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Giovedì, 26 Gennaio 2017 15:51

Rimini, che accadrebbe con i due Consultellum

Cosa potrebbe succedere a Rimini se si andrà al voto per il nuovo Parlamento nazionale con i due “Consultellum”, cioè con le leggi elettorali uscite modificate dalla sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellum (Senato) e sull’Italicum (Camera dei Deputati)?

La prima impressione è che il territorio della Provincia di Rimini corra il concreto rischio di restare senza un’adeguata rappresentanza parlamentare.

Vediamo di capire perché. Secondo ciò che resta in piedi dell’Italicum l’Emilia Romagna elegge 45 deputati. Il territorio regionale è diviso in sette collegi e Rimini rientra nel collegio che comprende il territorio delle province di Forlì-Cesena e, appunto, di quella di Rimini. Questo collegio può eleggere 6,4 deputati: vuole dire che ne elegge sicuramente sei, ma potrebbe esserci la possibilità del settimo sulla base della distribuzione di seggi (resti) nel collegio nazionale.

Le elezioni del 2013, quando il Pd usufruì del premio di maggioranza del Porcellum, avevano visto eleggere a Rimini due deputati del Pd (Tiziano Arlotti ed Emma Petitti) ed uno del Movimento 5 Stelle (Giulia Sarti); a Forlì sempre due deputati del Pd ed uno della Lega.

Se si votasse con il Consultellum e rimanessero sostanzialmente inalterati i rapporti di forza fotografati dalle attuali tendenze elettorali e dai sondaggi, nel nuovo collegio Rimini-Forlì-Cesena potrebbero uscire 2 deputati del Pd, due del Movimento 5 Stelle, 1 della Lega e 1 di Forza Italia.

Si diceva del rischio di mancata rappresentanza. Dalla Corte Costituzionale è passato indenne il meccanismo dei capilista bloccati. Sulla carta appare difficile che nel Pd l’ambito posto possa toccare a Tiziano Arlotti, anche se è posizionato fra i renziani. Se il posto di capolista è una chimera, per il secondo seggio entrano in gioco le preferenze: bisognerà vedere chi avrà la meglio fra i candidati forlivesi-cesenati e quelli riminesi (se ne possono dare due, maschio e femmina). La storia dice che a Rimini gli elettori del Pd usano meno lo strumento della preferenza. Una variante potrebbe essere il ruolo del sindaco Andrea Gnassi: dovesse candidarsi, potrebbe legittimamente rivendicare il ruolo di capolista sulla scorta del successo elettorale alle amministrative; non dovesse candidarsi potrebbe comunque esercitare il proprio peso per rivendicare un parlamentare sicuro per Rimini.

Le candidature fra i 5 Stelle seguono sempre logiche imprevedibili, quindi difficile capire chi potrà essere il loro capolista. Ai nastri di partenze Giulia Sarti non appare sufficientemente forte per aspirare a tale posto. Quindi se il seggio sicuro andrà a un non riminese (molto probabile dopo il pasticcio alle amministrative), bisognerà vedere se un secondo seggio verrà fuori con le preferenze. Per Lega e Forza Italia invece non ci sono dubbi: verrà eletto solo il capolista ed è escluso che sia un riminese (nella Lega a Forlì c’è il segretario Jacopo Morrone che scalpita). A meno che tutto il centrodestra storico (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia) non converga in un listone per essere competitivo e aspirare al 40 per cento. In questo caso, al momento improbabile, entreranno in ballo gli accordi nazionali.

C’è un’incognita. Certamente Area Popolare presenterà una sua lista che, se a livello nazionale supererà il 3 per cento dei voti, parteciperà alla distribuzione dei seggi. Rimini è uno dei territori dove il partito di Alfano (e di Pizzolante) prende una percentuale superiore alla media nazionale. Quindi potrebbe accadere che quello di Rimini possa rientrare fra i pochi seggi che Area Popolare riuscirà a conquistare.

