Turismo, come si misura un evento: impariamo dal Cst di Firenze
Turismo, come si misura un evento: impariamo dal Cst di Firenze
Anche le piazze e i viali pieni di gente durante il ponte dell'Immacolata hanno subito fatto gridare operatori e amministratori pubblici al "miracolo turistico di Natale". Così come certamente accadrà quando a capodanno si riempiranno gli spazi degli eventi programmati o come sempre si è visto in occasione degli eventi estivi quali la Notte Rosa o la Molo Street Parade. Se l'occhio ottiene la sua soddisfazione, non si esita poi a sparare cifre iperboliche sulle presenze e sui fatturati connessi. Sulla base di quali criteri di misurazione e valutazione? Da quel che si capisce, nessuno; nemmeno quello storico (tre persone a metro quadro) usato dalle questure del Bel Paese quando si tratta di contare i partecipanti ad una manifestazione. A Rimini, come del resto in larga parte della penisola, vige incontrastato il criterio "spannometrico" che ha il terribile difetto di non poter essere verificato.
Eppure c'è chi ha provato a uscire dalle valutazioni a braccio ed ha elaborato una metodologia che è già stata applicata più volte con successo e con risultati interessanti a eventi di diversa natura.
Protagonista dell'esperimento è il Centro studi turistici di Firenze, il cui direttore Alessandro Tortelli ne ha parlato alla recente edizione della Bto, nell'ambito di un intervento dedicato all'annosa questione delle statistiche del turismo. Il modello di indagine da loro elaborato va oltre la definizione dei numeri; anzi parte dai numeri per arrivare a misurare l'impatto economico complessivo di un evento, cioè quanta ricchezza, detratte le spese effettuate per realizzarlo, ha prodotto sul territorio. Un esempio? Applicando il modello alla mostra su Piero della Francesca organizzata qualche anno fa in provincia di Arezzo, la conclusione è stata che a fronte di un investimento complessivo di 2,3 milioni di euro, la spesa di turisti ed escursionisti ha generato un valore aggiunto diretto, indiretto e indotto (i ricavi al netto delle imposte indirette, depurati dal costo dei beni e servizi intermedi necessari alla produzione) pari a 18 milioni di euro. Se qualcuno avesse obiettato che gli enti pubblici aretini avevano speso troppo per una mostra, gli stessi enti pubblici avrebbero potuto replicare che quello è stato un investimento che ha reso quasi otto volte tanto.
Replica fondata non sull'opinione di questo o quel l'assessore o di questo o quel presidente di associazione di categoria, ma sulla base di un'indagine condotta con criteri scientifici.
Per capire come funziona, spieghiamo cosa è stato fatto nel caso della mostra su Piero della Francesca, perché la metodologia si deve poi calibrare alla natura dell'evento sotto esame.
Innanzitutto è stato compiuto un congruo numero di interviste ai visitatori della mostra, rappresentativo delle tre categorie interessate, turisti, escursionisti e residenti. Le interviste erano finalizzate a definire il profilo della spesa media pro-capite. Secondo passaggio, un'indagine campionaria fra gli esercizi commerciali e i pubblici esercizi per verificare se nel periodo dell'evento c'è stato un incremento di fatturato. Lo stesso lavoro lo si è fatto con un campione rappresentativo delle strutture ricettive del territorio (alberghi, certamente , ma anche agriturismo). Si sono poi prese in esame anche le statistiche ufficiali su arrivi e presenze. Completano il quadro un'indagine fra agenzie viaggio e guide turistiche, nonché una valutazione dettagliata dell'impatto mediatico, carta stampata, web, radio e televisione.
Tutto questo insieme di dati eterogenei come ha potuto diventare la valutazione di impatto economico che abbiamo visto? "Quanto finora descritto - spiega Gianfranco Lorenzo, direttore dell'area ricerca del Cst di Firenze - è il lavoro che abbiamo compiuti noi come Cst. I dati da noi raccolti sono poi stati elaborati dall'Irpet, che è l'istituto di programmazione economica della regione Toscana. L'Irpet li ha quindi messi a confronto con matrici econometriche dei diversi settori. Mi spiego. Se un turista spende un euro al ristorante, l'Irpet è in grado di valutare, sulla base di dati in suo possesso, quanta ricchezza ha generato quell'euro sul territorio, tenendo conto di tutti i fattori in gioco. Se invece l'euro è stato speso dal parrucchiere, probabilmente l'impatto è stato diverso, così se è stato speso in un negozio di alimentari".
Non è il caso di scendere nei dettagli, ma il concetto è chiaro, non si procede a spanne ma sulla base di protocolli consolidati. Invece chiediamo: quanto costa un'operazione di questo genere? "Bisogna vedere le caratteristiche dell'evento. Se si tratta di una mostra o comunque di una manifestazione con bigliettazione, per cui si può stabilire il numero esatto dei partecipanti, il costo di una indagine di questo tipo costa intorno ai 20 mila euro. Se invece si tratta di eventi che sono a partecipazione libera, come per esempio la vostra Notte Rosa, allora la procedura diventa più complessa, ma non certo impossibile. Si tratta di valutare diversi fattori, dal probabile numero delle persone al cachet dell'artista: se l'artista vive fuori Rimini, il suo compenso è una ricchezza che se ne va dal territorio". Il Cst ha realizzato questo tipo di indagine sull'autodromo del Mugello, oltre che su altre mostre ed eventi sportivi. Si potrebbe quindi applicare anche alla MotoGP di Misano? "Certamente, - risponde Lorenzo - ogni evento poi ha le sue specifiche caratteristiche di cui tener conto. Per la MotoGP, per esempio, si dovrà valutare non solo la spesa degli spettatori, ma anche quella generata sul territorio dal team organizzativo, dai piloti, ecc".
Tutto, insomma, è misurabile, per poter decidere se un evento vale l’investimento realizzato. Si spera che l'esempio toscano possa presto essere imitato anche dai nostri organizzatori pubblici di eventi.
Piacenti: Gnassi è debole, purchè non lo si attacchi su Aeradria
Piacenti: "Gnassi è debole, purchè non lo si attacchi su Aeradria"
“Negli ultimi vent’anni il centrodestra a Rimini non ha mai avuto un’occasione così favorevole per conquistare l’amministrazione comunale”. Gianni Piacenti, storico esponente di Forza Italia e consigliere d’amministrazione della Fiera, ne è convintissimo, a dispetto di ogni opinione corrente.
