Una Galleria di arte moderna e contemporanea andrà ad arricchire l'offerta culturale di Rimii. L'indiscrezione, qual voce dal sen fuggita, è dello stesso sindaco Andrea Gnassi, nel corso della conferenza stampa sul Trc.

In effetti sembra proprio che qualcosa bolla in pentola. Tutto sarebbe riconducibile agli empatici rapporti che negli ultimi tempi si sono sviluppati fra il sindaco Gnassi e l'ex collega di Milano, Letizia Moratti, nella sua veste di madrina di San Patrignano.

Sarebbe emersa la possibiità che San Patrignano, la Moratti e altri suoi amici dell'alta borghesia milanese concedano in comodato al Comune una buona parte della propria collezione di arte contemporanea.

L'esposizione probabilmente troverà posti negli spazi disponibili in piazza Cavour, cioè Arengo e Palazzo del Podestà. Se ne dovrebbe sapere di più fra qualche settimana.

“Se noi avessimo vinto le elezioni senza l’accordo con Patto Civico, avremmo comunque dovuto fare i conti con un deficit di rappresentanza della città. Lo stesso deficit che si trova ad avere oggi Renata Tosi, che in termini assoluti è stata votata solo dal 28 per cento dell’elettorato”. È probabilmente l’affermazione politica più rilevante espressa da Sabrina Vescovi, candidata sconfitta alle recenti elezioni amministrative di Riccione. Un giudizio che discende direttamente da un altro, politicamente rilevante: una delle ragioni della sconfitta è stato il mancato allargamento della coalizione.

Ma procediamo con ordine. Un dato evidente dei risultati elettorali di Riccione è il successo delle liste civiche. “C’è – sottolinea Vescovi in questa prima intervista dopo il voto – una evidente crisi di rappresentatività e di credibilità dei partiti. In questa crisi, il Pd resta a Riccione una forza politica dignitosa, e comunque il primo partito con il 28 percento dei voti, quando il secondo sono i 5 Stelle con appena il 13. In ogni caso è un partito che non deve commettere l’errore di considerarsi autosufficiente. Nell’ambito del centrosinistra il Pd ha mantenuto una certa forza, mentre nel centrodestra i partiti sono stati disintegrati dal fenomeno di una lista personalistica legata al nome del candidato sindaco. La nostra lista civica Immagina Riccione, costruita in fretta, ha avuto più voti di Forza Italia. E la Lega, nonostante il clima di tensione sull’immigrazione, ha avuto un risultato mediocre. Il Pd si barcamena, mentre gli altri partiti hanno preso sonori schiaffoni da un civismo leaderistico a destra, mentre a sinistra la nostra lista civica non è riuscita a intercettare parte dell’elettorato che non si sente rappresentato dai partiti. C’è la tendenza dei riccionesi a scegliere il civismo e quindi le persone. La conferma viene dal fatto che nelle nostre liste i voti di preferenza quasi si eguagliano a quelli delle liste. In questo contesto, il nostro errore è stato non allargare la coalizione. Dall’altra parte avevano sei liste, noi solo tre”.

Non sarà questione di numeri, vuol dire che era meglio concludere l’accordo con Patto Civico? “E’ stato un vero peccato non concludere l’accordo. Quando si costruisce un fosso, sia dall’una che dall’altra parte si realizzano gli argini., quindi ci sono state responsabilità in ambo le parti. È stato un peccato non solo perché poi abbiamo perso ma perché c’erano delle convergenze programmatiche evidenti fra noi e Patto Civico che certamente verificheremo e approfondiremo nel corso del mandato amministrativo. Pd e Patto civico sono molto vicini, lo si è visto nei vari confronti fra i candidati che sono stati realizzati”.

Prima di procedere Sabrina Vescovi si vuole concedere il piacere di alcune puntualizzazioni. “Il centrosinistra, da solo, ha quasi vinto; con una coalizione strettissima, con due liste civiche promosse all’ultimo momento abbiamo sfiorato la vittoria. Poco più di 400 voti su oltre 16 mila votanti sono un differenza irrisoria. Oltretutto avevamo un vento nazionale sfavorevole, un sentimento anti Pd molto diffuso fra le persone. Se fossimo riusciti ad allargare il campo, avremmo vinto”.

Sta di fatto che non l’avete fatto o non ci siete riusciti. “Abbiamo commesso un errore tattico. La strategia era chiara, la direzione aveva votato per l’accordo con Patto Civico. Dove abbiamo sbagliato? Una volta verificato che non si concludeva l’accordo con Pizzolante e Conti, dovevamo promuovere noi una lista civica che parlasse al mondo dell’imprenditoria turistica e al mondo dell’economia. Una lista capace di parlare a questo mondo senza farlo dall’interno di un partito che comunque ha governato per 70 anni e quindi si porta appresso scorie e difficoltà di rapporto. Se invece avessimo costruito una lista con l’imprenditoria più energica e più attiva, avremmo dato un segnale di apertura importante. E avremmo vinto. Non bisogna dimenticare che al ballottaggio, con meno votanti, abbiamo preso più voti che nel 2014, con un Pd che allora era al 41 per cento ed adesso è al 28. Sono riuscita a ridare entusiasmo all’elettorato di centrosinistra, ma non è bastato”.

