Rimini 2016. Chi sfiderà il Pd? Qualche indicazioni dall’ultimo voto in Romagna
Rimini 2016. Chi sfiderà il Pd? Qualche indicazioni dall’ultimo voto in Romagna
Al di là delle ripercussioni che ci potranno essere sul corso politico nazionale, dalle città in cui si sono appena svolte le elezioni comunali emergono alcune indicazioni probabilmente applicabili anche al voto riminese del 2016. Prendiamo ad esempio quanto è successo proprio qui vicino, nel comune di Faenza.
In sintesi, il sindaco uscente del Pd, Giovanni Malpezzi, non è riuscito ad essere eletto al primo turno (come era successo alla tornata precedente) e, pur sostenuto dal suo partito, dall’Idv e da due liste civiche (Insieme per Cambiare e La Tua Faenza), si è fermato al 45,01%. Al ballottaggio ha così dovuto affrontare, per la prima volta nella provincia di Ravenna, un candidato leghista. Gabriele Padovani, sostenuto dalla Lega Nord e dalla lista civica Padovani sindaco, ha infatti ottenuto al primo turno il 20,34% dei consensi. Superiore dunque al risultato del Movimento 5Stelle che è risultato il terzo partito della città (14,42%) e anche a quello di Forza Italia che, insieme a Fratelli d’Italia, Nuovo Psi e altre liste, ha messo insieme un magro 3,9%.
Al ballottaggio, poi, Malpezzi (Pd) è risultato vincitore, con uno scarto comunque non esaltante, confermando che nella situazione politica attuale – una volta innescato il secondo turno di votazioni – tutto può accadere. Che la somma dei voti quasi ricalchi i numeri del primo turno significa invece che le due parti hanno saputo confermare i propri elettori del primo turno e, pure, che quelli che ancora decidono di andare a votare sono disposti a farlo anche una seconda volta a distanza di quindici giorni (come a dire che l’astensionismo è infine riuscito a mangiarsi tutti quelli che, prima, almeno una volta ci andavano).
Ma il fatto principale cui Faenza ci costringe a guardare è quella tripartizione del voto che costituisce la vera minaccia per i sindaci in carica, chiunque essi siano.
Malpezzi è giovane, un renziano della prima ora, non ci sono scandali che lo riguardino, gode di una buona reputazione amministrativa, eppure oggi, a differenza di cinque anni fa, non aveva alcuna possibilità di evitare il ballottaggio.
Il motivo, tutti lo sanno, è l’ingresso sulla scena politica del movimento fondato da Grillo e Casaleggio. Si poteva pensare che il fenomeno si sarebbe sgonfiato. Oggi, dopo Mafia Capitale, così come dopo ogni nuovo arresto per corruzione, è difficile continuare a crederlo. Così, erodendo a destra e a sinistra, il terzo polo, quale sono oggettivamente i 5Stelle, impedisce praticamente a chiunque di vincere al primo turno.
L’analisi successiva, che riguarda il centrodestra, va inquadrata dunque – anche nel nostro caso – in questa situazione precisa. E soprattutto ci fa guardare alle prossime elezioni riminesi come a uno scontro tra le opposizioni su chi andrà a confrontarsi con il candidato del Pd al secondo turno.
Mentre quest’ultimo farà corsa in proprio, forte di una dote storica che, magari non gli consentirà di vincere al primo turno, ma certamente gli garantirà un posto al ballottaggio, a destra, ci si scontrerà per la supremazia delle opposizioni.
Dei grillini abbiamo già detto. Se la magistratura continuerà a scoprire episodi di malaffare, le loro percentuali sono destinate a restare importanti. Non parliamo poi del caso in cui questi episodi tocchino la classe politica riminese (e sappiamo che non è una ipotesi infondata, visto che i tempi del rinvio a giudizio per gli episodi di Aeradria potrebbero arrivare a lambire la campagna elettorale prossima).
A destra, certo, la Lega vanterà i risultati ottenuti per sedersi attorno al tavolo delle trattative e chiedere un proprio candidato sindaco. Non sappiamo cosa possano opporle gli altri partiti, ma è sicuro che la battaglia del centrodestra per arrivare al ballottaggio, cioè superando i grillini, non può esulare da un accordo con il partito di Salvini (se pure, a Rimini, i numeri saranno certamente inferiori a quelli di Faenza).
Anche perché i numeri di Forza Italia rischiano di essere davvero imbarazzanti (a meno di qualche trovata o, chissà, qualche decisione politica vera, che, dal nazionale, scuota il popolo berlusconiano).
Con questi numeri, si capisce bene che se il centrodestra vuole superare i grillini e portare un proprio candidato al ballottaggio con Gnassi, o con chiunque sia il candidato del Pd, devo pensare di sedersi attorno a un tavolo e mettere insieme tutte le forze di cui dispone.
Tutti i protagonisti e i capilista lo sanno bene. E probabilmente, la stasi delle diverse formazioni in questo momento (di cui parliamo a fianco) costituisce l’ultimo periodo per ognuna di esse per definire i propri vantaggi competitivi nella trattativa (chi può portare relazioni, chi risorse per la campagna elettorale, chi candidati, chi idee, …). Anche se è probabile che, alla fine, comanderà chi metterà sul tavolo la candidatura più credibile.
Sempre che, al ballottaggio, vogliano davvero arrivarci tutti, superando scelte identitarie (al solo fine di massimizzare i propri voti) e trovando in fretta un accordo.
Rimini 2016 | I vagiti delle civiche, le macerie dei partiti, l'incognita dell'alternativa
Rimini 2016 | I vagiti delle civiche, le macerie dei partiti, l'incognita dell'alternativa
Ma nel 2016 ci sono le elezioni a Rimini? La domanda è tutt’altro che provocatoria, se si osserva attentamente ciò che offre la cronaca politica. È vero che ormai siamo entrati nella stagione turistica, e si sa che d’estate inevitabilmente la politica rallenta il passo. A dire il vero anche nei mesi precedenti non si è visto un gran movimento, tale da far pensare che si avvicini la data delle urne.
Per qualche mese la scena è stata dominata dal fiorire una dopo l’altra di presunte liste civiche. Diciamo presunte, perché Dreamini, dopo l’annuncio, ha fatto un passo indietro per ritagliarsi un altro ruolo; Progetto Rimini non ha ancora fatto sapere cosa vuole fare da grande; Vincere per Rimini è sparita dopo aver fatto una conferenza stampa. Questo movimento lasciava intravedere un desiderio di protagonismo civile che ancora non è chiaro se e in che modo si tradurrà in una partecipazione alla prossima competizione elettorale.
Se le liste civiche, che non hanno alle spalle un’organizzazione consolidata, emettono comunque qualche vagito, i partiti sono completamente assenti.
A partire da quello che tradizionalmente è il più radicato nel nostro territorio. Il Pd infatti è sparito dalla scena politica, non si è sentita la sua voce su nessuno dei temi di volta in volta emergenti. L’unico uomo di partito che occupa ampiamente lo spazio pubblico è il sindaco Andrea Gnassi che detta l’agenda alla città con la sua vision, i suoi progetti, il suo calendario di eventi.
