Università, il 12 per cento degli studenti è straniero. Boom di cinesi
Su 5.028 studenti iscritti al campus universitario di Rimini, il 12 per cento è di origine straniera. E fra gli stranieri, il gruppo più numeroso, pari al 21 per cento, è quello cinese. Anzi, gli studenti cinesi, rappresentano, dopo Emilia Romagna, Marche e Puglia, il quarto bacino di provenienza.
Dopo i cinesi, le comunità studentesche più numerose sono quelle di Albania, Romania, Azerbaigian e Ucraina.
La consistente comunità straniera all’interno del campus universitario di Rimini dipende anche dalla presenza di ben sei corsi di laurea magistrale con curricola in inglese:Tourism Economics and Managemen, Resource Economics and Sustainable Development, Service Management, Fashion Culture and Management, Advanced Cosmetic Sciences, Wellness Culture Sport Health and Tourism.
I dati sono stati diffusi dall’amministrazione comunale. Che coglie l’occasione per osservare: “Un respiro internazionale che ci convince ancora di più dell'impegno a sostegno del polo universitario di Rimini, che gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo economico dei territori e nel consolidamento e nel progresso delle comunità dove l’Università si radica. Una presenza che richiama studenti da tutto il mondo, a conferma della credibilità e del prestigio internazionale crescente il polo riminese riscontra anche all'estero. Un merito di quanto fatto finora dal sistema pubblico e privato riminese e da UniRimini, ma anche un invito e uno stimolo a continuare sulla strada degli investimenti e della partecipazione attiva, senza i quali anche i risultati già ottenuti sarebbero rimessi in discussione”
Ben 22 emendamenti al Senato in favore delle pertinenze demaniali
In occasione del voto in Parlamento sulla proroga di ulteriori quindici anni della concessione demaniale per gli stabilimenti balneari, ci eravamo chiesti di quanti voti disponessero i bagnini vista la corsa di tutte le forze politiche a sostenerli nella lotta contro l’applicazione della direttiva Bolkesetin.
La stessa domanda ce la poniamo oggi per i titolari di pertinenze demaniali. Le pertinenze demaniali marittime sono quelle strutture di proprietà pubblica insistenti sul demanio che comprendono anche tutte quelle costruzioni giudicate di difficile rimozione o inamovibili, edificate da privati, ai quali, alla scadenza della concessione stessa, lo Stato non ne ha ordinato l’abbattimento acquisendone invece la proprietà. A partire da 2007 i “proprietari” (si fa per dire) di queste strutture devono pagare canoni salatissimi, ed in molti casi hanno smesso di pagarli, dando vita a una marea di contenziosi.
In loro aiuto (sono circa 300 mila imprese in tutta Italia, a fronte di 30 mila concessioni) è arrivata una raffica di emendamenti al cosiddetto decreto Semplificazioni in discussione a Senato. Ne sono stati presentati 22, pressoché da tutte le forze politiche, da quelle di maggioranza (Lega e M5S) ed anche di opposizione (soprattutto Forza Italia). Certamente il decreto “semplificherà” la vita dei titolari di pertinenze.
Negli emendamenti si chiede, come per esempio in quello del riminese Croatti, che in attesa del riordino generale dei canoni, venga sospeso il pagamento nei casi cui c’è un contenzioso in atto. Altri emendamenti chiedono la sdemanializzazione delle aree che hanno perso le caratteristiche della demanialità, l’eliminazione delle clausole “salvo conguaglio” che sono all’origine di moti ricorsi, una precisa definizione del concetto di facile e difficile rimozione che a quanto pare non ovunque è interpretato allo stesso modo.
Consiglio di Stato boccia il trasferimento del Turismo al Ministero dell'Agricoltura
Il Consiglio di Stato ha bocciato il trasferimento delle competenze del turismo al Ministero dell’Agricoltura condotto dal leghista Gian Marco Centinaio. In un parere i giudici amministrativi hanno manifestato le loro perplessità in ordine a molti elementi: il provvedimento sembra «una mera sommatoria di competenze spostate tra direzioni generali quasi con la tecnica del “copia incolla”, priva di una «visione strategica di insieme», e caratterizzato «da una funzione servente del turismo a favore dello sviluppo delle attività agricole, alimentari e forestali». Inoltre mancano la bollinatura della Ragioneria dello Stato e gli atti di concerto.
Il parere era stato richiesto ai giudici amministrativi lo scorso 18 dicembre dal Dipartimento per gli affari giuridici della Presidenza del Consiglio. Spetta adesso a Palazzo Chigi, conclude il parere, «valutare nella sua responsabile discrezionalità l'opportunità di una rivisitazione del testo nel senso indicato, nonché l'opportunità dell'ulteriore corso del provvedimento con gli attuali contenuti».
Centro agroalimentare di Rimini, le ragioni del "fidanzamento" con Bologna e Parma
Il Caar (Centro agroalimentare di Rimini) ha sottoscritto nei giorni scorsi un protocollo d’intesa, promosso dalla Regione Emilia Romagna, con altri due analoghi centri, Il Caab di Bologna e il Cal di Parma. Si tratta di un accordo che impegna le tre società a ricercare tutte le possibili forme di sinergia e condivisione di servizi, al fine di realizzare efficienza ed economie di gestione. La prospettiva ultima potrebbe anche essere la confluenza in un’unica società, ma al momento non se ne parla.
