I funerali di Vittorio Tadei: una festa della fede
Una festa. Una festa della fede. Questo sono stati i funerali di Vittorio Tadei, celebrati oggi pomeriggio nel duomo di Rimini. Ed era in quel modo che l’imprenditore, che aveva Dio come socio di maggioranza, pensava al suo addio, come ha ricordato la figlia Cristiana. È accaduto quel che il poeta Paul Claudel scrisse nell’Annuncio a Maria: “La pace, chi la conosce, sa che la gioia e il dolore in parti uguali la compongono.” Gioia e dolore si sono spontaneamente abbracciati, fino al punto che all’uscita del feretro dal duomo non è apparso strano che tutti abbiano intonato Romagna mia, la canzone in cima alla sua personalissima top ten di romagnolo verace.
Vittorio Tadei non aveva paura della morte: lo aveva confidato al vescovo Lambiasi, come lo stesso presule ha scritto nel messaggio letto all’inizio della celebrazione.
Il Tempio Malatestiano era stracolmo di gente, duemila persone, forse di più. Chiunque aveva incontrato la straripante umanità di Vittorio, non ha voluto mancare all’ultimo saluto. A nome di tutti, don Claudio Parma, all’inizio dell’omelia, ha espresso un enorme grazie a quell’uomo che, prima di esser stato un bravo imprenditore, è stato un grande educatore. Un’omelia tutta centrata sulle frasi dei salmi che Vittorio aveva sottolineato nel suo Libretto delle Ore. E le sottolineature andavano soprattutto sotto i versi che celebravano la misericordia di Dio. Don Parma ha ricordato che nella sua stanza aveva un grande poster con il salmo 50, quello con cui Davide chiede persone del suo grande peccato. Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Un salmo che amava recitare insieme a chi lo andava a trovare.
Da questa invocazione della misericordia di Dio è stata segnata l’umanità di Vittorio, lì è l’origine dell’oceano di bene che in questi giorni tanti hanno testimoniato. Don Parma ha ricordato anche gli ultimi mesi di grande sofferenza, che offriva a Dio per il bene dei giovani. “Beato l’uomo che confida nel Signore”, la frase stampata sul ricordino.
Prima della benedizione finale sono intervenute anche le figlie Cristiana ed Emma. Il babbo – ha sottolineato Cristiana – è stato un padre anche per chi non porta il nostro cognome. Ha saputo generare all’umanità. Ha creato un’impresa e tante opere di bene perché ha saputo generare uomini e donne. Emma ha invece voluto ringraziare tutti e in particolare alcuni amici che sono stati particolarmente vicini a Vittorio.
All’uscita dal duomo l’ultimo fragoroso applauso.
Maggioli: Tadei, grande uomo e grande imprenditore
"Vittorio Tadei è stato uno dei pionieri dell’industria del nostro territorio, simbolo di quell’imprenditorialità fatta di grande impegno, determinazione ed intraprendenza che ci caratterizza." Lo afferma in una nota di cordoglio Paolo Maggioli, presidente di Confindustria Romagna
"Grande motivatore, sostenitore di un’idea di impresa ben fondata nelle radici della propria realtà, ma allo stesso tempo aperta al mondo.
Il suo grande amore per il lavoro, il fiuto per le idee innovative e vincenti, gli hanno permesso di creare un’azienda di successo che dalla provincia, con i suoi marchi, ha saputo conquistare i mercati internazionali.
Esempio per tutti noi soprattutto nel sostenere e promuovere un’idea di impresa fondata sulla Responsabilità Sociale, intensa come mezzo per fare crescere il benessere di tutta la società.
Di un’azienda, come amava ripetere lui stesso, fatta di persone che agiscono ognuna con la convinzione di essere imprenditore di sé stesso, in ogni reparto, in ogni settore.
Persone coese e tutte coinvolte in un unico progetto indirizzato alla creazione di occupazione, con un’attenzione particolare rivolta alle generazioni del futuro.
Stringendoci a fianco della famiglia in questo momento di dolore vogliamo colmare il vuoto per la sua scomparsa con l’eredità che ci lascia: un esempio non solo di grande imprenditore, ma di grande uomo che ha saputo vivere il suo ruolo credendo sinceramente in valori concreti, nella convinzione che “la felicità di un uomo non dipenda dal possesso delle cose” ed operando sempre con pieno spirito altruista".
Vittorio Tadei: "Così ho rischiato i miei talenti"
L’11 novembre 2011 c’è stata la convention per i 50 anni della Teddy. In quell’occasione Vittorio Tadei tenne questo discorso che è una sorta di testamento spirituale che aiuta a conoscere questa straordinaria figura di uomo e di imprenditore.