Allude al fatto che il sindaco Andrea Gnassi arriva alle elezioni con la spada di Damocle del rinvio a giudizio per il caso Aeradria?
“Assolutamente no. Non sono d’accordo con quanti ritengono che questa vicenda spiani la strada al centrodestra. Le vicende di Aeradria sono sotto gli occhi di tutti, i cittadini che guardano le cose con intelligenza capiscono che si tratta di accuse inconsistenti. Attaccandolo su questo, c’è il rischio di farne un martire della Procura, di far diventare il rinvio a giudizio una medaglia in suo onore. Mentre in questo momento Gnassi è debolissimo, è un’anatra zoppa…”
La tesi è singolare: perché mai sarebbe debole?
“È un’anatra zoppa perché non ha nessuna sponda a sinistra. Tutto il mondo che è a sinistra del Pd deve necessariamente presentare propri candidati per poter far vedere che esiste, altrimenti a livello nazionale, con l’Italicum, è completamente tagliato fuori. Quindi questa sinistra non potrà mai allearsi con il Pd per le comunali. Al massimo Gnassi potrà contare su qualche lista inventata da lui, come quella del 2011 dell’ex vigile urbano del Ghetto Turco (si riferisce a Bertino Astolfi, ndr).
Scoperto a sinistra, potrà puntare al centro, alla ricerca di voti moderati.
“Anche qui le cose si sono complicate. Si ricorderà che nel 2009 Vitali vinse alle provinciali perché, caso unico in Regione, l’Udc si era alleata con il Pd. Adesso al contrario succede che una forza centrista dichiari di volersi alleare e il Pd la prenda a schiaffi in faccia. È un fatto che mi diverte molto”.
Allude all’outing di Pizzolante e alla reazione del segretario Pd Magrini?
“Pizzolante segue una strategia politica che a livello nazionale si chiama partito della nazione e che a livello riminese Gambini chiama patto civico. Il punto centrale interessante è che non appena si affaccia questo aiuto centrista il Pd reagisce come una maionese impazzita. Quindi per motivi tattici e interni, Gnassi si indebolisce sempre di più”.
Il deputato Arlotti però si è distinto parlando a proposito di Magrini di “reazione anomala”.
“Beh, anche al loro interno qualcuno comincia a capire. Anche perché con l’Italicum il partito della nazione può aspirare al 40 per cento, invece il Pd da solo non va da nessuna parte”.
Sembra però che Gnassi abbia consenso in città: la gente vede i cantieri aperti e pensa che qualcosa stia facendo.
“Il problema di Gnassi è arrivare al ballottaggio, però bisogna vedere come ci arriva. Secondo me ci arriverà da anatra zoppa, in una posizione di debolezza. Ovunque la sinistra è arrivata al voto in queste condizioni, ha perso. L’esempio vicino a noi è quello di Riccione. Se avrà di fronte una credibile proposta di centrodestra, Gnassi non vincerà”.
Ma esiste il centrodestra?
“Esiste, esiste. Diciamo che deve verificarsi una condizione: un civismo illuminato come quello di Progetto Rimini che esprima un buon candidato sindaco che sia gradito al partito egemone del centrodestra, cioè la Lega. Se ci sarà questo sposalizio e a queste condizioni, Gnassi non ha scampo. È lo schema vincente di Riccione: una lista civica molto rappresentativa di vari mondi politici e associativi che ha espresso il candidato ed ha ottenuto il sostegno di Forza Italia (in quel momento egemone nel centrodestra). Se invece si pensa a tutti i partiti di centrodestra che si alleano fra di loro, decidono il candidato e poi si uniscono a qualche lista civica, magari facendo credere che il candidato l’abbiano scelto loro, non si va da nessuna parte. In quel caso al ballottaggio arrivano i grillini”.
Tornando al tema iniziale: quindi è bene che il possibile rinvio a giudizio di Gnassi & soci non sia l’argomento portante della prossima campagna elettorale?
“Innanzitutto ancora non si sa se ci sarà questo rinvio. Il fatto che siano stati annullati i sequestri di beni degli indagati dovrebbe indurre a maggiore prudenza. Fra l’altro ancora non si conoscono le motivazioni. Il fatto che la Procura sia uscita con la richiesta prima ancora che vengano rese note le motivazioni dei dissequestri, lo vedo come un segno di debolezza. Bisogna capire una cosa. I creditori di Aeradria volevano che l’azienda continuasse, non che fallisse. È stata fatta fallire perché si voleva processare la classe politica. Ma non so quanto sia contento quell’elettorato che riempiva gli alberghi grazie ai russi…L’insistenza sul rinvio a giudizio è funzionale solo alle battaglie interne della sinistra del Pd”.
Lei sostiene questo perché Forza Italia ha partecipato alla gestione consociativa di Aeradria.
“Negli ultimi anni noi eravamo fuori dal consiglio di Aeradria. Certo, dicevamo che l’aeroporto va difeso e sostenuto, vorrei trovare una forza politica locale che affermi il contrario! Da un certo momento in poi l’allora presidente della Provincia Fabbri non ci ha più nominato perché ha preferito un consociativismo con le associazioni di categoria”.
I cittadini però sono indignati: come dar loro torto?
“In Aeradria c’è stato un errore di fondo. Comune e Provincia hanno detto in assemblea che avrebbero partecipato agli aumenti di capitale e quelle poste sono state messe nel bilancio dell’azienda. Chiunque pratica la politica sa che è una cosa che non si può fare, che ci vogliono le delibere e tutto il resto. Una vecchia, cattiva abitudine che peraltro è passata indenne anche dal controllo dei revisori dei conti. Comunque se c’è stato un reato è questo, e tutti sanno che ad aver voce in capitolo in Aeradria era la Provincia, non certo il sindaco Gnassi. Per cui ripeto: attenti a non rianimare Gnassi facendone un martire della Procura”.
Quelle scuole che fanno la differenza. La sfida di Francesco sull'educazione
Quelle scuole che fanno la differenza. La sfida di Francesco sull'educazione
Papa Francesco sorprende sempre con i suoi gesti e con le sue parole. Gesti e parole vanno visti insieme, perché è da essi che scaturisce il messaggio che il pontefice vuole trasmettere ai suoi interlocutori. Quando poi affronta un tema vitale per la società contemporanea, qual è quello dell’educazione, le sue parole oltre che sorprendenti sono anche penetranti.