Ancor più desolante appare il panorama delle macerie fumanti del centrodestra riminese che riflette specularmente quello nazionale. I tg nazionali propongono veline in cui si prefigura una prossima riorganizzazione del centrodestra, ma appare evidente che si tratta di una liturgia senza contenuti e senza corrispondenza sul territorio. A Rimini il gruppo in consiglio comunale è diviso e sfaldato e si potrebbe attribuire un premio a chi è in grado di attribuire esattamente l’appartenenza politica a ciascun consigliere del defunto Pdl. Forza Italia è stata di fatto commissariata qualche mese fa e il nuovo coordinatore provinciale, in attesa di lumi dall’alto, non è riuscito nemmeno a nominare i responsabili comunali, fra cui quello di Rimini. Ncd si fa vivo con qualche estemporanea dichiarazione del suo parlamentare Sergio Pizzolante. Fratelli d’Italia si affida all’attivismo in consiglio comunale di Gioenzo Renzi. La stessa Lega, che non manca di fare dichiarazioni sorprendenti sui forti candidati sindaco che avrebbe nel cilindro, non la si ritrova poi a marcare il territorio come era nelle sue tradizioni “nordiste”.
Tutti i partiti di centrodestra e le liste civiche, con l’eccezione di Progetto Rimini, si ritrovano intorno al tavolo dei contenuti allestito da Dreamini da quando ha rinunciato alla discesa in campo diretta. È l’unico cantiere che risulta aperto, ma è ancora presto per capire a cosa approderà.
L’altra opposizione, quella a 5 Stelle, appare concentrata sull’attività istituzionale in consiglio comunale (a parte la routine in rete e nei meet-up).
Cosa dunque succederà a Rimini nel 2016? Una variabile decisiva è se Gnassi sarà ancora candidato. L’incognita è rappresentata dall’eventuale rinvio a giudizio per il caso Aeradria. Lui ha fatto sapere che si ricandiderebbe comunque, ma nel Pd c’è chi aspetta la decisione dei magistrati per rimettere tutto in discussione. Se Gnassi sarà il candidato, la partita si presenterà difficile anche per un competitor di alto livello, ammesso che le opposizioni riescano a metterlo in campo. Fra le opposizioni – centrodestra e grillini – ci sarà comunque la battaglia per arrivare secondi. La nuova variabile messa in campo dall’Italicum è più che mai attuale per le amministrative. Nel 2011 era scontato che a portare Gnassi all’eventuale ballottaggio sarebbe stato Gioenzo Renzi, ma da allora gli andamenti elettorali sono notevolmente cambiati e i grillini hanno tutte le carte in regola per concorrere all’obiettivo.
In una città come Rimini contano i candidati e contano le proposte amministrative, ma più che in località come Bellaria o Riccione conta anche il voto di opinione (ed è ciò di cui sembra non tener conto Pizzolante nella sua recente intervista al Carlino in cui prefigura facili vittorie). E verosimilmente il voto a Rimini sarà influenzato da alcuni fattori che è già possibile delineare. Si andrà a votare insieme a città come Milano e Torino, e probabilmente anche Roma, ed il premier Renzi ha già fatto capire che imposterà il voto come un referendum su se stesso, sul proprio governo, sul proprio tentativo di cambiare l’Italia. Si tratta poi di vedere quanto gli scandali bipartisan facciano riprendere quota ai grillini che possono presentarsi come quelli che sono immuni dalle inchieste della magistratura. Un’onda lunga favorevole potrebbe anche portarli al ballottaggio, specialmente se l’area del centrodestra non avrà trovato unità e candidati forti a livello locale e sconterà una mancata riorganizzazione a livello nazionale che la smarchi dall’egemonia di Salvini.
C’è da augurarsi che, passata la pausa estiva, la politica riminese offra spunti e novità che mettano gli elettori nella condizione di una scelta ragionata. Altrimenti c’è il rischio di un assenteismo da paura e della vittoria a tavolino di chi ha il vantaggio della gestione del potere.
La Caritas unisce albergatori e bagnini nella lotta allo spreco di cibo
La Caritas unisce albergatori e bagnini nella lotta allo spreco di cibo
Albergatori, bagnini e ristobar della spiaggia uniti in un’azione benefica promossa dalla Caritas di Rimini. La “santa alleanza” fra categorie turistiche spesso non inclini al dialogo e alla collaborazione avviene intorno alla campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro” con cui la Caritas vuole sensibilizzare turisti e riminesi intorno al tema della fame cui corrisponde scandalosamente uno spreco di cibo. È una campagna che nei mesi scorsi ha coinvolto circa 1500 ragazzi delle scuole e che nell’estate vuole andare a conquistare il popolo delle vacanze.
La prima azione prevede che i bagnini aderenti all’iniziativa vendano ai turisti, con offerta libera, la maglietta con il logo dell’iniziativa. Con gli utili auspicati (3 euro a maglietta) la Caritas pensa di sostenere i propri interventi a favore delle famiglie più bisognose che hanno necessità di generi alimentari.
La seconda azione coinvolge più direttamente albergatori e ristobar: ogni giorno sarà organizzata la raccolta di quei cibi (pane, pizzette, brioches senza ripieno) che avanzano e che possono essere utilmente distribuiti nelle mense promosse dalla Caritas.
In ogni locale coinvolto ci sarà inoltre un quaderno a disposizione dove gli ospiti sono invitati a descrivere le ricette che fanno con quelli che semplicemente si chiamano avanzi. La fantasia al potere per trovare nuove forme di riciclo dei cibi. Tutte le ricette così ottenute saranno poi pubblicati in un’apposita sezione dei siti della Caritas riminese e nazionale.
Anche nel periodo estivo continuerà l’azione nei confronti dei bambini. Una volta alla settimana, in un parco giochi ogni volta diverso, sarà organizzato un laboratorio nel quale saranno sperimentate dai più piccole ricette con l’utilizzo dei cibi riciclati.
A fine stagione c’è la prospettiva di passare dagli alberghi stagionali per ritirare le rimanenze dei cibi in scatola.
Privatizzazione soft per Rimini Fiera che vale 128 milioni
Privatizzazione soft per Rimini Fiera che vale 128 milioni
Valorizzare i singoli eventi di cui Rimini Fiera detiene la proprietà attraverso la costituzione di società miste con partner privati. È l’opzione principale indicata dall’advisor KPMG, incaricato da Rimini Congressi (la società che detiene la maggioranza, il 52, 56% delle azioni di Rimini Fiera) di studiare la possibile privatizzazione del polo fieristico-congressuale riminese. Ma è un’ipotesi che i tre soci pubblici (Comune, Provincia e Camera di Commercio) non percorreranno. Il perché lo ha spiegato questa mattina in commissione l’assessore al bilancio Gianluca Brasini. Non si vuole correre il rischio che le nuove società proprietarie dei gioielli di famiglia (Sigep, Ttg, Rimini Wellness, ecc.) decidano un giorno di trasferirle altrove, realizzando certo un guadagno ma facendo fuori tutto l’indotto che tali eventi provocano sul territorio.
La strada che invece i tre soci pubblici intendono percorrere è quella, pure indicata come fattibile da KPMG, di una quotazione sul mercato borsistico (quello particolare AIM, riservato alle piccole e medie imprese che vogliono investire sul loro sviluppo) pari al 10 per cento del capitale di Rimini Fiera.
Le altre ipotesi formulate da KPMG sono nell’ordine: la privatizzazione classica, cioè la vendita del pacchetto di maggioranza, un aumento di capitale da parte di Rimini Congressi e, infine, il cosiddetto spin-off, cioè la separazione fra proprietà degli immobili e società di gestione. Queste ultime ipotesi sono scartate perché non ci sarebbe interesse da parte del mercato. Così almeno afferma nella sintesi offerta ai consiglieri l’amministratore unico di Rimini Congressi, Marino Gabellini; sintesi da prendere per buona visto che nella documentazione risulta assente la parte dello studio KPMG dedicato appunto alle ipotesi di valorizzazione.