Le stesse considerazioni valgono analogamente per il Senato, dove però c’è un collegio unico regionale, una soglia di sbarramento dell’8 per cento e una sola preferenza. Sempre stando alle ultime tendenze elettorale e ai sondaggi, il Pd potrebbe eleggere 9/10 senatori, il Movimento 5 Stelle 9/10 , la Lega 2/3 e Forza Italia 1 o 2. Qui non ci sono i capilista bloccati, quindi entrerrà in Senato chi riuscirà a raccogliere il maggior numero di preferenze. Ciò costringerà i partiti, se vogliono garantirsi una rappresentanza territoriale, a mettere in campo candidature forti, votabili anche al fuori del ristretto territorio provinciale. Una partita tutta da giocare. 

Ragionamenti e stime che valgono se si andrà al voto con i due Consultellum. Se il Parlamento apporterà modifiche, tutto il discorso sarà da aggiornare.

Giovedì, 26 Gennaio 2017 09:01

26 gennaio

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Mercoledì, 25 Gennaio 2017 09:02

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Martedì, 24 Gennaio 2017 21:56

Aeroporto: manca decreto, niente investimenti

Scrive l’Enac, nel suo rapporto sullo stato degli investimenti italiani, che gli aeroporti del bacino di traffico del Centro Nord (fra i quali rientra quello di Rimini) hanno registrato nel 2015 un traffico di circa 15milioni di passeggeri, concentrati prevalentemente nei tre scali di Bologna, Pisa e Firenze. Nel 2016 si è aggiunto un altro mezzo milione di passeggeri. L’Enac aggiunge anche che le prospettive di sviluppo, in ragione del quadro di riferimento europeo, portano a ritenere che il bacino di traffico del Centro Nord dovrebbe generare una domanda di circa 22 milioni di passeggeri/anno all’orizzonte temporale del 2030.

Nei prossimi tredici anni ci sarebbero dunque circa 7 milioni di passeggeri che cercano un aeroporto da cui partire e dove atterrare. La domanda è se Rimini sarà presto in grado di intercettare una quota di questo potenziale traffico.

Nel quadro degli investimenti per i prossimi quattro anni per il momento siamo a quota zero. E questo perché l’aeroporto di Rimini è ancora in attesa dell'adozione del decreto interministeriale di affidamento della concessione di gestione totale. L’aeroporto è aperto e funziona perché la società Airiminum 2014 ha ottenuto l’autorizzazione all’anticipata occupazione del sedime aeroportuale. Per poter fare un programma di investimenti, occorre però che arrivi l’atteso decreto che sembra avere tempi lunghi (di mezzo poi c’è stata anche una crisi di governo). Airiminum 2014 si è fatta avanti affidando l’incarico di advisor per la redazione del Master Plan alla Fraport AG – Frankfurt Airport Services Worldwide, ma perché non rimanga carta straccia occorre che arrivi il decreto.

I tempi sono fondamentali in un contesto dove i concorrenti non stanno con le mani in mano. L’aeroporto di Bologna, per esempio, ha un programma approvato per gli anni 2016-2019 di ben 112 milioni di euro: dei quali 28,7 per il terminal, 50 per interventi air side, 22,7 di manutenzione ordinaria. L’intero importo deriva totalmente da autofinanziamento. Al 31 dicembre 2016 sono già stati spesi più di 16 milioni.

Il vicino aeroporto di Ancona, che pure non se la passa bene visto la voragine di debiti su cui galleggia, ha per gli anni 2015-2018 un programma da 12 milioni, 5,6 da finanziamento pubblico e 5,6 da autofinanziamento; ma al 31 dicembre 2016 erano stati spesi solo 10 mila euro, segno evidente delle difficoltà in cui versa. È di lunedì la notizia che l’assemblea dei soci ha approvato il piano di risanamento per gli anni 2017-2020. Cosa contenga non è stato comunicato. “Il nuovo piano industriale – si legge in una nota - prevede una serie di interventi volti ad aggredire il debito maturato, mirando al raggiungimento dell’equilibrio finanziario della società. Prevede anche lo sviluppo del fatturato caratteristico (aumento voli e servizi) per il cui raggiungimento la società sta svolgendo tutta una serie di attività commerciali con diretto coinvolgimento dei propri partner. Inoltre già da gennaio è aumentato il cargo, grazie a nuovi contratti di lavoro sottoscritti da partner storici e dalla iniziata collaborazione con B Cube. Nel corso del 2016 sono state adottate diverse misure per un maggiore efficientamento della struttura e l’aumento delle entrate attraverso i voli e le operazioni di cargo, anno in cui la situazione debitoria della società è diminuita anche in assenza di contributi pubblici”. In realtà il destino di Ancona – che nel 2016 ha perso il 7,4 per cento di passeggeri e il 9,5 per cento di traffico cargo – è appeso a un filo che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.

