Martedì, 27 Dicembre 2016 11:00

27 dicembre

Scm fornitore Apple | Presepe decapitato | Truffato da falso avvocato

Sabato, 24 Dicembre 2016 09:26

24 dicembre

Concorso pubblico politico | Sanese dopo l'assoluzione | Storie di Natale

È un quadro ottimista quello che il presidente di Confindustria Romagna, Paolo Maggioli, ha dipinto oggi nel presentare i dati di un sondaggio fra gli associati relativi ai processi di internazionalizzazione delle imprese. L’ottimismo on deriva solo dal fatto che nel primo semestre 2016 l’export delle aziende riminesi è cresciuto del 16,13% arrivando ad un fatturato di un miliardo e 57 milioni. I dati congiunturali sono positivi: nel terzo trimestre del 2016 la produzione del settore manifatturiero è cresciuta del 2,7% e il fatturato è aumentato dell’1,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Altri segnali di ottimismo il presidente Maggioli li vede nei progetti messi in campo dall’amministrazione comunale, dal Parco del Mare al rifacimento di piazza Malatesta, dal Museo Fellini agli interventi si fogne e viabilità. Una nota stonata la questione delle aree industriali, sulle quali Rimini è indietro e che invece in altre zone della Regione hanno visto l’insediamento di importanti aziende internazionali.

La conferenza stampa, insieme al direttore di Carim, Giampaolo Scardone, verteva comunque sull’inchiesta che Unindustria e Carim insieme hanno condotto per verificarlo stato di internazionalizzazione delle imprese riminesi. L’indagine ha sondato 210 aziende e di queste 181 hanno dichiarato di aver rapporti con l’estero. Nella classifica regionale, Rimini l’ultima provincia per ammontare di fatturato, che però come si è visto conosce un trend di crescita. Per la stragrande maggioranza (l’86,5%) i rapporti sono con Paesi dell’Unione europea, con particolare riguardo a Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Al quinto posto c’è la Russia che è cresciuta rispetto al 2015, nonostante la crisi del rublo. In crescita anche gli Stati Uniti, che sono il primo Paese su cui si volge l’interesse nel prossimo triennio, seguiti da Regno Unito e da Cina. Ad avere rapporti con l’estero sono soprattutto le aziende metal meccaniche (44,2%) seguite distanza da aziende agroalimentari (13,%) e aziende del comparto tessile, abbigliamento e calzature (12,2). Gli altri settori hanno quote decisamente inferiori.

I rapporti con l’estero si riferiscono anche alle importazioni: le aziende riminesi acquistano soprattutto in Germania, mentre al secondo posto c’è la Cina, seguita da Francia, Spagna e Regno Unito.

Comunque la presenza sui mercati esteri per la stragrande maggioranza significa accordi commerciali (82,2%), solo per l’11,8% si allarga alla cooperazione produttiva.

Nei rapporti con l’estero le aziende riminesi segnalano diversi ostacoli. Al primo posto ci sono ostacoli strutturali, cioè la complessità delle operazioni burocratiche, segnalate dall’85,5% degli intervistati. Stessa quota per gli ostacoli conoscitivi, ovvero l’individuazione dei partner stranieri. Un 72,3 % segnala anche la dimensione aziendale inadeguata ad affrontare il mercato internazionale. Tutti gli ostacoli sono in aumento rispetto al 2015: ciò sarebbe dovuto all’aumento delle aziende prese a campione, che hanno ben compreso la necessità di strutturarsi per essere maggiormente competitive sul mercato globale.

Le aziende chiedono pertanto maggiori servizi che le aiutino ad affrontare la sfida: informazioni commerciali, assistenza in materia di contratti e normative estere, ricerca di partner stranieri, organizzazione della partecipazione a fiere specializzate e a missioni all’estero.

