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Meeting 2016. Voci dalle periferie del mondo

Martedì, 23 Agosto 2016

Il governo francese ha censito 1200 quartieri periferici, luoghi separati dal resto della città, luoghi vissuti dalla popolazione come pericolosi per la propria sicurezza. E le cronache arrivano spesso a confermare che non si tratta di leggende metropolitane. I volontari dell’associazione Le Rocher hanno scelto di vivere in sette di questi quartieri, a Parigi, ma anche in altre città della Francia come Marsiglia e Grenoble. Una piccola goccia d’acqua ma il seme di un approccio diverso come ha ben testimoniato oggi al Meeting il direttore Jean-Francois Morin. L’associazione è sorta nell’ambito della comunità Emmanuel, che si basa su tre punti: adorazione, compassione ed evangelizzazione.

Le Rocher si definisce un movimento di educazione popolare. I suoi membri hanno scelto di andare a vivere nelle banlieu, nelle periferie, non per fare qualcosa per gli altri, ma per vivere con gli altri. Una sottolineatura di metodo molto importante, che Morin ha ripetuto più volte. Un movimento che ha come motore la fede cristiana. “Per vivere nei quartieri sensibili (così li chiama, ndr) ci vuole la fede. Con motivazioni semplicemente umane sarebbe impossibile”. Tutti i giorni – racconta – si comincia con la preghiera. Ed è il gesto che ci stampa sul volto il sorriso con cui si affronta il lavoro quotidiano. Cosa facciano è semplice e nello stesso tempo molto difficile: entrano in rapporto con persone che normalmente non escono mai dal quartiere (“come se avessero perso le chiavi”) e affrontano i problemi di vita quotidiana di ciascuno. “E’ un’attività molto pratica”, sottolinea. Comprende anche il porta a porta nelle case dove vivono le persone più povere fra i poveri, nella miseria. Cercano anche di far uscire le persone dal quartiere, per educarle ad un’apertura, perché non restino sempre nel ghetto. Ma l’importante è stare con le persone, non fare le cose per le persone. “Vivere con l’altro è ciò che può cambiare tutto”, sostiene. Non che sempre sia tutto facile. Racconta che a Grenoble c’è voluto un anno perché le persone dell’associazione fossero accettate. “E’ inconcepibile per loro entrare in rapporto con un bianco”. Ma anche quel muro alla fine è caduto. Una presenza nel quotidiano che non ha pretese, che non si aspetta nulla ma che tutto vive nella gratuità, ecco un altro punto di metodo fondamentale. E conclude con una citazione di papa Francesco: “Senza misericordia non si può capire la dinamica dell’incontro”.

E il cardinale Jorge Maria Bergoglio ha avuto un ruolo importante nella vita di padre Josè Maria Di Paola, meglio conosciuto padre Pepe, parroco nella villa La Carcova alla periferia di Buenos Aires. Un video mostra la visita che fece in parrocchia il cardinale Bergoglio per dargli appoggio perché i narcotrafficanti lo avevano minacciato di morte. Queste villas, queste periferie, sono enormi agglomerati non urbanizzati, senza servizi, dove le persone vivono i condizioni di povertà e cadono spesso vittime degli spacciatori di droga. Si sono formate negli anni in seguito alle varie ondate immigratorie, un crogiolo di popoli e di razze che vive in condizioni spesso disumane. Fra quelle persone da anni vive padre Pepe, con l’atteggiamento di chi innanzitutto vuole valorizzare la religiosità popolare che le sostiene. “Ci sono tanti analfabeti che hanno trasmesso la fede cristiana ai loro figli”. Qualche anno fa, in occasione della elezioni amministrative, padre Pepe e altri preti vollero hanno stilato u documento per sostenere la politica dell’integrazione urbana, in alternativa ai programmi che immaginavano l’eliminazione della villas. Bergoglio lo ha approvato. Ai tre punti propri del futuro papa (tetto, terra, lavoro), loro hanno aggiunto scuola ed educazione, club, cioè la promozione dell’associazionismo in cui esprimere le proprie capacità, e la cappella, il luogo dell’identità. Nelle villas la prima cosa ad essere stata realizzata è stata la cappella, per mano della gente del quartiere. La vera urbanizzazione, secondo padre Pepe, sta nel circolo virtuoso fra scuola, club e cappella.

Ma la “cultura” del narcotraffico è una minaccia ai valori positivi che si tenta di promuovere nelle villas, quindi è importante che non si rompa il circolo virtuoso prima indicato, in tutto ciò, come ha indicato papa Francesco, gioca un ruolo importante la creatività che fa dell’integrazione un fattore di sviluppo.


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