Innanzitutto grazie a tutti per essere venuti fin qua da tutto il mondo.
Siete tanti, quasi mille, ed io guardandovi mi rendo conto che la Teddy è diventata qualcosa di ancora più importante di quello che io potevo immaginare, qualcosa di più grande anche dei miei desideri.
Sono contento perché questo significa che il Signore ci ha veramente sostenuto e fatto crescere, accompagnandoci giorno dopo giorno, in mezzo a tante difficoltà.
E la grandezza di quest’azienda per me è una prova non solo della Sua esistenza, ma anche del Suo sguardo pieno di attenzione e di amore nei confronti della Teddy e della mia famiglia.
Ed è per questo che vale la pena fare festa: perché non siamo soli, perché abbiamo veramente un “socio di maggioranza” con cui tutto è possibile.
Fin da quando ero piccolo, ci sono 2 frasi che mi hanno sempre accompagnato, aiutandomi ad affrontare le circostanze che la vita mi ha messo davanti.
La prima l’ho letta quando avevo 13 anni, nella mia casa bombardata di via Abruzzo, a 300 metri da qui, quando un pomeriggio del 1948, camminando tra le macerie, ho trovato un libro aperto dove ho letto queste parole: “L’uomo è amministratore dei beni che dispone e non padrone.”
Questa è la dottrina sociale della chiesa ed io, che ai tempi non possedevo nulla se non una bicicletta, ho sentito risuonare queste parole nell’intimo del mio cuore, tanto che anche oggi che sono passati 63 anni – ne sento ancora più intensamente la profonda verità.
Magari adesso voi non lo capite, ma sentirmi amministratore e non padrone della Teddy mi ha regalato tutta la libertà, la forza e il coraggio di cui avevo bisogno per affrontare il business e tutti i suoi problemi.
Un “padrone” ragiona solo per il proprio tornaconto e per il proprio interesse personale, quindi fa scelte di tipo speculativo e non ha preoccupazioni se non per il proprio business.
Un “padrone”, se gli conviene, chiude senza preoccuparsi delle persone.
Un amministratore, invece, deve rendere conto al suo “socio di maggioranza” che gli ha dato i talenti e la forza, quindi non tratta le persone come numeri o oggetti… e non chiude, ma cerca di far crescere l’azienda nell’interesse del bene di tutti, comprese le generazioni future.
Non pensate quindi che io sia speciale, perché in verità mi sono solo giocato i talenti che il Signore mi ha dato, rischiando e mettendomi alla prova, senza la preoccupazione del successo, divertendomi lavorando come un ragazzino.
Quindi se siete qua – coinvolti in quest’avventura che si chiama Teddy –è grazie alla forza che il Signore mi ha dato. E la cosa bella è che non mi ha tenuto compagnia in modo astratto e intangibile, ma attraverso la compagnia e l’amicizia di tanti amici e tante persone, persone sante come Gigi e don Oreste.
Senza di loro, che insieme a mia moglie sono stati lo strumento privilegiato di questa compagnia del Signore alla mia vita, adesso noi non saremmo qua.
E sicuramente non smetterà di esercitare il suo ruolo di “socio di maggioranza”, visto che chi adesso porta avanti l’azienda ha una fede autentica, spero più grande anche della mia!
La seconda frase che mi ha guidato in questi 50 anni l’ho letta sul muro di un convento vicino a Pistoia, dove mi ero fermato per cambiarmi prima di una gara di ciclismo.
Ce l’ho ancora stampata negli occhi: “A cosa ti giova guadagnare il mondo intero se poi perdi l’anima?. Io, che ancora non guadagnavo il becco di un quattrino, non sapevo bene cosa volesse dire Gesù con questa frase, ma subito ne ho intuito il fascino: nella mia vita non mi sarei preoccupato di guadagnare, ma solamente di essere me stesso, di essere felice.
E così è stato, perché non ho mai avuto la preoccupazione di fare i soldi, ma solo di costruire qualcosa di bello e grande, qualcosa che desse lavoro alle persone e aiutasse chi vive in difficoltà – questo l’ho capito grazie a Gigi – fuori e dentro la Teddy.
Ho costruito la Teddy perché capivo che questa era la missione della mia vita, che solo lavorando così sarei potuto essere felice… e chi nella vita non vuole essere felice?