Il punto di vista di fondo da cui partono gli enti pubblici riminesi è che non si è con l’acqua alla gola (refrain cavallo di battaglia di Lorenzo Cagnoni) e che pertanto, visto che la Fiera è tornata a produrre utili, si può optare per una privatizzazione soft che consenta comunque di affrontare con maggiore serenità il debito per il Palacongressi. È del tutto esclusa dal pensiero prevalente l’ipotesi di una privatizzazione volta a liberare risorse da investire in altri settori pubblici, anche perché a questo punto c’è il responso di KPMG che la giudica impraticabile.
La parziale privatizzazione di Rimini Fiera avverrà attraverso una duplice operazione: una OPV, cioè una offerta pubblica di acquisto del 10 per cento del capitale sociale, ed una OPS, ovvero una offerta pubblica di sottoscrizione di un altro 10 per cento del capitale sociale riservata esclusivamente a nuovi investitori privati.
Ma quanto vale Rimini Fiera? Secondo KPMG, che ha utilizzato per la valutazione il metodo DCF il valore è stimabile fra i 117 e i 141 milioni di euro, optando per la cifra intermedia di 128 milioni. Se il valore che sarà effettivamente attribuito dal mercato è questo, Rimini Congressi – afferma l’amministratore Gabellini - dovrebbe incassare fra i 10 e i 12 milioni di euro che sarebbero utilizzati per un’estinzione anticipata del mutuo con Unicredit, facendo così scendere il debito da 42 a 30 milioni. Diminuendo il debito, calerebbe anche l’importo della rata annuale che da 3,6 milioni passerebbe a 2,6 milioni. Con Unicredit c’è in atto lo stand still, cioè il blocco del pagamento delle rate. Rimini Congressi ritiene di poter riprendere il pagamento già con la rata in scadenza il 30 giugno, utilizzando i 2,181 milioni di euro provenienti dagli utili 2014 della Fiera più altri 530 mila euro derivanti dal recupero di imposte del Gruppo Rimini Fiera. Questo è il progetto di Rimini Congressi, sul quali i dirigenti di Unicredit si sono riservati di riferire ai propri organi deliberanti. A detta di Gabellini, al verificarsi di tutte queste condizioni, la banca sarebbe anche disponibile ad accettare il ritiro, da parte del Comune di Rimini, della lettera di patronage inviata il 21 giugno 2010 (e sarebbe sgomberare il campo da una bella grana).
L’altra operazione delineata, l’emissione di nuove azioni riservate al mercato AIM, dovrebbe portare Rimini Fiera ad incassare 9-10 milioni di euro, da destinare all’internazionalizzazione degli eventi di maggiore successo.
Un corollario importante di tutta l’operazione è il conferimento a Rimini Congressi delle altre quote della Fiera detenute direttamente dai soci pubblici: 8,92 la Provincia, 8,92 la Camera di Commercio, 8,92 fra Comune e Rimini Holding.
Ciò significa che al termine della privatizzazione e dei passaggi azionari, Rimini Congressi conserverà ampiamente la maggioranza di Rimini Fiera con il 60 per cento. L’impresa rimane pubblica anche se la quota degli enti locali passa dal 79,32 per cento ad appunto il 60 per cento. In commissione e nella relazione di Gabellini non si è mancato di osservare che, qualora le esigenze lo richiedano, Rimini Congressi conserverà in questo modo una quota di capitale (meno del 10 per cento) da immettere sul mercato.
La delibera di indirizzo è passata in commissione con il voto favorevole della maggioranza e l’astensione delle minoranze. Adesso la parola passa al consiglio comunale.
Quando l’opposizione vince. 2/Il caso di Riccione
Quando l’opposizione vince. 2/Il caso di Riccione
Continuando la nostra ricognizione nelle città in cui, in tempi recenti, a vincere è stata l’opposizione, proviamo a ripercorrere occasioni e motivi attraverso i quali è maturato il cambio di amministrazione a Riccione.
Succede a sinistra
La città esce dai dieci anni di Daniele Imola con la realizzazione di un bel lungomare e un’operazione importante come quella del “Palazzo dei Congressi”. Ma Imola lascia anche un mare di debiti e una situazione conflittuale con le diverse associazioni; anche con quegli stessi albergatori che, pur essendo tra i pochi a riconoscere le potenzialità commerciali del Palazzo, lo vorrebbero gestire direttamente e quasi senza costi.
Alla scadenza del proprio mandato, Imola lancerebbe volentieri Fabio Galli, allora segretario del PD, ma la scelta del futuro candidato sindaco cade su Massimo Pironi, e le primarie che ne sanciscono la vittoria saranno ricordate soprattutto per la partecipazione in suo favore di un gran numero di elettori di centrodestra. Pironi in quel momento appare infatti come il cavaliere del nuovo che combatte contro l’apparato di partito e in favore degli interessi della città; un posizionamento politico e di immagine certo non casuale, visto che l’avversario che ha davanti è appunto il “suo” segretario.
A dargliene l’occasione è indirettamente lo stesso Galli, che tenta di caratterizzarsi con l’azzeramento della vecchia classe dirigente, incluso Pironi, già assessore di Masini e di Imola e consigliere regionale. Ma è proprio questa sorta di battaglia iconoclasta che, invece di procurargli una patente da rinnovatore, lo rinchiude nell’immagine del funzionario di partito vecchia maniera, impegnato solo a regolare gli equilibri interni al PD e distante dalle preoccupazioni, ormai avvertite da tutti, sul futuro economico della città.
Regista di questa lettura a favore di Pironi è Valeriano Fantini, anche lui nel mirino di Galli. Sarà il suo capolavoro politico: Pironi diventa il candidato in grado di dialogare con tutti, l’interlocutore non solo delle categorie e delle associazioni vicine alla sinistra, ma anche di quelle storicamente antagoniste ad essa, contrapposto a chi invece presiede alle sole manovre autoreferenziali del partito.
Dopo la vittoria alle primarie e, poi, quella alle elezioni, il nuovo sindaco Pironi, nei cinque anni del suo mandato, riesce però a scontentare un po’ tutti, isolandosi anche dai propri amici, compreso Fantini. Fino a perdere in modo netto, prima dell’ultima tornata elettorale, le primarie con Fabio Ubaldi, che non a caso registreranno una partecipazione minima di votanti.
Succede a destra
La storia politica di Renata Tosi non può essere separata dalla sua battaglia contro il TRC; e non solo per quanto riporta la cronaca politica attuale. Inizia infatti ad interessarsene già 12 anni fa, come impiegata presso uno studio notarile, subito scegliendola come propria battaglia civile. Così, quando Flora Fabbri romperà con Forza Italia e si candiderà a sindaco con una lista civica, la Tosi, entrandovi, verrà eletta con le preferenze proprio del comitato anti TRC.
Dopo cinque anni, con la lista civica originaria ormai sfilacciata, sarà proprio la Tosi a convincere la Lega Nord (e il suo responsabile per il territorio, Gianluca Pini) a partecipare a una nuova aggregazione che veda lei stessa come candidato sindaco. Alla civica si aggiungerà anche Forza Italia, in questo modo garantendosi quell’appoggio della Lega alle provinciali che le serviva. La lista avrà un buon risultato, ma Pironi vincerà grazie a quel contributo trasversale che già era riuscito a guadagnarsi nelle primarie, e che includeva il voto delle parrocchie (quella di Don Giorgio Dell’Ospedale in prima fila) fino a quello delle varie associazioni di categoria (albergatori, bagnini, commercianti, ...). Nella civica, saranno eletti tre consiglieri (uno della Lega, uno storico ex comunista, un ex socialista già assessore), oltre naturalmente alla Tosi.