Mentre il dibattito sulla possibile aggregazione delle fiere (in gioco ci sono sempre Rimini, Bologna e Parma) tiene banco da anni e ancora non ha prodotto alcun sensibile risultato, come un fulmine a ciel sereno è uscita questa notizia su un processo di collaborazione già avviato fra le tre società del settore agroalimentare
Caar, Caab e Cal hanno in comune un socio, la Regione Emilia Romagna, ed è in questo particolare che va ricercata la spiegazione di quanto sta avvenendo. La giunta regionale, nel proprio piano di razionalizzazione delle società partecipate, approvato il 25 settembre 2017, aveva inserito le tre società fra quelle da dismettere per ottemperare alle direttive della legge Madia. Ma dopo un anno la stessa giunta, nella delibera del 24 settembre 2018, ha sospeso la procedura di vendita delle proprie quota azionaria. Cosa è cambiato?
Nella delibera sono riportare alcune motivazioni che aiutano a capire. Innanzitutto si afferma che “i Comuni hanno inserito, nei rispettivi Piani di Revisione straordinaria, la partecipazione nei Centri Agro-Alimentari tra quelle da mantenere, nel rispetto del principio di perseguimento delle finalità istituzionali e della produzione di un servizio di interesse generale”. E fin qui niente di strano, in effetti anche il Comune di Rimini, nel proprio piano ha espresso questa volontà. La seconda motivazione ci porta al cuore del problema: “I Comuni non hanno manifestato l’interesse a subentrare nella partecipazione della Regione”. È il punto dirimente. Si deve infatti sapere che qualora l’offerta pubblica di vendita delle azioni regionali non trovasse alcun compratore, dopo dodici mesi la Regione potrebbe presentarsi alla società e chiedere comunque la liquidazione. Nel caso del Caar, che ha un capitale sociale di 11,8 milioni di euro, la somma da sborsare, visto che la Regione detiene l’11, 04 per cento, equivalerebbe a 1,3 milioni. Un bel gruzzolo che manderebbe all’aria non tanto i bilanci (il Caar è in equilibrio finanziario) quanto i programmi di investimento.
La delibera passa quindi a delineare il seguente quadro. Il Caab di Bologna ha riportato la gestione in equilibrio economico-finanziario a seguito della riorganizzazione degli spazi storici del Centro e il lancio dell’iniziativa FICO Italy World; il Caar di Rimini, che ha sempre operato in condizioni di equilibrio finanziario, ha raggiunto con costanza anche l’equilibrio economico, per effetto di una efficace politica di razionalizzazione delle spese; il Cal di Parma ha ottenuto l’omologa di un piano di ristrutturazione dei debiti, che, unitamente ad un ritrovato equilibrio economico della gestione, porrà la società in una condizione di sicurezza. La conclusione è che sussiste un rischio fondato che le società possano vedere pregiudicata la continuazione della propria attività in assenza di riserve distribuibili per l’acquisto delle azioni degli enti pubblici (cioè la Regione) che hanno inserito tali partecipazioni nell’elenco di quelle da dismettere. Su Rimini si può aggiungere che dopo le perdite registrate negli anni 2013, 2014 e 2015 (al massimo di 149 mila euro), negli ultimi anni, compreso il 2018, il bilancio si è chiuso con un attivo, grazie anche alla dismissione di alcuni terreni. Poiché si tratta di società consortile, le perdite non vanno ad intaccare il capitale sociale, così come gli utili non vengono distribuiti. Il Caar di Rimini ha fatturato in media nell’ultimo triennio 2,6 milioni di euro; all’interno operano quotidianamente, con presenza stabile, complessivamente, circa 150 imprese (circa 130 del settore ortofrutticolo, 5 del settore ittico ed altre imprese di altri settori, quali, ad esempio, la logistica), che occupano circa 650 persone. Si tratta quindi un’azienda importante nel panorama dell’economia provinciale, anche se non finisce mai sotto i riflettori.
L’ultima motivazione fornita nella delibera regionale è che “i Centri Agro-Alimentari hanno manifestato l’interesse ad approfondire processi di aggregazione aventi l’obiettivo di migliorare l’efficienza economico-gestionale e di sviluppare la loro attività”. Quindi la firma del protocollo d’intesa dei giorni scorsi è in realtà il punto di arrivo di un processo già avviato da mesi, ed è anche il punto di partenza per attuare nel concreto forme di collaborazione e razionalizzazione nelle spese e nei servizi. Se la Corte dei Conti volesse sindacare sul perché le quote non sono state dismesse, la Regione potrà comunque indicare che non si è stati con le mani in mano e si sono trovate strade alternative per migliorare l’efficienza economica e gestionale. Tra le priorità indicate nel protocollo sottoscritto, il trasferimento delle conoscenze e delle esperienze maturate dai Centri, il miglioramento della qualità dei servizi offerti a consumatori e operatori, la condivisione di soluzioni tecnologiche e organizzative, la partecipazione comune a fiere e congressi, la progettazione di soluzioni innovative in tema di e-commerce.