E oggi, anche se ho guadagnato un pezzettino di mondo, mi sento me stesso. Perché l’importante è trovare la propria strada, la propria missione, qualcosa che “dia un significato alla propria vita”, come dice il secondo punto del Sogno.
E io spero con tutto il mio cuore che il lavoro vi aiuti a trovare, oltre una stabilità economica, anche la vostra strada e la vostra vocazione. Se mi dovessi mettere a fare i nomi di tutte le persone che devo ringraziare per la passione e il coraggio con cui hanno lavorato per la Teddy non smetterei più, perché fortunatamente sono tante.
Voi che in questo momento dite: “Io, io sono una di quelle persone!” sappiate che, oltre alla vostra felicità, avete fatto anche la felicità dei più giovani qui tra noi… giovani che adesso grazie al vostro impegno possono lavorare qua… giovani che hanno il compito di innovare e guidare l’azienda nel futuro. Dovete essere fieri di voi stessi, perché siete riusciti in un’impresa che tutti dicevano impossibile: noi, senza mezzi e senza troppi studi, siamo arrivati dove nessuno immaginava.
E adesso ai giovani il compito di guidare i prossimi 50 anni… 50 anni che speriamo siano ancora più belli di quelli che abbiamo vissuto noi. Perché è proprio vero che “il lavoro è il più grande gesto di solidarietà che una generazione fa all’altra”.
Ultimo punto. La mia famiglia, Gigi compreso, non lascerà mai la Teddy. Abbiamo organizzato il futuro in modo molto chiaro e tutti desideriamo che quest’azienda cresca per almeno altri 500 anni. Abbiamo sistemato tutto anche a livello societario: rimarremo sempre un’azienda famigliare perché la Teddy non è un’azienda come le altre, perché il suo motore non sono le strategie finanziarie o commerciali, ma la passione di chi ogni giorno arriva al lavoro con il desiderio di costruire qualcosa di grande che rimanga nella storia.
Poi vi lascio il mio Sogno, che non è altro se non quello che io ho sempre desiderato vedere realizzato, affinché lo possiate fare vostro e – con tutta la vostra personalità e la vostra sensibilità possiate renderlo concreto ogni giorno di più. Io quello che dovevo fare l’ho fatto: adesso mi divertirò a guardarvi crescere aspettando di abbracciare quel Signore che ho sempre pregato e cercato ovunque.
Nel frattempo non penso proprio di andare in pensione, ma di continuare a dare il mio contributo lì dove serve mi dedicherò con passione alla Fondazione che abbiamo creato per Gigi – la Fondazione Gigi Tadei per renderla operativa e condividere tutti i progetti legati al sociale con la mia famiglia. Sono sicuro che la Fondazione sarà un richiamo continuo per l’azienda Teddy a non dimenticare mai quell’attenzione agli ultimi, a chi ha bisogno a chi chiede che Gigi ci ha insegnato.
Comunque, sappiate che la gioia di vedere la Teddy andare avanti con le sue gambe,
per un amministratore, è la felicità più grande, perché significa che tutto quello che ci siamo detti è veramente vero: “Beato l’uomo che crede nel Signore”. Ecco, dopo 50 anni di Teddy questo è tutto quello che posso dirvi: “Beato l’uomo che crede nel Signore”.
Vittorio Tadei
Comunità Papa Giovanni: "Tadei, uomo ricco della giustizia e della misericordia di Dio"
La Comunità Papa Giovanni XXIII si stringe attorno alla famiglia per la perdita del carissimo Vittorio Tadei: «Amico dei poveri, uomo ricco della giustizia e misericordia di Dio» lo definisce Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità.
"Per la nostra Comunità - si legge in un comunicato - Vittorio è stato molto più di un caro amico. Circa quarant’anni fa ha avuto inizio la sua profonda amicizia con don Oreste Benzi ed insieme hanno condiviso tante battaglie. Vittorio, con la sua sensibilità e infinita generosità, ha permesso alla Comunità e a don Oreste di aprire tanti cammini di riscatto e salvezza per i più poveri. Nei primi anni ottanta è stato fondamentale il supporto di Vittorio per dare accoglienza e speranza ai giovani che cadevano nel vortice della droga. Altrettanto importante è stata la collaborazione per l’apertura delle case di rifugio e protezione per le vittime della prostituzione che necessitano di un luogo protetto dove essere accolte.
