Quando Silvio Berlusconi – il 26 gennaio del 1994 - decise di scendere in campo lanciandosi in politica alla guida di Forza Italia, il commento - quasi unanime – fu, ‘ecco che nasce il partito-azienda’. Il ‘partito di plastica’. Dell’uomo solo al comando. A una ventina abbondante d’anni di distanza, il partito-azienda non è che uno sbiadito ricordo. Pallido pallido. Scolorito – con tutto il suo cotè di ‘nani e ballerine’, ‘ nominati’, o ‘paracadudati’ come si usava dire – nel partito-persona. Ammesso che il partito – come lo abbiamo conosciuto sino a qualche tempo fa – esista ancora.
   Basta guardarsi attorno: il mondo, di quell’insieme di uomini e donne uniti da un comune ideale, da una spinta verso una concezione di società  –  sia di destra, di sinistra, di centro – verso cui camminare fianco a fianco, non sembra proprio che farsene. Meglio il leader, che va avanti tutto d’un pezzo, senza dover mediare troppo.
   In Francia, in pochi mesi, quasi dal nulla, Emmanuel Macron ha ‘tirato su’ un movimento, ‘En marche’, e si è preso tutto: Eliseo e Parlamento. Ha vinto i cuori d’Oltralpe (ora piuttosto freddini raccontano i sondaggi) puntando su se stesso, sulla sua figura di ‘uomo nuovo’,  slegato dalle pastoie partitiche, dall’establishment.
   Dall’altra parte dell’Oceano, Donald Trump, a colpi di ‘America First’, s’è preso la Casa Bianca. Senza un partito alle spalle. Senza l’appoggio del ‘Grand Old Party’, con più di un big repubblicano a voltargli le spalle. Una vittoria – per quanto incredibile alla vigilia – strappata occhieggiando al populismo, al politicamente scorretto. Comunque all’insegna dell’uomo solo contro tutti e soprattutto, nell’immaginario collettivo, libero dai condizionamenti dei partiti e pure da Wall Street  - qualcosa più del giardino di casa, invece – trasformata, a parole, nel salotto di Hillary Clinton. Realtà vissute come il passato. Da guardare con sospetto.
   E da questa parte delle Alpi non è che le cose siano poi tanto diverse. Se il Movimento 5 Stelle sulla distanza con la politica tradizionale ha fondato il suo successo – benchè un’azienda, la Casaleggio  ne sia il motore immobile -, travolgendo tutto e tutti trascinato da Beppe Grillo, inequivocabile guida spirituale  malgrado il mantra ‘uno-vale-uno’, il Partito Democratico, è stato più volte definito il PdR, ossia il Partito di Renzi, con il segretario fiorentino, i suoi ‘gufi’, i suoi ‘rosiconi’ e i suoi ‘ciaone’ a delineare una strada nuova. Abbandonata da D’Alema,  Bersani e i loro  poco inclini all’uomo solo al comando.
   Tra i ‘destri’,  il redivivo e dimagrito Cavaliere torna sulla scena ribadendo la volontà di ergersi a guida, mentre Salvini ha dato nuova linfa alla Lega Nord diventandone, di fatto, volto e cuore. Perché il Carroccio avrà sì i suoi governatori regionali come Zaia e Maroni e una realtà ben radicata sul territorio ma deve all’’uomo con la felpa’, grande parte del ritrovato appeal sull’elettorato.  Che sulla Rete – sia Facebook, Twitter o Instagram – non perde occasione per inneggiare al ‘Capitano'. Mica al partito, al ‘Capitano'.
   Anche la Romagna, nel suo piccolo, ha il proprio uomo solo al comando. Pardon, la donna. A Riccione, dopo avere infranto - tre anni fa - il dominio pluridecennale del centrosinistra, Renata Tosi, si è ripetuta vincendo, di nuovo, il ballottaggio con il Pd. Di fatto senza partiti vecchio stampo.
   Se nel 2014, la nascita della lista 'Noi Riccionesi', l'attacco a testa bassa contro il Trc e l'uso magistrale del Web e dei social network l'aveva portata al successo, questa volta è bastata la sua figura a garantire la vittoria. Se l'America ha avuto 'The Donald', Riccione ha avuto, soprattutto online, 'La Renata', o la renatatosi tutto attaccato.
    Una personalizzazione assoluta della campagna elettorale, e una lontananza dai partiti tradizionali, che ha pagato buoni dividendi se la neonata lista civica Tosi ha ottenuto nelle urne - dal nulla - il 13,3,% e la lista civica 'Noi Riccionesi' oltre l'8%. Se sul Web, oltre alla sempiterna lotta al Trc - madre di tutte le battaglie e fardello insopportabile per il Pd - il mantra è stato 'io sto con la Renata'. Come persona e non come esponente politica o espressione di un partito.
   Bastava scorrere le discussioni online per rendersene conto: da una parte, per gli internauti, c'era una donna, da chiamare confidenzialmente con il proprio nome e dall'altra, la candidata di un partito da cui prendere direttive, manco si fosse a Stalingrado. Una sorta di contrapposizione tra libertà e ortodossia, alimentata a suon di post sulla Rete, che ha funzionato. Eccome se ha funzionato.
   Ché in Romagna, in Italia, da questa e dall'altra parte dell'Oceano, la parola partito sembra avere perso tutto il suo fascino. Ché dal timore di ritrovarci con un partito-azienda siamo finiti dritti dritti al partito-persona.
   Riccione docet. E vediamo cosa succederà alle prossime politiche. Ormai dietro l'angolo.

