GS a Rimini e la crisi del '68: una storia tutta da scrivere
Al convegno su “La scuola di tutti”, organizzato da GS (Gioventù Studentesca) il 7 aprile 1968 nella sala dell’Arengo, parteciperono circa ottocento persone, fra studenti, docenti e genitori. A settembre, nella consueta tre giorni di ripresa della vita comunitaria di GS, a Gabicce si ritrovarono in una trentina. Di mezzo c’era stato il Sessantotto. La più vivace e partecipata forma di aggregazione giovanile nelle scuole riminesi era stata travolta dal quel movimento studentesco che i suoi stessi quadri e militanti avevano alimentato.
A Rimini il ’68 degli studenti, il libro curato da Fabio Bruschi ed edito da Panozzo, documenta con molte notizie e particolari il coinvolgimento di Gioventù Studentesca nel “movimento” (come tout court lo si chiamava) ma si arresta davanti a un giacimento che lascia incuriosito il lettore. «Sul “lungo addio” di GS, dall’ottobre ’67 all’estate ’68, - scrive Bruschi avviandosi alla conclusione del suo saggio - le carte di don Aldo Amati, allora assistente ecclesiastico del movimento a Rimini, sono di eccezionale importanza, riportando dall’interno, con cura minuziosa, testimonianze, discussioni, punti di vista: meritano una pubblicazione a parte e qui se ne è fatto un uso volutamente limitato». L’archivio di don Amati è custodito nell’Archivio Storico Diocesano di Rimini e aspetta pertanto che qualche studioso lo prenda in esame.
È abbastanza noto come il Sessantotto determinò una crisi all’interno del movimento fondato da don Luigi Giussani, soprattutto a Rimini e a Milano, ma di ciò che accadde in quei convulsi mesi si conoscono soprattutto i racconti dei pochi sopravvissuti giessini che poi continuarono la stessa esperienza in Comunione e Liberazione. Una documentazione “in presa diretta” potrebbe indubbiamente fornire ulteriori e forse inediti elementi di comprensione. All’inizio dell’anno scolastico 1967/68 don Giancarlo Ugolini, il sacerdote che fu dall’inizio sempre accanto a quei ragazzi di Rimini Studenti che a San Leo incontrarono i giessini milanesi in vacanza e diedero vita a GS nella nostra città, fu sostituito dall’autorità ecclesiastica nel ruolo di assistente, e l’incarico fu affidato appunto a don Amati. La GS che si trovò ad affrontare il movimento passato alla storia come Sessantotto era quindi priva della sua storica guida, e probabilmente anche questo è un particolare che può avere avuto una qualche incidenza sull’evoluzione dei fatti.
Fabio Bruschi, probabilmente anche per ragioni autobiografiche (di GS fece parte, sua fu una relazione al citato convegno del 7 aprile), concentra molte delle sue attenzioni sul contributo alla protesta studentesca dato dai giovani cattolici. È una lettura “da sinistra” (il campo politico in cui poi Bruschi si è ritrovato) che contiene molti elementi di novità rispetto ad una pigra e diffusa vulgata. Sostiene infatti che Gioventù Studentesca non può essere assimilata ai vari tentativi di riconquista cattolica della cultura e della società, nel senso di restaurazione di un passato superato. Piuttosto va vista come un tentativo di «ri-costruzione»: «un movimento d’ambiente che partiva dal vissuto dei singoli e dal loro habitat, la scuola». Bruschi vede quindi in GS un fenomeno che unisce al «forte radicamento nella tradizione cattolica, un sapore di novità, di modernità (siamo negli anni della nuova frontiera di J. F.Kennedy) e, non da ultimo, di efficienza». Bruschi azzarda poi un’ipotesi tutta da verificare: a suo giudizio GS sarebbe una versione di “americanismo” nel senso di comunitarismo esistenziale. Il comunitarismo americano (Sandel, MacIntyre, Taylor, ecc.) è in realtà un fenomeno degli ultimi decenni del secolo scorso; al massimo forse si può dire che GS sia stata un’anticipazione, a conferma del suo carattere moderno.
Non stiamo qui a ripercorrere tutte le notizie e i dati che Bruschi fornisce. Sul legame fra GS e il nascente movimento degli studenti è però rivelatore un passaggio di un documento pubblicato nel libro, la relazione dei Gruppi di studio all’assemblea del Liceo Classico Giulio Cesare. Come esempio di autoritarismo praticato dai docenti (uno dei bersagli della contestazione) viene riportato il seguente comportamento: «Il professore insegna secondo una sua interpretazione che non viene messa in discussione e confrontata, quasi mai viene annunciata chiaramente quella che è l’ipotesi culturale. (…) Il metodo adottato dal professore viene presentato come “il” metodo, cioè come l’unico vero e realmente scientifico». C’è in queste righe una chiara eco della critica alla presunta neutralità della scuola di Stato che apparteneva al Dna culturale di Gioventù Studentesca.