La sinergia del bene fra Comunità e Vittorio Tadei ha varcato anche i confini dell’Italia, viaggiando assieme a don Oreste per l’apertura delle prime missioni in Zambia, Russia, Bolivia e tanti altri paesi. In particolare ricordiamo le strutture messe a disposizione dei più piccoli ed indifesi dal gruppo Teddy S.p.a. in Bolivia per i Chicos de la Calle (ragazzi di strada) e l’immancabile sostegno per il progetto Rainbow realizzato in Africa per i bambini malnutriti e gli orfani vittime dell’AIDS.
Certamente l’azione generosa di Vittorio per i più indifesi, sempre fatta nel silenzio o ancor più nel segreto condiviso solo con don Oreste, ha cambiato la vita di innumerevoli vite umane, ma innanzitutto vogliamo ricordare Vittorio come uomo innamorato di Gesù, dalla fede matura e profondissima che ha sempre caratterizzato il suo agire sia in campo filantropico quanto commerciale nella gestione della sua azienda.
Ogni mattina, sino a quando gli è stato possibile, Vittorio alle 6.30 lo si trovava presso la parrocchia della Resurrezione in preghiera e meditazione attendendo la messa parrocchiale celebrata da don Oreste o don Elio Piccari. Lo ricordiamo per la sua semplicità disarmante ed il suo gioviale e simpatico carattere romagnolo, che mai ha creato distanze con chi gli chiedeva un incontro.
Da oggi Vittorio sarà in compagnia dei suoi cari e certamente di don Oreste; assieme continueranno ad indicarci la strada da seguire quaggiù".
Morte Tadei, il cordoglio del sindaco Gnassi
Cordoglio per la scomparsa dell'imprenditore Vittorio Tadei è stata espressa dal sindaco Andrea Gnassi. “A nome dell’amministrazione comunale di Rimini, - si legge in una nota - esprimo profondo cordoglio per la scomparsa di Vittorio Tadei, protagonista di una straordinaria avventura imprenditoriale e umana, che ha attraversato la storia di questo territorio negli ultimi 70 anni.
Il marchio internazionale leader Teddy è cresciuto dal piccolo seme del negozio di famiglia, piantato e innaffiato oltre 60 anni fa dal giovane Tadei. Da allora una crescita costante, prorompente, sino a mettere in piedi una multinazionale dell’abbigliamento, molto innovativa sul fronte della distribuzione e del marketing. A questo ‘miracolo’ economico’ – che è anche una paradigmatica storia di successo riminese, di una Rimini di gente semplice e sincera che, nonostante il successo, continuava a volere mantenere forte e costante il radicamento nei luoghi dove è nata e vissuta – Vittorio Tadei aveva affiancato un fortissimo, instancabile impegno nel sociale e nella scuola. Tutto questo per restituire alla comunità locale quanto la fortuna imprenditoriale gli aveva donato. E questa grande generosità è un merito che Rimini, il suo territorio, la sua gente gli ha sempre riconosciuto e sempre gli riconoscerà.
Insieme alla gratitudine verso Vittorio Tadei, ai famigliari va tutta la nostra vicinanza in questo momento di grande dolore”.
E' morto Tadei. Il suo sogno, la sua avventura
Con Vittorio Tadei scompare una grande figura di uomo e imprenditore, i cui segni sono riscontrabili in ogni angolo della città. Non solo perché grazie al gruppo Teddy ha dato lavoro a centinaia di riminesi, ma perché la sua sensibilità sociale si è espressa in molte opere e in molte forme.
È morto all’età di 82 anni, dopo alcuni anni di malattia che lo avevano portato ad abbandonare la guida dell’azienda, lasciata nelle solide mani delle figlie e del genero.
L’anno di svolta della vita di Tadei, padre ferroviere e madre casalinga, è il 1961 quando decide di abbandonare la professione di ragioniere per dedicarsi al negozio d’abbigliamento di famiglia a Riccione
È l’inizio di una grande avventura che, dal primo laboratorio artigianale di produzione di maglieria, lo porterà già dagli anni ’70 a intraprendere dei progetti di distribuzione all’ingrosso a più ampio raggio.
La nascita di Teddy Srl (Spa nel ‘92) dà una dimensione più concreta e duratura al progetto imprenditoriale iniziale. Sono gli anni dell’ingresso in azienda di quei dipendenti che, con il proprio lavoro e la propria personalità, contribuiscono giorno dopo giorno a creare la cultura del gruppo. Sono gli anni in cui le tendenze incominciano a diventare un fenomeno globale e questa evoluzione obbliga Vittorio e i suoi collaboratori a interpretare i segnali provenienti dal mercato in modo sempre più veloce e dinamico. Passo dopo passo, il gruppo è diventato una realtà da 2.500 dipendenti e 600 milioni di fatturato, diffusa in tutto il mondo.
