L’esperienza è cominciata l’anno scorso, aggiudicandosi anche un premio messo in palio dalla Regione Emilia Romagna, e continuerà, ampliata, quest’anno. È il progetto Marina C’entro, che prevede l’inserimento lavorativo di giovani disabili negli stabilimenti balneari di Rimini. E non come il necessario “omaggio” all’obbligo che hanno le aziende sopra i 15 dipendenti di assumere una certa quota di disabili, ma come esperienza voluta e promossa dagli imprenditori (i bagnini del consorzio Spiaggia Marina Centro).

Questa ed altre storie sono rimbalzate martedì pomeriggio al Club Nautico di Rimini nel corso dell’incontro “Welfare come opportunità territoriale e di sviluppo aziendale” che ha visto un confronto fra Comune, Università, imprenditori e associazioni e cooperative del sociale. Il primo passo per dare vita a un “tavolo sperimentale”, come l’ha definito l’assessore Gloria Lisi, che metta insieme quanti vogliono mettersi in rete sul tema dell’inserimento dei disabili, liberamente e perché sono interessati, e non tanto perché costretti dalle legge.

I passi da fare in questa direzione non sono facili e immediati. La consulente del lavoro Maria Teresa Conti ha ricordato che è ancor molto profonda l’ignoranza delle aziende riguardo ai vantaggi fiscali e contributivi che si ottengono con l’inserimento. Aggiungendo poi che nel nostro territorio il 94 per cento delle imprese è sotto i dieci dipendenti. Ed anche se Luca Carrai, promotore di EthicJobs, una start up riminese che misura la qualità del lavoro percepita dai collaboratori all’interno delle imprese e dare forte visibilità a tutte quelle che già offrono una qualità del lavoro eccellente, ha documentato quanto i comportamenti di acquisto dei consumatori siano determinati da fattori etici e dall’attenzione alla responsabilità sociale delle imprese, a molti l’idea di introdurre disabili in azienda appare semplicemente come un costo, un disagio, un attentato alle esigenze della produttività.

A costoro ha risposto l’esperienza di Stefano Mazzotti, bagnino del bagno 27 di Rimini, che ha raccontato, facendo vedere anche un video, il riuscito esperimento di Marina C’entro. Nell’estate 2017, undici ragazzi, con il coordinamento dell’Enaip e la collaborazione delle associazioni Crescere Insieme e Rimini Autismo, sono stati inseriti nei bagni che vanno dal 19 al 28 (escluso il 23) nelle mansioni di aiutante bagnino, collaboratore dell’animazione e addetto all’Info Point. “Nei rapporti fra noi bagnini – ha raccontato – spesso prevale la rivalità o la diffidenza. L’inserimento sulle nostre spiagge di questi ragazzi ha aiutato un rapporto costruttivo fra di noi colleghi. Il tirocinio formativo si è rivelato uno strumento formidabile per dare dignità alla loro persona. Abbiamo individuato mansioni adatte alle loro capacità e alle loro inclinazioni. Abbiamo chiamato il progetto Marina C’entro per sottolineare che il loro inserimento ha aiutato a mettere la persona al centro dell’azienda”. Ovviamente molto contenti, come ha documentato il video, gli stessi ragazzi protagonisti dell’esperienza di lavoro.

A Rimini è un caso di scuola l’esperienza della Teddy che inserisce stabilmente disabili nel proprio organico ben al di sopra degli obblighi di legge, con l’attenzione, come ha spiegato l’amministratore delegato Alessandro Bracci, a trovare per ciascuno la mansione corrispondente, perché tutti i lavori non sono per tutti. Ma la novità è il campo del turismo e il mondo della spiaggia.