“Il senso della nascita” è il titolo di un libro della Bur nato da un appassionato dialogo tra due figure centrali della storia religiosa e letteraria del ‘900 sul mistero del venire al mondo e dell’incontro con Dio: Giovanni Testori (scrittore intimamente coinvolto su temi cristiani) e don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione. Questo dialogo, ancor oggi di un’attualità stringente, verrà presentato in una serata dal titolo “Io sono nascita” dallo scrittore e poeta Davide Rondoni questa sera venerdì 16 dicembre al Museo di Rimini, in via Tonini 1. L’appuntamento è alle ore 21 nella Sala del Giudizio.

Sarà un bel test per verificare se fra gli operatori della Riviera c’è ancora la voglia di rischiare, di innovare, di dare un volto nuovo alle proprie imprese ricettive. La Regione Emilia Romagna su tavolo ci ha messo 7 milioni e mezzo di euro, che non è una cifra enorme. Se saranno pochi o molti, lo dirà la risposta degli operatori che avranno tempo dal 10 gennaio al 28 febbraio per presentare le loro proposte.

Certo di interventi di riqualificazione a Rimini e nelle altre località della Riviera ce n’è più che bisogno. Per rendere l’idea dello stato di obsolescenza della nostra offerta alberghiera Mauro Santinato, titolare di Teamwork e consulente turistico, mostra il video di un signore un po’ obeso che cerca a fatica di entrare nel box doccia di un hotel. Ilarità generale nella sala. E mostra anche una serie di tristi foto, tratte dai siti internet dei nostri hotel, che mostrano, per usare un eufemismo, la non eccelsa qualità di molte, troppe, strutture ricettive della Riviera.

Le provocazioni di Santinato arrivano nel corso di un seminario della Compagnia delle Opere di Rimini volto a presentare le opportunità offerte dal bando regionale. Ad illustrarne i contenuti c’era Marina Marani, dello Studio Maco di Bologna, specializzato nella consulenza per i finanziamenti alle imprese.

Il bando della Regione premia non un qualsiasi intervento di ristrutturazione e riqualificazione ma solo quelli che presentano marcati aspetti di innovazione, con particolare riferimento alla sostenibilità ambientale, alle tecnologie, alla domotica, all’accessibilità. Dal punto di vista dei contenuti la priorità è al wellness, nei suoi vari aspetti di turismo balneare, sportivo, emozionale, relax, salute e corretti stili di vita. Chiaro l’invito agli albergatori: pensate bene a ciò che proponete.

I progetti presentati dovranno comportare una spesa minima di 250 mila euro, di 400 mila se in forma associata. La Regione interviene con un contributo a fondo perduto che può arrivare fino al 40 per cento della spesa sostenuta, e comunque entro i 200 mila euro. Sulla carta ci sono almeno 375 alberghi, in tutto il territorio regionale, che potranno beneficiare del finanziamento. Le graduatorie saranno pronte non prima di giugno, quindi chi decide di investire, prima di quella data non ha alcuna certezza. Ragione in più per presentare un progetto che abbia tutte le caratteristiche per superare l’esame.

La Regione ha parlato di un pacchetto di 15 milioni, ma in realtà per gli alberghi ce ne sono solo la metà, i restanti sono destinati a progetti nell’ambito del commercio e della promozione delle attività culturali.

Ma torniamo alle provocazioni di Santinato, sempre molto efficaci quando si tratta di stigmatizzare l’immobilismo di taluni albergatori della Riviera che si ostinano a voler vendere un prodotto che ormai è fuori mercato (“come se la Fita avesse insistito nel volere vendere la Duna”). La tesi che ripete in continuazione è che per certe nostre strutture non serve a niente qualche intervento parziale di abbellimento (e magari non coerente con il resto); in molti casi l’albergo va rifatto da cima a fondo. E porta l’esempio di un hotel di Riccione, destinato all’inevitabile scomparsa, che è rinato, ha ritrovato mercato triplicato il fatturato dopo un intervento radicale. Gli hotel di Rimini hanno bisogno di innovazione come il pane, specialmente per la qualità delle camere e dei bagni. Per non vivacchiare, per non inseguire la logica del prezzo sempre più basso per trovare clienti, occorre un cambiamento di mentalità. Per un attimo Santinato ha lasciato le sue provocazioni per dire che c’è bisogno di albergatori che abbiano il desiderio di fare il proprio mestiere, che lo vivano come una vocazione. Se manca questa spinta, non c’è bando regionale che tenga.