Trc, Pullè paventa il pericolo di una gestione a Start Romagna senza gara
Fabrizio Pullè, a nome dei consiglieri di maggioranza del Comune di Riccione, pone sette domande pubbliche sul futuro del Trc. A muoverlo è lo stato di incertezza su chi gestirà il Trc, visto che fino ad oggi non è stato emesso alcun bando. Il pericolo paventato da Pullè è che si voglia affidare il servizio a Start Romagna, senza alcuna procedura di evidenza pubblica.
E veniamo alle domande.
Prima: a chi verrà affidata la gestione del faraonico TRC? (chiamiamolo con il suo vero nome, TRC appunto; Metromare ci sembra poco adatto visto che il mare non lo vede nemmeno col binocolo...)
Seconda: con quali modalità verrà affidata la gestione del TRC? Non vorremmo che, senza procedura di regolare bando, a dirigere la mega infrastruttura sia ancora Start Romagna, attualmente in stato di “prorogatio”.
Terza: A quanto ammonteranno i costi di gestione?
Quarta: quanti passeggeri si ipotizza che, ogni giorno, saliranno sulle carrozze dei filobus che correranno nel budello di cemento a fianco della ferrovia? (Otto milioni di persone all’anno? Dieci milioni? Quindici milioni? Diciotto milioni, come fino a qualche anno fa ipotizzava l’allora Presidente della Provincia di Rimini, quando parlava di 50.000 passeggeri al giorno...?)
Quinta: quale numero di passeggeri annui risulta necessario per arrivare al pareggio di bilancio di gestione del TRC, per far sì che l’opera non gravi ulteriormente sulle tasche dei cittadini? (Opera, ricordiamocelo, costata più di 100 milioni di euro..)
Sesta: qualora non si dovessero raggiungere i risultati, in numero di passeggeri, ipotizzati per arrivare al pareggio di bilancio, chi pagherebbe il debito che si creerebbe ogni anno?
Settima: quali sono le previsioni circa la storica linea 11? Verrà cancellata o mantenuta? Verrà rimodulata?
Forse può apparire fastidioso ed irriverente, agli occhi di chi comanda ora il TRC, che vengano formulate queste domande, ed ancor più fastidioso dover elaborare delle risposte; tuttavia ciò si rende necessario ed urgente visto che, ad oggi (gennaio 2019) non è stato ancora presentato un “business plan”, che rechi correttamente e chiaramente tutte le voci di entrata e di uscita. A questo, vi si aggiunga che non sono pervenute comunicazioni circa la organizzazione del Trasporto pubblico locale, ma, soprattutto, non si sa chi gestirà il TRC, in quanto non è stato pubblicato alcun bando per la sua gestione. Siamo convinti (sperando di sbagliarci, ma sicuri, purtroppo, che questo avverrà..), che il TRC diventerà in poco tempo una voragine di debiti senza fondo, fino a quando si trasformerà in una spettrale “cattedrale nel deserto…”.
Pizzolante: aspettavo le parole di Carrón, bellissime, chiarissime
“Il sovranismo riduce lo sguardo, impedisce di cogliere l’umano, i migranti prima che numeri sono persone, volti, storie. Carrón aggiunge che il nazionalismo di Bannon e Salvini custodisce il suo segreto nella paura, per vincere. Nell’alimento della paura. Il Cristiano invece cerca una presenza per sconfiggere la paura. Sono parole bellissime, chiarissime. Finalmente”.
È la reazione, postata su Facebook, di Sergio Pizzolante, ex deputato, all’intervista che Julián Carrón, guida di Comunione e Liberazione, ha rilasciato al Corriere della Sera sui temi del sovranismo, dei migranti, della paura, del compito dei cristiani in questo momento storico.
“Già qualche giorno fa – spiega Pizzolante – avevo scritto un mio articolo che rilevava la confusione di valori che regna in parte del mondo cattolico. Quel mondo cattolico che mostra di essere sensibile a Salvini, ai sovranismi, ai nazionalismi. Penso non che si possa essere cristiani e condividere slogan come “prima gli italiani”, non si possa essere cattolici ed essere insensibili al dramma di 49 persone che vagano in mare. I sovranisti, al di là delle analisi e delle risposte su come si debba governare il fenomeno dei migranti, utilizzano la paura come strumento di propaganda, sollecitano gli istinti più bassi delle persone, ricercano sempre un nemico esterno, in una parola propugnano un abbandono della coscienza”.
E quindi perché l’ha così favorevolmente colpita la posizione espressa da Carrón?
“Carrón ha spiegato che il sovranismo è il fallimento dell’umano, ha messo in evidenza uno sguardo corto rispetto a ciò che succede. Pur non essendo credente, ma solo raztingeriano, nel senso che ringrazierò sempre Ratzinger per aver detto che si può non essere cristiani ma si può cercare di vivere come tali, dicevo pur non essendo credente, mi sono riconosciuto nelle sue parole. Ho sempre apprezzato l’impegno sociale e politico dei ciellini, nella mia attività, fin da quando ero segretario della federazione socialista, li ho incrociati e collaborato con loro. Mi ha sempre colpito questa loro ricerca dell’umano che mettono al centro di ogni convegno e di ogni espressione. Mi mancavano, in questo contesto, le loro parole. Carrón ha colmato un vuoto che avvertivo”.
