Abituati per anni a vedere in San Marino un paese del Bengodi a due passi da casa nostra, fa impressione sapere dalla bocca del nuovo Segretario di Stato alle Finanze, Simone Celli (34 anni, esponente di Sinistra Democratica Socialista) che a giugno nelle casse dello Stato ci sarà una liquidità pari a poco più di un milione di euro. Notizia che assume un aspetto allarmante se si considera che per pagare ogni mese gli stipendi della Pubblica Amministrazione occorre un gruzzolo pari a 12 milioni.

Dopo aver agitato lo spauracchio, il Segretario di Stato ha però anche fatto sapere che la soluzione è già stata pensata: «Lo Stato dovrà attivare cuscinetti emergenziali ricorrendo anche a forme minimali di finanziamento esterno».

La crisi di liquidità non è una novità per San Marino. Da quando è diventato uno Stato “normale”, da quando è rientrato nella white list, da quando è applicato il segreto bancario ed è stata introdotta maggiore trasparenza finanziaria, il prodotto interno lordo è calato del 35 per cento e questo, di conseguenza, ha inciso anche sulle entrate dello Stato. Dal 2012, quando era attestato su 100 milioni, il debito pubblico è cresciuto fino a 247: a confronto con gli altri stati europei il rapporto debito/pil è comunque pari al 22 per cento, un dato senza dubbio incoraggiante. Negli ambienti dell’opposizione si fa notare che i dati citati dal Segretario Celli non corrispondono ad alcuna “operazione verità”: erano dati già contenuti nelle relazioni al bilancio presentate dal precedente governo. Si fa anche osservare che San Marino non ha mai avuto problemi con il Fondo Monetario Internazionale, il quale si limitava a fare raccomandazioni per riforme strutturali che garantiscano stabilità ai conti dello Stato. Nello scenario di crisi mondiale, una piccola economia come quella di San Marino è più facilmente sottoposta agli stress che derivano dai mercati, e pertanto occorre provvedere con adeguate riforme.

Nel recente passato si è cercato di far quadrare i conti mantenendo inalterate le prestazioni del welfare, cioè senza incidere sull’assistenza sanitaria e sui servizi sociali. Tutto ciò ha portato a cicliche crisi di liquidità che sono sempre state risolte con il ricorso a prestiti temporanei nell’ambito del territorio sammarinese: o chiedendoli alla Banca Centrale o ad altri istituti di credito del Titano. Solo negli anni Novanta, per far fronte alla realizzazione del nuovo ospedale, era stato chiesto un finanziamento alla italiana Cassa Depositi e Prestiti, del quale restano da pagare ancora 4,8 milioni. La novità è che, rispetto al recente passato, il Segretario Celli afferma che si ricorrerà a prestiti esterni, seppur minimali.

Lo stato di salute del bilancio è fra gli argomenti della lunga sessione del Consiglio Grande e Generale (il parlamento di San Marino) che è cominciato oggi pomeriggio. Il tema è al ventiduesimo comma dell’ordine del giorno, quindi è probabile che alla fine se ne parli venerdì. Sarò questa l’occasione per verificare come il nuovo governo uscito dalle elezioni del novembre scorso intende affrontare in modo strutturale il fondamentale tema della stabilità di bilancio. Finora Celli si è limitato a dichiarare che entro il 2019 il governo vuole raggiungere l’obiettivo di un bilancio che “riesca a stare in piedi da solo”.

Un’altra notizia che in questi giorni è venuta a turbare gli ambienti economici e finanziari del Titano è la decisione della Banca Centrale di commissariare Asset Banca, l’istituto di credito che negli anni scorsi è finito nell’inchiesta Re Nero condotta dalla Procura di Forlì. Il commissariamento è a tempo (solo sessanta giorni) e non si conoscono le ragioni di fatto. Il comunicato di Banca Centrale si limita a ricordare l’articolo di legge in base al quale è stato chiesto il commissariamento e a rassicurare che “l’istituto resta pienamente operativo, assicurando l’operatività della clientela e la tutela dei risparmiatori”. Un articolo apparso in questi giorni su Il Sole – 24 Ore solleva inquietanti interrogativi su alcuni progetti della banca. Una delegazione dei partiti di opposizione ha chiesto che nell’ordine del giorno del Consiglio Grande e Generale venga inserito un comma segreto per discutere della faccenda.