Gianluca Angelini

dal blog Pendolarità

Stando alla legge, il Comune dovrebbe disfarsi della partecipazione (5 per cento) che ancora detiene in Rimini Terme, la società che gestisce il talassoterapico. L’attività di talassoterapia non rientra fra le attività ammesse dal decreto che obbliga i Comuni a redigere entro il 30 settembre un piano di revisione straordinaria delle proprie partecipazioni. Quindi la scelta più coerente che dovrebbe fare il Comune sarebbe quella di mettere sul mercato anche quel residuale 5 per cento. Al contrario l’amministrazione ha deciso di recuperare pienamente il controllo della società e solo a quel punto metterla in vendita.

Nell’epoca delle privatizzazioni, avremo un caso forse unico di ri-pubblicizzazione di una società privatizzata solo qualche anno prima. Per capire il paradosso, bisogna ricordare brevemente la storia. Nel 2005 il Comune di Rimini cedette il 94 per cento delle azioni a Coopsette, individuata come il soggetto per realizzare il “polo del benessere e della salute”, che comprendeva, oltre allo storico talassoterapico, anche l’ex colonia Novarese. Poiché entro il 31 dicembre del 2012 del famoso polo non c’era neppure l’ombra (Coopsette ha cominciato a navigare in cattive acque fino al punto di finire in liquidazione coatta), il Comune ha avviato un contenzioso arbitrale, ancora in corso, che ha l’obiettivo di tornare in possesso del 77 per cento delle azioni della società. Perché non il 94 per cento? Perché nel frattempo Coopsette aveva ceduto una piccola quota ad altro soggetto. Quando il Comune tornerà ad avere il controllo della società (l’82 per cento), farà un bando per vender ad un soggetto privato l’intera partecipazione. Fra le condizioni poste a carico del privato, c’è quella, fondamentale, di portare a termine il progetto del polo del benessere e della salute. Nel piano che è passato nei giorni scorsi in commissione e che sarà presto portato all’esame del consiglio comunale, si puntualizza che la partecipazione in tale società è quindi uno strumento imprescindibile per la valorizzazione del territorio di Miramare.

