Scrivi qui la tua mail
e premi Invio per ricevere gratuitamente ogni mattina la nostra rassegna stampa

Rimini disperata? Serve una comunità di destino

Lunedì, 10 Dicembre 2012

2b

Rimini disperata? Serve una comunità di destino


“Mi pare di registrare anche un crollo della speranza, un declino del desiderio. Rischiamo di perdere l’anima: serve una ricostruzione morale che faccia perno sul bene comune”. E ancora: “Potrei dire che Rimini è una città confusa e disperata (...) e “questa è una comunità in cui esistono enormi giacimenti di bene e di speranza”. Questi alcuni dei passaggi dell’intervista al vescovo di Rimini Lambiasi pubblicata domenica dal Resto del Carlino. Disperata è un aggettivo forte, ma mons. Lambiasi non si è sottratto dal pronunciarla; colpisce perché indica non un problema economico, politico o appena sociale, la disperazione è qualcosa che tocca il cuore dell’uomo, che c’entra con il cuore dell’uomo.


Eppure a Rimini non si sta male, come rilevano in tanti, anche le varie classifiche che escono periodicamente. Lo stesso don Julián Carrón, a Rimini qualche giorno fa per il 50 anni della comunità di Cl, ha avuto parole d’affetto per tutti i riminesi: “Mi piace la loro capacità d'iniziativa. (...) E' una cosa che ogni riminese ha nel suo Dna e questo è un grazia per tutti, perchè dice che l'uomo quando si lascia colpire da quello che Cristo fa davanti a lui, può dare un contributo al bene di tutti”. E lo stesso don Giancarlo Ugolini aveva sottolineato nella sua ultima intervista il temperamento caldo dei romagnoli.
Le analisi su Rimini ricordano molto le affermazioni di una studiosa francese, Myriam Revault d'Allonnes, la quale ha scritto un saggio molto in voga in Francia in questo momento “Oggi, se la crisi è percepita come insuperabile è perché è venuta meno l'idea di futuro. La nostra visione dell'avvenire è infatti incerta, non prefigurabile. Fino agli anni Ottanta avevamo ancora una prospettiva. La fine del lungo boom economico del dopoguerra e il crollo del muro di Berlino hanno però segnato la fine delle speranze secolari. Simbolicamente, per l'uomo occidentale è emerso come ha scritto Lévinas - un tempo senza promesse. Secondo me, questa è la chiave per capire la nostra situazione”. Infatti disperazione è il contrario della speranza.


Da dove ripartire, dopo le parole del Vescovo? Perché a Rimini non c’è stato il terremoto come in Emilia, non ci sono case da ricostruire. Lambiasi ha indicato che da ricostruire c’è l’uomo, il cuore in ogni uomo.
E per fare questo non bastano opinioni, chiacchere, analisi o esortazioni. Con quel “Rimini disperata” è come se il vescovo avesse richiamato tutti a chiedersi: su che cosa poggia la tua vita?
Due provocazioni al sentire comune, in assoluta sintonia con le preoccupazioni di Mons. Lambiasi, sono risuonate l’altra sera al Palacongressi dove era raccolta Cl e non solo. La prima quando don Carrón ha raccontato di sè, della difficoltà vissute negli anni dell’insegnamento. E commentando queste circostanze difficili per la sua vita ha raccontato che ogni circostanza egli ha considerata amica, perché senza che la vita ti sfidi, la realtà è solo un sopravvivere. “Ogni difficoltà era la modalità attraverso cui venivo risvegliato”.
L’altra, risponendo alla domanda a un albergatore, è stata riguardo al problema della consistenza, dove può poggiare la nostra vita per tenere la testa alta e continuare a guardare al futuro: “Le difficoltà, la mancanza di fiducia, l’incertezza nel rischiare, si risolvono se la persona acquista una consistenza che gli consente di non lasciarsi scoraggiare”, richiamando in questo modo la necessità di non essere soli, come già aveva fatto all’assemblea generale della Compagnia delle Opere nazionale: “Una compagnia di amici che vi sorregga a guardare tutti i segni della situazione in cui ciascuno si trova senza censurarne nessuno, che vi incoraggi e vi sostenga nella disponibilità a riconoscere e obbedire all’indicazione di tutto quello che occorre cambiare, che vi suggerisca e vi aiuti ad avere l’audacia di prendere delle decisioni anche rischiose che siano più adeguate per affrontare le sfide che avete davanti”.


L’esigenza quindi di una ‘comunità di destino’, secondo la definizione dello psichiatra Eugenio Borgna: “una visione del mondo, una Weltanschauung, nella quale si esca dalla nostra individualità, dai confini del nostro egoismo, e non si riviva il dolore, la sofferenza altrui, come qualcosa che non ci interessi, come qualcosa che non ci appartenga, come qualcosa che nemmeno sfiori la nostra ragione di vita, ma invece, e sinceramente, come qualcosa che ferisca anche noi: come qualcosa, cioè, che non ci sia estraneo, o indifferente, e nel quale si sia tutti implicati. Insomma, si forma una comunità di destino, una comunità solo visibile agli occhi del cuore, quando ciascuno di noi sappia sentire, e vivere, il destino di dolore, di angoscia, di sofferenza, di disperazione, di gioia e di speranza, dell' altro come se fosse, almeno in parte, anche il nostro destino: il destino di ciascuno di noi” (Intervista repubblica del 27 settembre 2011). Se dunque Rimini oggi è confusa e senza speranza, il problema è di ognuno di noi. Anzi, l’occasione.

Ultima modifica il Lunedì, 10 Dicembre 2012 10:42

Le vostre foto

Rimini by @lisaram, foto vincitrice del 15 febbraio

#bgRimini

Le nostre città con gli occhi di chi le vive. Voi scattate e taggate, noi pubblichiamo. Tutto alla maniera di Instagram