Da parte di banca Centrale si è inoltre in attesa nelle prossime settimane dell’Asset quality review, l’analisi che rivelerà la somma dei crediti deteriorati che gravano sulle banche sammarinesi. Secondo stime fatte nell’estate scorsa pare che ammontino a circa due miliardi.

Domenica 19 febbraio il vescovo di Rimini presiederà in cattedrale una celebrazione eucaristica nel duplice anniversario della morte di don Luigi Giussani (22 febbraio 2005) e del riconoscimento della Fraternità di Comunione e Liberazione (11 febbraio 1982).

Nell’occasione pubblichiamo alcuni appunti sui primi incontri fra l'iniziale gruppo dei riminesi e don Giussani.

A Rimini la comunità di GS (primo nucleo di ciò che poi sarebbe diventato il movimento di Comunione e Liberazione, nasce nell’estate del 1962 attraverso l’incontro fra alcuni ragazzi riminesi e un gruppo di loro coetanei in vacanza. Ha raccontato uno dei riminesi, Pierluigi Pari: “Parlavano sempre della comunità. Interventi del tipo “ero in difficoltà, in crisi, ma la comunità mi ha aiutato”. La parola “comunità” ricorreva spessissimo. Noi eravamo interdetti, non sapevamo neanche cosa fosse una compagnia di questo genere. L’altra parola chiave era “don Giussani”, che veniva citato continuamente. Noi non lo conoscevamo (don Giussani) e così questa loro insistenza ci lasciava anche un po’ perplessi. Non passava intervento, dove non fossero citati la comunità e don Giussani”. Succede che quei ragazzi approfondiscono l’amicizia, don Giancarlo Ugolini da subito si affianca a loro, e nasce una storia comune nel segno della sequela all’insegnamento di don Giussani.

I primi incontri diretti fra la nuova comunità riminese e don Giussani avvengono però solo nella primavera-estate del 1963.

Il primo è un viaggio a Milano per incontrarlo e invitarlo a tenere la “tre giorni” della comunità di Rimini. C’era anche don Giancarlo Ugolini, che fino agli ultimi giorni della sua vita conservò nitida nella memoria la straordinaria impressione provocatagli da quell’esperienza. “Lo vidi uscire dal liceo Berchet, - ha raccontato - vidi cosa voleva dire per lui uscire dal Berchet. Si faceva davvero fatica ad agganciarlo, era circondato da tante persone, lo tiravano da tutte le parti. Doveva andare da qualche parte, lo accompagnammo noi e parlammo in auto. Ci disse che veniva”.

Nello stesso periodo un gruppetto di riminesi partecipa a Varigotti, suggestivo paese della riviera ligure, alla “tre giorni” di Pasqua della GS milanese, da 10 al 13 aprile. È la prima volta che questi ragazzi lo sentono parlare, che si imbattono nel suo stile, nel suo carisma. È la prima volta che partecipano ad una Via Crucis condotta dal sacerdote milanese. E anche in questo caso, a distanza di decenni, rimane fisso nella memoria il filo conduttore di quelle giornate: Gesù era così uomo che aveva una Madre, era così uomo che aveva degli amici, era così uomo che ha sofferto nella carne. Era un discorso sull’umanità di Cristo, che toccava in profondità le corde del loro inquieto cuore giovanile.

Si arrivò così alla mitica tre giorni di Montegrimano dal 22 al 25 giugno 1963 guidata da don Luigi Giussani sul tema Strapperò loro il cuore di pietra e metterò un cuore di carne. Era il primo incontro diretto tra tutta la neonata comunità di GS di Rimini e il fondatore del movimento.

Di ciò che disse il sacerdote restano alcuni appunti. «La vita è cammino, l’abbiamo capito dal Vangelo. Il destino dell’uomo è la soddisfazione, la felicità, quindi la libertà che è adesione all’essere. La libertà è un dinamismo, è un camminare verso un proprio destino di soddisfazione». E ancora: «La regola di vivere è la grandezza d’animo che mi fa uscire da me per affermare l’altro. L’esistenza delle cose è una continua testimonianza di gloria a Dio. Il pregare è l’accorgersi di sé fino in fondo e quindi capire che si è fatti da un Altro».

Quasi venticinque anni per arrivare a stabilire ciò che era evidente da subito. Una storia che mette in risalto molti aspetti discutibili del funzionamento della burocrazia e della politica nel nostro Paese. Leggendola, ognuno potrà farsi la sua opinione.