Ma questa ri-pubblicizzazione della società è un’operazione che si può fare? L’amministrazione scrive testualmente che essa è «puntualmente formalmente incompatibile con il dettato normativo», tuttavia sarebbe però «coerente con i fini (“prevalenti” rispetto al puntuale e formale rispetto della norma) della “efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche” e della “razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica”. Sembra di capire che questo è il ragionamento di Palazzo Garampi: noi possiamo anche disfarci del 5 per cento, però il progetto di riqualificazione dell’area di confine con Riccione rimane lettera morta: è conveniente per il bene pubblico una scelta di questo genere? A questa domanda si può replicare con un’altra domanda: siete certi che una volta rientrati in possesso della società, troverete l’imprenditore che decide di investire e che ritiene un polo del benessere a Miramare un business interessante? I tempi non sono una variabile trascurabile: ciò che era vero nel 2005, lo è ancora nel prossimo decennio?

Che questa interpretazione “politica” della norma corra comunque su un equilibrio instabile lo avverte anche il Comune che nella relazione assicura che tutto sarà inviato alla Corte dei Conti, all’Antitrust e in ogni caso dovrà passare da un voto del consiglio comunale. Certo che in tempi di legalismo imperante e di grillismo come mentalità dominante sono pochi quegli amministratori che decidono di scommettere su un’ipotesi ritenuta positiva per la propria città.

Ad una interpretazione creativa delle norme il Comune ricorre anche a proposito della società Rimini Congressi, che detiene il 65,07 per cento del capitale IEG, la società della Fiera. Non avendo dipendenti e avendo un fatturato annuo inferiore ai 500 mila euro, potrebbe ricadere fra quelle scatole vuote improduttive di cui la legge chiede la soppressione. Secondo il Comune «tale obbligo non sembra sussistere, in quanto, nella realtà sostanziale dei fatti, la società non ha dipendenti e fatturato “minimi” se considerata autonomamente, ma, al contrario, li possiede ed anzi li supera abbondantemente, entrambi, se, come appare ragionevole, viene considerata nella sua reale funzione di “holding pura”, capogruppo di un gruppo societario, che, al contrario, ha 346 dipendenti e un fatturato consolidato superiore ai 69 milioni di euro».

Dal piano straordinario (che prevede la vendita del 25 per cento residuale delle farmacie comunali e la dismissione di Rimini Reservation), si apprende che si andrà ad una fusione per incorporazione fra Rimini Congressi e la Società del Palazzo, quella costituita per realizzare l’astronave di via della Fiera. L’operazione però non sarà fatta subito, si aspetta la quotazione in borsa di IEG, perché la società della fiera possiede azioni della Società del Palazzo e ciò provocherebbe qualche inconveniente amministrativo.

Ricordate il confronto fra il concerto di Vasco Rossi a Modena e la Molo Street Parade di Rimini? Secondo il Comune di Rimini c’erano state200 mila persone che si erano divertite a dj set & sardoncino, poco meno dei partecipanti al concerto di Vasco che, come mostravano inequivocabili le foto, si teneva in un’area quattro volte più vasta del triangolo del porto.

Ora sappiamo che al concerto di Vasco Rossi c’erano 243.895 persone, i 220 mila paganti più il personale di servizio, gli addetti alla sicurezza, le forze dell’ordine, i bambini che non pagavano. Chi le ha contate? Vodafone. Vodafone, la società telefonica? Sissignori, proprio lei. E come ha fatto? Mistero, anzi potenza dei Big Data, elaborati da Vodafone Analytics. Sappiamo tutti che seguendo il nostro smartphone, chiunque sarebbe in grado di sapere dove siamo stati, quanto tempo ci siamo stati, dove ci siamo spostati. Grazie alle proprie reti, che coprono il 97 per cento della popolazione italiana, Vodafone è in grado di avere tutti questi dati, in modo rigorosamente anonimo e nell’assoluto rispetto della privacy. Sommati questi dati uno all’altro, ecco che si può sapere, con un piccolo margine di errore, quante persone ci sono in un luogo in una determinata ora.

