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La fuga dal Pd alla Lega e il Dna della sinistra a Rimini

Lunedì, 12 Marzo 2018

Il consigliere comunale, Simone Bertozzi, perennemente a disagio nel Pd renziano, di fronte al caso di Mario Siliquini, passato dal voto al Pci al voto alla Lega, ha postato su Facebook «Secondo me uno così non è mai stato di sinistra». Forse senza saperlo o volerlo, Bertozzi ha detto una verità molto più generale, non semplicemente riferita all’ormai famoso riminese intervistato da La7.

Quando il Pci a Riccione, Misano, Santarcangelo, e per molto tempo anche a Rimini, raccoglieva il 40, 50, 60 per cento dei voti, i consensi arrivavano forse da un elettorato tutto di sinistra, se per sinistra si intende tutto l’armamentario ideologico otto/novecentesco, dall’idea eguaglianza sociale al mito della Rivoluzione d’ottobre? Per molti certamente faceva presa il richiamo ideologico, per molti altri, forse la maggioranza, no. E certamente la base sociale dalle nostre parti non era composta in modo preponderante dal proletariato urbano e dai braccianti contadini. Il Pci è sempre riuscito, soprattutto a livello amministrativo, a coagulare il consenso dei ceti medi. Non si spiegherebbero altrimenti le alte percentuali conservate per decenni se non vi fossero stati compresi anche i voti di commercianti, artigiani, bagnini, albergatori, insegnanti, impiegati pubblici. Viene in mente un ritratto di Terzo Pierani all’apice del suo successo firmato dal compianto Silvano Cardellini: passava con disinvoltura dalla celebrazione del mito dell’Urss in sezione all’accordo con le categorie economiche del turismo in città. Del resto è nella nostra regione, nel famoso discorso di Reggio Emilia del 1946, che Togliatti fece la storica apertura ai ceti medi, che molto peso ebbe nelle successive strategie del partito, fino al compromesso storico di berlingueriana memoria.

Cosa chiedevano queste categorie al Pci e ai suoi derivati Pds e Ds: non certo la realizzazione del socialismo, ma un sistema di rappresentanza e di protezione sociale, intesa come garanzia di poter perseguire il proprio piccolo sogno di benessere. Anche negli anni della sinistra vincente, capitava non di radio di trovare persone con il cuore a sinistra e il portafoglio (ed anche taluni giudizi socio-culturali) a destra. I nomadi, per fare un esempio, sono sempre stati indigesti ad un certo elettorato di sinistra, anche di estrazione popolare. Qualcuno forse ha dimenticato le proteste dei primi anni Novanta, quando era sindaco Chicchi?

Prima che Sergio Pizzolante fosse e scoprisse la necessità di dare rappresentanza al ceto medio, ossatura della democrazia, il partito storico della sinistra aveva ampiamente arato quelle praterie. D’altra parte Pizzolante ha avuto buon gioco e successo con il suo Patto Civico perché ha capito per primo e in tempo utile che il Pd non era più in grado di intercettare da solo il voto del ceto medio. La frana, cominciata da tempo, è stata arginata nel 2016 ed è scesa rovinosamente a valle domenica scorsa.

Quindi nessuna sorpresa di fronte ad un flusso diretto di voti dal Pd alla Lega. C’è anche qualche riscontro numerico. Gli analisti dei flussi hanno detto che a livello nazionale due milioni e mezzo di voti sono passati dal Pd ai 5 Stelle. Se si guardano i risultati locali, si vede invece che il movimento grillino ha ottenuto poco più del 2013: nella nostra provincia, da sempre anello debole della sinistra in Emilia Romagna, l’aratura dell’orto ex comunista è avvenuta cinque anni prima. Se i candidati del centro sinistra sono arrivati addirittura terzi, a molte lunghezze di distanza, è perché la domanda di rappresentanza e protezione sociale si è riversata sulla Lega. Per protezione sociale intendiamo non solo i classici punti del welfare (le pensioni per esempio) ma anche la protezione di fronte ad un mondo cambiato che si percepisce come ostile rispetto al benessere faticosamente acquisito ed oggi in pericolo (Europa, meccanismi della finanza, immigrazione).

Se a fuggire dal Pd a livello locale sono stati il ceto medio e l’elettorato moderato, appare quindi smentita la tesi secondo cui il peccato mortale del Pd sarebbe quello di non essere sufficientemente di sinistra. Il tracollo dei democratici e la contemporanea vittoria di 5 Stelle e Lega hanno messo in ombra il fiasco clamoroso di Liberi e Uguali. Se c’era una domanda di sinistra inevasa, il partito di Grasso e soci avrebbe dovuto ottenere un successo clamoroso. Anche a Rimini, dove hanno schierato un ex sindaco, ha invece raccolto un magro risultato. Invece che guardare all’indietro, al recupero di categorie proprie di una sinistra del secolo scorso, il Pd dovrebbe invece riformulare – in altri termini e con altro personale politico – la scommessa persa da Renzi: costruire un partito di sinistra moderno, capace di rispondere ai bisogni di una società cambiata, capace di dare rappresentanza alle nuove fasce deboli (per esempio partite Iva e precari) e al ceto medio in cerca di ripresa. Ma questi sono consigli non richiesti e ci fermiamo qui.

Valerio Lessi

           


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