Nelle ultime settimane ha avuto due occasioni per esprimersi: il congresso mondiale dell’educazione cattolica e l’udienza speciale concessa al consiglio nazionale dell’Agesc, l’associazione dei genitori delle scuole cattoliche. È in quest’ultima occasione, sabato scorso, che ha espresso il suo profondo interesse per l’educazione con i gesti e con le parole. Il gesto, sorprendente e commovente per chi l’ha vissuto (c’era anche un drappello di riminesi, fra cui chi scrive), è il saluto personale che ha voluto riservare alle quattrocento persone, tra cui anche ragazzi e bambini, che ha ricevuto nella Sala Clementina. La prassi vuole che normalmente possano accedere al “baciamano” (come lo chiama il protocollo vaticano) dieci, venti persone, insomma solo i dirigenti dell’associazione o del gruppo in visita. Per i genitori delle scuole cattoliche ha voluto fare un’eccezione: li ha salutati uno per uno, restando in piedi per almeno mezz’ora a ricevere il saluto di ciascuno.
Una predilezione che è andata ai genitori in quanto educatori cattolici: “Come genitori, - ha sottolineato - siete depositari del dovere e del diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, aiutando in tal senso in maniera positiva e costante il compito della scuola. Spetta a voi il diritto di richiedere un’educazione conveniente per i vostri figli, un’educazione integrale e aperta ai più autentici valori umani e cristiani. Compete anche a voi, però, far sì che la scuola sia all’altezza del compito educativo che le è affidato, in particolare quando l’educazione che propone si esprime come “cattolica”. Prego il Signore che la scuola cattolica non dia mai per scontato il significato di questo aggettivo! Infatti, essere educatori cattolici fa la differenza”.
Qual è il contenuto di questa “differenza”? Francesco ha esordito ricordando “l’importanza di promuovere un’educazione alla pienezza dell’umanità, perché parlare di educazione cattolica equivale a parlare di umano, di umanesimo”. Quindi la “differenza” che deve fare una scuola cattolica non è tanto la trasmissione di valori particolari, ascrivibili in modo esclusivo e autoreferenziale alla fede cattolica, quanto condurre le giovani generazioni ad una pienezza di umanità. Parlare di educazione significa parlare di umano, di cosa significa essere uomo, pienamente uomo. Rimbalza immediatamente quanto Francesco aveva detto due settimane fa ai partecipanti al congresso mondiale. Il papa aveva citato “un grande pensatore” secondo il quale “Educare è introdurre nella totalità della verità”. Il pensatore è Josef Andreas Jungmann, la cui frase è stata resa famosa in Italia da don Luigi Giussani, che l’ha assunta pienamente come suo concetto di educazione: introduzione alla realtà totale. Proprio per questa ragione Francesco afferma nel discorso all’Agesc che “la scuola cattolica deve trasmettere una cultura integrale, non ideologica”.
Sappiamo quanto, nella percezione largamente diffusa, scuola cattolica sia sinonimo di scuola confessionale, cioè una scuola che più che favorire un’apertura alla realtà totale si concepisce come un recinto rassicurante. Francesco spazza via questa concezione riduttiva e deformante.
Ci piace pensare a come avrebbe reagito alle parole di Francesco il sacerdote riminese don Giancarlo Ugolini che agli amici impegnati nell’esperienza della Karis Foundation, sottolineava con decisione che in quelle scuole il primato doveva andare ad un’educazione come apertura a tutta la realtà, come valorizzazione dell’umano che è in ciascuno e, soprattutto, della facoltà della ragione. Proprio perché si educa alla totalità dell’umano, ciò comporta l’apertura alla dimensione della trascendenza, come ha rimarcato Francesco. Lucia Zanotti, attuale presidente della Karis, ricorda a questo proposito una frase di don Ugolini: “Originariamente, noi siamo questa curiosità, veniamo al mondo aperti, spalancati al reale; ma questo spalancamento ultimo con cui veniamo al mondo, deve essere costantemente educato perché rimanga tale. L’educazione è questo lavoro e la scuola è uno degli strumenti principali. E’ un luogo, sono dei rapporti concepiti per questo, perché questa apertura alla realtà tutta, questa curiosità non è garantita dalla spontaneità”.
Francesco ha invitato i genitori cattolici ad interrogarsi su cosa significhi concretamente un’educazione integrale e non ideologica. Ed ha insistito: “Sappiate fare la differenza con la qualità formativa. Sappiate trovare modi e vie per non passare inosservati dietro le quinte della società e della cultura. Non destando clamori, non con progetti farciti di retorica. Sappiate distinguervi per la vostra costante attenzione alla persona, in modo speciale agli ultimi, a chi è scartato, rifiutato, dimenticato. Sappiate farvi notare non per la “facciata”, ma per una coerenza educativa radicata nella visione cristiana dell’uomo e della società”.
I tempi si fanno duri, il papa ne è cosciente, tuttavia lancia una sfida: “In un momento in cui la crisi economica si fa sentire pesantemente anche sulle scuole paritarie, molte delle quali sono costrette a chiudere, la tentazione dei “numeri” si affaccia con più insistenza, e con essa quella dello scoraggiamento. Ma nonostante tutto vi ripeto: la differenza si fa con la qualità della vostra presenza, e non con la quantità di risorse che si è in grado di mettere in campo. La qualità della vostra presenza, lì, per fare ponti”.
Ai genitori lascia un compito: “Non svendete mai i valori umani e cristiani di cui siete testimoni nella famiglia, nella scuola, nella società. Date generosamente il vostro contributo perché la scuola cattolica non diventi mai un “ripiego”, o un’alternativa insignificante tra le varie istituzioni formative. Collaborate affinché l’educazione cattolica abbia il volto di quel nuovo umanesimo emerso dal Convegno ecclesiale di Firenze. Impegnatevi affinché le scuole cattoliche siano veramente aperte a tutti”.