La società telefonica ha usato l’evento di Modena per testare questa sofisticata tecnologia ed i risultati sono certamente sorprendenti. Li ha comunicati il responsabile Filippo De Vita in un'intervista al Resto del Carlino. Non solo si è saputo quanti erano i fans di Vasco, ma anche che il 95% arrivava dall’Italia, soprattutto dalle regioni del Nord, e che un terzo degli stranieri era svizzero. L’algoritmo che gestisce i Big Data è riuscito a dire anche con quale mezzo di trasporto gli spettatori del concerto sono arrivati a Modena, quanto tempo vi sono rimasti, ed ha anche calcolato quanto vi hanno speso (in questa ovviamente è una stima, ma basata su un numero reale di persone). Vodafone Analytics è stato in grado di dire che 24.200 persone hanno dormito a Modena almeno una notte fra il 30 giugno e il 2 luglio.

Tutto questo interessa Rimini, e molto. Più di una volta, BuongiornoRimini ha preso di mira la metodologia a spanne con cui il Comune ed anche la Regione (per la Notte Rosa) forniscono i dati sulla partecipazione agli eventi. C’è molta gente alla Molo Street Parade? Duecentomila persone. La Notte Rosa è stata un successo: due milioni di partecipanti da Comacchio a Pesaro, tanto chi può dire il contrario?

Questo modo di sparare cifre roboanti a caso solo per accreditare il successo degli eventi, in realtà nuoce agli eventi stessi e alla loro possibilità di maturazione e di positiva incidenza sull’economia turistica reale. Gli enti pubblici che destinano ingenti risorse in eventi popolari, hanno il dovere di sapere qual è il reale ritorno del loro investimento. E i cittadini hanno il diritto di chiedere alle amministrazioni pubbliche una gestione oculata delle risorse, sottoposta a verifiche che non siano spannometriche. Cosa c’è di più importante che sapere da dove sono arrivati gli avventori della Molo Street Parade, in quanti hanno dormito a Rimini, dove e come hanno speso? La conoscenza di questi dati è comunque un vantaggio strategico anche se accompagnato dal probabile ridimensionamento delle cifre che sono state sparate in questi anni.

Non sappiamo quali siano i costi del servizio fornito da Vodafone, ma si può presumere che sia assolutamente alla portata della pubblica amministrazione. Anche perché sarebbe una spesa finalizzata a spendere meglio negli anni successivi, e quindi in ogni caso utile. Qualche anno fa servizi di questo tipo non esistevano, e la spannometria, per quanto non esatta, era comunque una scienza lecita. Ora che questi servizi sono disponibili, la spannometria diventa scelta di cattiva amministrazione. C’è il rischio che vengano smentite le rosee narrazioni di questi anni? Può darsi, nessuno le ricorderà più se si intraprenderà la strada di una seria politica degli eventi.

È una candidatura che non è una candidatura, al massimo è una minaccia di candidatura. È uno di quei giochetti politici che si usavano quando la politica era in gran spolvero. Adesso fa impressione vederlo usare da Magrini, anche se forse il suggeritore è personaggio di più lunga esperienza politica.

Comunque la campagna congressuale del Pd è stata messa a subbuglio da questa finta discesa in campo del segretario attuale Juri Magrini. Il qual non ha detto che si candida, ha fatto una serie di considerazioni per mandare messaggi a chi poteva capirli e ha concluso: “La mia candidatura entra in campo solo per contrastare chiunque voglia far saltare l'unità e la ricerca di sintesi difficili ma possibili. Insomma la mia candidatura c'è solo se i 'professionisti del trasversalismo' si mettono all'opera per far saltare l'unità”

I nemici di Magrini sono dunque i professionisti del trasversalismo. Quindi il suo è tutto fuorché un siluro alla candidatura di Stefano Giannini, sindaco di Misano Adriatico, candidatura di fatto accettata dall’area Orlando che ha a Rimini come referente l’assessore regionale Emma Petitti. In una intervista del giorno dopo, Magrini ha detto esplicitamente che Giannini va più che bene.