Forse un altro errore è stata la mancanza di chiarezza al ballottaggio. “Io ero per un accordo politico trasparente con Patto Civico. Ma non è stato voluto. E il perché dovrebbero spiegarlo loro. La necessità di un allargamento non aveva solo ragioni elettorali, ma era dettata dall’esigenza di una compiuta rappresentanza della città”.

La palla torna al Pd, come la deve giocare? “Il Pd ha bisogno di fare un passaggio di apertura. Non deve più concepirsi come una forza consolidata, con le proprie ritualità, i propri organismi, i passaggi in segreteria e in direzione… Ad un certo punto in campagna elettorale ho smesso di usare la parola partito perché avvertivo che era bloccante. Dobbiamo essere una forza politica più libera di autodeterminarsi nella nostra città. Ho avvertito come la storia del Trc sia molto viva, ma più per l’opera in sé per la modalità con cui è stata realizzata, percepita come una imposizione”

Quindi è stato un errore anche insistere che Riccione doveva uscire dall’isolamento, che doveva recuperare un rapporto con Rimini e con Bologna. “Se la Tosi oggi dice che bisogna uscire dall’isolamento sulla Notte Rosa, va tutto bene, se l’avessi detto io, si sarebbe gridato allo scandalo. La Tosi può abbracciare Gnassi e non succede niente, l’avessi fatto io sarebbe stato una tragedia. Sarebbe stata la conferma di un Pd incapace di autodeterminarsi nelle scelte. Non è così, mi avessero imposto qualcosa non mi sarei candidata, ma scatta questo riflesso condizionato atavico”.

Quindi cosa deve fare adesso il Pd di Riccione? “Dobbiamo rinnovare le proposte di governo per questa città espresse in campagne elettorale. Al di là della manciata di voti che ci sono mancati, la città ha apprezzato la proposta politica. Il sindaco uscente, il sindaco del cambiamento, alla sua seconda sfida ha rischiato di perdere le elezioni con un Pd diviso e lacerato. Dobbiamo aprirci alla città e smetterla di usare un codice e un linguaggio che non sono compresi. Dobbiamo proseguire sulla strada unitaria, lasciando alle spalle le divisioni e le notti dei lunghi coltelli. Chi dirigerà il Pd nel prossimo futuro non dovrà pensare nemmeno per un secondo a un sentimento di autosufficienza del partito”.

Si è purtroppo interrotto subito il dibattito politico sulle recenti elezioni amministrative che nella nostra provincia hanno sancito per il Pd la sconfitta in tre Comuni (Riccione, Coriano e Morciano). È un peccato perché i temi che sono stati sollevati non sono ininfluenti per una riflessione seria, sia a sinistra che a destra.

In particolare il tema del civismo ha assunto, a sinistra, il ruolo di argomento divisivo. Il segretario del Pd, Juri Magrini, che ad ogni elezione colleziona sconfitte, ha sostenuto, in polemica con l’on. Sergio Pizzolante, che questa storia lo ha stancato. Magrini nero su bianco ha così apostrofato l’inventore del Patto Civico a Rimini e a Riccione: “La patente di civismo non la puoi avere tu, non la puoi dare tu, per quello che rappresenti nella politica odierna ed hai rappresentato negli ultimi 30 anni in quella riminese. Il civismo non sono gli esponenti politici che si riciclano da una parte all’altra,che passano da governi di destra e di sinistra nazionali e locali con disinvoltura”. Per Magrini, il civismo, se esiste, è nascosto in quel 50 per cento di elettori che non vanno più a votare e che il Pd deve riconquistare.

Tutta diversa l’impostazione dell’on. Tiziano Arlotti, deputato Pd, e del sindaco di Rimini, Andrea Gnassi. Quest’ultimo, in compagnia dei colleghi di Cesena e di Forlì, ha diffuso una nota in cui si auspica “Un PD perno di un progetto riformatore che si allarga, da un lato a sinistra a un civismo sociale e dall’altro, con coraggio, curiosità e lungimiranza, ad un civismo dell’intraprendere, dell’impresa, delle professioni. Un allargamento non centrato su alleanze politiciste o accordi elettorali immediatamente percepiti come ‘di plastica’ e dunque con scarsa o nessuna capacità espansiva, ma centrato su idee dichiarate di città e di Paese, capaci di dialogare e includere forze dinamiche e attive nelle nostre comunità”.