Cosa è cambiato da un anno all’altro? Quasi nulla, tartassati eravamo e tartassati restiamo. È la sconsolante conclusione a cui perviene lo studio condotto dalla Fondazione dei dottori commercialisti sulla pressione fiscale che grava sui lavoratori dipendenti e sugli autonomi. L’unica consolazione è che il dipendente che in busta paga ha un netto di 1.300 euro nel 2015 ha impiegato un giorno in meno per guadagnare ciò che deve allo Stato: 187 giorni invece di 188. In ogni caso ha lavorato fino al 6 luglio per pagare i balzelli che gli rallegrano, si fa per dire, l’esistenza.

Lo studio prende in esame sia le imposte dirette che le imposte indirette, quelle che gravano sui consumi e sui servizi di cui si usufruisce. Le imposte dirette sono le detrazioni Irpef a cui è soggetta la propria busta paga. Di invariato, rispetto all’anno precedente, ci sono solo le aliquote nazionali e l’addizionale comunale (per quanto riguarda il Comune di Rimini) che è rimasta ferma allo 0,3. È invece cambiata l’aliquota regionale: la minima è scesa all’1,33 (ma non riguarda i casi presi in esame) e la massima è cresciuta fino al 2,3. Per l’addizionale comunale c’è in realtà un mosaico: alcuni Comuni applicano aliquote più alte, arrivando anche allo 0,8.

Ma ad alimentare la pressione fiscale non ci sono solo le tasse che ciascuno di noi paga sul reddito. Una quota consistente è data dalle imposte indirette: l’Iva che paghiamo sugli acquisti, il bollo dell’auto, le varie accise della benzina, le iscrizioni alla scuola e all’università, le imposte comunali, le spese sanitarie, e così via. Per l’ammontare delle varie aree di spesa, i commercialisti hanno tenuto conto delle percentuali fornite dall’Istat. Si è fatto insomma riferimento ad un ipotetico italiano medio.

Lo studio ha preso in esame tre ipotesi: Mario, lavoratore dipendente con 1.300 euro mensili netti in busta paga; Giovanni, lavoratore dipendente con 2.400 euro in busta paga; Mauro, lavoratore autonomo con un reddito annuo di 24.500 euro. Tutti e tre vivono in un nucleo famigliare di tre persone (con un figlio che frequenta l’università), hanno la casa in proprietà, possiedono un’automobile di media cilindrata, hanno tre telefonini in famiglia.

Mario paga il 16,3 per cento del proprio lordo per l’Irpef che, contributi assistenziali e assicurativi, sale al 25,4 per cento. La pressione fiscale reale, comprensiva delle imposte dirette, sale però al 51,5. Tradotto in soldoni, per lo Stato e per gli altri enti impositivi lascia 1.050 euro al mese. Dei 1.300 netti in busta paga, gli restano in realtà solo 990 euro al mese. Le risorse sono drenato per il 72,1% dallo Stato, dalle Regione per il 4,3%, dalla Provincia per l’1,3%, dal Comune per il 4,4% e dall’Inps per il 17,8%.

Le cose vanno peggio per Giovanni che pure si ritrova con 2.500 euro netti in busta paga. Questo lavoratore dipendente deve lavorare fino al 18 luglio per pagare imposte dirette e indirette. Se il suo loro in busta paga è di 56.366 euro, ben 30.730 se ne vanno in balzelli vari. La pressione fiscale che grava sul suo reddito è quindi del 54,5 per cento.

E così arriviamo al lavoratore autonomi Marco. Lo studio conferma che la categoria dei piccoli imprenditori (commerciante, artigiano, partite Iva) è quella più vessata dal fisco. Per pagare le tasse deve lavorare fino al 17 agosto, e per carità di patria lo studio non ha tenuto conto di alcuni costi come l’iscrizione alla Camera di Commercio, il contributo obbligatorio al Conai, l’imposta di bollo sui libri contabili, e così via. La pressione fiscale è del 63 per cento, pari ai due terzi del reddito prodotto.

