Tutti i consiglieri con la mise giusta, adatta per l'occasione. Signore e signorine prevalentemente con i tacchi alti, uomini, specialmente quelli del centrodestra, in giacca e cravatta, il sindaco in camicia bianca e giacca blu, ma senza cravatta. Il leghista Carlo Grotti, oltre alla lunga chioma, esibiva il fazzoletto verde nel taschino, abbinato ai calzini. Il giovane studente Luca Pasini in perfetto look bocconiano. Nessuno che abbia tradito una particolare emozione. E dire che per la stragrande maggioranza di loro era la prima volta: sono infatti soltanto otto i consiglieri che hanno già un mandato alle spalle. Tutti in piedi quando è partito l'inno di Mameli, ma solo in pochi muovevano le labbra per accompagnarlo. Ormai sono più bravi i calciatori della nazionale.

Ha presieduto l'inizio di seduta il consigliere anziano Juri Magrini, ma anziano solo perchè ha riportato la cifra individuale più alta (la seconda, in verità. ma il primo, Mattia Morolli, è stato promosso assessore). L'adempimento più importante che il consiglio comunale di Rimini era chiamato a svolgere era l'elezione del presidente e del vice presidente. Il consigliere Gennaro Mauro ha subito preso la parola per chiedere che il nuovo presidente sia imparziale e di garanzia per tutti, che non succeda come nel passato che la minoranza si è dovuta rivolgere al prefetto per far valere le proprie ragione. Il capogruppo del Pd, Enrico Piccari, ha proposto Sara Donati. La minoranza ha proposta Nicola Marcello, di Forza Italia. Alla prima votazione 21 voti per la Donati e 12 per Marcello, insufficienti per l'elezione che chiede i due terzi del consiglio. Prima della seconda votazione tutti i capigruppo della minoranza hanno annunciato che avrebbero votato la Donati, sperando nel suo ruolo di garanzia. E' stata eletta con 31 voti (una bianca e un voto a Marcello). Sara Donati, con vestito rosso geranio e una giacchetta bianca, è così salita al seggio più alto dell'aula.

Per la vice presidenza la minoranza ha proposto Marcello, ricevendo l'adesione dei gruppi di maggioranza: 33 voti.

Ancora qualche adempimento formale e poi tutti a casa. Adesso ci sarà da risolvere il repbus delle presidenze di commissione.

Lunedì, 04 Luglio 2016 12:24

Senza innovazione, la Notte Rosa muore

Se si va a sfogliare l’album della Notte Rosa, è difficile concordare sul fatto che la novità dell’edizione 2016 sarebbero stati gli eventi diffusi e il coinvolgimento della spiaggia. Questa è la tesi del sindaco Andrea Gnassi che, a fronte delle riflessioni critiche dell’assessore regionale al turismo, Andrea Corsini, ha rilanciato sostenendo che a Rimini l’evento è stato capace di rinnovarsi e non ha manifestato segni di indebolimento della propria capacità attrattiva.

Novità non possono essere gli eventi a Castel Sismondo: proprio quando il sindaco era assessore provinciale al turismo, in quella sede si tennero con un certo successo due edizioni del Festival di poesia medievale. Novità non è il coinvolgimento della spiaggia: nel 2009, proprio per rilanciare l’evento che già alla quarta edizione rischiava di essere ripetitivo, la Provincia si inventò che nella Notte Rosa si poteva realizzare il sogno di fare il bagno a mezzanotte. In tre zone di spiaggia si creò una situazione protetta in cui, con tutti i permessi del caso, si fece il tuffo rosa nella notte. E quell’anno furono queste le immagini che girarono sulle televisioni nazionali.

Per salvare la Notte Rosa e consentire alla Riviera di poter contare anche per il futuro su una manifestazione che può riempire un week end e funzionare come mezzo di comunicazione, il sindaco, gli operatori turistici, l’Apt e la Regione dovrebbero finalmente avviare una riflessione senza tabù e aperta davvero all’innovazione.