È evidente che la discussione sul civismo nasconde in realtà una divergenza di fondo sulla natura e sulla mission futura del Pd. Se i convinti sostenitori dell’alleanza con Patto Civico pensano che il Pd può rimanere forza di governo, sia a Rimini che a Roma, solo aprendosi a queste forze, Magrini e i suoi supporter ipotizzano invece un partito saldamente ancorato ai valori storici e tradizionali della sinistra, non disposto a farsi contaminare da alleanze che non rientrano nel proprio Dna. L’apertura e l’allargamento dunque la si può praticare solo a sinistra, riunendo tutte le forze disperse, così come è stato fatto a Riccione. Ma si è visto con quale risultato.

Paradossalmente, Magrini, dal suo punto di vista ha perfettamente ragione: Patto Civico, così come si è proposto a Rimini e a Riccione, non ha nulla a che fare con un civismo ‘puro’, ammesso che esista. O comunque con il civismo, per esempio, espresso nel 2014 da Noi Riccionesi e riproposto in queste elezioni anche con la lista di Renata Tosi (detto per inciso: i partiti di centrodestra che hanno cantato vittoria sappiano che a vincere a Riccione è stata Renata Tosi e le sue liste civiche, loro hanno solo fatto la scelta dell’alleanza giusta). E neppure ha nulla a che vedere con il civismo riminese alle ultime elezioni tentato dai cosiddetti “curiali” o da quello che si è ritrovato intorno alla candidatura dell’ex grillino Luigi Camporesi.

A Rimini Patto Civico è nato per dare una lista a quanti auspicavano una riconferma di Gnassi e non sarebbero mai riusciti a mettere la croce sul simbolo del Pd o di una lista comunque di sinistra. Sull’onda del successo ottenuto nel capoluogo, Pizzolante ha pensato bene di ripetere l’operazione a Riccione, affrettata dall’improvvisa caduta della Tosi per mano notarile. Lo schema iniziale dell’operazione prevedeva un’alleanza con il Pd già al primo turno, ma poi il gioco dei veti lo ha impedito. Il nucleo fondante del Patto Civico di Riccione è un qualificato pezzo di ceto politico: parte dei consiglieri che hanno fatto cadere la Tosi, Fabio Ubaldi, ex candidato perdente uscito dal Pd, Carlo Conti, ex assessore della giunta precedente, insieme a personaggi del calibro di Luciano Tirincanti e Terzo Pierani. Cosa ha di civico tutto questo? Ha ragione Magrini: niente.

Tuttavia così dicendo il segretario del Pd non coglie il nocciolo della questione. Ciò che Pizzolante ha colto e lo ha posto come base del suo progetto politico è il deficit di rappresentanza che nel nostro territorio tocca una buona fetta di elettorato, rimasta orfana dei partiti di centrodestra o di un Pci, che al contrario del Pd, era capace di unire slogan di sinistra e pragmatismo economico. È un elettorato composto da piccoli imprenditori, commercianti, albergatori, professionisti. Di fronte a costoro Pizzolante si è posto come il garante di un rapporto con il Pd capace di difendere i loro interessi. E lo può fare grazie a quel pedigree che proprio gli contesta Magrini, con un provenienza non comunista ma certo non di destra e una cultura politica che per comodità potremmo chiamare moderata e liberale.

Se non si capisce che il successo di Pizzolante sta nell’aver intercettato questo deficit di rappresentanza, la discussione si avvia per forza di cose su un binario morto. Certo il Pd può respingere l’alleanza con queste forze, ma poi deve dimostrare di essere capace di rappresentare autonomamente le istanze che portano. Di esserlo cioè rispetto a una idea di città che esse possano condividere.

La verità è che spigolare sulla priorità del soggetto (civico o politico) rispetto al progetto di città che si vuole realizzare è esattamente l’atteggiamento che dimostra quanto si sia lontani dalle esigenze e dalle urgenze dei propri concittadini. Tanto che a Riccione l’atto di ricercata purezza del Pd e della Vescovi nel rinunciare all’accordo con Pizzolante ha comunicato non una idea di politica alta, di identità valoriale definita, ma solo una autoreferenzialità non più giustificabile oggi. Una sorta di “noi ci bastiamo da soli”, che - soprattutto a livello amministrativo - appare arcaico e anacronistico.

Contrordine compagni, avrebbe scritto Giovannino Guareschi. La Notte Rosa non è un prodotto turistico, è piuttosto un media che racconta la Riviera. Chi lo dice? Nientemeno che Andrea Gnassi, sindaco di Rimini, che le cronache ricordano sempre come l’inventore del capodanno estivo.

La svolta è contenuta in una intervista rilasciata al Carlino nei giorni scorsi. Ed è bene non passarla sotto silenzio alla vigilia dell’evento e del post-evento, quando, verisimilmente, saremo inondati di dichiarazioni trionfalistiche sul successo dell’iniziativa.

Parlare di svolta non è enfatico perché per anni Andrea Gnassi e gli assessori regionali al turismo hanno sempre presentato la Notte Rosa come prodotto turistico, come moltiplicatore di presenze per dare slancio ad un mese di luglio tendente al ribasso. Proprio perché prodotto turistico, sono stati inventati eventi collaterali prima e dopo, in modo che gli albergatori potessero vendere il week end o la settimana rosa. Sforzi inutili, spiega adesso Gnassi: la Notte Rosa non è un prodotto turistico.