Due anni prima delle ultime elezioni, uno degli eletti della civica, Giovanni Bezzi, comincia a sondare la possibilità di essere lui il futuro candidato sindaco grazie ai suoi buoni rapporti con Pizzolante. Dopo qualche mese, anche gli altri due consiglieri cominciano a muoversi ognuno per proprio conto. Di fronte a una situazione che va ingarbugliandosi, la Tosi prende la decisione di non schierarsi con nessuno dei tre e dichiara di ritirarsi, diventando di fatto la consulente tecnica dei grillini per il TRC, che nel frattempo sono diventati i duri e puri del Comitato.
Gesto di ripulsa istintivo o invece la scelta di un porto sicuro nel quale attendere lo sviluppo degli avvenimenti, il passo “di fianco” di Renata Tosi (oltre ad accelerare la fine della sua vecchia lista) le otterrà quel profilo (un po’ antipolitico e, insieme, competente e impegnato nella società civile) necessario a farla riconoscere come futuro candidato nel nuovo progetto civico che si va formando a Riccione.
Non contro ma oltre
Infatti, un anno prima delle elezioni, durante l’estate, nasce Noi Riccionesi, associazione ideata e promossa da Nanà Arcuri, che riccionese non è, ma vi abita per motivi di cuore. Il nuovo soggetto diventa il punto di aggregazione di Associazioni, singole persone e professionisti delusi da Pironi; un movimento di opinione che inizialmente nasce sui social e che poi, diventando “reale”, cerca di conservare il proprio carattere di novità e di distanza dagli schieramenti usuali della vita cittadina, decidendo ad esempio di escludere chi avesse avuto una visibilità politica importante nel passato.
L’intento politico man mano diventa evidente, ma Arcuri ha anche ben chiaro che se non cambia qualcosa (o almeno se non viene proposto in modo diverso) lo schema “lista civica appoggiata dai partiti di centrodestra” non funzionerà di nuovo. Così, la prima novità rispetto a cinque anni prima è proprio il soggetto che si propone sulla scena: un gruppo di riccionesi senza scheletri nell’armadio e vergini - o quasi - rispetto alla politica. La seconda, che il loro sogno di cambiamento prescinde dalle forze politiche in campo ed è affidato alla stessa società civile; non contro i partiti, ma oltre i partiti e gli schieramenti. Non una lista civica dunque che porti energie e idee al centro destra o ai grillini contro il centrosinistra, ma un gruppo di persone giovani e capaci che si candidano al governo e sono disponibili a farsi appoggiare da tutti, dalla destra fino alla sinistra.
Quando poi si passa al candidato, Arcuri compie un miracolo, riuscendo a convincere tutti i partiti e le sigle (si favoleggia che anche i grillini possano essere della partita) a convergere sulla candidatura – in realtà solo potenziale – di Claudio Montanari: un albergatore innovativo nel proprio mestiere, riccionese a tutto tondo, non ascrivibile ad alcun partito. E, come avviene nelle buone trattative, tutti sono convinti di essere i veri padrini dell’operazione.
Ma a due mesi e mezzo dalle elezioni, Montanari non conferma la propria disponibilità e si ritira con una formula tipo “Non me la sento di fare il sindaco, ci vogliono delle competenze specifiche che io non ho, ma voglio comunque partecipare al progetto e contribuire alla vittoria”; una dichiarazione che di fatto apre la strada proprio a Renata Tosi (ed è impossibile capire se la decisione di farsi da parte di Montanari sia maturata, diciamo così, in tempo reale davanti alla comprensione delle difficoltà o se la sua investitura ideale sia stata una sorta di tappa di avvicinamento al candidato cui si puntava fin dall’inizio, un modo per coagulare intorno al progetto tutte le persone e le associazioni necessarie alla sua riuscita).
Le competenze bucano, la tattica aiuta
Quando si entra in zona elettorale vera e propria, il PD ha già scelto Fabio Ubaldi attraverso le primarie. Pironi stesso le ha pretese, convinto di vincerle; invece le perde e le perde male. Ne segue una frattura interna che, di nuovo, coinvolge tutto il PD; con conseguente “caccia al pironiano”, da una parte, e promessa di ripicche e liste fuori dal partito, dall’altra (una minaccia peraltro sostenuta e incoraggiata sia da Pizzolante, in ottica NCD, che dal fronte della Tosi, ma che non diventerà mai concreta).
Ma il problema principale di Ubaldi è quello di non essere conosciuto in città e, più, di essere addebitato di una completa ignoranza amministrativa. La campagna elettorale diventa così il confronto tra la competenza della Tosi (cui tutti riconoscono la perfetta conoscenza della macchina comunale) e l’impreparazione di Ubaldi; tra la “tigna” (per dirla alla romagnola) di lei, sempre sul pezzo, e l’incostanza di lui, che in cinque anni da consigliere comunale ha registrato più assenze che presenze. Su ques’onda, la Tosi, forte della propria esperienza, impone una campagna elettorale come se fosse il sindaco uscente.
E se le campagne servono a evidenziare le contraddizioni dell’avversario, Ubaldi paga caro il fatto di essere appoggiato proprio da Galli e Imola; il primo, lo sconfitto di cinque anni prima, che rappresenta il vecchio apparato; il secondo, colui che a detta di tutti ha affossato le casse comunali. A questo si aggiunga una certa hybris impolitica dello stesso Ubaldi, convinto di essere il vero rappresentante del “nuovo” e di poter raccogliere automaticamente i voti vincenti di Renzi senza dover approntare una macchina organizzativa adeguata e dimostrare di essere un leader credibile per la città. E si può dire che sia sembrata più la campagna elettorale di un funzionario che, appunto, quella di un leader.
Da parte sua, Noi riccionesi deve solo decidere la forma con cui presentarsi: se una lista unica nella quale le diverse componenti scelgano di rinunciare a una propria riconoscibilità o invece una coalizione che sfrutti la portata naturale dei simboli. Alla fine - per garantirsi l’alleanza con Forza Italia e i suoi voti ed evitare così che al ballottaggio vadano i grillini - si opta per la seconda. Allo stesso tempo, si abbandona al suo destino l’NCD (il che, al di là delle ragioni tutte interne tra FI e Pizzolante, serve - dal punto di vista dell’immagine - per non far coincidere la coalizione con tutto il centrodestra e dare così un segnale di incoraggiamento al voto da sinistra). A sottolineare poi ulteriormente la propria apertura e la propria origine di movimento di opinione, Noi Riccionesi deciderà di buttarsi in una campagna elettorale all’antica, con un porta a porta sistematico e tante riunioni tematiche sul territorio.
Un leader per la città
Appare ovvio che senza il TRC non avremmo Renata Tosi sindaco di Riccione e, prima, non avremmo avuto neanche Noi riccionesi, che di quel tema ha fatto il proprio humus di crescita. Ma, al di là della campagna di sollevazione che ha prodotto, il TRC ha anche contribuito a risolvere la bipolarità dell’opposizione e la questione del ballottaggio (che è cruciale ormai in tutti i comuni), condannando gli stessi grillini a rincorrere ciò che succedeva, essendo loro stessi “debitori” della Tosi su questa battaglia.
L’esperienza di Riccione conferma dunque la necessità, come si è visto anche per il caso di Bellaria, di una battaglia simbolo che possa aggregare consensi non solo nel merito e per i suoi contenuti specifici, ma possa diventare l’ombrello di tutto il malessere diffuso che una città vive verso un’amministrazione al governo. Come, per fare un esempio, a Rimini sarebbe stata quella contro il partito del mattone “di Melucci”, una rivolta trasversale, sentita in modo ugualmente urgente da destra a sinistra. Incapace però l’opposizione di sfruttarla, bravo Gnassi a disinnescarla creando, su questo, una discontinuità con il proprio partito.