Stiamo parlando dell’ex colonia san Giuseppe di Riccione, un immobile che si trova all’incrocio fra le vie Canova, Michelangelo e Torino. L’ultima notizia che la riguarda è dei giorni scorsi: il Tar dell’Emilia Romagna ha respinto il ricorso della proprietà, la cooperativa Michelangelo di Bologna, che si opponeva alla richiesta del Comune di demolire gli abusivi edilizi ivi realizzati e di ripristinare l’originaria destinazione a casa protetta per anziani. La conseguenza sarà che l’immobile sarà acquisito al patrimonio del Comune di Riccione.

La storia parte da molto lontano, nel 1993. Su segnalazione di Giancarlo Barnabè, consigliere comunale di An, le pagine locali del quotidiano Il Messaggero parlano dello strano caso della ex colonia che aveva avuto la concessione edilizia per essere trasformata in residenza protetta per anziani e che invece aveva tutta l’aria di essere diventata un residence per famiglie bolognesi che si facevano così la seconda casa al mare. È un sospetto, suffragato però da molti indizi. La prova arriva ben presto con una telefonata agli uffici della cooperativa: un cronista si finge una persona interessata all’acquisizione di un appartamento e gli vengono date tutte le indicazioni necessarie. È la conferma che chiunque può aspirare ad avere un locale in questa struttura, anche se non è un anziano bisognoso di casa protetta.

Sulla carta (di giornale) ci sono tutti gli elementi per bloccare un’operazione che non si presenta con le caratteristiche della trasparenza. Ma non accade nulla di rilevante. Deceduto il consigliere Barnabè, la battaglia è poi continuata dal suo collega di partito Filippo Airaudo e dal consigliere degli allora Ds, Lele Montanari, oggi esponente di quell’Unione Civica che chiede un posto in giunta al sindaco Renata Tosi. Alcuni consiglieri comunali fanno un sopralluogo e possono constatare direttamente che l’ex colonia non è stata ristrutturata per far posto ai nonni (camere singole e parti in comune) ma in mini appartamenti occupati da famiglie bolognesi. Viene mandato anche un esposto in Procura, ma senza alcun esito.

Qualcosa però nella macchina burocratica si mette in modo (anche se molto lentamente) perché nel 2002 (cioè nove anni dopo) il Comune firma un’ordinanza per la demolizione delle opere abusive e il ripristino della destinazione a casa protetta.

Nel 2004 però la cooperativa Michelangelo presenta un’istanza di condono. La sua pratica si va ad aggiungere alle altre centinaia presentate dai cittadini riccionesi. L’effetto pratico è che, essendoci una richiesta di condono, viene di fatto sospesa l’ordinanza del 2002 (anche se non si può non osservare che il Comune aveva avuto fino a quel momento ben due anni di tempo per applicarla).

Trascorre altro tempo e finalmente il Comune decide sulla pratica: la richiesta di condono viene respinta. La cooperativa Michelangelo aveva trasformato due unità immobiliari da adibire a casa protetta per anziani in 45 appartamenti. Si tratta di “ristrutturazione con mutamento d’uso da direzionale a residenziale di manufatti superiori a 100 mq”, quindi non ammissibile. Immancabile il ricorso al Tar della proprietà.

La vicenda, partita dalla giunta di Massimo Masini, ha attraversato i due mandati di Daniele Imola e i cinque anni di Massimo Pironi, per poi transitare sotto le responsabilità dell’amministrazione Tosi.

“Quando ci siano insediati – spiega l’assessore all’Urbanistica Roberto Cesarini – abbiamo fatto una ricognizione di tutte le pratiche in sospeso e fra queste c’era anche quella dell’ex colonia san Giuseppe”. Nell’ottobre scorso una nota stampa ha informato che “Il Comune di Riccione ha notificato alla proprietà del complesso immobiliare ex colonia San Giuseppe l’ordinanza con la quale assegna alla stessa entro il termine di 90 giorni per l’esecuzione all’ordinanza del febbraio 2002 avente ad oggetto la rimozione delle opere abusive e la riduzione in pristino dell’uso autorizzato a casa protetta con concessione edilizia rilasciata il 18/08/0993”.

Nel comunicato si precisava anche che “Dalle ultime verifiche effettuate dall’Amministrazione Comunale tra agosto e settembre 2016, è risultato che non è stata presentata al Comune alcuna istanza di autorizzazione al funzionamento dell’immobile come Rsa, oltre alla ulteriore verifica che l’Ausl non ha mai espresso parere favorevole all’autorizzazione al funzionamento come struttura sanitaria della stessa”.