È un colossale media per comunicare la Riviera, si dice ora. Sono andate in archivio anche le motivazioni originanti l’evento: l’esigenza di rilanciare il mondo della notte come prodotto di attrazione turistica. Ciò che conta è l’immagine che tramite la Notte Rosa la Riviera offre di sé al pubblico nazionale e internazionale. Se questo è vero, bisognerebbe interrogarsi in profondità per capire se questa Riviera con masse festanti da Comacchio a Cattolica è un’immagine vincente, capace di intercettare i nuovi turisti. Una domanda a cui rispondere non con una pensosa e solitaria riflessione, ma con adeguate indagini di marketing.

Sappiamo però che sottoporre a verifica gli eventi non è un’abitudine praticata dalle nostre parti. Si preferiscono le dichiarazioni enfatiche sui numeri. Occorrerebbe, inoltre, che le istituzioni parlassero un linguaggio unico. Alla conferenza stampa di presentazione si è tornati a presentare la Notte Rosa come prodotto turistico. Addirittura l’assessore regionale al turismo, Andrea Corsini, ha parlato di fatturato di due miliardi e mezzo (realizzato in 11 anni, ma intanto il titolo ad effetto sui giornali era confezionato). Così come si è parlato di due milioni e mezzo di persone partecipanti, nonostante i recenti 220 mila di Vasco Rossi a Modena abbiano reso evidente qual è l’impatto visivo prodotto da numeri reali e certificati.

In Riviera si procede per stime, ottenute non si sa mai con quali criteri. In Emilia Romagna, da Piacenza a Cattolica, ci sono 464 mila posti letto. Come è possibile che allora solo sulla costa ci siano due milioni e mezzo di persone? È evidente che non è possibile. È come se si concentrasse in Riviera qualcosa come il 60 per cento dell’intera popolazione dell’Emilia Romagna. È evidente che l’evento attira (grazie ai concerti gratuiti) ma per decretarne il successo non servono i numeri roboanti. E in ogni caso bisognerebbe capire, ancora una volta, se sono turisti, o escursionisti che non pernottano (non è indifferente per una economia basata sulla vendita dei posti letto).

Allora prodotto turistico o evento mediatico, poco importa, purché si cominci a valutare la Notte Rosa (e gli obiettivi che ad essa vengono assegnati) con criteri scientifici e non spannometrici.

Crac Aeeradria: a pagare saranno gli amministratori della società, i politici, invece, ne escono fuori puliti sotto il profilo penale.

Non crediamo sia una valutazione affrettata rispetto alle decisioni del Gup che ha prosciolto tutti gli imputati, compresi i politici coinvolti, dall’accusa di associazione a delinquere.

Il non luogo a procedere per la grave e infamante accusa non sorprende chi ha sempre considerato abnorme l’ipotesi che l’intera classe dirigente di Rimini si fosse coscientemente messa d’accordo per commettere una lunga serie di reati ai danni di Aeradria. Solo chi coltiva segretamente il miraggio di un’alternativa politica per via giudiziaria (non riuscendo finora a praticarla con la strada maestra delle elezioni) poteva eccitarsi all’idea, giudicata verosimile, di vedere alla sbarra per associazione a delinquere sindaco, ex sindaci, ex presidenti della Provincia e gli altri imputati eccellenti. Costruire un teorema è facile (ne è ricca la storia giudiziaria d’Italia), più difficile è corroborare le accuse con le prove e gli evidenti profitti del reato. Una volta che il procuratore capo ha preso la parola per dire che non un euro è rimasto attaccato alle mani dei politici, è venuto meno il profitto che sarebbe stato ricavato dall’ipotetica associazione a delinquere. Se non c’è il vantaggio economico, quale dovrebbe essere stato il movente? L’accusa parlava di volontà di nascondere il dissesto finanziario di Aeradria. Il giudice ha prosciolto tutti per non aver commesso il fatto.

Spazzando via l’associazione a delinquere, gli imputati eccellenti sono stati di conseguenza prosciolti anche da altri reati (i capi di imputazione prevedevano tutte le lettere dell’alfabeto dalla A alla Z) di cui erano accusati solo in quanto promotori ed organizzatori della famosa associazione a delinquere. I membri del consiglio di amministrazione dovranno invece continuare a risponderne, salvo chi ha già patteggiato la pena. In realtà, anche qualcuno dei politici andrà a processo, ma per fatti ed episodi particolari che, isolati dal contesto, di fatto assumono un impatto diverso presso l’opinione pubblica. Restano in piedi le accuse di concorso in truffa aggravata (caso del piano di marketing con Ryanair) e di accesso abusivo al credito (lettera di patronage).