Si può partire dalle valutazioni sulle quali l’assessore Corsini, incalzato dal Carlino, ha convenuto. Il colpo d’occhio della Notte Rosa 2016 faceva intravedere che c’era meno gente sulle strade, sul lungomare, sulla spiaggia. E questo non a Lido di Volano o a Marina di Ravenna, ma anche a Rimini, nel cuore storico dell’evento. Se prestiamo fede agli albergatori (ai loro rappresentanti istituzionali) gli hotel erano tutti pieni o quasi. All’80 per cento, è stato dichiarato alla vigilia. Ad essere mancato – sostiene l’assessore – è il pubblico pendolare, quello che si muove dall’entroterra, dalle città romagnole e dall’Emilia. Per costoro, che hanno la possibilità di vivere una notte di divertimento in Riviera come e quando vogliono, la Notte Rosa non esercita più alcuna attrazione. Questo deve far riflettere. Corsini afferma che va recuperato il clima dei primi anni, quando tutta la Riviera si tingeva di rosa e tutti in qualche modo partecipavano alla grande festa collettiva. Non può sfuggire un’osservazione: con il tempo ciò che era una forma di partecipazione è scivolata in una sorta di carnevale estivo colorato di rosa, e quest’anno è mancato pure questo, con gli addobbi ridotti al lumicino. Ma forse non è solo questione di clima perduto. Qualche riflessione si dovrà finalmente fare anche sui contenuti. L’evento, storicamente, è nato mettendo il “cappello rosa” su ciò che già era in programma in Riviera, con l’aggiunta di qualche grande concerto e i fuochi d’artificio a mezzanotte. E sostanzialmente si è andati avanti così per anni, con la novità che il venir meno delle risorse ha eliminato dal programma le star della musica. E allora cosa c’è di diverso, per esempio, dal Festival del Rose & Crown che per una settimana propone, con larga partecipazione di pubblico, musica e birra sul lungomare, dai punti musica che si sono visti durante la Notte Rosa? E i fuochi d’artificio? Negli anni scorsi c’erano più punti da cui venivano sparati, creando l’effetto sinfonia; quest’anno sono stati i normali spettacoli pirotecnici che ogni comitato turistico locale propone più volte durante la stagione.

Francamente appare una proposta debole se ha l’ambizione di esprimere i tratti identitari della Riviera romagnola, come ripetono in coro gli amministratori pubblici. E forse una riflessione va fatta anche sul progressivo allargamento dell’evento. A ripensarci, si può vedere che le prime edizioni hanno bucato la comunicazione e attratto pubblico perché la Notte Rosa costituiva un unicum, qualcosa di diverso e irripetibile che si svolgeva solo in quella notte e in quel luogo specifico. Si è pensato di farla diventare un week end, la si è allargata anche alla costa settentrionale delle Marche, con un effetto di annacquamento generale. Oltretutto, se la Notte Rosa si vive anche a Senigallia, che fine fa l’ambizione di un evento che esprima l’identità di una costa specifica? A dispetto delle intenzioni, ha prevalso l’hybris di voler insegnare ai vicini marchigiani come si organizza un evento turistico vincente.

La Notte Rosa è storicamente servita a dare una scossa alla Riviera, è stata un mass media capace di comunicare. Si può discutere se abbia centrato l’obiettivo dichiarato all’inizio: mostrare che è possibile vivere una notte dolce, senza sballo. Si può discutere, come qualcuno sostiene, se l’immagine di Riviera veicolata dalla Notte Rosa sia davvero in grado di intercettare le nuove tendenze del turismo. Sarebbe comunque sbagliato continuare a ripeterla come si è sempre fatto non cogliendo i segnali che chiedono un nuovo colpo d’ala, una capacità di innovazione senza la quale rischia di scivolare fra le cose scontate che non attraggono.

La giunta Gnassi 2 appena varata potrà contare su un nuovo capo di gabinetto a servizio del sindaco. Secondo i rumors dei bene informati al posto di Sergio Funelli, incorso nella sentenza della Corte dei Conti perchè non laureato, sarebbe destinato ad andarci Riccardo Fabbri, che già ha ricoperto tale ruolo in Provincia per quindici anni, dieci sotto la presidenza di Nando Fabbri e cinque sotto quella di Stefano Vitali.