Infine vale la pena introdurre un altro elemento. Come Pironi vince per l’intuizione e la regia di Fantini, si può ben dire che la narrazione politica di Arcuri abbia colto i punti fondamentali che servivano a sciogliere in modo definitivo il lungo rapporto del Partito con la P maiuscola (troppo lungo farne l’elenco esatto dei nomi) con la città. Un fatto, questo, che toglie la politica all’improvvisazione e al solo populismo, e la riporta nell’ambito della mediazione delle idee e degli interessi. Ed entrambi hanno fatto vincere il proprio candidato nel momento in cui sono riusciti a proporlo in modo credibile come il portatore di interessi della città, un leader oltre le sigle e le appartenenze inizali.
Nei fatti, poi, Pironi non è stato in grado di rappresentare la novità di cui Fantini l’aveva vestito. Renata Tosi ha un temperamento politico diverso, e vedremo come saprà usare la propria.
Riccione, un anno di sindaco Tosi. Sostenere l’iniziativa dei cittadini
Riccione, un anno di sindaco Tosi. Sostenere l’iniziativa dei cittadini
Il 9 giugno di un anno fa Renata Tosi, candidata della coalizione di centrodestra, è stata ufficialmente proclamata sindaco di Riccione, sulla scorta di un risultato elettorale che, con grande sorpresa di molti, l’ha vista battere il candidato del Pd, Fabio Ubaldi.
Entrando finalmente nella stanza dei bottoni, li ha trovati? E li ha usati?
“I bottoni li ho trovati e li ho anche usati. Ho verificato direttamente che se si vuole si può decidere e cambiare la città. Non nascondo che ci sia qualche difficoltà e qualche ruggine da rimuovere. Tuttavia mi sono chiari i meccanismi che bisogna mettere in moto. Devo dire che è stato anche un anno che è passato molto in fretta…”
Un sindaco di colore diverso dopo 70 di egemonia di sinistra avrà trovato difficoltà, soprattutto nella macchina comunale…
“Al di là di questo o quel colore politico, il cambiamento è necessario. Incontro ancora qualche rigidità, ma non mi scoraggio e vado avanti. Ci siamo detti: se superiamo il primo anno, poi non ci ferma nessuno. E anche la macchina comunale ci verrà dietro quando vede che la città ci segue”.
Quali sono le rigidità che ha incontrato?
“Quando mi rispondono: abbiamo sempre fatto così. Ecco questa è una frase che non voglio più sentir ripetere. Ai funzionari comunali chiedo di resettare il passato e di presentarmi il quadro delle situazioni indicando le possibili soluzioni. In certi casi è possibile che si continui a fare come prima, ma non deve essere scontato. Chiedo a tutti di essere senza pregiudizi e senza preconcetti. Poi io mi assumo la responsabilità di prendere le decisioni. Faccio un esempio: stiamo cercando di dare una sistemazione urbanistica diversa a quel pezzo di città che va dal Palazzo del Turismo al lungomare. Vogliamo che non ci siano barriere ma siano collegati, in modo da valorizzare anche il Palazzo del Turismo come quinta di eventi. Ebbene molti spazi pubblici sono in concessione a privati i cui contratti sono sempre stati rinnovati di anno in anno senza mai rivedere nulla. Ho chiesto invece che ogni situazione sia messa in discussione in vista dell’obiettivo fissato”.
Cosa di questo anno la rende più orgogliosa?
“La cosa che mi piace di più è passeggiare per Riccione, incontrare i cittadini, ascoltare le loro esigenze ed avere da loro un riscontro diretto su ciò che fa l’amministrazione. A me sembra importante che la città possa avere un punto di riferimento anche fisico. Anche quando ci sono gli eventi, non me li faccio raccontare, vado di persona. Agli operatori economici dico sempre che io sono qui per risolvere i loro problemi burocratici, mentre loro devo stare concentrati sul lavoro e sul produrre ricchezza per la città. Incontrandoli per la questione dell’occupazione suolo pubblico li ho invitati ad essere precisi. Invece che pagare un vigile che vada in giro con il metro a misurare gli spazi, quel vigile voglio usarlo per ciò che più serve a loro, la sicurezza e l’ordine pubblico. Con i cittadini le cose le affronto direttamente e sempre ci metto la faccia, non mi nascondo dietro ai dirigenti”.
Per il Pd lei è ancora un fastidioso incidente di percorso da archiviare al più presto?
“No, non penso mi considerino ancora un incidente di percorso. Ritengo abbiano capito che non siamo qui a caso. Siamo seri e responsabili, siamo qui per fare cose nuove. In questo anno mi sono accorta quante occasioni sono state perse nel passato. Molte cose le faccio perché ascolto e accolgo chi me le propone”.
Allude agli eventi di Natale e di Pasqua?
“Non solo. Penso che il mio compito sia quello di sostenere ciò che nasce per iniziativa dei cittadini, come è stato nel caso recente del Riccione Day. Devono essere liberate le energie creative della città, noi in Comune pensiamo a risolvere gli intralci burocratici e a garantire la comunicazione. Noi siamo i facilitatori”.
E veniamo alla madre di tutte le questioni: il Trc. Non è ora di dichiarare chiusa la guerra visto che i ricorsi hanno avuto tutti esito negativo?
“Sì, ma c’è la politica. A cosa serve fare politica se non si crede alla possibilità di un cambiamento? I giudici hanno detto che il Comune di Riccione da solo non può cambiare il progetto. Da solo. Ma se Rimini e la Regione ci stanno… Solo uno stolto non cambia mai idea. Qui siamo di fronte ad un progetto vecchio di vent’anni. Non è il momento di dargli una giusta e necessaria attualizzazione?”.
Intanto assistiamo al quotidiano ping pong fra il Comune di Riccione e Agenzia Mobilità. Come se ne esce?
“Ad oggi io non so quali mezzi saranno usati nel percorso, quali caratteristiche avranno. Io scrivo, faccio domande, e loro nemmeno mi rispondono. Questo la dice lunga su come stanno i rapporti. Credo siano viziati dalla ruggine di qualche persona. Riccione ha bisogno di entrare da protagonista in questo progetto. Non possiamo ricevere solo lettere di minacce. Non possiamo accettare che qualcuno telefoni direttamente ai cittadini dicendo che i problemi non sono tecnici ma solo politici. È vero, sono politici, coinvolgono le scelte di una città. Però mi devono spiegare come è possibile che per fare un ponte si prendano 180 giorni quando vediamo che nelle autostrade li montano in una notte. Comunque alla fine credo che saranno i numeri a decidere”.
Che vuole dire?
“Se la politica non sarà in grado di rivedere certe decisioni sbagliate, alla fine sarà costretta ad intervenire la Procura della Repubblica. Ed è un male perché la Procura dovrebbe pensare ad altre cose. Però quando non si ragiona, quando non si vogliono mettere in discussione certe scelte, un epilogo come Aeradria è quasi inevitabile. Purtroppo”.
Una previsione grave la sua. Ma non sarebbe ora che lei li sfidasse a realizzarlo questo Trc, se sono in grado?