L’uomo che con il suo lavoro e la sua lungimiranza ha costruito questo impero non aveva nulla delle caratteristiche del capitano d’industria arrembante e senza scrupoli, che ragiona solo di soldi e fatturato. Aveva conservato la semplicità di uomo che si è fatto da sé, aveva soprattutto conservato la fede cristiana sulla quale impostava vita personale e vita professionale.
Per Vittorio il mestiere dell’imprenditore era abbracciato per essere felice, consapevole che la felicità non sta nel possesso delle cose ma nella ragione per cui si fanno. E la ragione che ha mosso Tadei è stato il “sogno”, una parola che pronunciava con quel marcato accento romagnolo, facendola diventare qualcosa di molto concreto. “Il sogno è quello di costruire una grande azienda globale che guadagni molto per avere i mezzi per ingrandirla, creare occupazione ed impiegare ogni anno una parte degli utili netti per aiutare i più deboli attraverso opere sociali sia in Italia che all’estero. Il sogno è quello di costruire un’azienda in cui i giovani e meno giovani attraverso il lavoro riescano a dare un significato, un senso alla propria vita. Il sogno è quello di costruire un’azienda dove ogni cinque persone cosiddette normali possa lavorare una persona che ha dei problemi e che le cinque persone cosiddette normali aiutino quelle meno fortunate ad inserirsi nel lavoro e che le aiutino a vivere una vita normale, poichè è solo attraverso il lavoro che una persona acquisisce la sua dignità”.
Chi sono stati i tuoi maestri, gli è stato chiesto. E lui ha risposto che sono stati due: don Oreste Benzi (leggi qui un'intervista in cui spiega cosa gli ha insegnato il sacerdote) e il figlio Gigi, al cui memoria sono dedicati molti progetti di solidarietà sociale.
Forse nemmeno lui sapeva e ricorda i mille rivoli in cui la sua grandiosa vocazione alla carità e alla solidarietà si era incanalata. Era molto sensibile al tema dei giovani e dell’educazione: con l’imprenditore Giuseppe Gemmai acquisto e ristrutturò l’ex colonia Comasca per farne la sede delle scuole della Karis Foudation.
Per esprimere ancor più compiutamente la sua passione per i poveri e per la città, nel 2006 aveva deciso di candidarsi sindaco, disponibilità poi ritirata per sopravvenuti problemi di salute.
La camera ardente presso la sede del Gruppo Teddy (Blocco 91 in via Coriano 58 , Gros Rimini) sarà aperta oggi 13 luglio, dalle 15.00 alle 20.00, e domani 14 luglio, dalle 08.30 alle 15.00.
Il rosario si terrà oggi 13 luglio alle ore 20.30 presso la Chiesa della Riconciliazione (via della Fiera, 82 - Rimini).
Il funerale si terrà giovedì 14 luglio alle ore 17.30 presso la Basilica Cattedrale di Rimini.
Qui di seguito il video di un’intervista dove Vittorio Tadei si racconta.
Nicolai Lilin si racconta. E scatta un coltello
Chi è il criminale? “Una persona”. Risposta immediata e secca, senza l’aggiunta di aggettivi. Forse anche banale. Però si avverte il contraccolpo, perché non è normale pensare al criminale come una persona. “Sono bestie”, commentiamo di solito, senza l’intenzione di usare una metafora. Continua Nicolai Lilin: “E’ una persona il cui comportamento la società ritiene inappropriato. Si è criminali in molti modi. Si uccide per puro piacere, si ruba perché si ha fame. Da un punto di vista umano, cerco di spiegarmi le ragioni della loro scelta. Mi chiedo che infanzia hanno avuto, che vita hanno vissuto, se hanno subito traumi, da quale contesto sociale sbucano”. Si diventa criminali perché determinati dalle circostanze? E la libertà? “Si, certo, ad un certo punto scelgono. Però è importante capire come sono arrivati al bivio”.
Nicolai Lilin, l’autore del best seller Educazione siberiana è a San Marino per presentare a Villa Manzoni, ospite di Ente Cassa Faetano, il suo ultimo romanzo Spy Story Love Story. Un’altra storia infarcita di delinquenti e assassini, intrighi e tradimenti, potenti corrotti e senza scrupoli. È la cifra narrativa di Lilin. “E’ l’ambiente famigliare nel quale sono nato. Raccontarlo e scriverlo è un modo di tornare alle mie origini, di capire meglio la mia storia”.