Interessante anche l’esperienza di Loredana Alberti dell’azienda agricola Fungar, che ha documentato un welfare fatto innanzitutto della condivisione quotidiana delle vicende della propria famiglia e di quelle dei collaboratori. In agricoltura ormai da molti anni non si trovano collaboratori italiani, ad accettare il lavoro sono soprattutto stranieri. Alberti ha raccontato che il suo grande obiettivo di welfare è stato quello di disincentivare la pratica delle donne cinesi che dopo aver partorito tornavano al lavoro quasi subito, dopo aver portato il bimbo in Cina da una nonna o da un parente. Con gradualità ha fatto capire che in Italia ci sono strutture come gli asili nido, che si può chiedere la maternità volontaria ben al di là dei mesi obbligatori.

Nel corso dell’incontro è intervenutà anche l’Università che ha raccontato che il campus di Rimini è stato scelto per un progetto sperimentale che accompagni gli studenti disabili non solo durante il corso di studi ma anche nei primi approcci al mondo del lavoro; ed è stata ascoltata la testimonianza di Giordano Pecci, imprenditore e genitori di due figli disabili, secondo il quale un genitore non cercare di “sistemare” i figli ma cerca collaborazione con le aziende per un progetto di vita che li coinvolga.

Il futuro dirà se da questo “tavolo sperimentale” nascerà qualcosa di nuovo e di più ampio per favorire l’inserimento di disabili nel mondo del lavoro.

A Rimini ci sono in prima linea due Hotel, il Lungomare e l’Artis, dove nello stesso immobile convivono alcuni piani di appartamenti e un albergo. Ma non si chiamano Condhotel. Perché? Ride alla domanda Aureliano Bonini, di Trademark Italia, esperto di turismo decisamente contrario allo “stravolgimento” dell’idea di condhotel così come è stata recepita dalla legge italiana. “Immagino – risponde - che non si chiamino Condhotel perché non lo sono. Sono appartamenti residenziali dei quali i titolari hanno la piena proprietà. Hanno usufruito di una vecchia legge che era stata usata anche da alcune strutture di viale Trieste e viale Cormons, che poi mi risulta abbiano chiuso l’attività alberghiera. I Condhotel sono un’altra cosa ed è bene fare chiarezza. Con la legge che è stata approvata avremo strutture, metà albergo e metà condominio, dove quando il cliente arriva in camera potrà scoprire che il suo vicino sta cuocendo la verza con la porta aperta per fare girare l’aria e che nel corridoio del piano di sotto si organizzano barbecue party e spaghettate”. A Bonini piace usare immagine colorite per spiegare come l’idea di condhotel che si è fatta strada non sia quella giusta.

Proviamo allora a spiegare cosa dovrebbe essere un autentico condhotel. “L’idea – afferma Bonini – nasce in Riviera per rispondere a problemi come quelli del Savioli di Riccione per il quale una ristrutturazione a albergo di qualità ha costi enormi, con l’esigenza di finanziamenti altrettanto consistenti. Allora una via di uscita può essere il Condhotel, una parte dell’immobile viene destinata a appartamenti di lusso, da vendere a 12 mila euro al metro quadro a clienti ricchi, russi ed arabi. La consistenza della struttura è tale che rimane un congruo numero di camere per l’Hotel, che può organizzarsi con servizi di qualità, quali ad esempio due ristoranti diversi fra loro. Perché il cliente tipico del condhotel non è quello che cucina in appartamento ma va al ristornate tutti i giorni. Ci saranno in Italia trenta, quaranta strutture alberghiere che possono aspirare a diventare condhotel perché sono a cinque stelle, in posizione di prestigio. Arrivata a Roma questa idea di condhotel è stata stravolta dalla politica e dalle pressioni delle associazioni degli albergatori che hanno voluto che questa possibilità fosse per tutti”.