“Rilanciamo – ha commentato Giuseppe Savioli, presidente della Fondazione dei dottori commercialisti – l’urlo disperato dei contribuenti anche quest’anno sottoposti ad un prelievo umiliante. Persiste un modello che esclude ogni ipotesi di crescita, con le Amministrazioni che mostrano l’incapacità di immaginare politiche di sviluppo, di agire per rendere più efficiente e utile il loro supporto a cittadini e imprese, e ancor meno di mettere insieme risultati concreti nel contrasto dell’evasione fiscale. Anche quest’anno abbiamo allargato l’analisi al reddito d’impresa e si conferma il giudizio dello scorso anno: in questo quadro è impossibile trovare qualsiasi motivazione per accollarsi il rischio dell’avvio di nuove attività imprenditoriali”..

Mercoledì, 14 Dicembre 2016 22:42

Emergenza casa a Rimini: dati sempre drammatici

L’ultimo grido di allarme era stato lanciato dal vescovo monsignor Francesco Lambiasi nel maggio scorso in occasione della processione del Corpus Domini. Il vescovo aveva ricordato una recente inchiesta della Caritas secondo cui nel territorio diocesano 1.340 persone hanno dichiarato di essere prive di abitazione. Inoltre è notevolmente cresciuto il numero delle famiglie che non riescono a pagare l’affitto da molti mesi, così come sono aumentati i casi di sfratto per morosità.

Sull’argomento è tornata la settimana scorsa l’assessore ai servizi sociali del Comune di Rimini che, intervenendo a un convegno a Torino, ha ricordato che in questo anno (dati al 5 dicembre) dei 1.156 cittadini che si sono rivolti allo sportello sociale del Comune, la metà lo ha fatto perché era privo di alloggio.

L’emergenza abitativa ha dimensioni consistenti anche nella provincia di Rimini, anche se non è uno dei problemi di cui si discute abitualmente, anche nelle istituzioni. Secondo gli ultimi dati disponibili, all’inizio del 2016 erano 2.300 le famiglie in lista di attesa per un alloggio popolare gestito dall’Acer (quasi 1.200 nel solo Comune di Rimini). Dati più aggiornati saranno probabilmente forniti dal neo presidente Riccardo Fabbri in una conferenza stampa che dovrebbe svolgersi nella giornata di sabato.

Gli alloggi attualmente gestiti dall’Acer sono oltre 2.600, nel 2016 sono stati consegnate 59 nuovi appartamenti a Tombanuova (nel Comune di Rimini) e 4 nel Comune di Montefiore.

È evidente che la disponibilità non è sufficiente a coprire il fabbisogno che non accenna a diminuire. Anche perché negli alloggi popolari il turn over è molto lento, chi riesce a entrare difficilmente lascia l’alloggio faticosamente conquistato. A livello regionale il tasso di rotazione è di appena lo 0,2 per cento, e anche a Rimini siamo in questo ordine di grandezza. Alcune categorie di persone, come ad esempio le giovani coppie, faticano ad entrare. È inoltre cambiata la tipologia dei cittadini che chiedono una casa popolare; anche chi ha un reddito (per esempio un operaio generico) oggi fatica a pagare un affitto con prezzo di mercato.

Nel 2016 è intervenuta una nuova delibera regionale che ha modificato i criteri per l’accesso. Per avere diritto ad un alloggio il nucleo famigliare non deve avere un Isee superiore a 17.154 euro, per rimanervi si può invece arrivare ad un reddito Isee di 24.016. La novità introdotta dalla Regione è che ora si guarda anche al patrimonio mobiliare, cioè a quanti soldi si hanno nel conto corrente. Il valore del patrimonio mobiliare per l’accesso non deve essere superiore a 35 mila euro; per la permanenza non deve essere superiore a 49 mila. Si ritiene che questi criteri possano sortire l’effetto di un maggiore turn over e di scovare i “furbetti” che presentano una situazione economica precaria non corrispondente alla realtà. Il fenomeno è diffuso, basti pensare che in tredici anni l’Acer di Rimini ha scovato un’evasione Isee pari a 4 milioni e mezzo. D’ora in poi i controlli saranno effettuati soprattutto prima che un alloggio venga consegnato.