Per individuare i nemici di Magrini bisogna dare un’occhiata ai movimenti di Filippo Sacchetti, giovane assessore del Comune di Santarcangelo e, a quanto si dice di lui, sufficientemente ambizioso per tentare la scalata a segretario del partito. In nome di cosa? È presto detto: in nome di un ricambio generazionale che è un argomento che in periodo di crisi trova sempre un buon numero di seguaci. A quanto pare il giovane Sacchetti ha provato a fare il giro delle sette (forse molte di più) chiesuole e conventicole del Pd per trovare appoggi alla propria candidatura giovanile e potenzialmente trasversale. E sembra che a dargli un po’di filo da tessere abbia trovato quel Lino Gobbi grande architetto, insieme a Riccardo Fabbri, dell’operazione Patto Civico con Pizzolante. Lino Gobbi, Patto Civico, Pizzolante sono argomenti che fanno venire l’orticaria a Magrini e all’area politica di riferimento che ha come nume tutelare Maurizio Melucci. Se possibile, Gobbi e Pizzolante, non li vogliono vedere manco in fotografia.

Bisognava bloccare sul nascere questa nuova ventata di protagonismo di Lino Gobbi, impedire che si aprisse il vaso di Pandora dove soffiano impetuose le correnti del Pd, e l’uscita domenicale di Magrini, chiara solo agli addetti ai lavori, aveva questo scopo. Per capire se lo abbia raggiunto bisogna attendere i prossimi giorni e in particolare il 2 ottobre che è il termine ultimo per la presentazione delle candidature. Ma è probabile che si ritorni all’ipotesi di partenza: convergenza su Giannini.

Ma poi, di queste donne violate, alla fine, ‘frega’ davvero qualcosa a qualcuno? No, perché, a sfogliare un giornale, a scorrazzare in lungo e in largo sulla Rete, non sembrano essere la pietas, la compassione, i sentimenti dominanti.
A Rimini una giovane turista polacca - mentre l'amico è pestato a sangue sulla spiaggia - viene brutalmente violentata da quattro uomini che riservano lo stesso trattamento belluino ad una transessuale peruviana. Il Paese, sconvolto, inorridisce.
E subito si divide. Perché, oltre alla rabbia per gli stupri commessi, cresce – immediatamente e senza freni - quella per la provenienza dei quattro. Tutti africani: due marocchini, un nigeriano e un congolese, si scoprirà. Non si fa in tempo a leggere la notizia battuta dalla agenzie di stampa, che parlano di autori ‘forse stranieri’ e parte il fuoco di fila
Dei navigatori sui social media. E pure di alcuni quotidiani tradizionali: ‘perché non si vuol dire fin da subito che non sono italiani i quattro del ‘branco’? E’ la domanda che rimbalza sulla Rete. E che riempie le bacheche. Mentre le vittime delle violenze restano sullo sfondo, lo stupro – gesto di inaudita crudeltà che annulla, degrada, lascia cicatrici indelebili - diventa una sorta di pretesto per parlare - con livore debordante - d’altro: di immigrazione e della sua regolamentazione. Dei ‘buonisti’, scrivono imbufaliti, che portano la Patria allo sfascio. Della presidente della Camera e delle sue ‘risorse’, ri-scrivono imbufaliti, che non commenta o che non commenta come vorrebbe il popolo internettiano.


