La carità si inventa nuove forme per aiutare evitando il contagio

Lunedì, 09 Marzo 2020

“Il tema che abbiamo bene in mente è che le persone fragili, deboli, in difficoltà, lo sono anche se siamo in zona rossa, se siamo in un periodo in cui ci viene consigliato di stare a casa e di mantenere le distanze”. Mario Galasso, direttore della Caritas della diocesi di Rimini, racconta come l’emergenza da coronavirus stia cambiando il modo di andare incontro ai bisogni delle persone più povere. “È difficile per noi stare chiusi in casa, chi vive sulla strada è ancora più in difficoltà, rischia di essere ancora più solo”, osserva.

Quindi? “Insieme a tutte le Caritas abbiamo ragionato su come riformulare i nostri servizi in modo da poter garantire il pasto caldo, i vestiti, il pasto per le persone sole a casa, l’ascolto delle urgenze. Cerchiamo di continuare a fare tutto questo osservando però tutte le giuste precauzioni”.

Galasso spiega che c’è un lavoro in atto con i Comuni, con gli altri enti, con le altre Caritas per adeguare la loro rete di solidarietà ai tempi del coronavirus. “Sulla materia specifica non ci sono indicazioni, cerchiamo di capire insieme, prendendo spunto gli uni dagli altri. Sappiamo che dobbiamo mantenere almeno un metro di distanza, che dobbiamo curare in modo molto puntuale l’igiene delle mani, che dobbiamo stare attenti all’igiene delle superfici. Alla luce di queste indicazioni stiamo ragionando per garantire in questo periodo faticoso i servizi a persone per le quali la vita è ancor più difficile”.

La Caritas, nella propria sede di San Giuliano, gestisce da anni una mensa. “La mensa – racconta il direttore - funziona ma invece di far sedere le persone a tavola prepariamo i pasti caldi, li confezioniamo nei sacchetti e li distribuiamo alla porta”.

I volontari portano i pasti caldi anche a domicilio, a persone sole molto anziane. “Adesso non entriamo più nelle case ma consegniamo sulla porta il sacchetto con il cibo. Bisogna evitare assolutamente che, nel rapporto con persone più fragili e più esposte al rischio, possiamo essere noi il fattore di contagio. Le norme sono biunivoche, valgono per gli altri ma anche per noi”, spiega Galasso.

Una delle principali attività della Caritas è il centro di ascolto, un luogo fisico dove si andava a chiedere aiuto in caso di bisogno. “I Centri di ascolto, così come tutti i servizi che prevedono una sala di attesa, sono stati chiusi. Le persone possono telefonare e attraverso il colloquio telefonico si fa un primo screening. Se la questione non è urgente la si rimanda, se è urgente si fissa un appuntamento che si tiene con l’osservanza delle precauzioni. Attraverso l’utilizzo del telefono si scremano automaticamente tutte le richieste non importanti. Se si presenta qualcuno che manifesta di essere affetto da tosse o raffreddore, non lo si fa entrare e lo si invita ad andare a farsi visitare”.

Cambiamenti in vista, ma non ancora attuati, anche per l‘emporio solidale. “Continua ad essere aperto anche se stiamo ragionando su una riformulazione per fare in modo che le persone non sostino all’interno ma abbiano comunque il servizio garantito”.

Dalla Caritas andavano anche gli homeless e coloro che vivono sulla strada per farsi una doccia. Il servizio è sospeso perché nelle docce si viene a creare una situazione potenzialmente rischiosa. Vengono comunque distribuiti i vestiti puliti (intimo e altro) ma anche questi nel sacchetto senza la possibilità di entrare a sceglierli.

I volontari, al pari di quelli della Croce Rossa e della Capanna di Betlemme continuano a uscire la sera per portare coperte, cibo e bevande calde a chi non ha un tetto. Il dormitorio della Capanna di Betlemme resta chiuso in questi giorni perché le camere non consentono di mantenere le distanze. Viene comunque garantita l’assistenza on the road.

Facilmente intuibile che l’emergenza abbia cambiato anche il modo di essere delle persone che si dedicano a questi servizi. “Alcuni volontari anziani non se la sono sentita di continuare. – racconta Galasso – Hanno detto che non volevano rischiare a uscire di casa e noi abbiamo rispettato la loro scelta. Gli altri in questo momento si sentono più che mai motivati di essere d’aiuto. Da parte nostra, siamo attenti che le persone, in questi slanci di altruismo, non si mettano in situazioni di rischio. Oltretutto se uno si ammala, è uno in meno che può aiutare gli altri. Manteniamo i servizi seguendo le indicazioni date dalle istituzioni. In questo momento siamo chiamati a usare la fantasia, a inventarci nuove forme per coniugare sicurezza e solidarietà. Continuiamo a farci prossimo, a farci dono usando la ragione e tenendo conto dell’emergenza in cui siamo”.