Dal prossimo 1 gennaio entrerà in vigore anche un nuovo sistema per il calcolo del canone di affitto. Sarà introdotto il cosiddetto canone oggettivo che tiene conto di una serie di indicatori,quali la superficie netta dell’alloggio, alcune delle sue caratteristiche qualitative, l’ampiezza demografica del Comune di ubicazione e la zona (rurale o urbana). Si vedrà che effetti avrà sui canoni in uso nella provincia di Rimini che fino all’anno scorso oscillavano in media introno ai 130 euro al mese.

I canoni di affitto sono la principale risorsa di cui l’Acer dispone per svolgere le attività di ordinaria e straordinaria manutenzione degli immobili. Sono questi gli pressoché unici investimenti che riesce a compiere perché nelle condizioni attuali la costruzione di nuovi alloggi è pressoché impossibile. Negli ultimi anni le nuove acquisizioni sono state fatte “sfruttando” le aste fallimentari.

Parlando di alloggi popolari, uno dei temi caldi in diverse aree del paese è quello della “concorrenza” fra cittadini italiani ed extracomunitari. A Rimini il tema non è mai esploso anche perché, stando agli ultimi dati disponibili, quanti sono riusciti ad entrare in un alloggio popolare sono per il 91 per cento italiani. Quindi non sembrerebbe vera la vulgata secondo cui le norme in vigore finiscono per privilegiare gli stranieri. Certo è che c’è una pressione che cresce. Fra quanti hanno presentato la domanda, il 40 per cento sono stranieri.

Uno dei problemi a cui sempre più deve far fronte lo sportello sociale del Comune è quello delle famiglie che per vari motivi (sfratto, morosità) si trovano temporaneamente senza un tetto. A queste persone il Comune di Rimini cerca di rispondere con 50 appartamenti per nuclei famigliari in stato di fragilità e difficoltà. Si tratta di un servizio temporaneo, di emergenza, che mira a far diventare autonome le persone che ne usufruiscono. Una sorta di pronto soccorso in cui il turn over è per definizione molto alto. Un altro servizio messo in campo è quella dell’albergo sociale, che ha accolto 55 persone (tra cui 16 minori, 31 donne e 24 uomini) e un totale di 33 nuclei famigliari di persone sottoposte a sfratto.

Insieme alla Papa Giovanni XXIII il Comune di Rimini gestisce da tre anni un progetto di housing first, teso a dare un alloggio stabile ai senza dimora che gravitano sul territorio riminese. In questo periodo è stata trovata risposta per nove persone.

Mercoledì, 14 Dicembre 2016 22:35

Il sig Camporesi, lo statalismo, le opposizioni

Il sig. Camporesi di Obiettivo Civico ha proposto in Consiglio comunale di risolvere la nota questione dell’esternalizzazione di alcuni servizi educativi con la creazione di una “partecipata”, come viene definita una società della quale un ente pubblico detenga le quote azionarie.

All’interno dell’articolo nel quale davamo conto di questa proposta, e di altri interventi nello stesso consiglio, tra cui quello della Lega, abbiamo anche definito ‘statalista’ l’atteggiamento da cui può nascere un’ipotesi di questo tipo, per il quale la funzione educativa dovrebbe rimanere in capo all’ente pubblico come unico garante di una supposta imparzialità e della necessaria qualità dei servizi stessi.

Il sig. Camporesi, come colpito da un tizzone infernale, ha reagito definendo l’appellativo ‘statalista’ un “aggettivo insostenibile” e “insopportabile arroganza, pretestuosità e leggerezza” l’averlo formulato; aggiungendo infine un “sudici” e “coprofili”.

Anche la scelta degli insulti rivela i ‘segreti dei cuori’, ma chi se ne fotte.