E Rimini? Nel 2016 ha sfiorato i 240 mila passeggeri che certamente sono lontani dagli obiettivi ambiziosi sempre ripetuti. Non si poteva fare di più, si dice, perché il via libera alla riapertura dello scalo è arrivato a marzo quando i giochi delle summer season erano ormai fatti. Il banco di prova per l’incremento dei voli sarà dunque il 2017. Perché si apra la stagione degli investimenti, occorrono invece il già citato decreto interministeriale e il contratto di programma da sottoscrivere con Enac. Poi si vedrà con quali risorse: se ci saranno finanziamenti pubblici o Airiminum potrà contare solo sull’autofinanziamento. Fino a quel momento si resta all’anno zero.

Chi è nato negli anni del baby boom ha potuto conoscere il cristianesimo e coinvolgersi in una esperienza di fede in un modo, diciamo così, classico. La strada maestra era l’incontro con un sacerdote che attirava l’attenzione per il suo modo di essere, di vivere e di annunciare Cristo. Poteva accadere in parrocchia, spesso attraverso il giovane cappellano, o poteva succedere a scuola, dove gli insegnanti di religione erano tutti preti.

Il quadro statistico che la diocesi di Rimini ha diffuso ieri in occasione della festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, raffigura una situazione profondamente cambiata. Dicono con chiarezza, qualora qualcuno non se ne fosse accorto, che gli effetti della secolarizzazione abitano anche qui, in riva all’Adriatico. Apprendiamo che i sacerdoti in attività sono appena 154 (ed hanno una media di età di 65 anni), che quarantatre parrocchie sono senza prete residente, che ci sono poche ordinazioni in vista e che il seminario è pressoché vuoto. Sono lontani i tempi in cui la diocesi di Rimini, anche negli anni tumultuosi del post-Concilio, conservava comunque un buon numero di sacerdoti e di vocazioni.

Le giovani generazioni, che dopo la cresima (2.500 all’anno) non mettono più piede in chiesa, neppure hanno la possibilità di incontrare un sacerdote sui banchi di scuola. Dei 159 insegnanti di religione, solo dieci sono preti. La domanda, per rubare un termine al marketing, resta però alta: il 90 per cento degli studenti sceglie di avvalersi dell’insegnamento della religione. La Chiesa riminese è impegnata sul fronte dell’educazione: oltre 5.000 sono gli alunni delle scuole cattoliche, anche se la maggior parte della presenza è limitata alla scuola dell’infanzia.

Impressiona, rispetto all’anno 2000, il dimezzamento dei matrimoni religiosi: solo 524 nel 2016. Esiste però anche una timida controtendenza: 23 coppie sono approdate al matrimonio in chiesa dopo essere prima passate attraverso quello civile.

Rimini come terra di missione: non è un modo di dire, è la realtà. È evidente che la Chiesa riminese si trova di fronte alla novità di un cambiamento d’epoca, a cui occorre rispondere senza lamenti o giudizi catastrofisti, ma accettando la sfida che viene dai tempi nuovi. Il calo dei matrimoni religiosi – osservano per esempio in diocesi – è una sfida a testimoniare la bellezza di una famiglia cristiana. I numeri, che anche quando sono negativi non raccontano tutta la realtà, parlano anche di fenomeni nuovi. I diaconi permanenti sono 47, negli ultimi quattro anni ne sono stati ordinati 18 (a fronte di 9 nuovi sacerdoti) e una decina sono quelli che si stanno preparando.