In effetti, a parte le riserve del Comune di Rimini che teme speculazioni immobiliare e impoverimento della rete ricettiva, c’è molto entusiasmo per questa legge, la Regione Emilia Romagna ha annunciata entro l’estate varerà il proprio regolamento. “La legge prevede che possa essere destinata ad appartamenti il 40 per cento della superficie delle camere. La maggior parte delle strutture ricettive della Riviera ha un numero limitato di camere, se si toglie il 40 per cento cosa resta? Può funzionare un albergo con dieci, venti camere? Dopo qualche tempo, anche prima del limite dei dieci anni, sarà inevitabilmente chiuso. Inoltre saranno hotel che per forza di cose fanno solo bed and breakfast, l’albergatore nel mese invernale diventa il semplice custode della struttura. Se gli alberghi vengono trasformati in squallidi condomini, nei quali i proprietari vanno ad abitare, dove giustamente lavano e stendono i panni sul balcone, o se piove, nel corridoio... dell’hotel, l’albergo a cosa serve ancora? Può anche chiudere. In queste condizioni, ai condomini non servono i servizi alberghieri, non serve il ristorante, non serve neanche la pulizia. Aggiungo una cosa: i nostri alberghi sono nella stragrande maggioranza stagionali, mentre l’idea di condhotel presuppone una struttura alberghiera aperta tutto l’anno”.

Eppure l’idea di poter vendere il 40 per cento delle proprie camere come appartamenti affascina e tenta molto gli albergatori. “Ma i condhotel – insiste Bonini – sono un’altra cosa. Hanno senso per hotel di lusso, dove si realizzano appartamenti che hanno quattro letti in due camere distinte, dove chi li compra esige servizi di qualità, vuole andare al ristorante in hotel potendo scegliere fra un gourmet e un altro comunque caratterizzato. Il condhotel non può essere ridotto al “buco” al mare dove andare a trascorrere le vacanze”.

Se c’è entusiasmo, è perché viene vista come una possibilità di riqualificare strutture alberghiere che altrimenti non riescono a stare più sul mercato. Si guarda alla possibilità di reinvestire nell’hotel ciò che entra vendendo gli appartamenti. “Se gli albergatori continuano a gestire le loro strutture, significa che al di là delle loro dichiarazioni dei redditi da 8.700 euro all’anno, ci guadagnano. L’anno scorso hanno avuto una stagione splendida. Se con 59 giorni di lavoro all’anno riescono a mantenersi, possono continuare a farlo”.

Il rapporto fra cattolici e politica è per definizione un tema caldo, capace di suscitare polemiche anche feroci e vedute contrastanti. Ne è un esempio anche la storia non troppo lontana dei cattolici riminesi, dove non sono mancate vivaci discussioni e scelte diverse. Giovedì sera è accaduto un fatto curioso: alla stessa ora, in due luoghi diversi della città, promossi da soggetti diversi, ci sono stati appunto due incontri su cattolici e politica. Al cinema Tiberio, organizzata dal Centro internazionale Giovanni Paolo II, era in programma una conferenza del professor Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio sulla dottrina sociale della Chiesa intitolato al cardinale vietnamita Van Thuan. Il taglio dell’incontro era già ben esplicitato dal titolo, “Esserci” e dal sottotitolo “I cattolici in politica non ci sono più per il semplice fatto che da molto tempo hanno cessato di esserci nella società e nella cultura”. Al Museo della Città l’Azione Cattolica aveva invece invitato il suo presidente nazionale Matteo Truffelli e il riminese Piergiorgio Grassi, a lungo direttore della rivista Dialoghi, a presentare i loro ultimi libri, sotto il titolo “I cristiani e la politica in questo passaggio d’epoca”. Il libro di Truffelli verte su “La P maiuscola. Fare politica sotto le parti”, pubblicato a un anno di distanza dall’udienza di Francesco all’Azione cattolica, quando il pontefice invitò gli aderenti alla storica associazione a “mettersi in politica”, precisando a braccio “nella politica con la P maiuscola”.

