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Meeting 2016. Deludente il dibattito sul referendum

Mercoledì, 24 Agosto 2016

Uno degli incontri più attesi (più dai giornali e da chi si interessa molto di politica che dal popolo del Meeting in sé), quello sulla riforma costituzionali e sul referendum, è stato deludente. E non solo per la mancata partecipazione del ministro Maria Elena Boschi che – stando alla versione ufficiale – ha voluto fare ritorno a Roma per seguire i tragici eventi del terremoto in Centro Italia. Motivazione che sta anche in piedi ma che lascia aperti molti altri interrogativi.

Ma un dibattito sulla riforma e sul referendum può certamente essere interessante anche se non vi partecipa il ministro. Basta che si entri nel tema, che si offrano spunti di riflessione, che uno si alzi dalla sedia soddisfatto perché ora ha maggiori strumenti per decidere o per il sì o per il no. D’altra parte proprio così i dirigenti del Meeting, sollecitati ad esprimersi sul referendum, avevano presentato l’incontro di oggi: un’occasione privilegiata per ascoltare un confronto di voci autorevoli, per cominciare un lavoro che poi sarebbe continuato.

Sulla carta, al tavolo del Meeting, erano presenti due posizioni diverse. Il professor Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale, è stato uno dei firmatari del documento dei giuristi che in sostanza ha detto che le intenzioni della riforma sono lodevoli e vanno nella giusta direzione ma il risultato pratico è da bocciare. Il professor Sabino Cassese, altro insigne giurista, giudice emerito della Corte, è invece un noto sostenitore delle ragioni del sì al referendum di ottobre. Non pretendevamo certo che scorresse il sangue (non è questo lo stile del Meeting, tanto più nell’anno del “Tu sei un bene per me”) ma che le differenti posizioni emergessero nella loro chiarezza questo sì era lecito aspettarselo. Altrimenti un non addetto ai lavori, un normale cittadino, come fa ad approfondire una materia complicata, che presenta tanti fattori in gioco, difficilmente componibili in un mosaico coerente?

Succede invece che il professor Casavola, sollecitato dal moderatore Andrea Simoncini a spiegare le ragioni storiche del bicameralismo italiano, parta da Adamo ed Eva e quasi ci rimanga. Nel senso che ha proposto una interessante e lucida dissertazione storica sul ruolo del Senato nello Statuto albertino del 1848, arrivando poi a liquidare in due parole (“Fu scelto il bicameralismo temendo che una scelta monocamerale non mettesse al riparo dal dominio su di essa di una sola parte politica”) la situazione creata nella Costituzione del 1948. Quando poi, nel secondo giro, è sceso a parlare dell’attualità, lui, uno dei esponenti del fronte del no, si è limitato a dire l’unico aspetto che lo convince della riforma e cioè la nuova distribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regione, una configurazione che a suo giudizio meglio garantisce i diritti di uguaglianza dei cittadini. Punto. Come minimo evasivo. O sta cambiando opinione, rispetto al manifesto che ha firmato. O è stato eccessivamente prudente (pensava di essere di fronte ad una platea di esagitati sostenitori del sì?). A dire il vero ha detto anche una cosa che ha tradito il suo orientamento: ha auspicato che si arrivi ad una riforma che impone l’obbligo del quorum anche nei referendum costituzionali (in modo che sia davvero il popolo e non una minoranza a decidere) e del quesito univoco (niente spacchettamenti, pure adombrati anche per le consultazioni del prossimo autunno).

Più lineare e coerente l’esposizione del professor Cassese che, per quanto sollecitato da Simoncini a fare un’analisi tecnica, ha sciorinato uno dopo l’altro tutti i buoni argomenti che possono portare a votare sì. Ha ricordato che i dubbi sul bicameralismo perfetto erano già presenti prima e dopo la Costituente; ha sottolineato come adesso la funzione “ritardatrice”, di riflessione, di “raffreddamento, che nel pensiero costituente avrebbe dovuto svolgere il Senato, adesso avviene a livello verticale, con le direttive europee che vincolano il Parlamento nazionale. Ha riesumato dalla recente storia politica la tesi n. 4 dell’Ulivo di Romano Prodi sul Senato della Regioni che sembra scritta, pari pari, dall’assente ministro Boschi. Ha ricordato che la riforma non cambia il titolo V uscito nel 1948, ma quello riformato dall’Ulivo nel 2001. La sua esperienza di giudice costituzionale gli ha fatto vedere che la concorrenza legislativa di Stato e Regioni sulle stesse materie creava una conflittualità permanente che era difficile districare. Insomma, ha usato tutti gli argomenti in favore del sì.


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