Come si può vedere il linguaggio è quanto mai burocratico ed essenziale, nessun riferimento ad eventuali responsabilità politiche delle precedenti amministrazioni che hanno trascinato il caso per anni senza risolverlo. L’assessore Cesarini la chiama “sobrietà”.

Il 20 gennaio 2017 sono scaduti (inutilmente) i termini entro i quali la società doveva ottemperare alla nuova ordinanza del Comune. Nei giorni scorsi sono inoltre state rese note le motivazioni con cui il Tar ha respinto il ricorso della Michelangelo contro l’ordinanza dell’ottobre scorso. Stando così le cose, il prossimo passaggio sarà l’acquisizione della ex colonia al patrimonio comunale.

La storia non è finita. Che significa che l’ex colonia diventerà proprietà del Comune? Che fine faranno gli attuali inquilini dei 45 appartamenti? L’assessore Cesarini si limita a rispondere che ora è semplicemente una questione legale, che il Comune si muoverà con “sobrietà, buon senso e ragionevolezza”. Come minimo si può ipotizzare che gli inquilini non staranno con le mani in mano e che nasceranno contenziosi legali uno dietro l’altro. Per una vicenda che poteva essere risolta sul nascere quasi venticinque anni fa.

Come finirà la partita delle concessioni balneari è tutto da vedere. Il primo interrogativo riguarda i tempi di approvazione della legge delega in Parlamento: tutto dipende da quando saranno sciolte le Camere; solo se si va a scadenza naturale si può essere pienamente ottimisti. Il secondo riguarda l’atteggiamento che assumerà la Commissione europea di fronte alle legge delega così come è stata predispoosta dal governo.

Le prime avvisaglie non sono certo incoraggianti. Nel luglio scorso il sottosegretario Sandro Gozi è stato in missione a Bruxelles per illustrare alla direttrice generale alla crescita Lowri Evans i principi generali sui quali il governo si stava orientando e che poi sono stati confermati nella legge delega, presentata lunedì a Rimini dal ministro Costa davanti ad un’affollata assemblea di bagnini.

Dalla Evans sono arrivate varie docce fredde che per il momento non hanno impedito al governo di confermare la propria impostazione, ma si tratta appunto di vedere cosa accadrà in futuro dopo che la legge sarà approvata e saranno emanati i relativi decreti.

Nessun problema sul periodo transitorio purché ci sia un calendario complessivo e controllabile dei singoli passaggi normativi e operativi”.

Diversa la musica sulle misure di indennizzo degli operatori uscenti, punto qualificante della legge delega. «Le misure di indennizzo – ha detto Evans - devono essere adeguate e proporzionate, ma ove diventassero eccessive o si creasse una preferenza ovvia per gli attuali esercenti, configurerebbero una chiusura al principio di libera concorrenza, a solo vantaggio degli attuali concessionario». Non è una chiusura netta, ma pone dei paletti ben precisi.

Altro punto controverso è quello del riconoscimento del valore commerciale delle imprese. Secondo la Evans una valutazione proporzionata del valore degli investimenti è consentita dalle norme europee. «Riconoscere un valore di avviamento (oggetto di un pagamento da parte del nuovo concessionario a quello uscente) potrebbe configurare un vantaggio indebito per gli operatori attuali». La delegazione italiana ha difeso la propria impostazione, ma la funzionaria della Commissione ha detto che permangono forti perplessità.

Altro punto qualificante della legge delega è il riconoscimento della professionalità ed esperienza degli operatori. Due i concetti espressi dalla Evans a tale proposito «Il nuovo quadro dovrebbe guardare al futuro e non al passato»: «È quindi necessario presentare un sistema che faciliti l'ingresso di nuovi operatori e non sembri costruito per tutelare quelli attuali».

Questo accadeva a fine luglio e quindi resta l’interrogativo se nel frattempo qualcosa non sia mutato. Poco prima di Natale, la commissaria europea al mercato interno Elżbieta Bieńkowska, ha risposto a un’interrogazione dell’europarlamentare Mara Bizzotto della Lega sull’applicazione della direttiva Bolkestein alle concessioni balneari dopo la sentenza della Corte di Giustizia del 4 luglio. Nella risposta la commissaria la commissaria Bieńkowska si sofferma soprattutto requisiti relativi all'esperienza professionale dei futuri titolari di autorizzazioni. Dopo aver spiegato che nel diritto della Ue non c’è una norma specifica, ha rimandato alla normativa vigente sugli appalto pubblici, precisando che l’esperienza è richiesta “solo nella misura in cui ha un'influenza significativa sul livello dell'esecuzione richiesto dalle autorità che rilasciano l'autorizzazione”. Ed infine “Riguardo all'indennizzo, l'articolo 12 della direttiva 2006/123/CE stabilisce che l'autorizzazione non può accordare alcun vantaggio al prestatore uscente”.