È quindi prevedibile che la verità giudiziaria sul crac Aeradria, se ai processi ci saranno condanne, veda come responsabili unicamente gli amministratori della società. E la verità giudiziaria – l’esperienza lo documenta – non coincide necessariamente con la verità completa. Nella sentenza del Tribunale non sarà mai scritto che gli amministratori ritenuti responsabili del fallimento della società e dei reati ad esso connessi sono stati voluti e nominati dai politici che ora di fatto escono di scena. Quindi con una responsabilità politica (e strategica) tutta a loro carico.

Non sappiamo (lo auspichiamo) se i prossimi dibattimenti in aula chiariranno chi ha messo in atto quei comportamenti da ‘accanimento terapeutico’ che, nel tentativo disperato di tenere in piedi una società pesantemente in perdita, hanno portato al fallimento e alla bancarotta. Siamo di fronte ad una arrogante protervia degli amministratori o la scelta di tenere comunque in piedi Aeradria è stata in qualche modo avallata, anche tacitamente, dai soci proprietari? La risposta non è di poco conto: i politici resterebbero comunque esenti da responsabili penali, ma non potrebbero raccontare che loro non c’entrano nulla.

Il caso di Aeradria sta tutto qui. E finché non si è chiarito questo punto, resterà sempre difficile parlare di azioni di co-marketing o di contributi pubblici all’attuale gestione privata dell’aeroporto.

Gli ex consiglieri regionaali riminesi del Pdl, Marco Lombardi e Gioenzo Renzi, sono stati rinviati  a giudizio nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Bologna sulle "spese pazze" in Regione. 

Nel giorno in cui ha emesso le prime quattro condanne per chi aveva scelto il rito abbreviato, il Gup ha disposto il rinvio a giudizio per chi non l'aveva richiesto.

Questo è il troncone dell'inchiesta che riguarda il Pdl. Le decisioni sui consiglieri del Pd coinvoltiarriveranno dopo l'estate.

(Rimini) Gli imputati del crac Aeradria non dovranno rispondere di associazione a delinquere, il reato più grave e più infamante di cui erano stati accusati. Il giudice dell'udienza preliminare Vinicio Cantarini ha smontato completamente, per questo reato, il castello dell'accusa disponendo per tutti il non luogo a procedere per non aver commesso il fatto.

La stessa decisione è stata presa per l'accusa false scritture private di cui erano accusati Masini, Vannucci, Giorgetti, Pansica e Rosolen: il fatto non è più previsto dalle legge come reato.

L'ex presidente della Provincia Nando Fabbri è stato salvato, per avvenuta prescrizione, anche dal reato di truffa aggravata (caso Ryanair).

L'ex presidente della Provincia Stefano Vitali, non sarà processato (in quanto non ha commesso il fatto) per false comunicazioni sociai e bancarotta fraudolenta.

 Non luogo a procedere per l'ex sindaco Alberto Ravaioli per l'accusa di false comunicazioni sociali (per non aver commesso il fatto).

Il sindaco Andrea Gnassi non dovrà  rispondere per false comunicazioni sociali (previsto in quattro capi di imputazione), e di bancarotta fraudolenta (per non aver commesso il fatto). E' stato anche parzialmente scagionato dal reato di violazione di alcuni articoli della legge fallimentare, ad eccezione della lettera di patronage (ricorso abusivo al credito).

Stefano Fabbri non sarà processato per la violazione della legge fallimentare (perché il fatto non costituisce reato)

L'ex sindaco di Riccione Massimo Pironi non dovrà rispondere di false comunicazioni sociali (per non aver commesso il fatto).

L'ex presidente della Camera di Commercio, Manlio Maggioli, e il presidente della Fiera, Lorenzo Cagnoni, sono stati scagionati da tutti i reati per non aver commesso il fatto. Restano in piedi la truffa aggravata e la violazioe della legge fallimentare.

Per tutti gli altri reati di cui erano accusati, gli imputati sono stati rinviati a giudizio.  Emerge che il 'non luogo a procedere' non sia stato deciso per i componenti del consiglio d'amministrazione di Aeradria. Cadendo il reato di 'associazione a delinquere', per molti capi di imputazione cade la responsabilità dei politici coinvolti, perchè alcuni reati erano loro addebitati in quanto promotori dell'associazione. Gli amministratori erano invece accusati di aver commesso materialmente il fatto.

 

L'avvocato Allesandro catrani esprime soddisfazione per il proscioglimento di Stefano Fabbri. "Il Gup dottor Vinicio Cantarini ha prosciolto perché il fatto non costituisce reato da ogni accusa il mio assistito dottor Stefano Fabbri, storico partner del noto studio commerciale Skema di Rimini.
La sentenza sancisce finalmente come Skema ed il dottor Stefano Fabbri abbiano agito lecitamente in piena conformità al proprio mandato professionale nel difficile tentativo di salvataggio dell'Aeroporto riminese, senza porre in essere condotte penalmente rilevanti come da sempre, viceversa, sosteneva la pubblica accusa".