Valerio Lessi
Cercate ancora. Intervista a Bertinotti in vista dell'incontro del 3 dicembre a Rimini
"Cercate ancora". Intervista a Bertinotti in vista dell'incontro del 3/12 a Rimini
Pensando a don Julián Carrón, successore di don Giussani nella guida di Comunione e Liberazione, e a Fausto Bertinotti, uno dei leader storici della sinistra italiana, scatta quasi automaticamente l’immagine della “strana coppia”. Che Bertinotti rifiuta decisamente, rivendicando cinquant’anni di militanza sindacale e politica nel segno del “camminare insieme”. Dove insieme sta per cattolici e marxisti o comunisti o, come oggi Bertinotti sembra preferire, figli del movimento operaio. E quindi elenca uno dopo l’altro gli incontri che hanno accompagnato questo camminare insieme: il cardinale Michele Pellegrino a Torino, il vescovo Luigi Bettazzi, la rivista “proposte” che da giovane sindacalista faceva insieme a colleghi cattolici, la stagione del Concilio. «Non saprei descrivere la mia storia, - afferma - senza questi incontri. E in questo mio percorso ci sta anche la partecipazione al Meeting nell’agosto scorso e il mio libro Sempre daccapo, edito da Marcianum Press e presentato da don Roberto Donadoni, che non è propriamente un filosofo marxista».
Bertinotti rivendica il suo dialogo storico con diverse espressioni del mondo cattolico e osserva che oggi si è inabissata una parte (la sinistra) di questo dialogo mentre è forte la presenza di papa Francesco, che offre un contributo formidabile a comprendere la società moderna, specialmente quella dimensione che il pontefice definisce dello “scarto”. Ma Bertinotti cosa si aspetta dal dialogo? «Mi aspetto – risponde – la fertilizzazione della società civile. Mi aspetto un movimento di correnti profonde, nella società e nel pensiero, che possa rianimare la società civile per liberarla dal sistema oligarchico e dal pensiero unico che la opprime».
Bertinotti sarà a Rimini la sera del 3 dicembre alla Fiera per presentare, il libro di Carrón “La bellezza disarmata”, edito da Rizzoli, presente anche l’autore. Uno dei punti centrali dell’analisi di Carrón sull’attuale momento storico è il “crollo delle evidenze”, cioè il venir meno di certezze condivise sul destino dell’uomo e sui rapporti con gli altri. «A me pare – osserva Bertinotti – che Carrón stia parlando della crisi della società contemporanea. Ciò che è stato costruito negli ultimi venticinque anni può essere letto come un progressivo processo di spoliazione, con conseguenze non solo nel fenomeno della povertà, dello “scarto” di cui parla Francesco, ma anche sul senso dell’esistenza. Questo capitalismo ha un’ambizione totalitaria; come ha detto un pensatore, ci sono fasi il cui il capitalismo si propone come nuova religione. E questo succede quando non ha più gli anticorpi, non solo nei rapporti sociali ma nel pensiero. Si propone come pensiero unico, come antropologia e quindi produce un offuscamento delle evidenze sul destino dell’uomo. Un percorso opposto al crollo delle evidenze, espresso da un’altra scuola di pensiero (è lo slogan di una campagna di solidarietà per i profughi, ndr), è quello secondo cui gli invisibili diventano visibili, cioè esistenti. Carrón e un figlio del movimento operaio ripensano a come dare dignità agli invisibili».
Nel libro Carrón individua un possibile punto di ripresa nella rinascita dell’io, nell’io che si ridesta grazie ad un incontro umano. «Capisco – dice Bertinotti – che questa è l’originalità del pensiero di Carrón: un io-coscienza che interroga il divino per integrare l’umano. Per me il punto di ripartenza è un io nella comunità, uno sguardo che si incrocia nell’altro. È un “io nell’uguaglianza” secondo la celebre formula di San Paolo ai Galati: “Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna”».
Quindi Bertinotti condivide un altro giudizio di Carrón espresso nel volume, secondo cui l’altro è sempre un bene? «Noi siamo diversi l’uno dall’altro, bisogna riconoscerlo. Però siamo naturalmente disposti al dialogo. Riconosciamo che l’altro è un momento fondativo della nostra personalità. Ciò che abbiamo in comune è il rispetto della persona umana e della sua libertà. Io affermo che l’altro è indispensabile per la tua liberazione».
Questa volontà di dialogo – chiediamo a Bertinotti - tiene anche di fronte alla grande urgenza del momento, che è il confronto con l’Islam? «E’ indispensabile, – risponde di getto – se si pensa a cosa è il Mediterraneo e cosa potrebbe essere grazie all’incontro fra gli uomini delle tre fedi monoteiste e di tutti gli uomini di buona volontà. Ciò implica anche un cambiamento radicale del modello di sviluppo. Si tratta di alzare lo sguardo sul destino dell’uomo sopraffatto dai meccanismi economici, secondo la prospettiva indicata da papa Francesco ai movimenti di lotta: “nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro”. Ed invita a lottare per rimuovere tutti questi ostacoli».
Ma un uomo come Bertinotti, che ha attraversato il secolo delle ideologie e assistito al crollo del comunismo, dove vede oggi segni di speranza per l’umanità? «Vedo segni di speranza in tutte quelle realtà sociali che sono comunità liberate, almeno parzialmente. È un discorso che vale per Action, che a Roma occupa case, per il lavoro che compie il Banco alimentare, per le mille esperienze di Caritas che ci sono nel mondo, per gli insegnanti che danno la loro disponibilità per l’integrazione scolastica di chi è in difficoltà, per i tanti comitati che lavorano per arginare la distruzione del territorio».
Torniamo quindi al punto di partenza, al libro “La bellezza disarmata” che il 3 dicembre verrà a presentare a Rimini. Cosa le ha lasciato la lettura del libro? “Mi ha lasciato la centralità e l’importanza del valore della ricerca. Un filoso ed economista di valore, Claudio Napoleoni, che dopo un rapporto complesso con la fede è morto da credente cattolico, ci ha lasciato un grande messaggio “Cercate ancora”. In omaggio a lui, così è stata chiamata la Fondazione che presiedo. Nel libro di Carrón ho trovato questo pressante invito alla ricerca. Personalmente trovo che due personalità di fede certamente diverse come il cardinal Martini e Carrón abbiano in comune questo spirito di ricerca. Andare sempre oltre a ciò che uno è e a ciò che uno sa o presume di sapere. Anche il dubbio può essere un’occasione per ricominciare. Con Carrón non condividiamo la stessa fede, abbiamo fedi diverse, ma condividiamo la ricerca. Si tratta di trovare la propria umanità, quindi la ricerca va fatta».