Stesso giorno, stesso tema, ma due approcci radicalmente diversi. Fontana, introdotto da Marco Ferrini, è partito da un’analisi spietata della situazione attuale che vede dal 2007 i vescovi italiani dall’astenersi dal pronunciamento su importanti questioni politiche. Si limitano a invitare alla partecipazione, senza giudicare i contenuti in gioco; dei principi non negoziabili non si parla più; si è dimenticata la nota di Ratzinger sulla proibizione ai cattolici di partecipare a movimenti e partiti politici in contrasto con la Chiesa; si è ridotto il bene comune alla società multi religiosa; sono stati rovesciati i temi che contano, non più vita, famiglia ed educazione, ma lavoro, ambiente e immigrazione; si promuove una pastorale della carità disancorata dalla verità. La tesi di Fontana è che non basta “Esserci”, ma bisogna esserci nel “modo giusto”, perché una presenza non declinata secondo criteri di verità produce esiti peggiori dell’assenza. Il cambiamento di paradigma in atto riduce la presenza dei cattolici a qualcosa di innocuo, senza nemici contro cui combattere, senza leggi inique da contrastare, ma con atteggiamento dialogante, “in uscita”, alla ricerca del consenso del mondo. Si stigmatizza come muscolare e arrogante ogni tentativo di presenza diversa, si privilegia quella indifferente alla verità, sotto l’influsso di teologie narrative ed esistenziali. I cattolici devono solo dire dei sì, accogliere, integrare. Così si finisce per non esserci, illudendosi di esserci ancora. La risposta, secondo Fontana, non può che essere un rilancio della dottrina sociale della Chiesa, non ridotta però ad un manuale delle giovani marmotte, ma con il compito di creare un posto per Dio nel mondo. I cattolici devono sapere che l’ordine naturale ha bisogno di un ordine soprannaturale, e invece lo stesso concetto di ordine naturale, derivante dalla creazione, è oggi considerato superato. Non si costruisce il bene comune senza affermare la centralità di Cristo, altrimenti i cattolici sono come quei medici ed infermieri che assistono un malato senza conoscere la malattia. La dottrina sociale deve riaffermare la pretesa del cristianesimo di essere portatore della verità, senza la quale nemmeno la politica può sussistere. Per una ripresa di coscienza del popolo cristiano non ci si può aspettare nulla dai dicasteri della Santa Sede o dalle diocesi, occorre ripartire dal basso. Per questa ragione il suo Osservatorio organizza in giro per l’Italia scuole di formazione che ripropongono l’autentica dottrina sociale della Chiesa, saldamente ancorata ad una filosofia ed una teologia cattoliche.

Le domande del pubblico hanno consentito al relatore di specificare meglio la sua impostazione. Ha così espresso la sua distanza da categorie cristiane come incontro con Cristo, fatto, avvenimento, perché a suo giudizio mettono in secondo piano che Cristo è il Logos, il legislatore universale, e quindi che il cristianesimo si esprime in dottrina e regole. Rispondendo ad una domanda sull’esclusione delle radici cristiane dalla costituzione europea, ha sostenuto che la gravità non sta tanto nel fatto che così si dimenticano le radici storiche del continente, ma perché così non si riconoscono i contenuti del cristianesimo quale unica religione vera, indispensabile punto di riferimento per ogni costruzione sociale.

Diverso l’approccio del presidente dell’Azione Cattolica Truffelli, che anche nel suo libro ha ribadito una posizione presa di mira da Fontana.

“Come associazione laicale fortemente orientata alla formazione, - afferma - non intendiamo affrontare i tanti temi del nostro tempo avendo come obiettivo principale quello di esprimere un’opinione in merito su tutti gli aspetti della vita sociale e politica, di dire “come la pensiamo” o, come si dice spesso, di “prendere posizione”. La nostra preoccupazione non deve essere tanto quella di dire ad altri cosa pensare, ma fare tutto il possibile per spingere e aiutare chiunque a pensare, e a farlo in maniera critica e consapevole, circostanziando e argomentando le proprie convinzioni”.