Terminata l'esperienza in Provincia, Fabbri (che faceva parte del cda dell'ultima Aeradria) è stato per qualche tempo il referente locale di Airiminum 2014, la società di gestione dell'aeroporto. Da qualche settimana, però, ha troncato il rapporto. Nella recente campagna elettorale lo si è visto impegnato nel sostegno alle liste civiche delal coalizione di Gnassi, in particolare Patto Civico e Rimini Attiva.

Come sta andando la stagione turistica 2016? Sul week end appena trascorso della Notte Rosa siamo in attesa di conoscere qualche dato reale. Ma l’impressione diffusa, condivisa anche dall’assessore regionale al turismo, Andrea Corsini, in una intervista al Carlino, è che ci sia stato meno pienone rispetto agli anni scorsi. Certamente è stato il primo vero week end dell’estate, sia per il tempo, finalmente bello, sia per il movimento turistico. Il mese di giugno, a parte la partenza con il lungo ponte del 2 giugno e Rimini Wellness non ha regalato soddisfazioni agli operatori turistici. Più di una volta hanno lamentato, anche sui giornali, i vuoti che senza troppo successo hanno cercato di riempire.

Statistiche ufficiali su giugno ancora non ci sono, gli unici dati disponibili si riferiscono ai primi cinque mesi dell’anno, gennaio-maggio. E non sono dati positivi. Gli arrivi sono diminuiti del 9 per cento, le presenze del 4 per cento. Con una particolarità positiva che va sottolineata: in questo quadro di crollo pesante, arrivi e presenze straniere sono in crescita: rispettivamente +3,8 e + 2,7 per cento. Ciò significa comunque che la disaffezione dei nostri connazionali è più marcata: -11,5% di arrivi e -6,3 per cento di presenze.

Il bilancio negativo dei primi cinque mesi contiene differenze da mese a mese che è bene conoscere. I primi tre mesi dell’anno chiudono con un marcato segno positivo: marzo, con la Pasqua, è esploso fino a un +51,6 per cento di presenze. I dolori sono cominciati con aprile, che nel 2015 aveva visto un buon week end pasquale. Quest’anno il bilancio è stato per forza di cose più magro: -7,9 per cento di arrivi e -6,6 per cento di presenze.

Il disastro si è verificato a maggio: crollo degli italiani con più del 30 per cento in meno di arrivi e presenze; calo solo lievemente bilanciato da un incremento di presenze straniere del 4,4 per cento. Probabilmente la Riviera è riuscita a intercettare le vacanze di Pentecoste dei tedeschi, che l’anno scorso erano invece cadute in giugno. Invece sono mancati arrivi e presenze di Rimini Wellness che nel 2015 si era svolto a fine maggio. Bisogna attendere per verificare se c'è stato un recupero in giugno.  Il bilancio complessivo di maggio vede un -29,4 per cento di arrivi e -22 per cento di presenze.

Non è di grande consolazione sapere che in gennaio-maggio anche nelle vicine province romagnole le cose sono andate allo stesso modo: Forlì-Cesena chiude con un -3,9 per cento di presenze, Ravenna addirittura con un -9,4.

Purtroppo i dati a disposizione finiscono qui. Non sono pubblici arrivi e presenze dei diversi Comuni (nel 2015 si è visto che le performances erano molto diverse da località a località), cosi come non si conoscono le provenienze regionali dei turisti italiani e le provenienze nazionali dei turisti stranieri. Per le statistiche del turismo si è tornati all’anno zero. Con la chiusura degli autonomi servizi statistici delle defunte province, la raccolta e l’elaborazione dei dati va più a rilento. È scomparso anche il sito Osserva Turismo dove in tempo reale, seppure con una fotografia non completa, si potevano conoscere arrivi e presenze ed altri dati quantitativi sui turisti che soggiornavano in Riviera. Adesso il servizio è di gestione regionale e, almeno fino a questo momento, meno puntuale ed efficiente. Il 29 giugno si è tenuto a Ravenna un seminario per la presentazione del nuovo sistema di rilevazione, anche qualitativo, già attivo a Rimini ed ora esteso a tutta la Regione. Ma i dati quantitativi (articolati per Comune) e qualitativi del 2016 ancora non è dato di conoscerli.