Valerio Lessi
27 11 2015 | Rimini | Progetto Rimini: non è vero civismo quello proposto da Gambini
Progetto Rimini: non è vero civismo quello proposto da Gambini
"Leggendo l’intervista rilasciata da Sergio Gambini, ex assessore a Rimini, ex parlamentare, iscritto al Pd, neo auto-candidato a Sindaco di Cattolica alle prossime elezioni comunali del 2016 mi sembra di ricordare il ripetersi della storia del Piano Strategico nato da un'associazione poi fagocitato da Melucci e gestito dalle segreterie di partito". E' l'esordio di un intervento di Giusepe Lazzari, dell'associazione Progetto Rimini, a commento alla nostra intervista a Gambini.
Ironicamente Lazzari sostiene di condividere "l’idea di una richiesta dei diritti d'autore sulla denominazione di Patto Civico anche se quello che come Progetto Rimini abbiamo introdotto ha un termine più idoneo a quello che il movimento vuole rappresentare", ovvero "la sensibilità per le esigenze della comunità in cui il cittadino vive ed espressione del senso comune dei propri doveri come cittadino".
Insomma non tutti i patti civici sono buoni anche perchè "nel dizionario sono riportati significati non proprio coerenti con il concetto di rinnovamento della politica come indicato da Gambini (tra questi significati anche quello di "patto col diavolo" )". Continua Lazzari: "Il sistema di potere creato dalle segreterie di partito è percepito come invadente, pervasivo, opprimente e lontano dal cittadino che non riesce più a dare voce ai suoi bisogni perché le logiche di segreteria sono sorde e chiuse in se stesse". La via giusta - sostiene - è un reale civismo, che abbia al centro i cittadini.
"Di cittadini che votano - aggiunge - ne sono rimasti ben pochi e quindi l'attenzione va riposta a quei cittadini che hanno alzato bandiera bianca di fronte all'impossibilità di poter indirizzare la politica verso il cambiamento, perché confinati in un parco giochi artificiale, dove parolai e faccendieri gareggiano per dare il peggio di sé".
26 11 2015 | Riccione | Trc, Arcuri: Ha vinto il burocrate kafkiano
Trc, Arcuri: "Ha vinto il burocrate kafkiano"
Il Tavolo di coordinamento del TRC ha detto un no definitivo alla variante proposta dal comune di Riccione. Per Natale Arcuri, segretario della Lista Civica Noi Riccionesi, nella vicenda “Ha vinto lui, il gran boiardo, “l’Ercolino” riminese ed è drammaticamente morta la politica”. L’Ercolino (sempre in piedi?) a cui allude Arcuri è l’ingegner Emete Dalprato, direttore di AM. A lui vengono addebitate tutte le responsabilità di una decisione tecnica che “risponde ad una disarmante logica di difesa ad oltranza che mischia, senza ritegno, l’acceso e miope personalismo saccente del burocrate kafkiano, tutto proteso a difendere la sua autonomia di unto del signore, con i paventati attacchi ostruzionistici, usati a ragione per nascondere le assolute inadeguatezze economiche, ambientali e progettuali dell’opera”.
Ma la vicenda, secondo Arcuri, “induce a dare un giudizio impietoso a questa politica e a chi a Bologna e a Rimini oggi, mi azzardo a dire incautamente, la rappresenta. Una triste mediocrità che si trasforma in noi in uno scontato “cordoglio” per la sua totale incapacità di mostrarsi davvero «diversa» rispetto ai tradizionali e imbarazzanti atteggiamenti di prona e terrorizzata subalternità nei rapporti con la struttura burocratica-dirigenziale. Eppure la rivendicazione del primato della politica è stato ed è uno dei temi fondamentali della cosiddetta narrazione renziana che in sé rappresenterebbe forse il gesto più coraggioso in tempi di discredito pubblico per l’intera classe politica. Ma è una pretesa che qui in Emilia-Romagna, e a Rimini in particolare, con questa classe politica si scontra tragicamente con la realtà”.
Gambini: un patto civico dopo il vecchio sistema di potere della sinistra
Gambini: un patto civico dopo il vecchio sistema di potere della sinistra
Sono giunti al capolinea un blocco sociale e un sistema di potere che, se nei decenni passati ha prodotto benessere diffuso e sviluppo, adesso genera solo malcontento fra gli elettori e disaffezione nei confronti della politica. L’unica risposta praticabile è pertanto un patto civico, al di fuori dei partiti, che apra una nuova stagione nelle amministrazioni locali e che prepari le condizioni perché si ritorni ad una naturale alternanza fra centrosinistra e centrodestra. È in estrema sintesi il succo dell’ipotesi a cui sta lavorando Sergio Gambini, ex assessore a Rimini, ex parlamentare, iscritto al Pd, e che potrebbe portarlo ad accettare una candidatura a sindaco di Cattolica. Anche se il suo ragionamento non riguarda solo Cattolica, ma l’intera provincia di Rimini, anzi tutta la Regione.
Vedremo dunque Gambini nelle vesti di sindaco di Cattolica?
“Già tempo fa – risponde – il mio nome era rimbalzato sui giornali in riferimento alle prossime elezioni a Cattolica. Confermo che da qualche settimana sto lavorando, cioè facendo incontri con persone disponibili, per verificare se è possibile costruire un progetto politico, che ho chiamato patto civico, che coinvolga anche forze che ora sono all’opposizione in consiglio comunale e personalità di diverso orientamento. Sono partito dall’analisi dei recenti risultati elettorali a Cattolica (le europee e poi le regionali) che disegnano un quadro preoccupante per il centrosinistra e dalla percezione di un diffuso malessere fra i cittadini. Non ho pensato di essere io il front runner, ma se la mia candidatura risultasse la condizione indispensabile per realizzare tale patto civico, allora sarei disponibile. Mi interessa molto questa prospettiva: unire personalità diverse per un progetto politico. Cattolica si trova davanti scadenze importanti, a partire da un possibile processo di fusione con San Giovanni in Marignano. C’è la sensazione diffusa che un processo di sviluppo si sia concluso, che sia saltato un storico rapporto fra forze sociali e politiche. Io mi muovo quindi al fuori del recinto dei partiti, dialogando comunque anche con esponenti del Pd. Se poi il Pd indirà delle primarie, sarò felice di parteciparvi proponendo il progetto del patto civico”.