L'on Tiziano Arlotti (Pd) ha dichiarato: "Nel pieno rispetto del ruolo della magistratura, non mi sono mai permesso di intervenire sull’attività giudiziaria portata avanti sul caso Aeradria. Ho osservato però come le contestazioni mi paressero abnormi, a partire dall’accusa di associazione per delinquere, un reato gravissimo. Oggi la vicinanza che ho sempre dimostrato agli amministratori locali ha trovato riscontro e quell’accusa viene legittimamente a decadere. Sono convinto ora che nel dibattimento si potranno chiarire ulteriormente anche gli altri aspetti oggetto di contestazione nei confronti degli amministratori pubblici e dei vertici della società".

 

Giovedì, 29 Giugno 2017 15:43

La Rimini metafisica di Ondimar

Ondimar il canto del mare è il primo romanzo del riminese Raffaello Fabbri, uscito in questo mese per le edizioni Agatanew di Foligno, euro 18,00.

1898-1918: giusto gli anni della Belle époque e dell’inferno in cui divamperà; quelli del perbenismo borghese e dello spirito anarchico che nella Romagna dà le prove migliori: la storia passa di qua e lacera la vita di povera gente. Come Anita stramazzata sotto la carica di un cavalleggere, grazie ad un cesareo improvvisato dalla levatrice Rosina sul lastricato di piazza Cavour, partorisce Usèf, uno dei tre fratellastri del romanzo, gli altri sono Pietro e Adelchi: provenienti da tre estrazioni sociali in reciproco odio, allattati alla medesime mammelle di Anna, moglie di Libero e nuora di Svaldo Morri di Borgo San Giuliano, socialista e compagno di Schinazza, anarchico e naturalista, forse un po’ troppo saggio e altruista per non sembrare un mitico hobbit. L’ignobile podestà sottrae la felicità alla bellissima Isotta innamorata del tenente Terenzi, impeccabile servitore dello Stato ma non dell’ipocrisia del potere. Altre decine di personaggi tra cui val la pena ricordare madama Ines la maitresse della Maison ruge in dialogo con Don Nicola sul silenzio di Dio di fronte alla sofferenza degli uomini, dove si gioca il rischio della libertà di ogni uomo.

E’ impossibile dipanare l’intreccio di eventi che da Rimini corre per l‘italietta giolittiana fino a deflagrare nella Grande guerra che cancellerà definitivamente il comune sentire europeo raccontato dal romanzo, dove meditazione metafisica, ricerca scientifica e passioni sfrenate si mescolano senza soluzione di continuità.

Il narratore non molla, sorprendendo il lettore ad ogni piè sospinto: è il ritmo incalzante di una sarabanda in cui l’amarezza di una tragedia infinita si affaccia alle domande della vita con l’umore della commedia felliniana. Una irriguardosa rivolta antiborghese che ama profondamente l’arcaico e il primigenio, dove l’umanità resiste anche quando si lascia sfigurare dalla vendetta più animalesca, sempre in cerca di qualcosa che non trova. Come si chiede Svaldo in uno dei punti focali del racconto,“La sera mi arrivano delle tristezze che non riesco a mandare via neppure col Sangiovese. Non sopporto che le cose finiscano … Vorrei che potesse arrivare un pezzo di tempo nuovo, dove le cose si possono rimediare e le storie che ci sembrano finite possano continuare più belle e più giuste …. Di’ Schiaza, ma us’a propri da murì, par forza? U j sarà pu un ent modi par campé!”

Un agonismo di facce e di storie rimescolato nel sangue della passione politica e sociale, in una Rimini incendiata di bordelli e suite da Grand hotel (Kursaal, Hungaria) in cui coesistono turismo aristocratico e squallore della miseria, profumi marini e umori marci di colera, si mescolano ingiustizie civili e giostre di divertimenti, storie di sacrifici e sogni futuristici - come quello del capitano Pirandello, in città per realizzare una turbina marina -, uomini in cerca di perdono e tromber, esempi di eroismo e di bassa lega, stupri ed evirazioni, caricature di comicità che sprezzano il servilismo dei benpensanti e magoni di dolore irredimibile. Come nella notte in cui Svaldo e Schinazza “stavano remando da ore discutendo del senso dell’esistenza e di dove stava andando il mondo …. si chiedevano se la rivoluzione, per cui erano vissuti …. avesse lasciato un segno”, ma “nella notte le parole dei due vecchi lasciarono solo silenzi senza risposte”. E allora “Vadeviaecul Svaldo. Questo è un mondo senza giustizia … l’Utopia noi non la vedremo, ma il nostro è un vento che non si può fermare”.

Una Rimini affacciata sul mare, dove le domande si perdono fra la nebbia o sotto una luna che richiama più di un film di Federico se non il poeta recanatese.

E poi è il momento dell’altopiano di Asiago dove si sperimenta che anche il nemico può risparmiarmi, ma anche no. Tanti protagonisti sullo stesso piano, in lotta tra dignità e turpitudine.