Dovrebbero essere più imbarazzati (delle sue proposte) i paladini della sussidiarietà e della società civile che l’hanno votato e sostenuto alle ultime elezioni.

L’unico argomento che il sig. Camporesi propone tra un insulto e l’altro è la necessità di dover evitare la gare per una esternalizzazione perché, afferma, “la precedente ‘privatizzazione’ ha assegnato il bando a un ex socio di Buzzi di Mafia Capitale e a una controllata di Rimini Fiera, dove siedono da anni destra e sinistra a spartire i benefici economici dell'indotto senza alcun controllo pubblico”.

Naturalmente il rischio di imbrogli e inquinamenti è possibile in qualsiasi gara e in qualsiasi settore della vita pubblica, è vero, ma è difficile pensare che questo si risolva annullando ogni gara d’appalto.

Ma soprattutto, dopo anni nei quali si cerca di ridurre il più possibile il numero delle partecipate eliminando quelle che producono debiti a carico dei cittadini e che spesso servono per premiare la carriera di tanti politici, l’unica alternativa sarebbe una nuova partecipata?

C’è comunque un aspetto paradossale di questa ipotesi (il sig Camporesi non c’entra) che vale la pena evidenziare. Una ‘partecipata’ per la gestione di servizi educativi sarebbe infatti da equiparare a un vero e proprio gestore di scuole private; e il Comune, essendone l’azionista, andrebbe esso stesso a configurarsi come un qualunque ente (fondazione, ente religioso o altro) che gestisca con regole e criteri del privato una propria scuola; e, come tale, anche alle prese con i problemi di sostenibilità economica che tutti i gestori privati affrontano ogni giorno.

Da una parte le rette e i contributi e dall’altra le spese per le manutenzioni, i materiali, gli stipendi, gli affitti, … Come sopravviverebbe il Comune in qualità di gestore ‘privato’ di una scuola? Aumenterebbe, barando, i contributi a se stesso oppure aumenterebbe le rette? O invece licenzierebbe le maestre in esubero? Sarebbe un esperimento interessante da osservare.

Ma questo è solo un paradosso.

C’è invece una domanda molto seria che ci preme: ma davvero le opposizioni pensano di cavalcare per i prossimi cinque anni tutti i comitati e tutte le proteste che si leveranno in città anche a costo di rinnegare la propria impostazione culturale originaria? Davvero pensano di guadagnare volta a volta i voti di ogni singolo manifestante? O pensano che Gnassi si possa dimettere un giorno per una di queste proteste?

Tra l’altro, dichiarazione dopo dichiarazione, che si tratti di bagnini o di maestre, di ambulanti o commercianti, si pone la domanda su quale sia l’elettorato che un consigliere o un gruppo d’opposizione rappresenti o intenda rappresentare. Vale in particolare per il centrodestra, che è in totale polverizzazione, ma la domanda, in questo momento post referendum, è urgente anche per i 5Stelle.

Entrambi infatti, nella loro battaglia politica, si troveranno continuamente a dover scegliere, ai due estremi, tra impulsi identitari (che vanno dai valori non negoziabili agli interessi di bottega) che chiedono rappresentanti militanti e, all’opposto, spinte di negazione, di rifiuto, di blocco complessivo dell’azione amministrativa, sospettata per principio di non competenza e disonestà. Tendenze uscite entrambe rafforzate dall’esito referendario.

Questa è la domanda che vorremmo porre al sig. Camporesi, alla Lega e a tutti gli altri componenti dell’opposizione, 5Stelle compresi; ben disposti ad ospitare le riflessioni di ognuno. Purché di riflessioni si tratti. Abbastanza sicuri che la strada degli insulti porti poco lontano.

(rg)

E' fresco di stampa il libro "Il La della vita", che raccoglie alcune testimonianze (Ennio Grassi, Fabio Zavatta, Stefano Zamagni, Paolo Graziosi, don Luigi Sappini, don Luigi Valentini) su don Giancarlo Ugolini, sacerdote riminese, fondatore e guida di Comunione e Liberazione per quasi cinquant'anni. Il volume è edito dalla Fondazione Giovanni Paolo II. Per gentile concessione dell'editore pubblichiamo l'intervento dell'attore Paolo Graziosi.