Perché ritiene che il Pd da solo non ce la possa fare? Significa che si è rotto qualcosa nel rapporto fra lo storico partito della sinistra e la popolazione di Cattolica?
“Ci sono fattori specifici e tipici di Cattolica che mettono in evidenza una certa difficoltà del centrosinistra. Si può dire che il dopo Micucci non sia ancora davvero iniziato. Con l’aggravante che alcune scelte compiute da Micucci adesso si riversano sulla giunta attuale. Ha dovuto risanare i debiti e ciò ha comportato la scarsa disponibilità di risorse per le opere pubbliche di cui la città ha bisogno. Questa è una delle ragioni del malessere diffuso. È andato in crisi il blocco sociale storico della sinistra, formato da sindacato, cooperative, associazionismo. Un sistema che per una fase ha garantito un modello di sviluppo positivo, ma adesso mostra tutte le crepe. Il sistema di potere creato dalla sinistra è sempre più percepito come invadente, pervasivo, opprimente. Un certo modo di governare non è più accettato. Non a caso il Movimento 5 Stelle, che più di altri interpreta la protesta anti-sistema, a Cattolica ottiene la percentuale più alta rispetto al resto della Provincia. Il passaggio che deve avvenire è da una comunità di fedeli, in senso politico ed ideologico, ad una comunità di cittadini che realizzi la promessa di uguaglianza espressa nella nostra Costituzione”.
La sua proposta di patto civico è davvero aperta a tutti o pone dei paletti a destra?
“Non immagino certo un’alleanza politica con i partiti, non sarebbe un patto civico. Mi rivolgo invece alle persone, anche di diverso orientamento, che dimostrino buona volontà e disponibilità a risolvere i problemi della comunità con metodo democratico e con uno sguardo rivolto al bene comune. Faccio fatica a pensare al coinvolgimento di un centrodestra a guida leghista o a un Movimento 5 Stelle che ha una cultura semplicemente antagonista”.
In realtà la proposta di patto civico non è nuova. Mesi fa l’aveva lanciata anche per Rimini. È ancora valida?
“Ritengo sia valida non solo per Rimini, ma per l’intera Regione. Va smantellato un sistema di potere e va trovato un nuovo cemento per tenere insieme le comunità. Di fronte all’esaurimento di un modello, va avviata una fase di transizione che consenta la riscrittura delle regole di funzionamento della pubblica amministrazione nei confronti della società. Al termine di questa transizione si riconsegnerà il governo delle città all’alternanza fra centrosinistra e centrodestra. Capisco che questi siano concetti poco digeribili per qualcuno, ma credo fermamente nell’utilità di una discussione politica che rifugga dai toni apodittici e assertivi. C’è molto lavoro da fare. Si prenda per esempio il tema delle partecipate. Il sistema pubblico si è occupato troppo di economia. Aeroporti: se si guardano le recenti vicende si vede che si sono bruciate risorse per tenere aperti aeroporti come Forlì e che si è condotto uno scalo come quello di Rimini verso il disastro, quando si poteva privatizzarlo. Invece tutta la partita è stata gestita in un’ottica politica e consociativa”.
Quindi anche Gnassi farebbe bene a promuovere un patto civico?
“Non do consigli a Gnassi né a nessun altro. Ritengo si tratti di uno sforzo complessivo da compiere in Regione, anche a Bologna. Secondo il mio parere, sarebbe una prospettiva utile a Rimini un passo indietro del Pd e la costruzione di un patto civico. Ma io, come noto, non faccio parte del gruppo dirigente. Osservo anche che, rispetto ad alcuni mesi fa, l’azione di Gnassi ottiene maggiore attenzione e considerazione da parte della città”.
25 11 2015 | Rimini | Aeradria, Gnassi: Accuse senza fondamento. Mauro (Pdl): Il Pd non lo ricandidi
Aeradria, Gnassi "Accuse senza fondamento". Mauro (Pdl): "Il Pd non lo ricandidi"
Informato dia giornalisti della richiesta di rinvio a giudizio per il caso Aeradria, il sindaco Andrea Gnassi ha prima osservato che "ad oggi, né io né i miei legali abbiamo ricevuto alcuna comunicazione e pertanto diventa difficile procedere a qualsiasi considerazione nel merito, che farò quando in possesso delle comunicazioni e documentazioni del caso. Non mi sorprende più, invece, la modalità di ‘comunicazione’."
Entrando del merito del provvedimento, ha dichiarato: "Nulla di nuovo o di sorprendente, ricalcando alla lettera l’impianto stranoto e strapubblicato della chiusura delle indagini; continuo a ritenere quell’impianto accusatorio privo di qualunque elemento a sostenerlo; finalmente adesso, dopo due anni e mezzo, si entra nella fase del confronto equilibrato tra le parti davanti a un giudice terzo".
Secondo il capogruppo del Pdl, Gennaro Mauro, "Oggi ad essere messa in discussione è tutta la classe dirigente del Partito Democratico accusata di aver messo in atto una serie di condotte illegali atte a celare il forte indebitamento di Aeradria procrastinando lo stato di insolvenza della società.
Lasciamo ai magistrati giudicare l'imputato Gnassi, alla politica interessa conoscere se il Partito Democratico si atterra alle indicazioni contenute nel codice etico approvato all’unanimità dalla Commissione Antimafia nel settembre del 2014. Il codice etico impegna i partiti e movimenti politici affinchè non vengano candidati soggetti coinvolti in reati di criminalità organizzata, contro la pubblica amministrazione, di estorsione ed usura, di traffico di stupefacenti, di traffico illecito di rifiuti e di altre gravi condotte.
Siamo del parere che il PD riminese debba chiedere a Gnassi il ritiro della sua candidatura a sindaco nell'ipotesi di rinvio a giudizio".