La risposta alla domanda delle domande la anticipa il vicario generale don Maurizio Fabbri quando spiega che il documento volutamente è uscito dopo le elezioni per non dare adito a strumentalizzazioni da parte di candidati e forze politiche. Per evitare che qualcuno potesse piegare ai propri fini elettorali i contenuti del documento si è deciso di farlo conoscere a urne chiuse. Scelta legittima ma anche discutibile. In altre diocesi non è stato così: a Milano, per esempio, il documento di associazioni e movimenti sulle questioni importanti della città è stato reso noto in campagna elettorale proprio come contributo alla discussione.

Ma torniamo a Rimini. Oggi il vicario, e due componenti del consiglio pastorale diocesano, Mirna Ambrogiani (che è anche presidente dell’Azione Cattolica) e Roberto Soldati, hanno presentato “La città che ci sta a cuore”, comunicazione (il termine ufficiale è questo) alle comunità cristiane della diocesi e agli amministratori delle città. Due fitte cartelle con l’indicazione di otto punti che il consiglio pastorale diocesano (organo consultivo del vescovo per leggere e giudicare la realtà ecclesiale e civile) vuole portare all’attenzione di chi ha la responsabilità di amministrare. “La diocesi non vuole dettare l’agenda alla politica – ha spiegato il portavoce Paolo Guiducci – ma essere di stimolo e fermento per gli amministratori e per le comunità cristiane”.

Lo stile che si vuole affermare è quello del dialogo perché le contrapposizioni ideologiche e strumentali sono “il cancro più micidiale che abbia aggredito il tessuto della comunità civile”. Ma è un cancro che si può sconfiggere con una terapia che mira a promuovere il bene comune, inteso come bene di tutti e di ciascuno. Chiosa il vicario: “Se un tempo il rapporto con la politica era chiedere dei favori al politico amico, adesso alla Chiesa interessa essere la coscienza critica della comunità”. Il dialogo auspicato per il bene comune deve inaugurare una stagione di operatività e di collaborazione. Il consiglio lo spiega con una frase di papa Francesco: “Il modo migliore per dialogare non è tanto quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme”.

Sempre in stile francescano, gli otto punti cominciano con l’attenzione alle periferie. Ci si riferisce alle periferie territoriali (che chiedono decoro e spazi per le relazioni umane) ed anche alle periferie sociali come i giovani e gli immigrati “da accogliere e integrare”.

Il secondo punto è l’impegno per la giustizia e la legalità: impegno contro le infiltrazioni mafiose, lotta all’abusivismo e all’evasione, gioco d’azzardo da ostacolare con riduzioni di imposta per gli esercizi slot free, contrasto alla prostituzione sia di strada che in appartamenti.

Al terzo punto il riconoscimento e la promozione della famiglia. Viene chiesta l’introduzione del quoziente famigliare per tariffe e imposta locali (si paga tenendo conto dei figli a carico); si auspicano intereventi per rendere compativo lavoro e famiglia con particolare attenzione alle lavoratrici madri; si chiede il sostegno alle famiglie perché possano liberamente scegliere fra scuola pubblica o privata; si rivendica un indispensabile aiuto alla vita nascente, anche per combattere la grave crisi demografica.

Quarto punto la politica della casa, già autorevolmente richiamata dal vescovo monsignor Francesco Lambiasi in occasione della processione del Corpus Domini. Il quinto punto si chiama “decoro della città” ma in realtà si parla di politica turistica. Si chiede che “l’attrattiva di grandi eventi di divertimento popolare (Molo Street Parade, Notte Rosa, ecc.) sia bilanciata con le risorse che della città riflettono anima e sostanza: la valorizzazione del paesaggio e della storia, la qualità dell’accoglienza, gli incentivi al turismo culturale e religioso”.