Fino a dicembre scorso, insomma, nulla era mutato nelle posizione della Commissione.

Gli operatori balneari che si oppongono alla legge delega, tirano sovente in ballo i casi della Spagna e del Portogallo, dove sono state concesse proroghe amplissime. Lo aveva sottolineato anche il sottosegretario Gozi nell’incontro di luglio, osservando che “è molto difficile convincere i concessionari italiani di una apertura al mercato che appare colpire solo l’Italia. La Evans se l’era cavata rispondendo che non era escluso che fossero aperte procedure d’infrazione dopo la sentenza della Corte di Giustizia.

Il caso della Spagna è molto particolare. Le concessioni di lunga durata sono state date come indennizzo all’esproprio di proprietà private che sono state acquisite dal demanio. Infatti la procedura d’infrazione, che era stata aperta, è stata chiusa dopo una pronuncia della Corte Costituzionale.

Mercoledì, 15 Febbraio 2017 17:23

Erbetta: Gnassi? Convergenti ma non coincidenti

Sono entrati a corte con l’ambizione di condizionare il principe, suscitando anche gli sberleffi di chi a questa loro pretesa non dava alcun credito. Sono voluti entrare a corte perché pensavano che il popolo produttivo di Rimini dovesse finalmente avere una rappresentanza in grado di condizionare i progetti del principe.

Stiamo parlando dei cinque uomini di Patto Civico entrati in consiglio comunale grazie all’inatteso e strepitoso successo elettorale della cosiddetta “lista Pizzolante”, messa in piedi per consentire ai moderati di poter votare il sindaco Gnassi senza per forza doversi sporcare la coscienza con una croce sul simbolo del Pd.

In consiglio comunale hanno trovato la loro guida in Mario Erbetta, oggi avvocato civilista, ma nelle vite precedenti anche operaio, sindacalista della Uil, geometra dipendente dell’Agenzia del Territorio, imprenditore nel mondo della notte. Per la prima volta in politica, come tutti gli altri consiglieri del gruppo. “L’impatto è stato duro – racconta – ma devo dire che me l’aspettavo proprio così. Credevo di trovare maggiore professionalità. Invece, tranne qualche rara eccezione, siamo tutti alle prime armi, tutti bisognosi di impratichirci. Da ex imprenditore, mi aspettavo più programmazione, più organizzazione. Ho visto subito che, come nell’Agenzia del Territorio, il nodo è nei rapporti fra il Comune e l’utente cittadino. Purtroppo in Comune è ancora prevalente la mentalità burocratica, dominata dalla paura di sbagliare e dal groviglio delle norme. Il brontosauro della burocrazia è un’immagine che risponde alla realtà. Un esempio lampante è la vicenda dell’ufficio tecnico”.

Voi di Patto Civico vi siete fatti eleggere promettendo che avreste cambiato le cose. Può spiegare quali sono gli elementi che caratterizzano la vostra azione in Comune?

“Noi abbiamo dato rappresentanza al cosiddetto ceto medio di Rimini e ci siamo candidati in nome della politica del fare, che è quella che fino ad oggi è mancata. Alla mentalità che ripete “questo non si può fare” noi replichiamo “troviamo una soluzione”. Non ci caratterizziamo per questa o quella scelta politica, in senso ideologico. Poco dogmatismo e molto pragmatismo. La gente ci ha votato per trovare soluzioni pratiche. Un esempio? La recente vicenda dell’ufficio tecnico. A gennaio era in palese difficoltà e paralisi, con gli orari di apertura ridotti al minimo, senza un dirigente che potesse impostare il lavoro. Io sono andato sul posto, ho parlato con la gente e con i dipendenti, ho sperimentato direttamente come funzionava la piattaforma informatica. Poi ne ho parlato l’assessore Frisoni che è stata molta brava a recepire i suggerimenti e a prendere decisioni che porteranno l’ufficio ad un adeguato funzionamento”.

E come sono i vostri rapporti con il sindaco Gnassi?