Nei suoi libri fiction e cronaca si intrecciano indissolubilmente; la Transnistria, il Caucaso, la Cecenia quanto sono scenari reali di storie vere e quanto di invenzioni realistiche? Giriamo la domanda allo stesso Lilin. “E’ difficile stabilire percentuali precise fra realtà e invenzione. Nei miei libri ci sono storie vere che ho vissuto in prima persona, altre che ho ascoltato dai miei genitori e da alcuni amici, altre le ho conosciute attraverso la cronaca. Sono fonti che ho elaborato imprimendo uno stile narrativo”. Sull’aderenza alla realtà del mondo narrato da Lilin si sono scatenati i suoi critici e detrattori (“Solo ripicche per esclusive giornalistiche mancate”, replica lui) che comunque non possono cancellare il fatto che la prosa di Lilin conquista e avvince proprio perché si avventura in universi totalmente alieni dall’esperienza comune dei lettori. Non c’è però il rischio di propagare un’immagine epica, affascinante del criminale? “Nei miei libri cerco di mostrare tutti gli aspetti della vita del criminale, non solo gli aspetti che potrebbero risultare affascinanti. Il protagonista di Spy Story Love Story è un uomo triste, malato, che si accorge che nella vita non ha imparato nulla se non distruggere e uccidere. È travolto da un peso insostenibile”. La consapevolezza di una vita fallita può essere il primo passo verso il riscatto, verso la redenzione. “I criminali possono ripagare il debito che hanno contratto con la società facendo del bene. L’esperienza che conosco è quella di mio padre che è uscito dalla criminalità dopo un infarto. Da quel momento vive una vita tranquilla e ripete: non sapevo quanto è bello vivere. Per lui la molla è stato essere vicino alla morte non perché aveva una pistola puntata ma perché il suo cuore ha dato segni di cedimento. Qualcosa è successo”.
Il mondo degli killer spietati, dei trafficanti di armi e di droga, dei terroristi islamici in combutta con la criminalità comune è il quadro entro cui si svolge nel Caucaso l’amicizia di due ragazzi, uno musulmano, l’altro cristiano, che è figura del patto siglato dalle rispettive comunità di appartenenza. Un patto che è sigillato dalla condivisione di alcuni oggetti sacri, che sono il bene che difendono dagli attacchi criminali e terroristici quanto e più della loro vita. “Quando sono stato in Caucaso, ciò che mi ha colpito era il loro modo semplice ma efficace di condividere tutto. Credo che ciò che oggi manca sia questa volontà di condividere. Viviamo nella paura della diversità. Chi provoca questa paura in realtà vuole dividere la gente per meglio comandare”.
Condividere è una parola del vocabolario cristiano. Il narratore delle imprese criminali nasconde un cuore di credente? “La questione del credere è un fatto intimo, personale. Mi capita di frequentare qualche chiesa cattolica, a volte frequento le chiese ortodosse. Il culto è sempre culto, è rivolto all’unico Dio. Quando ero nell’esercito, un giorno ero afflitto da cattivi pensieri e sono entrato in una moschea. L’imam mi ha accolto e ha detto che era felice più che se fossero entrati cento musulmani”.
Nei racconti e nelle risposte di Lilin c’è sempre il riferimento ai nonni, agli anziani della comunità, protagonisti di una storia criminale di stampo antico, non ancora “corrotta” dalla droga o dallo sfruttamento delle persone. “Sono persone a cui ho voluto bene, anche se so che hanno fatto del male”. E cosa ha imparato da loro? “Mio nonno diceva sempre che non bisogna aver paura di essere se stessi”. E Nicolai Lilin che rapporto ha con il suo passato avventuroso: “Ho imparato dai miei sbagli. Ma non rinnego niente, non rimpiango niente”.
Lo scrittore Nicolai Lilin è personaggio che sfugge alle etichette. A Natale sarà di nuovo in libreria con un libro di Fiabe criminali, tanto per restare in tema. Intanto dice di tenere tantissimo al suo studio di tatuaggi e ai coltelli che progetta. E con noncuranza, stupisce e un po’ sgomenta il pubblico di San Marino, estraendo e facendo scattare la sua ultima creazione che ha tutto l’aspetto delle armi letali conosciute nei suoi romanzi.
Gnassi meglio di Christo
“Sul Lago d’Iseo qualcuno cammina sulle acque, da noi si cammina e ci si può anche tuffare” (Andrea Gnassi al Corriere)
A quando la trasformazione dell’acqua in vino?