Des Vergers: quando Rimini era al centro della cultura europea
Des Vergers: quando Rimini era al centro della cultura europea
Des Vergers: chi era costui? La domanda se la saranno posta più volte i riminesi che hanno osservato dall’esterno la sontuosa villa di san Lorenzo in Correggiano o magari vi sono entrati per un banchetto. Wikipedia, ma solo in francese, definisce Adolphe Noël des Vergers "archeologo, storico, etruscologo, orientalista ed epigrafista del XIX secolo". Chi volesse saperne di più può partecipare al convegno di studio che l’Associazione a lui intitolata e presieduta da Rosita Copioli gli dedicherà il prossimo 2 dicembre nella Sala del Giudizio del Museo della Città.
Il titolo del convegno (Le scienze dell’antichità nell’Ottocento fra nazionalismi e internazionalità) introduce in quale modo il ruolo culturale svolto da questo personaggio. Saranno presentati tre volumi usciti nel 2014. Il primo, a cura di Paola Delbianco, L’universo internazionale della cultura e delle arti tra Rimini, Parigi e Roma. Il fondo des Vergers della Biblioteca Gambalunga di Rimini, è una sorta di Summa, frutto di un lavoro decennale, sui terreni ancora inesplorati delle imprese culturali ottocentesche (fino all’Algeria e al Mondo arabo), sulle quali la Francia imperiale napoleonica investiva internazionalmente su tutti i piani. Vicina a San Marino Repubblica della libertà, rifugio dell’epigrafista Bartolomeo Borghesi, Rimini era una postazione e un osservatorio strategico, favoriva vantaggiosi affari, e anche il loisir dei bagni di mare appena inaugurati.
Il secondo volume, di Giulio Paolucci, si occupa di Archeologia romantica in Etruria: gli scavi di Alessandro François e Adolphe Noël des Vergers ed è stato costruito sulla base degli epistolari di des Vergers e François, conservati per la maggior parte nel Fondo riminese. Per la prima volta Paolucci li integra e studia, con altri fondi, documenti, e risultati di scavi, che egli ha condotto spesso in prima persona. Oggi, nell’immaginazione popolare sull’archeologia in Italia, nominare François vuol dire suscitare l’epopea di Vulci. Gli scavi di Vulci furono tra i più famosi anche nell’Ottocento, e ancora oggi la tomba, gli affreschi, i reperti, hanno continuato a occupare un posto speciale tra le avventure nel mondo etrusco. A quegli affreschi, fra l’altro, si devono le conferme di episodi legati alle vicende dei re di Roma e di Servio Tullio (Mastarna), che segnano il tramonto delle dinastie etrusche dei Tarquini. Des Vergers si servì dei lucidi degli affreschi, prodotti in grandezza naturale, per decorare la fascia superiore della Biblioteca nella propria villa di San Lorenzo in Correggiano a Rimini. Gli originali, fatti staccare nel 1863 dal principe Torlonia, proprietario del fondo, e altro naturale socio dell’impresa di Vulci, sono tuttora conservati, invisibili al pubblico, nel magazzino di Villa Albani-Torlonia. Le narrazioni in diretta della fortunata scoperta si leggono negli scritti di des Vergers (e negli approfondimenti di Paola Delbianco sul Fondo gambalunghiano, con i relativi riscontri degli studi di Giulio Paolucci), e nell’epistolario con i segretari dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica. Paolucci ricostruisce anche le vicende dell’importantissima collezione di des Vergers composta di vasi, bronzi, gioielli, in parte ora al Louvre e nei musei del mondo, in parte ancora dispersa, in parte donata alla Gambalunga di Rimini, insieme alla biblioteca e alle carte del Fondo.
Il volume su Le scienze dell’antichità nell’Ottocento. Percorsi romagnoli e riminesi, curato da Rosita Copioli, comprende le conferenze che si svolsero dal 23 ottobre 2009 al 16 aprile 2010 presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini. Dedicato a Enzo Pruccoli (1948-2011), eminente figura di studioso, quasi “quarto figlio” di Augusto Campana, responsabile culturale della Fondazione, il libro rievoca la storia della cultura di dimensione europea della Romagna rappresentata nel Novecento da Campana, e praticata tra Sette e Ottocento, quando Giuseppe Garampi, Giovanni Cristofano Amaduzzi, Angelo e Francesco Gaetano Battaglini, Gaetano Marini, Bartolomeo Borghesi, Luigi Tonini, diedero un contributo che non ha pari in altre regioni italiane, e nella stessa capitale. Nei saggi di vari studiosi (Angela Donati, Jacopo Ortali, Marco Buonocore, Antonella Romualdi, Fulvia Donati, Henner von Hesberg, Bernard Frischer, Giulio Paolucci, Daniela Felisini, Françoise Gaultier, Filippo Delpino) sono presentate inedite indagini archeologiche, ritratti di finanziatori, di collezionisti, di studiosi e conservatori.
Il ritorno di Zafra. Lo storico gruppo musicale riminese di nuovo sul palco
Il ritorno di Zafra. Lo storico gruppo musicale riminese di nuovo sul palco
Il primo spettacolo è andato in scena il 4 aprile 1973 al Teatro Novelli di Rimini. Il titolo era Si compran le cose, gli uomini no, primo appuntamento di un ciclo di spettacoli e incontri che portava il nome Storie di popolo e lotte di liberazione. Il volantino che pubblicizzava l’evento spiegava che si trattava di un recital di canti latino americani per un incontro con la storia e la vita dell’America Latina attraverso le sue canzoni. Su palco il gruppo Zafra.
È l’inizio di una storia lunga più di quarant’anni, nella quale grandi periodi di vivacità si sono alternati a lunghi silenzi. Ed ora, dopo un di questi silenzi, domenica 29 novembre il gruppo vocale-strumentale Zafra torna sul palcoscenico. L’appuntamento è a Cesena alle 15,30 al Teatro Verdi. Come per le reunion delle star del rock, è già cominciato la corsa di chi non si vuole perdere l’evento. (ecco dunque la e-mail alla quale prenotarsi in tutta fretta Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.). Oltretutto lo spettacolo ha uno scopo benefico: sostenere le campagne di Avsi (ente no profit) in diversi paesi del mondo dove si vive l’emergenza profughi.