Si arriva così, sesto punto, alla promozione di una cultura integralmente umana attraverso la scuola, che non deve trasmettere solo nozioni ma anche ragioni per vivere e valori di riferimento, e l’università che chiede al territorio “convinto riconoscimento ed esige sostegno concreto ed efficace”. Al settimo punto, l’impegno per la pace, che concretamente vuole dire favorire occasioni di incontro e di conoscenza in una società sempre più multiculturale ed impegno contro la formazione di ghetti e quartieri emarginanti.

Ultimo punto, la questione educativa “come punto centrale di attenzione alla persona, con le sfide che oggi incalzano, quali l’educazione all’affettività, il dialogo interculturale e il fenomeno del bullismo”.

Alla domanda su quale sia il punto centrale, il vicario ha detto che si tratta propria della questione educativa, che è trasversale ad ogni altro problema. “Se si vuole andare alla radice, bisogna ripartire dall’educazione della persona”.

Questa comunicazione sarà consegnata a mano ai sindaci dei Comuni della diocesi (Rimini, Cattolica, Montescudo-Montecolombo, Sogliano) eletti nelle recenti consultazioni, agli altri sarà inviato per posta. E i consiglieri comunali, e chi fa politica attraverso i partiti? “Saranno i sindaci a trasmetterlo”, ritengono in diocesi.

Nella premessa del documento si ricorda che l’impegno sociale della Chiesa riminese già si esprime attraverso alcune opere e attività (Caritas, Fondo per il lavoro, osservatorio sulla povertà, assistenza ai carcerati, ecc.). Inoltre, “con l’opera educativa dell’associazionismo, degli oratori e delle parrocchie “ si cerca di sviluppare “una convivenza serena e sicura, per far crescere l’umano di tutti e di ciascuno, a partire dai più poveri”.

Un inaspettato e improvviso stop alle procedure di ricapitalizzazione è arrivato oggi a Banca Carim. Un fulmine a ciel sereno che costringe a rinviare a data da destinarsi il progetto della banca. L’istituto di credito di piazza Ferrari era in attesa del necessario via libera per la ricapitalizzazione che doveva arrivare dalla Banca di’Italia. Il via libera non è ancora arrivato, mentre – comunica una nota di Banca Carim - “ in data odierna hanno preso avvio accertamenti della Banca d’Italia di aggiornamento (follow-up) rispetto alla precedente ispezione ordinaria compiuta nel corso del 2015”.

Tutto ciò non è privo di conseguenze. “L’avvio degli accertamenti, unitamente alle recenti turbolenze registrate sui mercati finanziari per effetto della Brexit (con particolare riguardo al settore bancario), fanno ritenere opportuno rinviare, per la massima tutela degli investitori, le operazioni di aumento di capitale già pianificate”.

Cambia qualcosa nei progetti della Banca? “Non muta – si legge nella nota - il piano strategico di rafforzamento e rilancio della competitività aziendale al servizio del territorio, cui Banca Carim appartiene da 175 anni”.

Lunedì, 27 Giugno 2016 10:50

Il record del copia e incolla

Molo 2015: record, oltre 200 mila persone. Molo 2016: record, oltre 200 mila persone. (Ufficio Stampa Comune Rimini) Leggi tutto

“C’è, non c’è, va trovato. Questi sono tutti punti di vista sbagliati sul lavoro”. E’ toccato all’economista Stefano Zamagni tirare le somme dell’incontro promosso ieri dalla Diocesi di Rimini, ‘Il lavoro (non) c’è’, a Castel Sismondo, in collaborazione con Cds – Centro di Solidarietà, Cdo, Caritas diocesana di Rimini, Progetto Policoro, Fondo per il Lavoro, Patronato Acli, Acli provinciali di Rimini, Fondazione EnAip “S. Zavatta” Rimini, Associazione Sergio Zavatta onlus, Associazione di volontariato Madonna della Carità, Cooperativa sociale Madonna della Carità.