Meeting 2016. Qualche nota per capirlo
La collaborazione fra forze diverse per il raggiungimento di un bene comune non gode, come si suol dire, di buona stampa. Come un riflesso condizionato scatta subito l’accusa di “inciucio”, visto come pratica immorale alla quale si contrappone la propria diversità etica non disponibile ad alcun compromesso. In questo senso il Movimento 5 Stelle raccoglie solo i frutti (e li esaspera) di un sistema di delegittimazione reciproca che ha caratterizzato negli ultimi vent’anni lo scontro fra centrodestra e centrosinistra.
Applicare alla vita politica il tema del Meeting di quest’anno (Tu sei un bene per me) appare un’impresa ardua, destinata al fallimento. La vigilia del voto referendario sulla riforma della costituzione voluta dal governo Renzi vede già una contrapposizione frontale che non ha nulla dello spirito “costituente”, cioè della ricerca appassionata delle regole comuni del vivere civile.
Non è stato sempre così, dice il Meeting. E lo dice con la sua mostra principale che ha un titolo che è già un giudizio sui settant’anni di vita della Repubblica italiana: L’incontro con l’altro. Genio della Repubblica. 1946-2016. Si sostiene che la genialità della nostra storia sta nella capacità di incontro con l’altro, anche quando veste i panni dell’avversario o è portatore di culture e interessi diversi. Ecco un primo grande quadro di eventi e di incontri (Violante, Amato, Sapelli, Giovagnoli, ecc.) che permette di capire il messaggio di quest’anno del raduno riminese.
La mostra vuole documentare, con ampio materiale di repertorio reso disponibile dalle teche Rai e dalla Camera dei Deputati, che il nostro Paese si è costruito grazie al compromesso virtuoso tra culture diverse: la cattolica, la socialista, la liberale, la comunista. La Costituzione è stato il primo saggio compromesso in un mondo diviso in due. E la mediazione ha poi caratterizzato tutta la fase della ricostruzione. Se questa è stata a lungo la storiografia ufficiale, a partire dagli ultimi vent’anni la costruzione dei padri costituenti e i tentativi di mediazione sono stati visti come i prodromi dei disastri attuali. Non c’è dubbio che la mostra del Meeting suona come una provocazione ed è probabile (verrebbe da dire auspicabile) che alimenti un dibattito nuovo sul nostro presente visto alla luce dei primi settant’anni di Repubblica.
Alla British Library è conservato un manoscritto Il libro di Sir Thomas More, di William Shakespeare. Vi si racconta dei disordini del primo maggio del 1517, quando immigrati provenienti dalla Lombardia sono minacciati dai londinesi che li accusano di togliere lavoro e soldi alla loro gente, e pertanto vogliono ricacciarli in mare.In quel contesto si erge la voce di sir Thomas More, che rivendica un trattamento umano dei migranti dell’epoca. Per la prima volta in Italia, al Meeting di Rimini il 21 agosto, viene portato in scena questo testo inedito di Shakespeare.
E così entriamo nel secondo grande quadro nel quale il Meeting declina il tema Tu sei un bene per me: il rapporto con i diversi da noi che lasciano il loro Paese per entrare nel nostro. Si è visto che quattro secoli fa i termini della questione erano gli stessi, cambiano solo i numeri e le circostanze. Anche sui migranti, soprattutto sui migranti, l’opinione pubblica è divisa fra chi chiede frontiere sicure e chi proclama l’accoglienza sempre e comunque. Attraverso la mostra Migranti, la sfida dell’incontro, il Meeting non offre soluzioni a un problema al quale non hanno trovato risposte adeguate nemmeno l’Unione Europea e gli Stati che la compongono. La mostra piuttosto invita a guardare negli occhi quell'"altro" che bussa alle porte delle nostre società, per scoprire da quali terre arriva, perché ha deciso di lasciarle, quale percorso umano e geografico ha intrapreso. È l’invito esplicito a scoprire una empatia, sulla scia delle parole di Francesco: “Non si amano i concetti, non si ama un’idea; si amano le persone”.
Nell’anno giubilare dedicato alla misericordia (parola cristiana mai adeguatamente compresa, tanto è aliena dall’istintivo modo di pensare e agire che tutti noi abbiamo) propone l’incontro con persone e fatti dove si è affermata una misura diversa nel giudizio e nel rapporto con l’altro. È il terzo grande quadro che comprende diversi incontri. Sotto il titolo “Così le nostre vite sono cambiate” La giustizia oltre la pena”, dialogheranno Agnese Moro, figlia dello statista democristiano ucciso dalle Brigate Rosse, e Maria Grazia Grena, protagonista della lotta armata in quegli anni.