“Lo realizzino pure, ma rispettando Riccione, rispettando il suo territorio. Quantomeno non si faccia il muro, che è una ferita grave nel cuore della città. Abbiamo chiesto che il cantiere rispetti le esigenze turistiche della città. Niente. E intanto non si vede un operaio al lavoro. Non hanno i soldi, i nodi di un progetto vecchio stanno venendo al pettine, e intanto a pagare è la città di Riccione. Questo non è accettabile. Capisco che un accordo con Riccione per loro significherebbe legittimare quello che lei ha chiamato incidente di percorso. Ma io sono disposta anche a mettermi in un angolo, purchè loro prendano l’iniziativa di cambiare il progetto”.
Non le pare di essere un po’ spigolosa, rispetto al suo collega di Bellaria, Enzo Ceccarelli, che non è continuamente sulle barricate?
“Senza nulla togliere a Ceccarelli e a Bellaria, Riccione nella provincia ha un peso diverso. Su certe cose non possiamo transigere. Purtroppo molte volte sento la necessità di alzare la voce per farmi ascoltare. Quando ho perso ed ero all’opposizione, io ho rispettato il voto dei cittadini. Adesso loro facciano lo stesso”.
Su cosa sta lavorando la sua giunta?
“Abbiamo tre grandi obiettivi. Due sono di tipo urbanistico, il nuovo piano spiaggia ed il Rue. La parola d’ordine per entrambi è semplificare e liberare energie. C’è un tavolo di lavoro fra funzionari dell’amministrazione e tecnici privati che sta mettendo a punto le proposte, ascoltando le esigenze della città. Poi sarà la politica a fare le sue scelte e ad assumersi le responsabilità. Il terzo obiettivo riguarda il rilancio turistico di Riccione. Vogliamo dare stabilità ai rapporti e alle collaborazioni che in questo anno hanno contribuito ad accendere i riflettori su Riccione”.
Rimini Welfare e la sussidiarietà circolare: statalismo in archivio?
Rimini Welfare e la sussidiarietà circolare: statalismo in archivio?
Una bella e moderna teoria o una concreta esperienza in atto? Domanda legittima di fronte ad un Comune, quello di Rimini, che afferma di voler sempre più allineare i propri servizi sociali a quello che con espressione sintetica viene definito “welfare delle capacità”. Siamo nell’ambito dell’applicazione di una teoria elaborata dal premio Nobel per l’economia Amartya Sen.
Sulla base del Capabilities approach, il benessere, individuale o collettivo, viene misurato non tanto sulla scorta delle variabili solitamente utilizzate (come il reddito, il consumo o i bisogni sociali), quanto sulle “capacità” degli individui, vale a dire sulle loro effettive opportunità di “fare” ed “essere” ciò che essi realmente desiderano. Davanti a un servizio sociale, insomma, non c’è un bisogno ma c’è una persona con desideri e capacità e su queste occorre lavorare perché sia rimessa in moto la libertà della persona bisognosa nella ricerca di una soluzione.
Di questo si è parlato nel convegno tenuto l’altro pomeriggio alla Sala Manzoni su "Rimini Welfare: Quattro anni di approccio delle capacità dal Piano strategico alle Politiche Comunali", organizzato dal Piano strategico e dall'Amministrazione Comunale di Rimini. Parlare di welfare è parlare del settore che impiega più del 40 per cento delle risorse del bilancio comunale che nel 2014 hanno superato i 40 milioni di euro.
La premessa storica è che il Piano Strategico non si è occupato solo dello sviluppo urbanistico ed economico della città ma si è misurato anche con l’esigenza di ridisegnare i servizi sociali che, al pari dell’economia o dell’urbanistica, non possono non affrontare il tema del cambiamento. In realtà il Piano Strategico indicava il welfare delle capacità come uno dei punti da approfondire e di questo si sono fatti carico negli ultimi quattro anni l’assessorato ai servizi sociali diretto da Gloria Lisi e lo stesso Piano Strategico attraverso il gruppo welfare coordinato dal vice presidente Luciano Marzi. In questi anni sono stati sviluppati progetti e corsi di formazione per gli operatori in modo che il nuovo approccio non rimanesse una parola astratta ma cominciasse ad incidere nel concreto delle politiche sociali.
Lo stesso convegno alla Sala Manzoni ha risentito fortemente di questo cambio di mentalità. Per una volta un convegno sui servizi sociali non è stato il solito luogo di scontate analisi sociologiche o di descrizione di interventi decisi a tavolino da qualche funzionario. Il linguaggio che si è preferito parlare è stato quello dell’esperienza. Così Matteo Donati, dello Sportello Sociale dl Comune (il punto in cui confluiscono tutti i bisogni e i drammi del territorio, 1.700 casi in archivio), ha spiegato come il “Capabilities approach” ha implicato una messa in discussione del suo modo di accogliere le persone che si rivolgono al suo Sportello, la rivoluzione di puntare sul desiderio di realizzazione di sé e la fatica di stimolare la libertà delle persone che inevitabilmente si aspettano una risposta immediata e preconfezionata. Allo stesso modo Karima, una mamma marocchina, ha raccontato la sua personale esperienza di accoglienza in Casa Sant’Anna, che si occupa appunto delle donne sole con la propria gravidanza e il proprio bambino. Sulla stessa lunghezza d’onda il racconto del padre separato che ha documentato come nel Residence dei Babbi ha trovato l’opportunità di mettere ordine alla propria vita e il luogo dove poter accogliere i propri figli dopo il trauma della separazione. Pietro Borghini, della Caritas, ha sottolineato come l’efficacia di un welfare delle capacità dipenda molto dalla messa in rete di persone, soggetti, imprese, associazioni di volontariato. A questo proposito ha citato l’esperienza del Fondo per il lavoro voluto dal vescovo e il prossimo avvio dell’Emporio Solidale, una sorta di supermarket per i poveri, realizzato grazie alla collaborazione di una vasta rete di enti che hanno deciso di collaborare per dare risposta a chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena.
Borghini ha fatto esplicitamente riferimento a quel concetto di sussidiarietà circolare che è uno dei cavalli di battaglia del professor Stefano Zamagni, uno dei “padri” culturali del Piano Strategico. La sussidiarietà circolare è formata da un triangolo i cui tre vertici – ente pubblico, imprese, non profit – insieme progettano, realizzano e gestiscono gli interventi sociali. È quindi superata – non sappiamo quanto definitivamente, certamente nelle intenzioni dichiarate – quell’impostazione di welfare che vede l’ente pubblico nella posizione dominante. Anche perché - ha poi spiegato lo stesso Zamagni – il welfare state, ovvero lo statalismo assistenziale, non è più in grado oggi di garantire quella redistribuzione del reddito per cui era stato pensato. Specialmente non è in grado di farsi carico delle cosiddette “persone in sovrappiù”, degli espulsi dal processo produttivo e dal contesto sociale. In Italia la spesa sociale è alta, è pari a quella delle democrazie nordiche più avanzate, tuttavia rimangono larghe fasce di bisogni insoddisfatti. Ciò significa che non è un problema di risorse, ma di come le si spendono. Per Zamagni, che è stato il primo a portare in Italia Amartya Sen, si è quindi nuovamente speso per il welfare delle capacità, in un contesto di sussidiarietà circolare. La sola – ha spiegato – che sola può garantire l’universalismo degli interventi, cioè che tutti possano usufruire delle prestazioni. Ha anche sostenuto che Rimini, per il suo tessuto produttivo e la vasta rete di volontariato, è nelle condizioni ideali per avviare una esperienza virtuosa.
Il convegno di lunedì proseguirà nelle prossime settimane con altri incontri più ristretti nei quali mettere a punto le proposte che saranno finanziate con il Piano di zona del 2015. L’assessore Lisi ha affermato che saranno privilegiati quegli interventi che punteranno sulla captazione dell’utenza (cioè individuare quei bisogni che da soli spontaneamente non si presentano agli sportelli sociali) e sull’approccio delle capacità.