“Direi che sono ottimi, impostati su un corretto movimento di dare e avere, informazione e collaborazione. Appena arrivati, sono arrivati al pettine alcuni nodi scottanti, che molto allarmavano la popolazione come ad esempio la questione dei nomadi e il nuovo piano ospedaliero dell’Ausl unica della Romagna. Sui nomadi è stato determinante il nostro contributo per passare dalle tre microaree alla distribuzione in tutti i quartieri dei nomadi fino ad oggi concentrati in via Islanda. Fermo restando che quel campo è da chiudere al più presto, integrando pienamente quelle famiglie Sinti nella comunità locale.

Ora è arrivato il momento di passare alle urgenze storiche. Per noi fondamentale è la trasformazione dell’area della stazione che deve diventare un ponte di collegamento fra la costa e il centro della città. Noi spingiamo su questo. Il nostro consigliere Frisoni, che è un artista internazionale, ha delle idee in proposito. Poi c’è la partita del Parco del Mare, strategica per lo sviluppo del turismo”.

Voi avete chiesto i voti dicendo che dall’interno avreste condizionato il sindaco Gnassi. Lo state facendo? Ci state riuscendo?

“La dialettica è sempre presente. Io ripeto sempre che siamo di fronte a due visioni convergenti ma non coincidenti. Quindi è normale che ci sia dibattito che poi viene ricondotto ad una sintesi positiva. Noi siamo un pungolo, certamente l’aria è cambiata. Adesso ci sono due visioni con cui fare i conti. Si tratta di trovare un equilibrio. E lo si trova quando si è mossi dalla volontà di realizzare il bene comune della città. Noi siamo la voce del ceto medio che esprime istanze che non sono coincidenti con quelle di Gnassi”.

Torniamo allora al punto di partenza: in cosa si differenzia la vostra visione da quella di Gnassi?

“Nel rapporto fra la politica e la cittadinanza, nell’attenzione alle esigenze di chi appartiene al ceto produttivo. Noi abbiamo insistito perché per i parcheggi ci fossero abbonamenti agevolati per gli operatori del centro storico. Siamo per la riduzione delle tasse locali, dall’occupazione di suolo pubblico all’addizionale Irpef anche se ci rendiamo conto che questo va fatto tenendo conto di tutte le esigenze del bilancio. Abbiamo sostenuto l’esternalizzazione degli asili nido e delle scuole per l’infanzia”.

Si invoca la corsa contro il tempo, ma certo il quadro politico non induce a facili ottimismi. Se si dovesse votare a settembre, il Parlamento ha giusto due tre mesi per approvare il disegno di legge delega sulle concessioni demaniali balneari. Dopo un decennio di infruttuose discussioni politiche, di illusorie vie di fuga (proroghe ad oltranza), ora che il primo passo decisivo è stato compiuto, c’è il rischio che la sempre mutevole situazione politica italiana ancora una volta porti ad una battuta d’arresto.

Oggi pomeriggio il ministro Enrico Costa era a Rimini nella prima tappa di un tour sulle varie spiagge italiane per illustrare il disegno di legge che porta la sua firma. Il salone dell’Hotel Savoia era stracolmo di bagnini (oltre 200) accorsi per ascoltare le ultime novità e sapere per quanti anni potranno ancora dormire sonni tranquilli, nonostante la direttiva Bolkestein incomba su di loro. Prima di immergersi nella fossa dei leoni, conferenza stampa con il promotore dell’incontro, il deputato Sergio Pizzolante, il suo collega Tiziano Arlotti, l’assessore regionale al turismo Andrea Corsimi ed il sindaco di Rimini Andrea Gnassi.

Se dunque c’è grande soddisfazione per il risultato raggiunto (ai critici che dicono che ancora non c’è nulla di concreto, è stato risposto che invece è stato compiuto un importante passo avanti), c’è anche consapevolezza che il fattore tempo è altrettanto essenziale. Arlotti ha riferito di aver telefonato al Quirinale per sapere a che punto è l’iter del provvedimento: gli è stato assicurato che è alla firma del Presidente della Repubblica. Solo dopo la firma, potrà iniziare l’iter parlamentare. Una volta approvata la legge, il governo ha sei mesi di tempo per emanare i relativi decreti di attuazione. Solo allora si vedrà come i criteri indicati dalla legge saranno tradotti in pratica. Il ministro Costa ha garantito che, come ha varato la legge delega dopo aver ampiamente ascoltato gli operatori, lo stesso avverrà per la stesura dei decreti. Ma l’iter neppure a quel punto sarebbe terminato: le Regioni a loro volta dovranno fare leggi attuative per i loro territori, anche perché – come ha sottolineato Corsini – la definizione di alcuni particolari è di competenza regionale.