Lei ha sottolineato un contenuto molto preciso: il cristiano non si lascia sconfiggere dalla paura, nella paura cerca una presenza. Cosa significa per lei?
“Penso ci sia una corrispondenza fra un cristiano che cerca una presenza e un laico come me che è alla ricerca di un senso della vita. Credo che entrambe siano posizioni incompatibili con chi alimenta la paura come strumento di propaganda e di consenso politico. Invece si può sconfiggere la paura, la si può sconfiggere con la speranza, che è una parola cristiana. Chi alimenta la paura, non alimenta la speranza, ma la depressione. Ripeto, non sono un credente, sono un socialista umanitario, premarxista, antimarxista, turatiano, craxiano. Ho anche studiato la vita di don Giussani e so che suo padre è stato un socialista umanitario nella Milano dell’inizio del secolo scorso. C’è una connessione fra il cristianesimo e il socialismo umanitario, una connessione che ha pervaso la cultura lombarda e si che si espressa anche a livello amministrativo. Sono culture che cercano l’umano, che mettono l’uomo al centro. Per i cristiani l’uomo sconfigge la paura perché crede, per i socialisti perché si emancipa. Sono elementi distanti dalla cultura sovranista, che invece coltiva l’odio, l’invidia, il disprezzo per gli altri”.
Altri interventi
Un dibattito sull’intervista del Corriere della Sera a Julian Carron si è sviluppato anche sulla bacheca dell’ex assessore Roberto Biagini. Ha posto una domanda: "Quanti di coloro che si dichiarano credenti,cristiani, praticanti e che vivono e professano la fede del Dio in cui credono, sposano le parole di Carron?" Ha risposto l’ex sindaco Alberto Ravaioli osservando che “il problema sul piano politico è molto più complesso. E anche su questo piano che andrebbe discusso”. Replica Biagini: “Il suo monito è che non si può andare in chiesa come cristiani e poi uscirne "che è un problema politico " ..... Forse ha voluto stigmatizzare l'ipocrisia dei falsi cristiani. Io da laico non credente lo interpreto così”. Precisa quindi Ravaioli: La politica deve intervenire, la religione è necessaria ma non basta. Questo volevo dire. E la Politica deve intervenire evitando gli esodi di massa che fanno solo crescere i sovranismi e creano 'squilibri sociali' non più controllabili… Questi compiti spettano alla Politica e la Religione è bene che non interferisca, se non a livello di critica e interventi costanti a favore 'dell'uomo'.”
Dieci, cento, mille Ceis. La città non la si costruisce da soli
Intervenendo in commissione consigliare nel dibattito sugli abusi edilizi al Ceis, l’assessore alla pubblica istruzione Mattia Morolli ha avvertito che fra le ‘baracche’ sopra l’anfiteatro vanno a scuola ben 360 bambini e che se il Comune, da un giorno all’altro, dovesse trovare per loro una nuova collocazione la spesa sarebbe di oltre un milione di euro. Probabilmente senza esserne consapevole, l’assessore ha usato uno degli storici argomenti che i sostenitori della libertà di educazione usano per fare capire all’ente pubblico (Stato, Regioni, Comuni) che una politica di discriminazione nei confronti delle scuole paritarie, lungi dall’essere un risparmio per le casse pubbliche, si traduce in realtà in un aggravio di spesa. Anche perché tutti i bambini sono uguali, tutti hanno il diritto di andare a scuola e il Comune deve rispondere ai bisogni di tutti.
E infatti il Ceis è una scuola paritaria, cioè una scuola privata che svolge una funzione pubblica riconosciuta dalla legge. È una scuola nata per iniziativa del Soccorso Operaio Svizzero che nel 1945 inviò a Rimini per realizzarla la ‘mitica’ Margherita Zoebeli. Sorta come espressione del solidarismo operaio, la scuola in settant’anni di attività ha sviluppato un proprio metodo pedagogico e una collaborazione con istituti universitari che l’hanno portata a essere un punto di eccellenza in campo educativo. Con il Ceis il Comune di Rimini ha sempre intrattenuto un rapporto privilegiato, fino al punto di esserne socio e di nominare alcuni membri del consiglio d’amministrazione. Ciò ha portato le varie amministrazioni susseguitesi nel tempo a considerarla quasi una cosa ‘loro’ e da questo punto di vista la proposta lanciata dal consigliere di Patto Civico Davide Frisoni (via il Comune dal Cda) risponde all’esigenza di liberare il dibattito sulla valorizzazione dell’anfiteatro e il conseguente spostamento del Ceis da incrostazioni e strumentalizzazioni di tipo politico. Da una parte la storia dei ripetuti abusivi edilizi riscontrati dagli uffici comunali è un indizio di una inaccettabile opacità di rapporti fra scuola ed ente pubblico; dall’altra, l’affermazione, salita dai banchi dell’opposizione, sull’impossibilità di paragonare il valore storico e culturale dell’anfiteatro, un monumento che ha duemila anni di storia e che può contribuire allo sviluppo di un certo tipo di turismo, con quello del Ceis che in fondo è solo una scuola privata con settant’anni di vita, ha un sapore tutto politico. Di fronte alla storica vittoria ottenuta (il trasferimento del Ceis non è più un tabù), le opposizioni avrebbero potuto facilmente convenire con l’assessore Roberta Frisoni che si tratta di salvaguardare e sviluppare due beni pubblici entrambi di valore per la città, l’anfiteatro romano e l’esperienza educativa del Ceis.