Per tacere della politica. Che, sulla vicenda, non perde tempo a sciorinare la propria propaganda. Nei giorni successivi ai fatti riminesi, nella città romagnola, una manifestazione di solidarietà e sostegno nei confronti della turista polacca e dell'amico aggrediti dal 'branco'. Come la donna transessuale sudamericana. Cui, però, è stata dedicata nemmeno una parola. Ignorata, malgrado gli investigatori abbiano esaltato il suo ruolo, prezioso, nello stringere il cerchio attorno agli stupratori. Ignorata. Più o meno da tutti. Fatta salva la clientela del mondo della prostituzione, così curiosa di sapere su quali strade esercitasse la sua professione.
Arrestati i quattro, su un quotidiano, compaiono estratti dei verbali della testimonianza della giovane polacca. Virgolettati crudi. Terribili. Dettagli raccapriccianti. Dati in pasto all’opinione pubblica. Così da ingrossare ancor di più - se ce ne fosse stato bisogno - l'onda montante di sdegno e furia. Senza curarsi minimamente della vittima della violenza. Del suo decoro. Della sua persona. Del desiderio di una ragazza - così raccontava chi le aveva fatto visita in ospedale - di far scendere l'oblio sulla vicenda. Terrorizzata dall'idea di poter essere riconosciuta nel proprio Paese, il pensiero più pesante da sopportare. Violata ancora una volta mettendo su carta, parole che amplificano lo 'schifo' come se lo stupro non fosse già da solo sufficiente a spiegarlo quello 'schifo', come se ci fosse bisogno di un rinforzo per chiarire meglio il concetto.
A Firenze, nei giorni scorsi, due giovani studentesse americane raccontano di essere state violentate da due Carabinieri. Anche stavolta il Paese, sconvolto, inorridisce. Pure stavolta si divide. Fatica a credere che uomini dell'Arma possano avere fatto una cosa del genere. E, in attesa, di certezze su quel che possa essere realmente accaduto, riversa tutto il suo smarrimento sul Web.


Tra voci di una assicurazione sullo stupro contratta dalle due statunitensi - poi smentite dal loro legale - e statistiche, rilanciate da alcuni giornali, secondo cui risulterebbero, a Firenze 150-200 denunce di violenza all’anno, e che il 90 per cento risulterebbe falso. Circostanze negate dalla Questura della città toscana. Ma che gonfiano le vele dei naviganti digitali molti dei quali - dalla tastiera del loro computer - non perdono l'occasione, visto lo stato di ebbrezza delle ragazze americane, per arrivare a dire, più o meno velatamente, che, tutto sommato, un po' le due se l'erano cercata. Loro. Mentre il primo cittadino della culla del Rinascimento, stigmatizzando quanto accaduto e chiedendo chiarezza non ha mancato di sottolineare come la sua non sia la città dello sballo per studenti, attirandosi critiche da più parti.
In un quadro, quello di queste settimane, piuttosto avvilente con gli hashtag #stuprorimini e #stuprofirenze, quasi a rivaleggiare online. Come se ci di trovasse in un derby. Macabro. In cui perdono tutti. In cui perdiamo tutti: giornalisti, avventori della Rete, semplici spettatori. E le donne violate e violate ancora. Ammesso che ancora, di loro, freghi qualcosa a qualcuno.

Gianluca Angelini

dal blog Pendolarità

Martedì, 12 Settembre 2017 14:02

Incontro sull'Islam con padre Samir

Per approfondire il tema dell'Islam e la sfida che esso rappresenta per l'Occidente, la Fondazione Giovanni Paolo II ha organizzato a Rimini un incontro con il gesuita Samir Khalil Samir, docente al Pontificio Istituto Orientale e all'Università Saint Joseph di Beirut, uno dei massimi esperti viventi di Islam e di orente cristiano.

L'incontro si svolgerà martedì 12 settembre alle ore 21,15 nella Sala Incontri della parrocchia di San Giuseppe al porto.

Il titolo dell'incontro è: L'islam e la sfida all'Occidente.