L’iniziativa della chiesa riminese di dare vita al Fondo per il lavoro, per l’economista Stefano Zamagni, “non deve sorprendere” perché da sempre “la chiesa cattolica ha considerato la creazione di lavoro un’opera di misericordia, una tra le più importanti”. Zamagni cita l’ “ora et labora” di Benedetto da Norcia e anche il fatto che nelle loro omelie i primi seguaci di Francesco d’Assisi ci tenessero a precisare che “l’elemosina aiuta a sopravvivere, ma non a vivere perché vivere è produrre”. 

Il problema, per Zamagni, è che “prevale ancora l’idea dell’assistenzialismo, mente il “lavoro non è appena un diritto: è un bisogno fondamentale e quindi un diritto umano fondamentale. Perché i diritti, se non nascono da un bisogno, restano sospesi”. 

Zamagni sottolinea soprattutto come il lavoro vada “creato”, perché “non esiste in natura. Questa è un’idea petrolifera del lavoro: del petrolio esistono in natura giacimenti, si trovano e si estrae. Il lavoro non è così: non preesiste all’uomo, viene dopo, quindi va creato. L’idea di redistribuire il lavoro esistente in momenti di crisi (lavoriamo meno ore ma lavoriamo tutti) è una sciocchezza, segue la logica assistenziale e non incentiva la creatività umana”.

Il lavoro per Zamagni lo crea l’impresa e l’impresa “non è solo quella capitalistica, ma sono anche le cooperative e le società benefit, anche loro creano il lavoro”. Fino ad oggi, sottolinea Zamagni, “chi fa impresa diversa da quella capitalistica è stato discriminato, come per esempio le cooperative sociali”. E’ arrivato il momento che le imprese non capitaliste “si coalizzino per ottenere il riconoscimento che meritano”.   

Altro dato da cui parte la riflessione di Zamagni è l’indagine della Fondazione JP Morgan secondo cui “l’Italia è prima in Europa per avere tanta gente che ricopre posizioni senza averne le qualità, così come è la prima in Europa per la quantità di persone che fanno lavori al di sotto delle loro possibilità e della loro istruzione. Questa è buona parte del problema”, sottolinea l’economista. Infine, Zamagni ricorda come sia al giorno d’oggi fondamentale “individuare lavoro fuori dai settori tradizionali”, nei quali la fa da padrona “la quarta rivoluzione industriale” e tutta la dotazione robotica connessa, in grado di sostituire l'uomo. Meglio guardare a settori dove ci sia possibilità di novità come i beni culturali o la conversione delle imprese in modalità green.

Come si esce dallo stallo? “Innanzitutto con l’alleanza tra università e impresa. La scuola deve scendere dal piedistallo se vuole rispondere ai bisogni delle persone”, ribadisce Zamagni. “E’ uno scandalo che i nostri laureati a 24 anni non siano mai stati in un laboratorio o in una azienda. Logico che chi deve assumere scelga altri”. A Rimini l’alleanza è possibile grazie alla presenza “dell’università e di una buona istruzione superiore”. 

Arriva a questo punto la parola “sussidiarietà”. A produrla è un’altra alleanza, quella tra enti, impresa e società civile, intesi come “tre vertici di un triangolo che stabiliscono un patto (non un contratto, che è cosa ben diversa) per raggiungere gli obietivi di comune interesse”.

Ultimo punto, ma non meno decisivo, trattato da Zamagni è quello dell’educazione (in questo caso al lavoro). “La formazione ci vuole - dice - ma non è l’educazione. Educazione è il processo diametralmente opposto all’istruzione che crea persone ch sanno molte cose, ma che forse non sanno porsi nel mondo del lavoro. Oggi la conoscenza tacita è più importante della conoscenza codificata”. 