A proposito di dichiarazioni di valore, particolarmente interessante quella dell’amministrazione comunale del 20 dicembre scorso: “E’ bene ogni volta ribadire questo concetto - il ruolo pubblico e di comunità del Centro italo svizzero - allorché ciclicamente si torna a discutere dell’istituto. Sia per il presente che soprattutto per il futuro. L’amministrazione comunale di Rimini sarà sempre al fianco e sosterrà il Centro e la sua esperienza educativa e didattica per evidente interesse pubblico. Questo semplicemente perché il CEIS costituisce uno dei primi esempi di sussidiarietà che la nostra Costituzione riconosce ed esalta nell’articolo 118. Dove l’iniziativa, la volontà del privato-privato animato da valori positivi - affianca e sostiene l’azione del pubblico”. Perfetto, e soprattutto valido non solo per il Ceis, perché a Rimini ci sono non uno ma tanti Ceis da valorizzare e sostenere. E non solo in campo scolastico, dove pure numerosi sono gli istituti paritari e gli studenti che li frequentano.
Si può forse pensare che il Comune basti a stesso in campo culturale e non abbia bisogno dell’iniziativa di privati e associazioni? O nell’assistenza sociale: l’enorme mole di servizi messi in campo quanto durerebbe senza il contributo e la collaborazione di enti e associazioni del volontariato e del privato sociale? Se anche si pensa allo sviluppo economico e turistico della città, è forse possibile immaginarlo senza l’iniziativa di imprenditori che decidono di rischiare e di investire? In base alla nostra Costituzione non si può forse parlare anche di un ruolo sociale dell’impresa?
Ciò che vogliamo dire è che la vicenda del Ceis ha il merito di mettere in evidenza un aspetto che viene frettolosamente dimenticato in nome di vision e di progetti dai quali unicamente ci si aspetta il rilancio della città. In realtà si deve avere l’umiltà e la lungimiranza di riconoscere che la città, una città più bella, più vivibile, più attraente, più umana, non la si costruisce da soli. Il Ceis oggi esiste perché settant’anni fa un’associazione operaia svizzera ha deciso di prendersi cura dei bambini di Rimini che uscivano dalla tragedia della guerra. Non c’è stato nessun progetto dell’ente pubblico all’origine di quest’opera che oggi giustamente l’ente pubblico difende.
La città non la si costruisce da soli. C’è bisogno di uno, dieci, cento, mille Ceis. E di un Comune disposto a sostenerli e a valorizzarli tutti.
Guarda ai "mondi del fare" il Pd del nuovo segretario Sacchetti
Un partito autonomo sul territorio, disponibile a rinunciare anche al simbolo, a deporre gli atteggiamenti arroganti, capace di aprirsi ai mondi del fare, teso alla ricerca di alleanze con pezzi di società piuttosto che con sigle di partito. È il Pd che propugna Filippo Sacchetti, 30 anni, da un mese segretario provinciale del partito, eletto senza il consenso dell’area che a livello nazionale si riconosce nella candidatura di Nicola Zingaretti.
Sacchetti è giovane, ma ha alle spalle già dieci anni di esperienza politica ed amministrativa: è stato consigliere comunale a vent’anni, presidente del consiglio comunale, ed ora è assessore a Santarcangelo, uno dei Comuni che andrà al voto in maggio e dove la tradizionale predominanza della sinistra corre il concreto rischio di crollare.
“In questo primo mese dall’elezione – racconta - ho girato per il territorio e incontrato iscritti, militanti, sindaci e amministratori. Ho cercato di capire gli umori e di cosa c’è bisogno. Mi sono fatto l’idea che c’è urgente bisogno di costruire un progetto politico autonomo per il territorio. I nostri iscritti ed elettori soni delusi e frustrati per come si fa politica a livello nazionale. C’è una perdita di fiducia. Ora abbiamo il congresso fino a marzo ma da come si mettono le cose si capisce che dopo il congresso ci si avviterà nelle solite polemiche autoreferenziali. Invece dopo il congresso ci attendono importanti scadenze, come le Europee, alle quali rischiamo di arrivare scarichi mentre Salvini è già ben carico.
Costruire un nostro progetto territoriale significa mettere in campo ciò che il Pd può fare a livello locale e che a livello nazionale non riesce a fare. Significa porci nella condizione di affrontare temi, a partire da quello dell’innovazione che sempre ci ha distinto a livello locale. Senza aspettare che qualcuno ci indichi una strada”.
Un progetto autonomo, del territorio, per fare cosa?
“Per affrontare le elezioni amministrative di maggio quando si andrà al voto in 16 Comuni su 25 della nostra provincia, in larga maggioranza governati dal centrosinistra. Penso che la spinta innovatrice del Comune di Rimini, affiancata all’esperienza di Santarcangelo e di Misano, sia il tesoro, la frontiera da cui partire per rilanciare un progetto di comunità fondato sulla qualità della vita e sui valori che il centrosinistra ha sempre fatto propri.”