Ed ancora: “La risposta alla difficoltà che molti possono legittimamente incontrare rispetto al tentativo di formarsi un’opinione criticamente consapevole non può essere quella di offrire loro giudizi chiari preconfezionati, dei sì o dei no pronunciati da qualcun altro. Vorrebbe dire, in fondo, rimanere legati a un modo “clericale” di pensare l’Azione cattolica e il suo rapporto con la cultura, ma anche con i propri aderenti, rispetto ai quali l’associazione finirebbe per autoattribuirsi il compito di fornire un’opinione autorevole cui ispirarsi o, peggio, adeguarsi. Anche questo secondo me è clericalismo, a prescindere che sia praticato dai chierici o da noi laici: la convinzione di essere chiamati a pensare e decidere per altri, spiegando loro cosa pensare, illudendoci, così, di concorrere realmente a cambiare le cose”.

È evidente come ci sia una distanza da colmare, un approfondimento necessario, volto a condividere quale sia il metodo di presenza più adeguato nel contesto odierno . Buongiorno Rimini è disponibile ad ospitare il dibattito.

"Esserci", è titolo di un incontro pubblico in programma giovedì 10 maggio alle ore 21:00 al Cinema teatro “Tiberio” di Rimini (Borgo San Giuliano) con Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina sociale della Chiesa che pubblica bollettini e rapporti sull’argomento, organizza scuole ed è a capo di un network internazionale tra Italia, Spagna, Perù, Argentina e Polonia.


Secondo il relatore invitato,  «I cattolici in politica non ci sono più per il semplice fatto che da molto tempo hanno cessato di esserci nella società e nella cultura. In politica vince chi semina idee e forma le menti: si deve re-iniziare un cammino di formazione».

L’organizzazione dell’incontro è del “Centro Internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero Sociale della Chiesa”, di cui è presidente onorario l’arcivescovo emerito di Ferrara mons. Luigi Negri.


Dice al proposito uno degli organizzatori, Marco Ferrini: «Ci riuniamo giovedì sera, invitando con la massima apertura tutti gli interessati al tema, con un intento costruttivo e non per lamentarci di quello che non va. Sfidiamo noi stessi e i tanti amici, oggi dispersi in mille rivoli, a ritrovare le ragioni di una rinnovata presenza culturale, sociale, civile e, perché no, politica».

Chiusa la burrascosa assemblea di domenica scorsa, che ha approvato il bilancio 2017 ed eletto due nuovi membri del consiglio d’amministrazione, la Banca Popolare della Valconca guarda ora al prossimo traguardo, molto vicino, della trasformazione in Spa, condizione necessaria perché si possa sperare che qualche investitore decida di salvare l’istituto di credito di Morciano.

“L’assemblea straordinaria – conferma il presidente Massimo Lazzarini, da diciotto anni alla guida della banca – è già convocata per il 30 giugno e il 1 luglio. Quello della trasformazione in Spa è solo il primo passo, poi si tratterà di vedere se riusciamo a concludere un accordo con un altro istituto o con un fondo di investimento”.

Ma su questo argomento si parte da zero o c’è già un cantiere aperto? “Alla fine dello scorso anno – informa Lazzarini – abbiamo affidato l’incarico ad un advisor di calibro internazionale come Deloitte, che ha appunto il compito di individuare un possibile partner. Abbiamo già ricevuto molti rapporti su contatti avviati, ma fino a questo momento non è aperta una concreta trattativa. Deloitte ha tempo fino alla fine del 2018 per concludere il suo lavoro. Speriamo che sia fruttuoso e abbia una conclusione positiva e non finisca come i precedenti incarichi affidati ad advisor italiani”.

Si è parlato di un possibile interessamento del fondo Lowi, lo stesso che ha “salvato” il Credito di Romagna… “Sono indiscrezioni al momento prive di fondamento. Anche le voci sulla somma necessaria (si è parlato di 75 milioni, ndr) non hanno alcun riscontro. Aspettiamo i risultati del lavoro di Deloitte”.