Zamagni chiude con due citazioni. La prima è di Papa Francesco, dal suo ultimo discorso agli industriali. “Cari amici, voi avete «una nobile voca­zione orientata a produrre ricchezza e a migliora­re il mondo per tutti» (Laudato si’, 129); siete perciò chiamati ad essere costruttori del bene comune e artefici di un nuovo ‘umanesimo del lavoro’”. E chiude citando Toqueville, ‘Democrazia in America’ (1835): “Il dispotismo vede nella separazione tra gli uomini la garanzia della sua permanenza. Il despota facilmente perdona i suoi sottoposti per non amarlo, a condizione che essi non si amino l’un l’altro”. 

Quando si alimentano le forme di dispotismo, conclude l’economista, “è perché noi non ci amiamo”. 

Il lavoro (non) c’è’. A partire da questo titolo si sono ritrovate ieri pomeriggio a Castel Sismondo un gruppo di realtà cattolica impegnate sull’arduo fronte del lavoro: Cds – Centro di Solidarietà, Cdo, Caritas diocesana di Rimini, Progetto Policoro, Fondo per il Lavoro, Patronato Acli, Acli provinciali di Rimini, Fondazione EnAip “S. Zavatta” Rimini, Associazione Sergio Zavatta onlus, Associazione di volontariato Madonna della Carità, Cooperativa sociale Madonna della Carità. L’incontro si è concretizzato a quasi due anni dall’avvio del Fondo per il lavoro, l’iniziativa con cui la Diocesi ha favorito l’immissione nel mondo dell'occupazione di una cinquantina di disoccupati. 

Storie spesso difficili, a tratti drammatiche, con un finale dal retrogusto dolce e inaspettato, sono state passate in rassegna ieri, grazie anche alla sensibilità curiosa di Elisa Marchioni che ha moderato l’incontro a cui ha partecipato il vescovo Francesco Lambiasi.

Rompere il ghiaccio è toccato a Daniele Farneti. Nel 2014, a 50 anni suonati, ha dovuto chiudere la sua attività per motivi familiari. “Vedevo tutto nero”, dice. Perché a quell’età, si sa, rimettersi sul mercato è più difficile. Ma non si è fermato. “Al mattino cercavo lavoro, al pomeriggio andavo alla Caritas come volontario”, racconta. Dopo un anno di attesa operativa, ha trovato lavoro come dipendente in un’azienda di Santarcangelo, grazie al Fondo diocesano. “Basta crederci”, dice alla fine. 

E ci ha creduto molto Davide Pozzi, dopo aver perso i genitori nel 2011 e nel 2012 e il lavoro, con un figlio da far crescere. “Ho chiesto subito aiuto ai miei parenti e ai miei amici. Ho chiesto aiuto economico ai miei nonni. Poi ho conosciuto il Centro di solidarietà e mi hanno detto del Fondo per il lavoro. E così, proponendo la possibilità alle aziende di accedere alle agevolazioni, ho ricominciato a cercare e ho trovato. Ho vissuto dei momenti molto umilianti, il lavoro ti permette di essere uomo e padre. La mia è una storia importante”.

Negli ultimi anni il Cds conta al suo attivo “440 colloqui, 407 segnalazioni alle aziende e 47 persone assunte”, ricorda Elisa Marchioni.

“Chi non ha attraversato il mare non può deridere chi lo ha fatto. Io lo ho fatto”, racconta Sedu 22enne profugo dal Ghana. “Ho sofferto molto nella mia vita, ma poi sono arrivato qui e ho incontrato persone meravigliose che mi hanno aiutato”.