Un dato storico che affonda le sue radici negli anni dell’episcopato di monsignor Emilio Biancheri è la vivacità delle associazioni e dei movimenti ecclesiali. “Molto più in dialogo fra di loro rispetto a un tempo”, sottolineano in diocesi. Azione Cattolica, Comunione e Liberazione, Comunità Papa Giovanni XXIII, Rinnovamento nello Spirito, Focolarini, Neo-catecumenali sono i nomi di questa articolata presenza dei laici nella Chiesa e nella società civile.

C’è una strada che i cristiani riminesi percorrono più di ogni altra, in cui realizzano quella “Chiesa in uscita” invocata da papa Francesco: è quella che porta all’incontro con chi si trova nelle situazioni di bisogno, dai nuovi poveri ai migranti. Nel 2016 laCaritas Diocesanaha incontrato quasi duemila persone, preparato oltre centomila pasti (quasi diecimila in più del 2015), accolto 734 persone per 14.972 notti; aiutato le famiglie in difficoltà per un totale di circa 80 mila euro per bollette, spese sanitarie e altro. Attraverso l’Associazione Famiglie Insieme sono stati concessi prestiti a 404 famiglie in difficoltà finanziarie.

Per chi ha bisogno anche degli alimenti di prima necessità, è stato creato l’Emporio Solidale che nei primi sei mesi di attività ha aiutato 367 famiglie. IlFondo per il Lavoroha raccolto 600 domande e ha reinserito nel mondo dell’occupazione 97 persone. Attraverso l’inserimento nelle realtà parrocchiali, sono stati accolti 24 profughi.

“C’è una Chiesa della carità, dell’accoglienza, della missione che dobbiamo mostrare al mondo”, ha osservato il vescovo monsignor Francesco Lambiasi. Secondo il vescovo sono stati segnali forti anche le manifestazioni in piazza insieme ai musulmani: “Dobbiamo dialogare insieme attorno ad alcuni valori, ad esempio sul tema della pace. Abbiamo molto da dirci e per questo dobbiamo intrecciare le nostre voci. Il messaggio che il cristianesimo e l’islam possono dare se viene dato insieme certamente ha più forza”.

La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di diciassette persone per i fatti connessi alla nomina di Andrea Babbi a direttore generale dell’Enit. Lo scrive oggi il Corriere della Sera nella sua pagina romana. Babbi, già amministratore delegato dell’Apt, era stato nominato con un contratto da 393 mila euro complessivi in tre anni. Il procedimento è giudicato illegittimo dalla procura. Babbi, scrive il Corriere della Sera, non è stato nemmeno spinto “ad abbandonare – visto il palese conflitto d’interessi - la carica di amministratore delegato della Iscom Emilia Romagna, società specializzata in consulenze a enti pubblici nel settore del turismo. L’incompatibilità tra i ruoli ricoperti da Babbi – destinatario anche lui delle richieste del pm Erminio Amelio - è una delle zone d’ombra riscontrante dalla procura”.

Fra gli imputati, in quando membri del Cda nel 2012, figurano anche l’ex assessore regionale al turismo Maurizio Melucci e l’ex presidente dell’Enit Pierluigi Celli. Secondo la Procura, riferisce il Corriere della Sera, gli imputati “avrebbero dovuto indire un bando pubblico e svolgere allo stesso una ricerca tra di dirigenti dell’ente prima di nominare Babbi, dimessosi nel 2015. Passaggi indispensabili al rispetto del principio della spending review. Invece il posto fu conferito arrivando persino a inventare l’esistenza di curriculum vitae di candidati mai sentiti in nessun colloquio”. Celli è accusato di abuso d’ufficio, i reati contestati agli altri imputati comprendono il falso, la rivelazione del segreto d’ufficio e l’omessa denuncia.

La prima udienza davanti al Gup si è conclusa con un rinvio a settembre.

Martedì, 24 Gennaio 2017 09:13

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