Visti i bilanci in rosso accumulati nei quattro anni precedenti e il volume delle sofferenze, i piccoli azionisti temono di veder svalutato enormemente il proprio investimento. “Il punto – sostiene Lazzarini – è che se avessimo la possibilità di rientrare con le sofferenze con i tempi lunghi della giustizia italiana, forse riusciremmo a incassare somme meno svalutate. Ma la Bce esige che i crediti in sofferenza siano venduti entro due anni, quindi abbiamo tempo fino a tutto il 2019. E se dobbiamo vendere ad un fondo specializzato in queste operazioni, il prezzo non lo stabiliamo noi, ma il fondo stesso”.

Facciamo un passo indietro: come si è arrivati a questa situazione? “Noi – afferma il presidente – non ci lasciamo lasciati coinvolgere dalla bolla immobiliare. Abbiamo erogato mutui ipotecari fino al massimo dell’80 per cento del valore dell’immobile. Il problema, per fare un esempio, è che se l’immobile finanziato prima della crisi valeva 100, adesso vale 50, con tutte le conseguenze che ne derivano”. Non avete erogato con troppa facilità crediti a imprese o privati non affidabili? “Ci sono imprese che erano solide e con una posizione leader sul mercato. La crisi le ha portate al fallimento. Quando le abbiamo finanziate la crisi non c’era e le imprese erano assolutamente affidabili”. Magari vi siete lasciati prendere dalla mania di grandezza, aprendo agenzie a destra e a manca? “Abbiamo raggiunto il massimo di 31 sportelli nel territorio che va da Savignano sul Rubicone a Fano, quindi sostanzialmente siamo rimasti legati al nostro territorio. Già nel 2017 gli sportelli sono scesi a 26 e nel corso dell’anno arriveremo a 25. Stimo cercando di razionalizzare la nostra rete. Il bilancio 2017 si è chiuso con un utile di quasi un milione ed il patrimonio si aggira sui 106 milioni ”.

Rimane però una grossa incognita sul futuro…”Possiamo dire – conclude Lazzarini - che siamo a metà del guado. L’azione di risanamento è cominciata ma per concluderla positivamente abbiamo bisogno di trovare un partner. Per questa ragione ci trasformiamo in Spa e abbiamo affidato l’incarico a Deloitte”.

Sembra che con il nuovo consiglio d’amministrazione e con l’amministrazione delegato Ugo Ravanelli, si faccia qualche passo concreto per la quotazione in Borsa di IEG, Italian Exibition Grroup, la società fieristica.

Nella riunione del consiglio d’amministrazione di lunedì 7 maggio se ne è discusso ampiamente e si è dato a Ravanelli l’incarico (in precedenza mai assegnato, sottolinea la nota ufficiale di IEG) gestire e/o coordinare tutte le attività e relazioni con Consulenti, Advisor e operatori finanziari nell’ambito del piano di apertura della Società ai mercati finanziari e azionari.

La prima attività verso la quotazione è infatti la selezione del team di consulenti per l’IPO (Initial Public Offering) previsto dai Regolamenti di Borsa Italiana. La figura cruciale nell’ambito di questo team è quella dello “sponsor” che, come avviene nella maggior parte dei casi, svolgerà probabilmente anche il ruolo di coordinatore globale dell’offerta (Global Coordinator) con anche il compito e l’impegno di collocare sul mercato i titoli della Società che verrà quotata.

Nei prossimi giorni, informa la nota di IEG, verrà attivata dallo stesso amministratore delegato la classica procedura per giungere alla distribuzione degli incarichi, avendo quale punto di partenza i risultati emersi da una pre-selezione svolta dal precedente Consiglio di Amministrazione che aveva affidato tale compito, al team composto dal Vice Presidente Matteo Marzotto, dai Consiglieri Daniela Della Rosa e Lucio Gobbi e dal CFO Carlo Costa.