Per informazioni tel. 335 7347781

Negli anni della mia adolescenza avevo, come direttore spirituale, don Oreste Benzi, che allora era un sacerdote molto vicino all’Azione Cattolica, organizza­zione per la quale io lavoravo con una certa assiduità in ambito cittadino. Don Oreste era un prete fortemente spirituale, con una mistica molto potente e coin­volgente che affascinava profondamente le coscienze dei ragazzi che lo avvicina­vano. Parlava molto delle vocazioni sacerdotali, delle “chiamate”come lui le defi­niva in un afflato misticheggiante di incontro profondo e totale col Cristo. Tanto che per un lungo periodo fui tentato, anch’io come tanti, dal sacerdozio come naturale sbocco del rapporto con lui.

Fu a scuola, all’Istituto Tecnico di via Gambalunga, dove insegnava religione, che incontrai per la prima volta questo “strano” prete che rispondeva al nome di don Giancarlo Ugolini. Ma perché strano? Perché non aveva nulla del prete. Ti propo­neva un rapporto amichevole, sciolto, scanzonato, quasi da coetaneo a coetaneo, senza nessun peso del ruolo che ricopriva, quasi che la confidenza con la quale si proponeva fosse una naturale conseguenza dell’amicizia che ti offriva. Scherzava continuamente, con leggerezza e ironia; era sempre allegro e simpatico, tanto da metterti costantemente a tuo agio. Io all’epoca, mi ero già avvicinato al teatro in ambito parrocchiale. Avevo fatto le medie dai salesiani di Maria Ausiliatrice, fre­quentando la Schola Cantorum di don Masper e partecipato ad alcune rappresen­tazioni teatrali: operette, riviste, sketch, che mi avevano molto intrigato. E ora alle superiori, essendo don Giancarlo impegnato, oltre che a insegnare, anche in Gio­ventù Studentesca, dove, fra le altre tante attività, c’erano anche manifestazioni che riguardavano il teatro, ebbi la possibilità, incoraggiato da lui, di partecipare a un Reading sulla Tragedia Greca condotto da un dentista molto appassionato di teatro (dott.Volponi) che mi lasciò un segno indelebile. E’ chiaro che io, uscendo dall’adolescenza, pieno di conflitti con la mia famiglia, con la scuola che frequen­tavo, col mio futuro incerto e sconosciuto, avevo bisogno di qualcuno che mi desse la possibilità di conoscermi, di fare un po’ d’ordine, che mi infondesse un po’ di coraggio per le scelte radicali e spregiudicate che dovevo fare. Insomma che mi facesse scoprire il senso di libertà responsabile che è alla base di qualunque vita. E dunque chi meglio di don Giancarlo poteva ricoprire questo ruolo? Per cui ad un certo punto il rapporto con lui divenne centrale per me.

Venendo dal senso religioso della “vocazione” che mi aveva infuso don Oreste, dal suo meraviglioso senso del sacro e della serietà della vita, don Giancarlo mi fece capire che quella del sacerdozio non era la mia strada, che sarei stato un prete sbagliato e che tutto ciò che mi aveva insegnato don Oreste andava trasfuso nel mestiere rischioso che mi accingevo a intraprendere. Con umiltà, senso del limite, ma anche determi­nazione (vedi la contrarietà dei miei genitori) e senso dell’infinito, in una ricerca continua di perfezione e d’amore per il mondo e per gli altri, per la conoscenza e la pietà, senza dimenticare l’ironia e la leggerezza, nella gravità: insomma fu lui a darmi “il La della vita” che mi accingevo a intraprendere e... anche da questa distanza di secoli... non finirò mai di ringraziarlo.