Oltre alla ricchezza dell’intreccio, l’altra genialità di Fabbri sta nell’osservazione dei paesaggi e delle anime, spesso accompagnata dalla profondità di similitudini, intrise di quello spirito romagnolo condensato nella sintesi dialettale, in grado come poche di esprimere caratteri, emozioni, giudizi, speranze, dolori, autoironie.

Gran bella storia, 250 pagine che si piantano nel cuore come altrettante schegge di buio, di “una notte satura di presenze misteriose che i sensi possono solo sfiorare, capaci di portare l’inquietudine fin dentro le ossa.” 

Alfiero Mariotti                                                                                                                                              

A Riccione ha vinto la narrazione – diventata realtà - con cui Renata Tosi da subito ha impostato la campagna elettorale dopo la congiura di palazzo che l’aveva fatta decadere. È stato interrotto un lavoro, quel lavoro va terminato; il popolo sovrano, la cui volontà è stata calpestata dai traditori, mi restituirà al compito di amministrare Riccione. Era una narrazione semplice, lineare, comprensibile, e infatti è stata compresa e approvata dalla maggioranza degli elettori. Un classico caso di “profezia” che si autoavvera.

Se a questo si aggiunge la forte tempra di combattente che Renata Tosi anche in questa occasione ha dimostrato, ecco che la miscela non poteva non portare alla sua conferma all’incarico di sindaco di Riccione. Non tanto con il senno del poi (la dinamica era prevedibile da subito), ma si può dire che proprio i congiurati portando in quel modo la città alle elezioni anticipate hanno contribuito al nuovo successo della Tosi. Volevano sbarazzarsi di lei, gli elettori hanno deciso di sbarazzarsi di loro. Un classico caso di eterogenesi dei fini.

Oltretutto con la sua rielezione la Tosi ha smentito una prassi che vede spesso le roccaforti della sinistra crollate per mano del centrodestra tornare al colore di un tempo nella successiva tornata elettorale. Ricordate il caso di Giorgio Guazzaloca a Bologna? Se questo a Riccione non è accaduto, è perché la frattura fra la città e il maggior partito della sinistra è talmente profonda e radicata che non è bastata l’accattivante figura di Sabrina Vescovi per rimarginarla.

In questo contesto a Sabrina Vescovi va reso tutto l’onore delle armi. E non solo perché la sua performance al ballottaggio è stata decisamente migliore di quella di Fabio Ubaldi nel 2014: ha preso più voti di lui, nonostante il calo di affluenza alle urne. Anche lei si è dimostrata una combattente appassionata. Il suo punto di debolezza è stato nel mantra ripetuto in ogni momento della campagna elettorale, e ribadito ieri dopo la sconfitta. La Vescovi ha puntato la sua narrazione sulla esigenza di riappacificazione della città dove divisioni e contrasti sarebbero stati alimentati dagli atteggiamenti divisivi della Tosi e del suo blocco sociale. Questo si è rivelato un punto di debolezza perché nella percezione di larga parte della città le principali ferite alla coesione sociale sono venute dal Pd che da tempo (non solo con la scelta imposta del Trc) non sa sintonizzarsi con gli umori e con le esigenze della città. La candidata del Pd ha predicato la pace sociale senza che il suo partito desse reali segnali di discontinuità rispetto al recente passato. Lei si è preoccupata da subito di non avere nemici a sinistra, senza comprendere che avrebbe aumentato le sue possibilità di vittoria solo uscendo decisamente dal cerchio delle sinistre unite. L’abbraccio mortale di un personaggio come Daniele Imola, molto attivo a sostenerla, forse gli ha restituito qualche voto di sinistra in fuga, ma ha confermato all’opinione pubblica l’impressione di un ritorno all’antico.

Paradossalmente l’esito del ballottaggio rafforza ora (in una prospettiva futura, non certo nell’immediato) la posizione di Patto Civico e dell’on. Sergio Pizzolante: vedete – può legittimamente affermare – senza di me non andate più da nessuna parte. Con Patto Civico c’è stato un atteggiamento ambiguo e altalenante. Lo stesso Pd che sdegnosamente ha rifiutato l’alleanza al primo turno per l’ingombrante presenza di Luciano Tirincanti, al ballottaggio ha fatto di tutto per corteggiarlo, ricevendo in cambio un endorsement che sarebbe interessante valutare quanti voti ha portato e quanti ne ha confermati alla Tosi.

La sconfitta della Vescovi mette in risalto lo stato comatoso del Pd nella nostra provincia. Nel 2014 erano stati persi i Comuni di Cattolica (a favore dei 5 Stelle), di Novafeltria e di Pennabilli. In questo turno amministrativo è passato al centrodestra Morciano, mentre Riccione e Coriano, già perdute, hanno confermato i sindaci uscenti. È una sconfitta senza precedenti, che ridisegna la geografia politica della provincia e che non potrà non portare alle dimissioni del segretario Juri Magrini. Il problema per il Pd comunque non è solo cambiare il segretario, ma ritrovare una sintonia nuova con le esigenze della società e formulare una proposta programmatica credibile.