I principi di fondo, quelli che maggiormente interessano gli operatori, sono i seguenti: nelle gare per le concessioni si dovrà tener conto della professionalità acquisita (e di questa, ha precisato Costa, fa parte anche la durata dell’esperienza maturata sul campo), riconoscimento e tutela degli investimenti e del valore commerciale dell’azienda (chi esce potrà avere un indennizzo da chi subentra), valorizzazione delle diverse peculiarità territoriali, indicazione della durata minima e massima di una concessione, revisione dei canoni per le eliminare le storiche sperequazioni con i cosiddetti canoni pertinenziali.

La frase magica del disegno di legge delega è la seguente: prevedere, anche in relazione alle innovazioni introdotte dalla seguente legge, un adeguato periodo transitorio. E quanto sarà lungo?, è stato chiesto al ministro Costa. Nessuna risposta, solo la precisazione che la durata che sarà indicata sarà argomentata, cioè si dirà: per fare tutti gli atti applicativi della legge occorre questo tempo. Lo scopriremo con i decreti.

Intanto Pizzolante si è preoccupato di smentire l’ex assessore al demanio del Comune di Rimini, Roberto Biagini, che a proposito di una recente sentenza del Tar della Lombardia ha sostenuto che il Tribunale amministrativo avrebbe preventivamente bocciato il periodo transitorio. Niente di tutto questo, – ha replicato Pizzolante – il Tar non si è espresso su una legge che ancora non è approvata,si è mosso nell’ambito della situazione creatasi con la sentenza della Corte di Giustizia del luglio scorso.

Secondo il ministro Costa il suo disegno di legge è un punto di equilibro fra gli opposti estremismi di chi invoca ancora improbabili proroghe (alcuni sindacati balneari si sono assestati su questa posizione) e chi vorrebbe subito applicare la scure della Bolkestein. Sia il ministro che altri che sono intervenuti (come l’assessore Corsini) si sono pertanto augurati che non riprendano fiato posizioni demagogiche che, magari in vista di un tornaconto elettorale, alimentino speranze illusorie. Il riferimento esplicito è all’assessore al demanio della regione Liguria che ha annunciato una legge che prevederà una proroga di trent’anni per tutte le concessioni.

C’è stata una risposta (da parte di Pizzolante, “per fatto personale”) anche per Forza Italia che alla vigilia dell’arrivo del ministro in Riviera ha sostenuto che il governo dovrebbe trattare con l’Unione europea perché non è affatto scontato che anche le concessioni balneari rientrino nei servizi disciplinati dalla Bolkestein. “Quando c’ero io in quel partito, queste sciocchezze non le dicevamo. Sono posizioni che non appartengono alla storia del Pdl e di Forza Italia”.

Giovedì, 09 Febbraio 2017 09:10

9 febbraio

Il prefetto se ne va | Poliziotta ferita | Arcigay alle Pari opportunità

Forse è proprio vero che stiamo tornando alla Prima Repubblica. Non solo si parla di ritorno ad una legge elettorale proporzionale, ma tornano in auge anche certi fantasmi che avevano popolato le cronache locali di trent’anni fa.

Uno di questi fantasmi è il ripristino, in qualche modo, di un collegamento ferroviario Rimini-San Marino che rinnovi le glorie del tanto amato e celebrato trenino biancoazzurro che collegava la Riviera con il Titano. Nell’aprile del 1988 l’allora presidente delle Ferrovie dello Stato, Ludovico Ligato, arrivò a San Marino, accolto con tutti gli onori, ed annunciò che il governo italiano gli aveva dato mandato di ricostruire la ferrovia distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Anzi, assicurò che una volta pronto il progetto esecutivo, l’avrebbe realizzata in tre anni. A Rimini quegli annunci roboanti furono presi con sufficienza, se non con irrisione. Per il Pci, partito di governo a livello locale e di opposizione a livello nazionale, la storia del redivivo trenino altro non era che propaganda del Caf, l’asse fra Craxi, Andreotti e Forlani che da poco si era costituito a livello nazionale. Ligato appena un anno dopo fece una brutta fine, sotto i colpi di pistola di un agguato mafioso a Reggio Calabria. E così per molto tempo il trenino bianco azzurro è rimasto oggetto esclusivo di culto di appassionati e di nostalgici. Nel 2012, per esempio, si sono celebrati gli 80 anni dall’inaugurazione con studi e convegni che avevano ridato fiato ai sostenitori del ripristino della linea ferroviaria.