Paolo Graziosi

Noi siamo per la scuola pubblica, siamo contro il progetto del governo Renzi, seguito dall’amministrazione Gnassi, che vuole privatizzare scuola e sanità, crediamo che la scuola privata riceva già molti contributi e che quindi non sia il caso di ampliare il suo spazio.

Dette così potrebbero sembrare affermazioni di un superstite esponente di Rifondazione comunista o di un sindacalista della Cgil. Sbagliato. Sono le parole pronunciate in consiglio comunale martedì scorso da Marzio Pecci, capogruppo della Lega e candidato sindaco della coalizione di centrodestra che comprendeva Forza Italia, Fratelli d’Italia e la lista Uniti si vince.

Pecci ha inanellato queste considerazioni presentando la sua mozione che chiedeva al Comune di sospendere l’esternalizzazione di alcuni servizi per l’infanzia (asili nido e quelle che un tempo venivano chiamate scuole materne). Il capogruppo leghista ha messo tutto nel calderone (anche le proteste di un gruppo di donne per la ristrutturazione di senologia a Santarcangelo) parlando di una giunta che si trova costantemente a fare i conti con la “ribellione della piazza”. Il progetto della giunta è volto solo a favorire le solite cooperative, la scuola privata non deve entrare nella nostra città, non si realizza alcun risparmio, solo la scuola laica è in grado di formare una valida classe dirigente, il referendum costituzionale a Rimini è stato una bocciatura di queste politiche della giunta Gnassi. Tutto nel frullatore, e avanti un altro.

L’altro è il capogruppo di Obiettivo Civico, Luigi Camporesi, il quale ha sostenuto che non è vero che l’amministrazione non aveva altra scelta. Poteva, per esempio, dar vita ad una società partecipata ad hoc, con lo scopo di assumere le insegnanti che così sarebbero state sottratte ad un destino di precariato. Il Comune è inadempiente nella dismissione delle altre partecipate (vedi Amir) ma nulla avrebbe vietato di crearne una nuova con questa finalità.

Ai consigli comunali il pubblico purtroppo è quasi sempre assente, ma c’è il prezioso servizio della registrazione che consente che queste perle non cadano nell’oblio.

Fra Pecci e Camporesi, sono intervenuti altri esponenti del centrodestra, quale ad esempio Gennaro Mauro (Uniti si vince) che nel primo intervento ha in pratica smentito Pecci a proposito del risparmio sottolineando che nel bilancio 2017 ci sono 200 mila euro in meno per gli asili nido. Secondo Mauro va bene l’apertura ai privati, ma deve essere salvaguardata la qualità dei servizi educativi comunali. Gioenzo Renzi ricorda che lui, sempre attento all’interesse pubblico, deve riconoscere che pubblico non sempre si concilia con l’efficienza, la professionalità e il merito. Punta l’attenzione sulla differenza abissale di costi per bambino fra scuola pubblica e scuola privata. L’esternalizzazione dei servizi doveva tradurci anche in un risparmio consistente per le casse comunali, non solo 40 mila euro come è nelle previsioni.

Da parte della maggioranza, a difendere le scelte, si alza solo il capogruppo di Patto Civico Mario Erbetta e il consigliere dello stesso gruppo, Davide Frisoni, che chiede a Pecci di scusarsi per aver offeso insegnanti e allievi delle scuole private. Gli esponenti del centrodestra (Marcello, Mauro e Renzi) prendono le distanze dalle premesse della mozione Pecci (la scuola deve essere solo pubblica), ma lì si fermano e non votano contro. Anche Camporesi prende le distanze (perché lui stesso ha frequentato per metà una università statale in Italia e per metà una privata in Inghilterra) ma torna a ribadire che si doveva risolvere il problema con una partecipata.

Al momento del voto, la mozione Pecci riceve solo i voti della Lega e di Obiettivo Civico, il resto del centrodestra si astiene, la maggioranza voto compatta contro.

Questo è il menù servito dal consiglio comunale di Rimini sul tema dell’esternalizzazione dei servizi per l’infanzia, un dibattito che si segnala soprattutto per la formazione di un originale rassemblement neo-statalista da parte di Lega e Obiettivo Civico.

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