E a volte nei luoghi deputati al ristabilimento della giustizia umana, può accadere l’incontro con una giustizia diversa. Sono i due incontri dedicati alle carceri, a quelle italiane e a quelle del Brasile, con protagonisti e testimoni. Testimone di una misura diversa, di una capacità eccezionale di accogliere l’altro, povera tra i poveri per amore di un Dio crocifisso, è stata madre Teresa di Calcutta, protagonista indimenticata di un incontro al Meeting del 1987. Nell’anno della canonizzazione (il 4 settembre a Roma) il raduno riminese dedica alla piccola e grande suora con il sari bianco bordato d’azzurro una mostra che è un viaggio attraverso una vita e allo stesso tempo attraverso un mistero, quello di una donna che ha attraversato il mare e affrontato a mani nude la vastità dell’oceano di povertà che abitava le strade dell’ex-capitale delle Indie britanniche. Il Meeting si concluderà con un incontro su di lei che vedrà la partecipazione di Marcilio Haddad Andrino, Ingegnere miracolato del Brasile, Brian Kolodiejchuk, Postulatore della causa di canonizzazione di Madre Teresa e Suor Serena, Missionaria della Carità.
Al Meeting ovviamente ci sarà molto altro. Non si dimenticherà, per esempio, la sfida dell’Islam all’Europa, affrontata da due personaggi come Wael Farouq, Docente di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica di Milano, e Aziz Hasanovic, Gran Muftì di Croazia. Dalle reazioni viste ieri alla presentazione di Rimini, si può immaginare che uno spettacolo che farà il tutto esaurito ed entusiasmerà il pubblico del Meeting sarà “Diversi come due gocce d’acqua”, con l’attore Gioele Dix. Il perché lo potete scoprire voi stessi guardando il suo intervento nell’ultima parte del video che qui sotto riportiamo.
Riccione. La lista Noi Riccionesi prende atto delle novità e rilancia
(Riccione) Prendere atto che la maggioranza ha una articolazione diversa e rinnovare un patto di goveno che rilanci l'azione dell'amministrazione comunale. E' il senso di una lunga nota della lista civica Noi Riccionesi che fa il punto dopo le fuoriuscite di alcuni consiglieri che hanno dato vita ad un nuovo gruppo pur rimanendo nella maggioranza a sostegno del sindaco Tosi.
"Dopo la nascita del nuovo gruppo consiliare - si legge nella nota - si sta lentamente arrivando ad una ricomposizione delle forze di maggioranza. Inutile e sterile sarebbe il tentativo di ripercorrere tutti i passaggi, politici e non, che si sono susseguiti nel corso di questi ultime settimane che hanno determinato questo stato di fatto: qualsiasi interpretazione o lettura non cancella la realtà di un quadro politico che è mutato radicalmente con alcuni consiglieri comunali, eletti sotto altri “simboli” che, indossati i panni del movimentismo territoriale, hanno deciso di creare una loro nuova ed autonoma aggregazione. Occorre, senza manierismi di sorta, prenderne atto e rispettare, nel pieno, la scelta e questa decisione".
Il passaggio succesivo è il seguente: "Nel contesto politico attuale sia necessario dare slancio e forza ad un dialogo ed aun confronto costruttivo e, nel rispetto del principio di collegialità e pari dignità politica, ad una più stringente condivisione dell’azione di governo cittadino. Una condivisione dell’alleanza e dell’azione amministrativa che, pur non sottostando a diktat o richieste irricevibili, auspichiamo possa dare vita ad una nuova fase politica e, fra l’altro, contribuire a chiarire e definire le diverse posizioni in Consiglio comunale, dove è altrettanto auspicabile si possa assistere, così come fin qui è stato, sia a posizioni assai coincidenti fra forze politiche assolutamente diverse tra loro per storia e per ideologie sia al rispetto del patto elettorale attraverso la realizzazione di quanti più punti del programma sottoscritto nel 2014.
Per la Lista Civica Noi Riccionesi l’alveo della lealtà al mandato elettorale al fianco di questo Sindaco e di questa Giunta resta dunque e resterà sempre da argine anche rispetto a scelte che di politico, oggi non hanno nulla. Invitiamo pertanto il Sindaco a perseguire con immutato impegno il suo e nostro obiettivo di rilanciare al meglio questa maggioranza e la sua capacità di governo e di coordinamento delle scelte e dei programmi condivisi, in particolar modo di tutte quelle iniziative legate allo sviluppo della città e al benessere dei nostri concittadini".