Scrivi qui la tua mail
e premi Invio per ricevere gratuitamente ogni mattina la nostra rassegna stampa

Elezioni 2018: qualche criterio per non stare al balcone

Mercoledì, 24 Gennaio 2018

“Vi invito ad esigere dai protagonisti della vita pubblica coerenza d’impegno, preparazione, rettitudine morale, capacità d’iniziativa, longanimità, pazienza e forza d’animo nell’affrontare le sfide di oggi, senza tuttavia pretendere un’impossibile perfezione”. Intervenendo in Piazza del Popolo a Cesena, il 1 ottobre scorso, papa Francesco ha tracciato un originale manifesto dell’impegno politico che vale la pena di rileggere in questo periodo di campagna elettorale. Francesco ha invitato a “considerare la nobiltà dell’agire politico in nome e a favore del popolo, che si riconosce in una storia e in valori condivisi e chiede tranquillità di vita e sviluppo ordinato”. E ha invitato ancora una volta a non stare a guardare dal balcone, ma di assumersi le proprie responsabilità.

La tentazione che molti si ritrovano addosso è quella dell’astensione, determinata dal triste spettacolo che la politica ha dato di sé negli ultimi anni. Tuttavia, per non restare al balcone ad osservare la storia che scorre sotto i nostri occhi e magari commentare sdegnati che è una brutta storia, l’unica possibilità che ciascuno di noi ha è quella del voto. Certo, un tempo tutto era più facile, gli schieramenti nazionali e internazionali imponevano di stare dall’una o dall’altra parte, e, magari turandosi il naso, si poteva compiere il proprio dovere civico senza troppi problemi di coscienza. Oggi tutto è diventato più complesso, il crollo delle ideologie, il discredito della politica, l’impoverimento di cultura, esperienza e preparazione delle attuali classi dirigenti, il venire meno di un rapporto diretto fra eletti ed elettori, questi ed altri fattori rendono più difficile orientarsi e scegliere.

La corruzione, gli scandali, i problemi storici sempre più incancreniti sembrano suggerire che il proprio voto non conta nulla. Comprensibile, anche se il virus del moralismo giacobino, la pretesa di un’impossibile perfezione (per dirla con papa Francesco) rischia di deformare lo sguardo sulla realtà e costringere alla resa al mainstream dominante diffuso a iosa da taluni talk show televisivi. Non ci si può limitare a stare al balcone e nemmeno arrendersi alla rabbia, al rancore, al ribellismo.

Nel discorso di papa Francesco a Cesena ci sono alcuni criteri che possono aiutare ad uscire dal vicolo cieco.

Sui politici che sbagliano

Se il politico sbaglia, vai a dirglielo, ci sono tanti modi di dirlo: “Ma, credo che questo sarebbe meglio così, così…”. Attraverso la stampa, la radio… Ma dirlo costruttivamente. E non guardare dal balcone, osservarla dal balcone aspettando che lui fallisca. No, questo non costruisce la civiltà. Si troverà in tal modo la forza di assumersi le responsabilità che ci competono, comprendendo al tempo stesso che, pur con l’aiuto di Dio e la collaborazione degli uomini, accadrà comunque di commettere degli sbagli. Tutti sbagliamo. “Scusatemi, ho sbagliato. Riprendo la strada giusta e vado avanti”.

Il politico che sbaglia è una categoria non ammessa dalla mentalità comune contemporanea, ammorbata dal giustizialismo. I vari populismi, di destra e di sinistra, alimentano le loro fortune con la gogna ai politici che sbagliano, da mandare a casa, meglio ancora in galera. I politici, come tutti gli uomini sbagliano e devono avere l’onestà di riconoscere i propri errori. Anche questa è un’attitudine non facile da riscontrare oggi nei politici, propensi a giustificare ogni azione, anche la più insensata. Se c’è una severità da esercitare è con chi non ammette errori, con chi rivendica impossibili superiorità morali. Va riconosciuto che la difficoltà di dire “ho sbagliato” dipende anche da un’opinione pubblica sempre meno incline a concedere una seconda chance a chi è andato fuori strada. L’impossibile perfezione della politica richiede uno sguardo realistico sull’uomo, sulla sua grandezza e sulle sue inevitabili debolezze.