Sabato, 09 Settembre 2017 13:58

9 settembre

1700 bambini senza vaccini | Famiglia riminese barricata in Florida

Sabato, 09 Settembre 2017 13:56

8 settembre

Caso di Zika | Prelevato il Dna al "branco" | Al via la Motogp

Giovedì, 07 Settembre 2017 11:08

7 settembre

Butungu ci aveva provato altre volte | Il 13° scudetto dei Pirati | Pd, Giannini in campo

L’area Renzi (uscita vincente anche a Rimini all’ultimo congresso nazionale) cha andidato Stefano Giannini, 61 anni, sindaco di Misano Adriatico, a segretario provinciale del Pd. L’obiettivo (e la speranza) è che su questo nome possa convergere tutto il partito, anche se qualche prima reazione è un po’ stonata. Scrive ad esempio il sindaco di Gemmano Riziero Santi: “La componente renziana si è legittimamente riunita per decidere programma e candidato segretario della Federazione. Auguro un buon lavoro al collega Giannini, ce n'è bisogno. La componente orlandiana si riunirà legittimamente per orientarsi sul che fare. La conferenza programmatica è svuotata di significato. Siamo già oltre”.

Nella conferenza stampa di lancio della candidatura, il consigliere regionale Giorgio Pruccoli ha spiegato che il nome di Giannini è emerso come naturale espressione dei temi che l’area Renzi proporrà alla conferenza programmatica (che comincia sabato prossimo) e al congresso di ottobre.

Secondo Pruccoli due sono i temi centrali: la necessità di politiche di sistema e di area vasta in settori delicati come acqua, trasporti, rifiuti, sanità, e Giannini come sindaco in questi anni ha molto lavorato per tessere i fili della coesione fra i territori; il Pd locale esce dal recente turno amministrativo in stato di sofferenza, soprattutto nella zona sud dove sono stati persi Comuni importanti, e Giannini rappresenta proprio quell’area della provincia.

Il documento programmatico varato dall’area Renzi non è stato consegnato alla stampa, ma il candidato in pectore non si è sottratto all’esigenza di indicare i punti principali. Il punto di partenza è il risultato deludente delle amministrative, dovuto a errori sulla lettura dei bisogni e sulle alleanze, è pertanto urgente un lavoro di ricucitura con la società civile, nella certezza che il Pd non dovrà mai più considerarsi partito autosufficiente e autoreferenziale. Dovrà invece essere quanto mai aperto a quello che Giannini chiama il mondo del fare, cioè l’attività imprenditoriale e il volontariato. Il suo Pd seguirà la linea di un’alleanza con il civismo sociale e con il civismo di imprese e professioni. Par di capire che, se sarà eletto, non avremo più un segretario del Pd (vedi Magrini) che polemizza con l’on. Sergio Pizzolante, promotore della lista civica che ha consentito a Rimini l’elezione di Gnassi al primo turno. Giannini comunque avverte che non c’è solo il modello Rimini: lui a Misano da tempo si è mosso nella stessa direzione, su undici consiglieri della sua maggioranza, solo cinque hanno la tessera del Pd.

Giannini spiega anche di aver accettato la candidatura perché spera in questo modo di coinvolgere nella futura segreteria qualche giovane amministratore che ha bisogno di farsi le ossa e di acquisire le necessarie competenze per poter affrontare le nuove sfide dei problemi locali in un’ottica di area vasta. Alle elezioni del 2019 non si potrà ricandidare a sindaco e quindi è pronto a mettere a disposizione la sua esperienza per far crescere un gruppo di giovani.

Quando gli si chiede se il congresso potrà essere unitario, risponde che la sintesi fra le diverse anime del partito è una necessità e che se si parte dai programmi, non si potrà poi che arrivare alla convergenza anche su nome. E precisa: “Non mi sono mai sottratto alle battaglie ma non sono un divisivo. Quando è il momento di gestire e amministrare, so includere e coinvolgere”.

A questo punto è l’area Orlando che deve fare la prossima mossa.

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