Adesso se ne torna a parlare. Il nuovo Segretario di Stato di Stato al Territorio, Augusto Michelotti, ha nei giorni scorsi rilanciato l’idea di una monorotaia che colleghi la Repubblica con Rimini. L’incremento del turismo e il decongestionamento della superstrada sono i principali argomenti a favore. Non si parla più del ripristino del vecchio tracciato, anche perché in molti punti, sia in Italia che in territorio sammarinese, è letteralmente scomparso, nel senso che intorno sono cresciute costruzioni di ogni tipo. Si parla di una “cosa nuova”, come appunto una monorotaia, da far scorrere in larga parte in un tracciato nuovo tutto da definire.

La pensata non è nuova, nemmeno a Rimini. Qualche anno fa la Provincia aveva compiuto qualche studio preliminare, dove si parlava di trasporto filoviario metropolitano di tipo leggero. Aveva anche ipotizzato il punto di partenza da piazzale Kennedy e l’attraversamento dei parchi(Olga Bondi, Alcide Cervi, Peep-Casa) fino al Palacongressi. Da quel punto in poi erano previste due ipotesi: lo sviluppo del tracciato lungo la superstrada o lungo il vecchio tracciato del trenino biancoazzurro.

La novità di questi giorni è che all’uscita del Segretario di Stato Michelotti ha subito risposto l’assessore alla mobilità del Comune di Rimini, Roberta Frisoni,  che ha raccolto la sfida e dato la disponibilità a sedersi attorno a un tavolo per fare camminare l’idea. Per l’occasione l’assessore Frisoni ha anche rispolverato le schede progettuali che la Provincia aveva elaborato nel corso del mandato del presidente Stefano Vitali.

Nessuno per il momento si è spinto più in là parlando degli eventuali costi di una simile operazione. Qualche anno fa le cronache avevano parlato di una tesi di laurea in ingegneria in cui un collegamento metropolitano fra Rimini e San Marino era quotato 55 milioni di euro. Probabilmente non è azzardato pensare che un’opera del genere possa raggiungere i costi del Trc (100 milioni), la cui ultimazione è prevista entro l’anno. Si può già immaginare l’impatto sull’opinione pubblica di una simile prospettiva.  Quanto meno si dirà di aspettare di verificare come e con quali costi di gestione funzionerà il Trc, se davvero servirà ad accorciare i tempi di percorrenza fra Rimini e Riccione e se avrà passeggeri a sufficienza per non diventare subito un enorme colabrodo di risorse pubbliche.

Si può convenire che una linea metropolitana fra Rimini e San Marino risponde ad alcune necessità non solo turistiche (a vantaggio soprattutto della Repubblica) ma anche di pendolarismo (diretto verso la zona di Cerasolo e lo stesso Titano). L’assessore Frisoni ha sostenuto che si tratta di una questione strategica. Inoltre, un collegamento che toccasse il Palacongressi conferirebbe immediatamente una maggiore utilità alla stessa linea del Trc che avrebbe così uno sbocco non limitato alla stazione ferroviaria. Se questa idea di una metropolitana leggera non resterà la boutade di un governo appena insediato ma avrà sviluppi, si può star certi che il progetto di fattibilità sarà esaminato con una lente di ingrandimento molto precisa e affinata. Non ci sono in ballo solo i costi, ma anche i tempi di realizzazione. Il Trc è un convoglio che si è mosso molto lentamente ed arriverà a fine corsa già con i limiti dell’età e con le caratteristiche dell’incompiuta (collegamento con la Fiera, collegamento con il resto della costa). In questo caso la procedura chiama in causa anche i rapporti fra due Stati sovrani, e ciò non facilità certo la sveltezza. Insomma, è tutto da verificare se il fantasma biancoazzurro potrà di nuovo materializzarsi.

Mercoledì, 08 Febbraio 2017 09:30

8 febbraio

Avvocato rapinato | Interrogatorio per Battazza | Una pagoda sul mare

Martedì, 07 Febbraio 2017 09:21

7 febbraio

Sindaco arrestato. Ecco perché | Chiuso hotel | L’oro di Arezzo

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