Sì, ha ragione Fabri Fibra. La Molo Street Parade è una figata che solo a Rimini si può fare. La controprova l’hanno offerta quei provinciali e un po’ arretrati di Modena. Sabato 1 luglio ospitano un evento – il concerto di Vasco Rossi – con 220 mila spettatori paganti ed è da un mese che la città è mobilitata per far fronte a un tale eccezionale afflusso di persone. Le hanno pensato tutte sul fronte della sicurezza, dell’accoglienza, della viabilità, dei parcheggi, dei servizi. A Rimini, invece, si radunano, come già nel 2016, ben 200 mila persone per la Molo Street Parade e tutto scorre come fosse un evento di routine. Si leggono le cronache di Modena e si vede un immane sforzo organizzativo perché l’evento possa scorrere, non diciamo senza inciampi, ma in modo almeno accettabile. Si leggono le cronache di Rimini e si apprende che 200 mila persone si sono riversate nell’area vicino al porto come se fosse una serata normale, anche se più affollata. Ha ragione Fabri Fibra, a Rimini siamo dei fenomeni, a Modena sono dei dilettanti che hanno ancora tutto da imparare.

Quest’anno oltre alla solita cifra delle 200 mila persone (non si capisce calcolate come), il Comune di Rimini ci informa che l’area dell’evento era ampia 10 ettari, cioè 100 mila metri quadri. Anche in questo caso non è specificato cosa rientri in questi 10 ettari, ma non c’è bisogno di essere dei grandi matematici per calcolare mezzo metro quadrato per persona. Cioè 200 mila persone stipate come sardine in una spianata deserta senza case, senza negozi, senza alberghi, senza alberi, senza pali della luce. Quando il Comune spara certe cifre, questi semplici calcoli non prova a farli per verificare quanto possa essere credibile l’informazione che diffonde?

Torniamo alle cronache di Modena e apprendiamo che la spianata dove si accomoderanno i 220 paganti per ascoltare Vasco Rossi è vasta 400 mila metri quadrati, cioè quattro volte più la presunta area della Molo Street Parade. Chi va ad applaudire Vasco ha circa due metri quadrati a disposizione per sopravvivere alcune ore ad ascoltare il rocker che festeggia i 40 anni di carriera. A Modena hanno affittato 500 bagni chimici per i bisogni fisiologici dei 220 mila; i 200 mila di Rimini l’hanno fatta tutti in mare o sulla spiaggia libera? Una parte dei 200 mila di Rimini sarà arrivata in treno, ma quanti sono arrivati in auto, immaginiamo per eccesso con quattro persone a bordo, dove hanno parcheggiato le almeno 40/50 mila vetture?

Smettiamola di dare i numeri (anche fra due settimane sulla Notte Rosa). Non è in discussione il successo di pubblico della Molo Street Parade, ma la sua capacità di attrazione di un certo target giovanile è evidente senza bisogno di sparare cifre a caso per coprire la propria continua ansia da prestazione.

Una volta ricondotto il fenomeno alle sue giuste dimensioni, rimane però da rispondere ad un altro importante e ancor più deciso interrogativo: siamo di fronte ad un evento turistico? I presunti 200 mila presenti hanno trascorso la notte in un esercizio ricettivo, hanno approfittato della Molo per regalarsi un week end a Rimini? O invece gran parte del pubblico era formato da escursionisti di prossimità, nell’arco di 100-200 chilometri, che terminato l’evento sono tornati a casa loro? Questi sono i dati reali che potrebbero essere messi a disposizione, non solo della stampa, ma di tutti gli interessati al fenomeno turistico, enti pubblici e operatori privati. Altrimenti, di che si parla?

La domanda di fondo, che rimane inevasa per la Molo e per gli altri eventi, è sul reale indotto economico che essi sono in grado di produrre. Da tempo buongiornoRimini ha documentato che esistono metodologie di analisi, già applicate in altre situazioni, che permettono di valutare il peso economico di un evento per l’economia turistica del territorio. Perché non si comincia a fare qualche studio serio anche sugli eventi di Rimini?

Perché bisogna essere chiari su un punto. Se l’obiettivo di un evento è solo quello di fare della brand popularity, allora basta prendere la rassegna stampa (possibilmente non locale) ed i servizi andati in onda sulle reti Tv nazionali e l’eco che si è sviluppata sul web. Se invece l’obiettivo è quello di realizzare un prodotto turistico (come ci pare venga ripetuto come un mantra), bisogna misurare i risultati con strumenti scientifici e non con l’enfasi del comunicato stampa. Anche perché se la si spara grossa nel 2016 e la si ripete con gli stessi numeri nel 2017, si potrebbe anche osservare che il fenomeno è stazionario e non cresce. Il problema, come speriamo di aver spiegato, è invece un altro.

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