Ma chi sono gli Zafra? Tutto comincia in modo assolutamente imprevedibile. «All’inizio degli anni Settanta, dopo il matrimonio, – racconta Marina Valmaggi, cantautrice di musica religiosa e musicologa - a Riccione ho dato vita ad un piccolo gruppo per la liturgia, insieme a persone con cui ero in rapporto. C’erano Rossella Bilancioni, che era mia alunna a scuola, Gabriella Mazzoli, Laura Amati, Ciro Picciano, Cristina Seguiti, Anna Siciliano, Paolo Pasini; per un po’ sono venuti anche Roberto Grotti, mio marito Rori e l’amico “Spigolo”. Ci chiamammo GPR, una sigla che stava per Gruppo Polifonico Riccione. Con questo gruppo facemmo una registrazione dei canti del movimento di CL (“Cantate al Signore un canto nuovo”) e il disco Voi ch’amate lo criatore con i canti della Via Crucis. Don Giancarlo Ugolini, il sacerdote che guidava CL a Rimini, al quale noi tutti facevamo riferimento - disse: sì tutto bello, ma non è qualcosa che può aggregare i giovani, non è missionario. Don Giancarlo era così, sfidava sempre, grazie alle sue continue sfide mi sono messa anche a studiare musicologia. Nel 1971 avevo accettato l’invito dei ragazzi di Gioventù Studentesca a guidare un gruppo di studio sull’espressività. Lavorammo su Basta! Storia rivoluzionaria dell’America Latina attraverso la canzone (di Meri Franco Lao, pubblicato dalla Jaca Book). Nel 1973 ho approfondito Basta! con alcuni studenti del liceo scientifico Volta di Riccione, con amici di mia sorella Guya e con il GPR. Scegliemmo 18 canzoni e costruimmo uno spettacolo». Era appunto Si compran le cose, gli uomini no. Il nome GPR però apparve non adatto, in tutta fretta fu trovato Zafra che significa "raccolta della canna da zucchero", lavoro comunitario per eccellenza. Era stata coinvolta anche la Jaca Book per avere una presentazione di Meri Franco Lao. Lei arrivò, assistette alle prove e sentenziò che le esecuzioni non avevano veramente un sapore sudamericano. Quindi in giornata furono cambiati tutti i ritmi. La sera dello spettacolo fu un grande successo, tanto che si programmò subito una replica per il giorno dopo. Due bambini in scena leggevano, da libri scolastici, brani della storia ufficiale dell’America Latina... seguiti dalle canzoni che li smentivano. Era presente Guido Orsi, direttore amministrativo della Jaca Book, che propose di fare il primo disco con l’etichetta della casa editrice. Nacque così l’ EllePi Cicatriz, e gli Zafra a volte furono chiamati con questo nome.
«Dopo il golpe cileno e il successivo arrivo in Italia degli Inti Illimani, - ricorda Valmaggi - la musica latino americana andava forte. Cominciarono a chiamarci da tutte le parti: centri culturali, scuole, feste dell’amicizia. Noi, che pensavamo che dopo lo spettacolo saremmo tornati a fare un gruppo polifonico per la liturgia, fummo trascinati dagli eventi in una nuova avventura. Zafra da provvisorio diventava un gruppo stabile, con molte difficoltà perché erano quasi tutti studenti. A quel punto ci siamo accorti che non bastava Cicatriz, dovevamo produrre qualcosa anche nella nostra lingua, trasmettere un messaggio più nostro. Cominciammo a tradurre canzoni come Grazie alla Vita e Al final e realizzammo così lo spettacolo Grazie alla vita, che era ancora a metà tra la protesta, la denuncia e la speranza».
Lo spettacolo dell’identità arriverà con Mecchano, una sorta di parodia della cultura moderna il cui meccanismo si inceppa e riprende a funzionare solo nella riscoperta del senso religioso e della tradizione. Lo spettacolo si avvalse della consulenza del regista Enrico Vincenti (conosciuto da Marina attraverso O.Cri.Com (Operatori Cristiani Comunicazione) e del mimo Ilza Prestinari. Con Mecchano, Zafra fece una cinquantina di piazze in Italia. Nel 1975 si apre anche la strada del cabaret con Arfaz (la parola, che è Zafra letto alla rovescia, nel dialetto romagnolo significa “rifaccio”, ovvero “faccio il verso”) che debutta alla Festa del giornale “Il Barbaro” al parco della Galvanina. Il 17 giugno 1976 Zafra fece uno spettacolo a Roma per i dirigenti della Rai. Piacque molto e l’esito fu un passaggio a Domenica in. Nell’agosto del 1977 fece tre serate al Teatro Romano di Verona con un programma di musiche internazionali. Nel 1978 il gruppo andò in tournée in Argentina, portato dall’Enit e dalla Società Dante Alighieri, proponendo un repertorio di canti popolari italiani. Gli fu inoltre dedicato uno special su RAI1.
Si arriva così al 1979, l’anno della pausa e del ripensamento. «L’impegno era diventato intenso, provavamo quasi tutti i giorni. Nessuno però pensava a una prospettiva professionale, nessuno voleva vivere viaggiando, senza formarsi una famiglia». La prima edizione del Meeting, nel 1980, è l’occasione per ritornare sulle scene. L’anno successivo Zafra è protagonista della lettura dantesca di Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer in piazza Cavour a Rimini. Poi arrivò nel 1982 La morte dell’eroe per la regia di Orazio Costa Giovangigli, e nel 1983 Amor de caritate. E fu proprio Costa a proporre uno spettacolo impegnativo, con testo di Bruno Sacchini e musiche di Roman Vlad, uno dei più grandi musicisti a livello internazionale. «Era una prospettiva inimmaginabile, ma voleva dire mesi di presenza a Roma e a Parigi. Ci spaventammo e non se ne fece niente».
Ma fu come un brusco risveglio: si constatò che era pressoché impossibile conciliare il lavoro di ciascuno, la vita familiare e l’impegno artistico. Da quel momento, Zafra tacque per molti anni. Ci fu una ripresa, poi ancora silenzio. Ed ora il ritorno di domenica 29 novembre a Cesena. Sul palco ci saranno molti del gruppo storico: Marina e Guya Valmaggi, Laura Amati, Cristina Seguiti, Rosella Bilancioni, Gabriella Mazzoli, Elena Granata, Emanuela Ricci, Daniele Donati, Angelo Casali, Ciro Picciano, Franco Alaimo, Gabriele Castellani, Romeo Zammarchi, Franco Gabellini, Anacleto Gambarara e Marco Balestri. Saranno eseguiti i brani più significativi del suo repertorio storico.