Progetto autonomo significa rinnovata apertura al civismo, sull’onda dell’esperienza riminese?
“Il civismo non è un fenomeno uguale ovunque. Patto Civico a Riccione non è la stessa cosa che a Rimini. Nel civismo ci sono dinamiche che sanno nascere e riprodursi solo in determinate condizioni. Il civismo si fonda sull’appeal e sulle qualità delle persone che ci sono nei territori. Però la strada è quella: non esiste oggi un’alleanza partitica, esiste un’alleanza della politica con la società. Per questo dico che è fondamentale la presenza di persone con una determinata passione per la comunità. Credo vada anche valutata l’idea che il Pd si metta a disposizione delle città e non viceversa. Per favorire l’aggregazione con le forze vive della città, deve anche sapersi mettere di lato. Aiutando, sostenendo, costruendo insieme agli altri.
Non per forza dobbiamo presentarci con il nostro simbolo di partito e chiedere agli altri di aggregarsi, anche nei comuni sopra i 15 mila abitanti. Anche a Santarcangelo potrebbe succedere, se questo aiuta a superare alcune resistenze e la convinzione che oggi la politica è poco credibile. Molte volte ci vedono come arroganti, anzi lo siamo, nel senso di pretendere di avere sempre ragione”.
Su cosa il Pd dovrebbe puntare come argomenti di dialogo con le comunità locali?
“Come segreteria provinciale ci occuperemo dei temi di rete, cioè degli argomenti strategici. Uno di questi è la riorganizzazione del trasporto: l’entrata in funzione del Trc provocherà una necessaria revisione complessiva. C’è il tema della riconfigurazione del servizio idrico e di raccolta rifiuti. Dobbiamo dare un segnale forte con un bando per l’assegnazione del servizio, perché da troppo tempo è in proroga. Occorre sviluppare una riqualificazione ambientale del servizio, a partire dall’incremento della raccolta differenziata. C’è il tema dell’area vasta nella sanità. E poi gestione del territorio a consumo zero, l’applicazione della nuova legge regionale urbanistica”.
La sicurezza è uno dei temi che portano consenso a Salvini, mentre voi siete visti come quelli che calano le braghe.
“Il potenziamento delle forze dell’ordine sul territorio è certamente il primo passo. E vedremo a cosa ci porteranno le scelte del governo sulla questura. Sulla sicurezza la nostra idea, rilanciata da Gnassi quando è stato eletto, è un’idea di sicurezza sociale. Credo che la paura dello straniero la si possa combattere con il cambiamento del sistema di integrazione e con la riqualificazione degli spazi urbani degradati. Bisogna sviluppare la vivibilità delle città, con tutti i provvedimenti utili a creare coesione sociale. Quando succedono certi fattacci, bisogna guardare al contesto in cui avvengono e intervenire su quello. Questo è un ragionamento che per la politica salviniana è troppo complesso, ai leghisti basta cacciare via tutti gli immigrati e tutti i neri”.
Uno dei tormentoni dentro il Pd è su dove recuperare consensi: guardando a sinistra o cercando di conquistare i ceti moderati?
“Detesto il dibattito sull’alleanza con i 5 Stelle. È una prospettiva antistorica. Parte dall’idea che fare politica sia costruire alleanze con partiti, siccome l’unico rimasto sono i 5 Stelle, quindi ci alleiamo con loro. Non si tiene conto che quel movimento è nato in antagonismo alla nostra visione politica. L’area di centrosinistra deve certamente recuperare a sinistra, l’unità del centrosinistra è un valore, non è un’opzione. Bisogna però aprirsi più che ai moderati ai mondi del fare, a chi fa, non a chi idealizza le questioni. E per fortuna gente che fa ce n’è. Se pensiamo che temi come la sicurezza, la legalità, l’innovazione, lo sviluppo, facciano capo a mondi lontani da noi non abbiamo capito niente. Sono temi nostri, è un errore lasciarli ad altri. La lotta ai famosi poteri forti, per esempio, la si fa se davvero si liberalizzano i settori”..
Cosa vuol dire per lei essere di sinistra?
“Sono nato nel 1988, un anno prima della caduta del muro di Berlino. Niente è più lontano da me dalla nostalgia di un mondo che non c’è più e che non ho neanche conosciuto. Per me essere di sinistra significa sostenere valori che aiutino a stare meglio, a partire certamente da chi sta peggio ed ha più bisogno. C’è bisogno di equità ed uguaglianza, nel senso di offrire e tutti le stesse opportunità”.