Karis e "buona scuola": la lunga marcia per la libertà
Karis e "buona scuola": la lunga marcia per la libertà
Proprio nello stesso momento in cui a Roma il premier Matteo Renzi concedeva alla minoranza interna del Pd altri quindici giorni di riflessione per migliorare la “buona scuola”, a Rimini al Teatro Tarkowski il sottosegretario all’istruzione del suo governo, Gabriele Toccafondi, e il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Giorgio Vittadini, spendevano parole positive sulla riforma, specialmente per ciò che riguarda il nodo storico delle scuole paritarie. Si tratta di vedere se dopo la riflessione e dopo la prova del voto del Senato, cosa resterà di ciò che ha indotto a tale valutazione positiva.
Lo stesso Toccafondi ha ricordato che fra gli emendamenti presentati in Senato c’è la cancellazione della detrazione di imposta (fino a 400 euro) concessa alle famiglie che mandano un figlio nelle scuola paritarie. Tradotto in moneta sonante si tratta di un “bonus” (tanto per usare una parola cara al premier) che in moneta sonante si traduce in 80 euro all’anno. Una inezia rispetto a quanto una famiglia deve sborsare per pagarsi il diritto alla libertà di educazione, sancito da una legge dello Stato (voluta dal ministro Berlinguer nel 2000) ma senza riconoscimento economico.
Dove sta allora la ragione di un giudizio positivo? Sta nel fatto che per la prima volta - hanno detto all’unisono Toccafondi e Vittadini – in una legge c’è un riconoscimento economico, seppure simbolico. È l’inizio di una lunga marcia che – si spera – porti un giorno a più sostanziosi riconoscimenti. Per Toccafondi si tratta non solo di un bicchiere mezzo pieno, ma per la prima volta c’è un bicchiere a cui guardare. Giudizio condiviso da Vittadini che ha usato parole sferzanti contro l’immobilismo su questo tema dei governi democristiani della Prima Repubblica (conseguenza di una mentalità statalista che pervadeva anche le associazioni cattoliche ufficiali) e sulle irrealizzate promesse dei governi berlusconiani. In realtà Vittadini ha dimenticato che nel 2005 l’allora ministro Moratti aveva istituito i cosiddetti mini buoni scuola per una somma complessiva di 30 milioni di euro (per ogni famiglia erano circa 150 euro). Il provvedimento durò due anni, poi con il cambio di governo non se ne è fatto più nulla.
L’incontro al teatro Tarkowski è stato organizzato dalla Karis Foundation di Rimini, la più consistente realtà di scuola paritaria a Rimini che gestisce istituti per l’infanzia, elementari, medie e due licei, un classico e uno scientifico. Sia in ragione della crisi economica, sia in ragione del perdurante non riconoscimento di un effettivo diritto alla libertà di scelta, queste scuole negli ultimi anni hanno conosciuto un calo di iscritti. Una realtà che è tale un po’ in tutta Italia, dove molte scuole sono a rischio di chiusura. Ed è alle famiglie che si è soprattutto rivolto con il suo intervento Giorgio Vittadini, spiegando che nell’attuale contesto economico globalizzato ciò che serve è una scuola che contribuisca non tanto a fornire conoscenze e competenze standardizzate (che nel giro di pochi anni sono superate) quando a formare una capacità critica, a formare una personalità capace di affrontare la sfida di mutamenti sociali e culturali continuamente in evoluzione. Una formazione di questo tipo, quella effettivamente richiesta oggi dal mercato del lavoro, la possono fornire sono scuole basate sull’autonomia e sulla libertà, quali sono appunto oggi le scuole paritarie. Ragione per cui vale la pena affrontare un sacrificio economico, sapendo di dare ai propri figli un punto di partenza adeguato per affrontare la realtà.
Ma – questo lo ha ben ricordato Toccafondi – la questione della libertà di educazione è ancora prigioniera in Italia di una serie di pregiudizi ideologici (la scuola dei ricchi, i diplomifici, il presunto contrasto con la Costituzione, ecc.) che non consentono una reale conoscenza della questione. Alcune cifre basterebbero a sgombrare il campo degli equivoci. Il contributo statale per ogni alunno nella scuola paritaria è pari a 500 euro all’anno, quando un alunno nella scuola statale costa più di 6.000 euro all’anno. In sostanza il milione di alunni delle paritarie fa risparmiare allo Stato circa 6 miliardi di euro all’anno.
Nonostante queste evidenze, il riconoscimento economico della libertà di educazione appare davvero come una lunga marcia. Sempre che la minoranza Pd consenta di cominciare a muovere i primi passi.
Valerio Lessi
Arvura, l'impresa agricola under 17
Arvura, l'impresa agricola under 17
Se da giugno vedrete un motorino con in sella un ragazzo che trasporta una cassetta di ortaggi non pensate che si tratti di un semplice fattorino. Se sulla cassetta vedrete il marchio Arvura, allora avrete incrociato uno dei tre giovani imprenditori che hanno dato vita ad un’originale ed inedita esperienza. Si tratta della rara (forse unica) impresa agricola under 17, sì perché i tre imprenditori sono tre ragazzi che frequentano il terzo anno del liceo scientifico. I tre ragazzi rispondono al nome di Matteo Cheodarci, Pietro Antonini e Matteo Arduini.
La loro esperienza nasce nell’estate del 2014. “Eravamo alla ricerca di un lavoro estivo – racconta Matteo Cheodarci – ma cercavamo qualcosa non tanto per guadagnare, ma un lavoro che ci piacesse, che ci facesse sperimentare un nostro interesse”.
L’interesse era quello per l’agricoltura (“Un settore sempre più abbandonato dalle giovani generazioni”), ma per fare i contadini occorre avere un campo da coltivare. Il nonno di Pietro Antonini li ha accolti nella sua azienda e ha loro affidato un pezzo di terreno che è diventato il loro orto. Dove i tre giovanotti hanno seminato e piantato una grande varietà di ortaggi:insalate, pomodori, cetrioli, zucchine, melanzane, peperoni, fagiolini e grande varietà di piante aromatiche. Poiché non era un gioco, ma un lavoro serio, i prodotti coltivati nell’orto sono stati destinati alla vendita.
Ogni azienda che si rispetti ha un marchio, e così è nata Arvura, una parola che nel dialetto riminese indica l’enorme quercia secolare che si può ammirare dalle parti di San Lorenzo. Non sono mancate le difficoltà burocratiche da affrontare e risolvere, ma a tutto questo ha pensato “l’ombrello” dell’azienda agricola Bruna Ciabatti nella quale si sono inseriti.
L’esperienza del primo anno è stata positiva e quindi i tre ragazzi hanno deciso di continuare nel 2015. Fino ad ora hanno dovuto conciliare la passione agricola con lo studio. “Ci siamo riusciti – spiega Matteo – Abbiamo anche integrato lavoro e studio con il professore di scienze che quest’anno ha spiegato la genetica. Abbiamo così capito qualcosa di più sugli incroci e come fare per ottenere prodotti migliori”. Nel loro orto c’è grande varietà: quest’anno hanno piantato anche i pomodori neri di Crimea e le melanzane bianche.
Hanno una loro pagina Facebook dove si può leggere: “I punti base del progetto sono freschezza, selezione e cura del prodotto, elementi fondamentali per raggiungere un livello di eccellenza; una valorizzazione delle numerosissime varietà di ortaggi esistenti, così come il minuzioso controllo giornaliero riservato a ogni piantina dell’orto ed infine l’uso estremamente limitato di insetticidi (arrivando quindi parlare di agricoltura integrata).Quest’attività offre al cliente nuove opportunità di interagire con la vita dell’orto, come la possibilità di raccogliere personalmente i prodotti agricoli o perfino adottare una piantina per l’intera durata della stagione”.