La decisione di nominare uno o più coordinatori globali verrà presa nelle fasi immediatamente successive.

Tutti sono preoccupati per eventuali elezioni politiche nel bel mezzo dell’estate. E non perché ci vanno di mezzo le vacanze, quanto perché giustamente si ha paura delle conseguenze che questa prolungata fase di instabilità può portare all’economia del paese, e quindi alle tasche dei cittadini elettori. Da qualsiasi parte la si voglia prendere, non è una cosa utile e risolutoria questo andare alle urne pochi mesi dopo il voto del 4 marzo.

Per il sindaco di Rimini Andrea Gnassi è addirittura una tragedia, ma non per i motivi che abbiamo ricordato, ma perché se si votasse l’8 luglio ne soffrirebbe la Notte Rosa, il capodanno dell’estate, il suo giocattolo preferito. È il classico caso in cui una breve sosta, un respiro anche veloce prima di aprir bocca, avrebbe evitato il ridicolo. Pare infatti che l’8 luglio in ogni caso non si voterà mai, già telegiornali e radiogiornali della serata di ieri ipotizzavano, eventualmente, il 22 luglio.

Gnassi vorrebbe dare un respiro nazionale e internazionale alla città, ha dato del gas ai motori culturali, sogna una Rocca che dialoga con il Teatro e fa la concorrenza all’Arena di Verona, e poi scivola miseramente sul provincialismo più becero. Le urne estive sono un attentato alla Notte Rosa! Par di capire che, secondo il sindaco, il presidente Mattarella, prima di decidere la data delle elezioni, dovrebbe chiamare tutte le pro-loco d’Italia e trovare un buco per votare fra la sagra dell’anguilla, un motoraduno, il cinema sotto le stelle e le risate coi comici in piazza. Non si voterà l’8 luglio, la Notte Rosa sarà salva, resta grave la situazione dell’Italia.

Diciamola in modo soft: se Gnassi voleva fare una dichiarazione contro il voto anticipato, ha sbagliato argomento. O forse la lingua batte dove il dente duole…

E' stata molto calda, come previsto e come annunciato, l'assemblea dei soci della Banca Popolare della Valconca. Calda perchè molti piccoli azionisti hanno approfittato dell'assemblea per manifestare, con toni molto accesi, il loro malumore nei confronti dell'attuale dirigenza. Non si è invece parlato del futuro, che sarà certamente al centro dell'assemblea straordinaria già convocata per il 30 giugno (prima convocazione) e il 1 luglio (seconda convocazione) per decidere la trasformazione in Spa.

L'assemblea, nonostante alcuni piccoli azionisti avessero invitato a votare contro, ha comunque approvato il bilancio consuntivo 2017, che dopo quattro anni di perdita si è chiuso con un attivo di circa un milione. Hanno vottao a favore in 1243, i voti contrari sono stati 144  e gli astenuti 38.

L'assemblea doveva eleggere anche due nuovi membri del consiglio d'amministrazione, e in questo caso si è vista la potenza di fuoco dei dipendenti soci che hanno mostrato di controllare la banca. Per i due posti in consiglio d'amministrazioni sono risultati eletti i nomi da loro proposti, e cioè Marino Gabellini (696 voti) e Sandro Muccioli (589 voti). I due consiglieri uscenti sono arrivati molto distanti: Gasperoni 223, Piccioni 237. La forza dei dipendenti soci risulta anche dal fatto che l'eletto Muccioli nemmeno si era candidato.

La giunta regionale dell’Emilia Romagna ha salutato con favore, anzi con molto entusiasmo, la notizia che una cordata di imprenditori romagnoli si è candidata la rilevare la gestione dell’aeroporto di Forlì. Il presidente Stefano Bonaccini e l’assessore Raffaele Donini hano annunciato che saranno al loro fianco per “definire il fabbisogno infrastrutturale collegato al piano di sviluppo, così come abbiamo fatto con Bologna, cantierando il People Mover e con Parma”. Non si ricordano analoghe entusiastiche dichiarazioni riguardo alla ripartenza dell’aeroporto di Rimini aggiudicato nel 2014 ad Airiminum.