Sulle promesse elettorali

“Le vicende umane e storiche e la complessità dei problemi non permettono di risolvere tutto e subito. La bacchetta magica non funziona in politica. Un sano realismo sa che anche la migliore classe dirigente non può risolvere in un baleno tutte le questioni. Per rendersene conto basta provare ad agire di persona invece di limitarsi a osservare e criticare dal balcone l’operato degli altri”. 

Se c’è una caratteristica del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, questa è proprio la complessità dei problemi. Ad una situazione sempre più complessa, sia sul piano locale che globale, non si può rispondere con ricette miracolistiche, con la pretesa di realizzare tutti e subito i cambiamenti necessari. Le forze politiche che vengono da un periodo di opposizione hanno invece la tentazione di presentarsi agli occhi degli elettori come capaci di risolvere in un colpo problemi che chiedono tempo e gradualità. A questa tentazione se ne accompagna un’altra. Quella di inserire nel programma l’abolizione di tutto ciò che ha fatto chi è stato al governo. Non si dice “questo è insufficiente, bisogna fare un passo avanti”, conservando quanto di buono è stato realizzato in precedenza; oppure non si dice: “sono problemi complessi, proveremo ad avviarli a soluzione”. No, si vuole marcare il cambiamento con abrogazioni totali e promesse di realizzazione immediata.

Quanto sia irragionevole la posizione di chi promette rapidi e radicali cambiamenti, lo dimostra l’esperienza storica. Quando costoro arrivano a detenere le leve del potere, immediatamente invocano la complessità dei problemi per giustificare l’impossibilità di risolverli tutti e subito.

Nell’avvio della campagna elettorale per il 4 marzo, soprattutto forze populiste come Lega e Movimento 5 Stelle hanno voluto distinguersi proponendo l’abolizione di leggi precedenti e proponendo nuovi provvedimenti di spesa senza indicare le coperture necessarie. Questi attegiamenti certamente serviranno a raccogliere voti, ma le inevitabili delusioni che ne deriveranno non faranno altro che alimentare disgusto e distacco dalla politica. Sono quindi preferibili politici che facciano la fatica di trovare soluzioni parziali ma realistiche, e non si limitino a contestare quanto fatto da chi li ha preceduti.

Sull’arte del compromesso

“Il buon politico finisce sempre per essere un “martire” al servizio, perché lascia le proprie idee ma non le abbandona, le mette in discussione con tutti per andare verso il bene comune, e questo è molto bello”.

Già il cardinale Joseph Ratzinger aveva scritto che il compromesso non è l’ignobile abdicazione dei propri ideali, ma il giusto metodo di un’azione politica volta alla ricerca del bene comune. Veniamo da più di un ventennio di barbara degenerazione del confronto politico, dove la normale dialettica fra idee diverse è diventata demonizzazione dell’avversario. Il giacobinismo rivoluzionario che anima la prassi di talune forze politiche non aiuta certo a fare passi avanti. Si rischia di dimenticare che una buona politica è “riconoscere che ogni idea va verificata e rimodellata nel confronto con la realtà; pronti a riconoscere che è fondamentale avviare iniziative suscitando ampie collaborazioni”. Il compromesso, la ricerca di accordi per il bene comune, la disponibilità ad integrare le proprie idee con quelle degli altri per trovare soluzioni più corrispondenti ai bisogni delle persone: questo è il sale della politica, non la solitaria rivendicazione della propria purezza ideale.

Valerio Lessi


Le vostre foto

Rimini by @lisaram, foto vincitrice del 15 febbraio

#bgRimini

Le nostre città con gli occhi di chi le vive. Voi scattate e taggate, noi pubblichiamo. Tutto alla maniera di Instagram