C’è chi ha perso il lavoro perché è stato licenziato, ma c’è anche chi si è licenziato. Con una laurea in economia e un posto da direttore commerciale per una grossa azienda nazionale a Bologna, Umberto Sarti decide di tornare a lavorare a Rimini per un’impresa locale, ma si trova male e lascia. “Pensavo che non avrei avuto problemi a trovare un altro lavoro, viste le mie conoscenze. Invece non è stato così. Non trovando subito una nuova occupazione, nel frattempo mi sono messo a lavorare gratuitamente per un amico e ho iniziato a frequentare il Tavolo del lavoro. Due le cose che mi hanno salvato. La prima è il non fermarmi. Lavorare, anche se a titolo gratuito, ha mantenuto accesa in me la curiosità che qualche mese dopo mi ha fatto accettare il colloquio con l’azienda per cui lavoro ora. L’altra cosa importante è stata il non fermarmi al mio giudizio su di me e lasciarmi guardare dai miei amici, lasciare che loro mi aiutassero a capire se e dove sbagliavo nel mio pormi nella ricerca di un’occupazione”.

Fin qui le umanità in gioco di chi ha dovuto rimboccarsi le maniche e andarsi a trovare un modo per guadagnarsi la pagnotta. Ma chi la offre, la pagnotta, cosa cerca? “Il lavoro è l’atto di solidarietà più grande che una generazione possa donare all’altra”, spiega Alessandro Bracci citando Vittorio Tadei, fondatore del Gruppo di cui è amministratore delegato, la Teddy. “Quando si perde lavoro - continua Bracci - la prima cosa che viene meno è la coscienza dei propri talenti. E allora è importante formare queste persone inserendole in percorsi che le aiutino a riconoscere i propri punti di forza. Questa è la risposta più grande che chi offre lavoro può dare a chi lo cerca, perché ne riaccende la gratitudine. Bisognerebbe non dimenticare mai che dall’altra parte del tavolo hai una persona con i tuoi stessi bisogni e desideri, le tue stesse paure”. 

Bisogni, desideri e paure, sconfitte, che si ricordano, anche quando si approda a una condizione migliore. Tanto da voler contribuire aiutando di chi ancora non ce l’ha fatta. Come gli operatori assunti dalla cooperativa La Formica che “non si sono affatto tirati indietro alla richiesta di partecipare alla sottoscrizione che abbiamo promosso a sostegno del Fondo della Diocesi”, conferma Nicola Pastore.

Udienza conoscitiva in Regione del presidente di Rimini Fiera Lorenzo Cagnoni e dei vertici della Fiera di Parma, rappresentata da Marcella Pedroni. A tema l'integrzione del sistema fieristico regionale, (Bologna, Rimini, Parma) con la creazione di una holding regionale: un progetto sul quale - ha ribadito l'assessore Palma Costi - la Regione intende spingere l'acceleratore.

"Dai territori - sostiene il presidente della Commissione bilancio, il leghista Massimiliano Pompignoli - è arrivato un segnalo di stop. Bonaccini freni la corsa". Cagnoni, di Rimini Fiera, ha infatti condiviso l'ipotesi dell'integrazione ma poi ha osservato che ancora noin si conosce il contributo, non solo finanziario, della Regione. Si sa solo che ha messo cinque milioni di euro nella ricapitalizzazione della Fiera di Bologna.

«Bonaccini - sostiene Pompignoli - ha fatto i conti senza l’oste, il messaggio lanciato in commissione dal Presidente Cagnoni è piuttosto chiaro e di certo non si allinea con le volontà del “premier” emiliano romagnolo. Rispetto a questa frettolosa ed egocentrica manovra bolognese la Lega Nord ha espresso fin da subito il proprio scetticismo» – continua il consigliere leghista che poi sottolinea il rischio che «il più grande (Bologna) fagociti il più piccolo (Rimini e Parma) innescando effetti devastanti sulle realtà locali. Quello che la giunta Bonaccini sta tentando di intraprendere è un vero e proprio salto nel vuoto, che nulla ha a che vedere con un piano industriale che giustifichi ad azionisti pubblici e privati la strada dell’aggregazione».
«Per questo motivo– conclude Pompignoli –la strategia di fusione intrapresa dall’Assessore Palma Costi non trova il nostro benestare. Rimini merita un ruolo da protagonista che si è guadagnata sul campo e in questo senso il nostro, in Assemblea legislativa, sarà un lavoro di supervisione e controllo in un ottica
di valorizzazione e salvaguardia delle rassegne fieristiche locali»

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