Abusi edilizi al Ceis, partirà la diffida. Frisoni: via il Comune dal Cda
Su Ceis ed Anfiteatro si è messa in moto una valanga che, prima di arrivare a valle, alla conclusione, si ingrosserà parecchio e sicuramente lascerà più di un ferito sul campo. Il 7 gennaio 2019 sarà probabilmente ricordato come la data dello scoperchiamento di un vaso di Pandora che contiene molti misteri da spiegare. Ieri pomeriggio, nella riunione congiunta nelle commissioni consigliari seconda e quarta, c’è stato solo un assaggio. Gli occhi sono ora puntati sul procedimento per abusi edilizi aperto contro il Ceis. Dopo che il Comune avrà ricevuto le controdeduzioni dell’istituto (il tempo in realtà è già scaduto), non potrà che procedere come in altri casi di abusi edilizi: prima la diffida a demolire le opere abusive e, in caso di inottemperanza, l’ordinanza di demolizione. Occhi puntati anche verso gli uffici della Procura alla quale è stata inviata la segnalazione. Il tema del trasferimento del Ceis dall’area assegnata all’asilo svizzero nel 1946 non è più una eventualità remota, peraltro sempre esclusa e osteggiata dalle amministrazioni di sinistra degli ultimi decenni.
Tutto è cominciato il 2 luglio scorso con l’interrogazione del consigliere di Forza Italia, Carlo Rufo Spina, che chiedeva quale fosse la situazione, dal punto di vista dei permessi edilizi, del villaggio di baracche fondato da Margherita Zoebeli. Le risposte della giunta hanno tardato mesi finché in dicembre non è emersa la verità: i tempi lunghi erano stati determinati dalla difficoltà di ricostruire il quadro. Detto in termini meno diplomatici: negli uffici non si trovano i titoli in base ai quali le baracche sono state costruite, ristrutturate, demolite.
Non di tutte, ma di buona parte, come ha ricostruito in commissione il dirigente dell’edilizia Carlo Piacquadio. Secondo la sua relazione, almeno il 30 per cento, e riguardano opere degli anni Cinquanta e Sessanta. Di alcune strutture sono stati trovati i permessi per interventi di manutenzione straordinaria, ma non il titolo originario. Già l’abuso edilizio è un fatto di per sé grave e illegale. La situazione si complica se sull’area dove stati effettuati esiste, in virtù di due decreti ministeriali del 1913 e del 1914, un divieto assoluto di edificazione. Non solo. Quell’area è di proprietà comunale e al catasto, ha riferito Carlo Rufo Spina, sembra godere di un diritto di superficie. Ma esiste realmente? Il dirigente Piacquadio ha ammesso che negli uffici non è stato rivenuto alcun atto in proposito. Anche questo “particolare”, che particolare non è, contribuirebbe a complicare le cose.
Insomma è emerso un pasticcio che non sarà facile da districare. Le opposizioni sono andate all’attacco dell’amministrazione con una raffica di durissimi interventi. Il capogruppo della Lega, Marzio Pecci, ha sostenuto che il Comune deve procedere immediatamente al trasferimento del Ceis, indicare l’area nuova dove impiantarlo, chiarire che non spenderà un euro perché siamo di fronte a opere abusive. Spina ha puntato il dito contro la giunta che ha sempre sostenuto posizioni vergognose, ha parlato del Ceis come di “una struttura paracomunale, esclusa dai controlli, visto che il Comune nomina il presidente e parte del Cda”, ha infine preteso di sapere i tempi dello spostamento. Gioenzo Reni, che dal 1994 battaglia in consiglio comunale contro le baracche che occupano l’anfiteatro, ha ricordato i vincoli di inedificabilità assoluto e, dei gravi errori commessi dl 1946 in poi, ha stigmatizzato il fatto che il Ceis stesso non abbia riconosciuto il valore culturale dell’Anfiteatro. Gennaro Mauro ha incalzato nuovamente la giunta sui tempi del trasferimento e a chi vadano addebitati i relativi costi.
Se la minoranza ha marciato compatta, nella maggioranza si sono viste crepe vistose, a partire dal presidente della quarta commissione, Davide Frisoni, di Patto Civico, che ha chiesto l’uscita del Comune dal Ceis. Il coinvolgimento della politica non aiuta a un giudizio sereno, il Ceis è una scuola privata che va trattata alla pari delle altre, pure meritevoli, che esistono in città. È un tema da affrontare preliminarmente e con urgenza. Frisoni è un convinto sostenitore della restituzione dell’anfiteatro al patrimonio storico e culturale della città. Per raggiungere lo scopo vanno eliminati gli ostacoli e i condizionamenti di natura politica. Molto deciso nella sua posizione, ha più volte chiesto quali siano le procedure e i tempi che il Comune adotta nei casi “normali” di abuso edilizio. Messaggio fin troppo esplicito per avvertire: vigilerà che anche per il Ceis si adottino le stesse procedure negli stessi tempi.
Se Frisoni ha assunto queste posizioni, dalle fila del Pd è intervenuto Giovanni Casadei per sostenere che per lui la valorizzazione dell’anfiteatro non è una priorità, la priorità è la salvaguardia del Ceis (e Frisoni lo ha rimbeccato ribadendo il concetto contrario).
Meno male che l’assessore Roberta Frisoni è intervenuta più volte per affermare che maggioranza e minoranza sono concordi sul fatto che ci sono due beni pubblici ugualmente meritevoli di tutela e di valorizzazione: il Ceis e l’Anfiteatro. L’esponente di giunta non ha però risposto a nessuna delle domande sulle procedure e sui tempi. Ha espresso concetti dilatori: serve un progetto… servono risorse…bisogna che tutti facciamo squadra…
Ha preso la palla al balzo Renzi per chiedere un consiglio comunale a tema, con voto finale sui documenti, in modo che ciascuno si assuma le proprie responsabilità. Non è stato che un inizio. Per la minoranza è già una vittoria: il trasferimento del Ceis non è più un tabù.
