un interiore braciere di fuoco, la purezza è vita. È la vita di Dio entro di noi che attrae nel suo fascino e nel suo calore, il corpo e i sensi». Marvelli era un giovane uomo che ama profondamente la vita, amava tutte le dimensioni dell’esistenza. Per lui vale la sentenza di Publio Terenzio Afro («Sono uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo»), che è la chiave interpretativa anche del suo impegno educativo.

Al centro della sua vita e di quanto propone ai ragazzi c’è Gesù Cristo. In una riflessione sui discepoli di Emmaus scrive: «Mentre camminavano si incontrano con Gesù. Amo pensare che Gesù si sia fatto raggiungere. È bello pensare a Cristo che va sempre avanti, che ci insegna la via, che ci indica la strada e si fa raggiungere».

Anche l’educatore deve farsi compagno di viaggio delle persone che gli sono affidate. «Essere dirigente – osservava – vuol dire essere il servo e non il padrone degli altri». Di conseguenza un’altra virtù dell’educatore è l’umiltà, cioè la consapevolezza che è un Altro che in realtà educa. «Dove non si arriva con l’azione, arrivo con l’orazione: con l’orazione ho l’onnipotenza di Dio a mia disposizione».

Negli scritti e negli appunti di Marvelli non c’è alcun accenno polemico con gli ideali educativi proposti dal fascismo. Nel suo libro, Montevecchi riporta alcuni contenuti del catechismo (a domanda e risposta, come quello cattolico) del fascismo e i contenuti veicolati dalla scuola. Niente di più distante dall’educazione che viveva Marvelli e che proponeva agli altri. E di questa diversità era consapevole. In una lettera del 1943 all’amico Gigi Zangheri scrive: «Io faccio un po’ di apostolato individuale e mi preparo, leggendo, e studiando, al lavoro che può attenderci dopo. Più si studia, più appare vasto il campo delle cose che non si sanno. Penso alla responsabilità di colo che hanno ricevuto talenti e non li fanno fruttare».

Valerio Lessi

Siamo fuori dal tunnel? Se si guardano i dati del Rapporto sull’economia del 2017 presentato oggi dalla Camera di Commercio si può dire che sì, qualcuno è riuscito a sbucare fuori dal tunnel. Molti indicatori hanno assunto il segno positivo, perfino nel settore dell’edilizia, quello più massacrato dalla crisi cominciata nel 2008. Ma i dati quantitativi a volte non riescono a fotografare la realtà nei suoi aspetti per così dire qualitativi. Guido Caselli, direttore del Centro Studi dell’Unioncamere regionale, in un brillante intervento ha osservato che fra le nuove imprese che nascono a Rimini al primo posto ci sono quelle addette al commercio di chincaglierie, seguite da quelle di commercio elettronico e da affitta camere (fenomeno Airbnb). Esce bene dal tunnel, - stando all’immagine da lui usata – chi in questi anni ha provveduto ad arredarlo, cioè si è confrontato con le sfide poste dai cambiamenti. Stiamo uscendo dal tunnel, però i posti di lavoro più ricercati in Emilia Romagna sono cuochi, camerieri, personale non qualificato per le pulizie, commesse, operai, solo il 18 per cento delle offerte di lavoro riguarda competenze elevate. Siamo una regione vecchia (in senso demografico), calano le imprese, crescono solo quelle straniere. La prospettiva? Si può tornare ad essere un territorio competitivo se al centro dello sviluppo saranno poste le persone, se ciascuno di noi comincerà dal cambiamento di se stesso. Insomma, per dirla con Giorgio Gaber, che ha fatto da colonna sonora dell’intervento di Caselli, «Un’idea un concetto un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione», solo «se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione».

Veniamo ai dati. Nei settori dell’agricoltura e la pesca sono attive 2.524 con un calo dell1,8 per cento rispetto al 2017. La produzione lorda vendibile è arrivate a 97,1 milioni, con una crescita del 3,4%, grazie soprattutto all’incremento dei prodotti zootecnici (polli e uova) i cui prezzi hanno conosciuto u incremento. Nella pesca sono attive 212 imprese, con un calo dello 0,5% rispetto all’anno precedente.

Sostanzialmente stabile (2.589) il numero delle imprese del settore manifatturiero, nel quale è proseguita la positiva fase congiunturale cominciata nel secondo semestre del 2015.

Il fatturato è risultato in espansione (+4,0%); il fatturato è cresciuto del 3,6%, ed anche gli ordini sono aumentati dell1%. Le previsioni per il primo semestre del 2018 vedono una stabilità nella produzione e un aumento degli ordini dall’estero.

Si diceva del segno positivo nel settore delle costruzioni. Riguarda il monte delle ore lavorate (più di 3 milioni con una crescita dello 0,9%). Va rilevato che il settore è composto per il 69% da ditte individuali e fra queste quelle con il titolare straniero sono il 33,4%. \

Anche nel commercio dove le imprese attive sono 8.962 (-0,4% riseptto al 2017) nelle aziende individuali il 20,5% è straniero. Le vendite al dettaglio nelle imprese commerciali sono calate dell1,3%, permane quindi una crisi dei consumi.

Le imprese artigiane attive al 31 dicembre scorso risultano 9.696 (-0,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Sono in flessione soprattutto le imprese che lavora nelle costruzioni (-1,1%), nei trasporti e nello stoccaggio di merci (-2,2), nell’alloggio e nella ristorazione (-1,6%). Sono invece in aumento (-1,8%) le imprese dedite ala riparazione di computer o di beni per uso domestico. Da segnalare che nel primo trimestre del 2017 la produzione, fino a quel momento in aumento, ha subito una brusca frenata (2,5%).

Riguardo al sistema bancario e credito, prosegue il ridimensionamento strutturale del settore: -4,8% sportelli bancari presenti sul territorio provinciale (260 unità al 31/12/2016). La densità degli sportelli si conferma comunque buona (77 sportelli ogni 100 mila abitanti), con valori superiori alla media regionale e nazionale. In crescita, rispetto al 2016, i depositi (+6,9%), con una media per abitante di 26.818 euro, maggiore di quella nazionale ma inferiore di duemila euro a quella regionale. I prestiti, invece, al netto delle sofferenze, sono in flessione del 3,5% (in modo ancora più netto quelli alle imprese -5,3%). Rimane elevato il tasso di rischio del credito (rapporto sofferenze/prestiti): 15,3%, maggiore del dato regionale (11,9%) e nazionale (9,7%).

Nel 2017, il livello del tasso di occupazione 15-64 anni (63,3%) risulta inferiore al dato medio regionale (68,6%) ma superiore a quello nazionale (58,’%). Il tasso di disoccupazione (15 anni e oltre) è risultato pari al 10,2%, superiore a quello regionale (6,5%) ma sostanzialmente migliore del dato nazionale (11,2%).

Le previsioni Prometeia relative al valore aggiunto (in termini reali) prodotto in provincia di Rimini nel 2017 stimano una crescita dell’1,6%, con un trend analogo per il 2018 (+1,6%) e in rallentamento nel 2019 (+1,1%).

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