“Nessuna differenza di trattamento. – assicura a buongiorno Rimini l’assessore Donini – Riguardo agli aeroporti noi non possiamo entrare nelle società e partecipare alla gestione. Siamo invece disponibili, e lo siamo per tutti i quattro aeroporti della regione, Bologna, Parma, Forlì e Rimini, a realizzare interventi di adeguamento infrastrutturale per sostenere lo sviluppo degli scali. A Bologna abbiamo partecipato alla realizzazione del Pepole Mover, il sistema di trasporto che collegherà velocemente la stazione ferroviaria con l’aeroporto. A Parma, che ha una naturale vocazione alla logistica, abbiamo sostenuto il loro progetto di sviluppo del traffico cargo con un investimento di dodici milioni per l’allungamento della pista, in modo che possano atterrare aerei di una certa dimensione. Riguardo a Rimini in questi anni mi sono più volte incontrato con l’amministratore Leonardo Corbucci. Siamo in attesa che presentino il loro piano industriale e insieme vedremo quali sono le necessità di Rimini. Si è già accennato ad un collegamento dell’aeroporto con la stazione ferroviaria e con il Trc e si è anche valutata la possibilità di un collegamento più veloce con l’A14. A Forlì, qualora la cordata che ha presentato la candidatura dovesse aggiudicarsi la gestione, valuteremo ciò di cui abbiamo bisogno. Per Forlì siamo pronti ad un impegno in più. Chiederemo che nel prossimo piano degli aeroporti, il Ridolfi torni ad essere inserito fra gli aeroporti di interesse nazionale. Nell’ultima classificazione ne era stato escluso, crediamo sia giusto che nel prossimo piano torni ad essere inserito”.

Ma c’è spazio in Romagna per due aeroporti a cinquanta chilometri uno dall’altro?

“Questo lo dirà il mercato, non possiamo essere noi a stabilirlo a tavolino. In Emilia Romagna può esistere un sistema integrato degli aeroporti, con Bologna che assolve al ruolo di hub nazionale e internazionale che viaggia verso i dieci milioni di passeggeri, solo se le varie società di gestione sapranno specializzare il loro scalo su vocazioni specifiche”.

E quali dovrebbero essere?

“Mi sembra che la vocazione naturale di Rimini possa essere quella turistica e fieristica. Fatto salvo che tutti fanno tutto, è importante che ci possa essere un buon livello di caratterizzazione. Ogni aeroporto, in modo autonomo, deve cogliere le potenzialità che sono offerte dal territorio e imboccare la propria strada. E la Regione è al fianco di ciascuno per le necessarie dotazioni infrastrutturali”.

Finanziamenti per sostenere le compagnie low cost?

“Sono pratiche vietate dalla legge e dalla normativa europea. Si configurerebbero come aiuti di Stato. Noi ci concentriamo sulle infrastrutture. Gli aeroporti presentino le loro proposte, insieme si discute e ciò che si può fare si farà”.

In anticipo rispetto ai tempi tecnici dell fusione (previsti a settembre) in tutte le agenzie dell'ex Banca Carim sono comparsi in questi giorni le insegne di Crèdit Agricole, la banca che ne è diventata proprietaria.

Anche dal puntodi vista visivo, il mondo bancario riminese è cambiato, è finita un'epoca.

Fa sorridere il fatto che, nell'epoca del trionfo dell'immagine, quest'ultima, appunto, si sia affermata prima del completamento degli adempimenti tecnici.

Nella foto, l'agenzia di piazza Marvelli dove in alto "resiste" la vecchia Banca Carim,

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