Da giovani imprenditori hanno capito anche l’importanza di essere in rete con altre imprese: quando a loro manca un prodotto che è richiesto si riforniscono da un’azienda agricola di Riccione, gestita dal nonno di uno di loro.
Sulla pagina Facebook è annunciata anche la grande novità dell’estate 2015: la consegna a domicilio dei prodotti. Un servizio che ovviamente ha un costo: hanno diviso la città in due zone e, a seconda della lontananza, si paga 1 euro o 1 euro e mezzo per la consegna. Per farsi conoscere hanno stampato anche qualche volantino pubblicitario, ma la forma più efficace – assicurano – è il vecchio passaparola.
Diventerà questo anche il lavoro per il futuro? “Certamente – risponde Matteo Cheodarci – sceglierò una università che mi possa servire. Poi vedremo”. Quel che non fa difetto è lo spirito imprenditoriale, che appartiene al Dna di famiglia. Matteo è il nipote di quel Giuseppe Gemmani che, appena laureato, progettò e mise in produzione una macchina per la lavorazione del legno che fece la fortuna della Scm.
Turismo e aprile "nero": il lato pratico della vision. Parla Rinaldis (Aia)
Turismo e aprile "nero": il lato pratico della vision. Parla Rinaldis (Aia)
Cosa dice dell’aprile nero del turismo riminese e dei primi quattro mesi dell’anno tutti con il segno negativo, la riconfermata presidente dell’Associazione albergatori, Patrizia Rinaldis?
“Mi pare ci sia una congiuntura economica che ormai è diventata strutturale. Anche se il nostro territorio, nel 2014, ha avuto performance migliori rispetto ad altre località turistiche. Intendo dire più presenze turistiche”.
In aprile e nei primi quattro mesi del 2015 c’è però stato un calo consistente…
“Minor numero di congressi e la crisi economica che spinge le aziende a fare meno trasferte hanno avuto il loro peso. Il crollo del turismo, dovuto alla chiusura dell’aeroporto e non solo, ha avuto il suo peso. E poi la Pasqua, che quest’anno è arrivata presto, unita alle incertezze del tempo. Oggi si prenota all’ultimo minuto e si guarda come sarà il tempo. Una volta si partiva e basta”.
La Pasqua bassa, cioè in anticipo, rischio di essere un alibi. Se si guardano le statistiche degli ultimi 20 anni si vede sempre un incremento di presenze in marzo, quando la Pasqua cade in quel mese, e conseguente calo in aprile. E viceversa. Quest’anno invece siamo crollati sia in marzo che in aprile.
“Bisogna che riprendiamo a lavorare sulla destagionalizzazione…”
A quanto pare sta avvenendo il processo inverso, gli alberghi che da annuali tornano stagionali.
“Non bisogna generalizzare. Sono state quattro o cinque le strutture che hanno fatto il passo indietro. Teniamo inoltre presente che un albergo stagionale, con le aperture straordinarie, di fatto può lavorare fino a nove mesi all’anno. È quindi una stagionalità lunga. Oltretutto con la licenza stagionale, si hanno anche piccoli sgravi fiscali e più libertà di movimento con il personale. È anche vero che oggi il mercato chiede flessibilità e le imprese se vogliono sopravvivere devono adattarsi a questa flessibilità. Gli alberghi hanno perso redditività…”
Ha visto l’indagine dei commercialisti sugli hotel gestiti da società di capitale?
“Ho visto ma il calo di redditività riguarda tutti. Abbiamo ancora alberghi a gestione famigliare in cui l’imprenditore non calcola il costo del suo lavoro e dei suoi famigliari. Se lo facessero, i bilanci sarebbero subito in rosso. Ogni albergo a fine stagione ha utili, per modo di dire, molto bassi. Dico per modo dire perché se non ci fossero gli ammortamenti, i bilanci sarebbero con saldo negativo. Già fanno fatica gli albergatori che hanno le strutture di loro proprietà, a chi deve pagare anche l’affitto rimane poco o niente. Come associazione in questi anni abbiamo lavorato molto per calmierare i prezzi degli affitti, in molti casi siamo riusciti a farli calare, dando un po’ di respiro alle gestioni”.
Non ci sono alberghi, ormai obsoleti, che dovrebbero uscire dal mercato? Certi bagni, certe camere, come si giustificano oggi?
“Certo, come Aia negli anni scorsi abbiamo fatto anche una ricognizione per vedere zona per zona quali sono le strutture ormai non più competitive. Dico però che farli uscire dal mercato non deve voler dire costruire appartamenti. Si deve pensare a un meccanismo che incentivi la riqualificazione turistica. Per esempio le cubature trasferite agli hotel della prima linea e gli spazi lasciati liberi utilizzati per servizi innovativi agli hotel”.
Anche gli hotel che ancora stanno sul mercato hanno bisogno di riqualificarsi, non crede?
“Qualcosa si sta muovendo. A settembre partiranno molti cantieri grazie al credito di imposta previsto dal decreto Franceschini. Un bando della Regione sui congressi e sull’efficienza energetica ha avuto 29 richieste di contributo. Quando ci sono gli incentivi, il mercato si muove. Mi auguro che anche il progetto del Parco del Mare spinga molti a fare investimenti”.
Spesso le cronache parlano invece di alberghi in vendita e di nessun che li vuole comprare.
“C’è indubbiamente anche questo aspetto della realtà. I nostri alberghi valgono meno della metà di ciò che valevano qualche anno fa. Per le banche non valgono niente, d’altra parte loro vedono come va il mercato e vedono i bilanci che vengono presentati. Alcuni alberghi, di fatto, sono già nelle mani delle banche. Adesso compra solo chi spera di fare l’affare, ottenendo un prezzo molto ribassato”.
Non è questo un allarmante segno di decadenza che dovrebbe preoccupare?
“Bisogna prendere atto che il mondo è cambiato, che non è più possibile aprire l’albergo e aspettare che arrivino i clienti. Bisogna però avere fiducia. Mi piace guardare al bicchiere mezzo pieno. A me pare che abbiamo un territorio ricco di opportunità che dobbiamo maggiormente valorizzare. Il territorio è il nostro petrolio ma il petrolio se non lo si lavora non produce ricchezza. Credo quindi molto al lavoro che stiamo facendo sulla cultura, come motivo di attrazione turistica. Credo molto al processo che potrà essere innescato dal Parco del Mare. Insomma ritengo che ci sia un futuro per il turismo e dobbiamo scommettere su questo futuro”.
A volte pare che con molte gestioni improvvisate si vada perdendo anche quel valore aggiunto, tipicamente romagnolo, dell’accoglienza, dell’ospitalità.
“E’ vero che ci sono state gestioni improvvisate che hanno lasciato scie negative. Per salvaguardare certi valori conta molto la formazione del personale”.
Ma la sua associazione rappresenta ancora il mondo degli alberghi? Nel senso che sa cogliere esigenze, domande, problemi e vi trova risposta?
“Gli associati chiedono sulle piccole cose quotidiane, sui grandi temi tendono a delegare. A volte sono contestata da chi non ha mai risposto agli inviti a partecipare ai momenti di informazione e di confronto. Non deve esserci alcuna delega in bianco, ai miei associati io dico: misuratemi su ciò che faccio. Ma per questo occorre che anche loro partecipino”.