Bando periferie: le "conversioni" di Croatti (M5S) e le polemiche con Gnassi
Nell’epoca del governo del cambiamento i provvedimenti sbagliati si capiscono sempre il giorno dopo. Ovvero dopo aver scoperto che c’è tutto un mondo che legittimamente protesta contro quelle decisioni. Lo si è visto recentemente con il raddoppio delle tassazione per enti e associazioni di volontariato, approvato con la promessa che alla prima occasione utile sarà tolto.
A suo modo, il riminese Marco Croatti, senatore del Movimento 5 Stelle, era stato un precursore. Quando il Senato, nella estate scorsa, votando il decreto Milleproroghe, aveva rinviato al 2020 la concreta erogazione dei finanziamenti per il bando delle periferie (che a Rimini voleva dire 18 milioni per Rimini Nord), lui aveva pubblicato su Facebook un post “governativo” in appoggio al taglio dei finanziamenti. “Poi – ha detto oggi in una conferenza stampa – ho ascoltato la voce degli operatori turistici e dei cittadini di Rimini Nord che aspettavano con favore l’investimento e mi sono subito adoperato perché fosse ripristinato”. Poteva anche immaginarselo da solo che da Rivabella a Torre Pedrera non sarebbero stati molti contenti, ma non è il caso di sottilizzare.
Il senatore Croatti (l’unico pentastellato che tenta di mantenere una briciola di rapporto con il territorio, la collega Giulia Sarti finora non pervenuta) ha tenuto oggi la sua prima conferenza stampa per fare il punto sulla vicenda del bando periferie che ha animato l’estate e che si è conclusa con l’accordo fra Anci e governo del 18 ottobre scorso. Croatti ha rivendicato il suo repentino cambiamento ed ha assicurato che subito si era mosso per sensibilizzare i colleghi della Camera. Tanto suo generoso impegno è poi risultato inutile perché il presidente Conte, dopo aver ricevuto la delegazione dell’Anci, aveva promesso il ripristino dei fondi alla prima occasione. E l’occasione è stata la legge di bilancio.
Tuttavia il senatore ha voluto togliersi i mitici sassolini dalla scarpa. “Nel confronto politico – ha sostenuto – ho sempre cercato di tenere un tono costruttivo. Così non è invece stato da parte del sindaco Andrea Gnassi che ha seguito la strada delle strumentalizzazioni politiche. Penso che le diverse istituzioni debbano collaborare al bene della città. Invece Gnassi, anche dopo la visita di Conte a Rimini, si è lanciato in ripetuti attacchi”.
Croatti ha anche spiegato cosa succederà ora. Per i finanziamenti cambierà la modalità di erogazione: il Comune non li riceverà in un’unica tranche. Subito riceverà solo il 20 per cento, un altro 30 per cento quando l’opera avrà raggiunto il 40 per cento della sua realizzazione, ancora un 30 percento al 70 per cento dei lavori, un 15 per cento al completamento e l’ultimo 5 per cento alla certificazione finale. Ha sostenuto che questa dilazione serve ad eliminare sprechi ed inefficienze. Se si legge l’art.68 della legge di bilancio, si trova scritto che nel 2019 gli enti locali potranno avere esclusivamente il rimborso delle spese sostenute e certificate in base al cronoprogramma. Quindi risulta che i Comuni dovranno anticipare i soldi, ma sulla legge non c’è traccia del dispositivo annunciato da Croatti.
E infatti, nel pomeriggio, il senatore ammette di aver fatto confusione e invia una rettifica. Quello indicato delle percentuali era il sistema di erogazione precedente, con la nuova legge non si hanno anticipi ma solo rimborsi di spese già sostenute. Come avevamo appurato andandocela a leggere.
Poiché la legge prevede il riutilizzo delle economie realizzate (i soldi finiscono in un fondo per investimenti da parte dei comuni e delle città metropolitane), ciò obbligherà a firmare una nuova convenzione. Croatti ha assicurato che le convenzioni saranno firmate entro il mese di gennaio, così come prevede la legge.
Che in un mese possano essere riviste e firmate un centinaio di convenzioni, qualche dubbio lo lascia. Chi invece è certo della vittoria ottenuta è il comitato di Viserbella che scrive: “Oggi per Viserbella e per tutta Rimini Nord è un giorno di festa. Apprendiamo dalla conferenza stampa del parlamentare Marco Croatti che i fondi per lo sviluppo del lungomare di Rimini Nord sono stati confermati e inseriti nella legge di bilancio. Entro un mese il comune di Rimini verrà chiamato per firmare le nuove convenzioni con lo stato per la realizzazione del progetto.Questo risultato è frutto anche della nostra forte mobilitazione, del fatto che ci siamo fatti sentire come cittadini e come attività economiche della zona nord, raccogliendo firme e mobilitandoci sui social e nella vita reale. E’ la certificazione che il progetto è partecipato e sentito veramente da gran parte dei cittadini”.