Il libro, uscito con eccezionale tempismo, a cinquant’anni esatti, 28 ottobre 1967, dallo sciopero degli studenti dell’ITI che diede vita alla epopea sessantottina, non contiene solo il poderoso saggio di Bruschi. Lo precede uno scritto di Giuseppe Chicchi sulla vita studentesca e associativa alla vigilia del ’68; e lo completano altri saggi di Leonardo Montecchi (girovagando per le strade del movimento), Elisa Gardini (un ritratto dei due presidi affrontati dai contestatori Remigio Pian (Valturio) e Carlo Alberto Balducci, del Giulio Cesare), di Piero Meldini (sull’impatto a Rimini di Lettera a una professoressa di don Milani), Gianfranco Miro Gori (sul cinema dell’epoca), di Jader Viroli (sui miti musicali di quella generazione), di Fabio Tomasetti (su scuole e luoghi della città); un dialogo fra Antonio Mazzoni e Carlo di Gregorio fa il punto sulla scena socio-economica.
Un lavoro pregevole, sicuramente un contributo importante, quasi definitivo. Ci siano permesse due osservazioni, suscitate da una prima lettura. Il tentativo di Bruschi è quello di fotografare la “storia di un inizio”, come recita il sottotitolo di copertina. Tutti i fatti e le notizie che potevano essere trovati, probabilmente le ha scovate. Manca forse il tentativo di spiegare perché da uno sciopero che poteva semplicemente essere una normale rivendicazione sindacale (gli studenti dell’ITI chiedevano che fossero aboliti i rientri pomeridiani per favorire i pendolari) sia poi emerso il Sessantotto. Evidentemente c’era un disagio che covava, un desiderio di novità e di protagonismo che forse andava meglio analizzato.
Un altro interrogativo che rimane inevaso è questo: cosa era accaduto perché dagli scioperi su rivendicazioni di tipo sindacale si passasse (vedi assemblea delle Magistrali del 18 marzo nella palestra dell’ex teatro Galli) a striscioni che recitavano “Qui non si protesta per cambiare la scuola, ma per capovolgere il sistema”?
Valerio Lessi
Spina e Renzi, all'attacco di Gnassi armati di retorica
Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini, recita una “pasquinata” romana a proposito dei danni che fece all’urbe la dinastia dei Barberini. Siamo a Rimini, XXI secolo, e un consigliere comunale dall’antico nome romano, Rufo, si lancia in una veemente catilinaria contro il sindaco Andrea Gnassi, colpevole di aver osato e potuto “laddove nemmeno gli imperatori romani e i papa re si erano avventurati”. E cioè nel più grave dei delitti che si possa commettere sotto il sole: lo stupro di monumenti. Di fronte a tanta sapienza oratoria, dai banchi della maggioranza si leva un ironico applauso. A Roma dileggiavano il potere con le “pasquinate”, a Rimini non siamo da meno con le “spinate”.
Carlo Rufo Spina, capogruppo di Forza Italia, ha appena trentacinque primavere alle spalle, ma la foga oratoria di un avvocato ottocentesco, di quelli che sapevano coniugare l’eloquio forbito con la battuta ad effetto, lasciando senza possibilità di replica i loro interlocutori. Memorabile resta il commento al tuono che si abbatte mentre in consiglio lui sta parlando contro le micro aree per i nomadi. “Anche il cielo esprime la sua indignazione!”. A Carlo Rufo Spina mancano solo il pizzetto e i baffi arricciati all’insù, e lo potresti considerare come l’epigono di un vecchio senatore del Regno d’Italia.
I consiglieri di maggioranza votano contro tutte le sue proposte, in realtà sono segretamente ammirati, e forse anche un po’ invidiosi. L’avessero un oratore del genere fra i compagni, non si dovrebbero affidare alle repliche un po’ dimesse dei loro consiglieri che, per carità, dicono anche cose sensate, ma con lo stile di chi sta ordinando un etto di mortadella al salumiere. E i poveri consiglieri della Lega, prima di farfugliare qualche concetto, non possono esimersi dall’inchinarsi al genio che li sovrasta (sta infatti nel banco più in alto) e riconoscere umilmente che loro non hanno la preparazione culturale di Rufo.
Forse era proprio l’argomento, “lo stupro del Ponte di Tiberio” (traduciamo: i lavori per l’installazione dell’ormai famosa passerella), a riscaldare gli animi e a suggerire di fare ricorso alla più collaudata retorica. Se il giovane Spina tromboneggia con l’immagine di Gnassi che osa e può più di papi e imperatori, il veterano Renzi si lancia in una filippica contro i comunisti che in settant’anni di amministrazione della città, dalla distruzione del Kursaal in poi, hanno sempre fatto scempio della cultura e dei beni monumentali. Non resta sul piano amministrativo, si lancia sull’ideologico, sostenendo che è il progressismo della sinistra che geneticamente mal si accorda con la tutela della memoria storica della città. E se oggi i comunisti non ci sono più, se la prende con gli eredi, affibbiandogli l’etichetta di transgender della politica.
Tra la retorica del Terzo Millennio (Spina) e quella Quarantottesca valida per tutte le stagioni (Renzi), il malcapitato cittadino si aspetta che da sinistra venga resa pan per focaccia. E invece l’assessore Jamil Sadegholvaad legge solo un compitino preparato dagli uffici in cui si sostiene che i lavori sono sotto il controllo costante della Soprintendenza, e se la Soprintendenza non ha nulla da eccepire, vogliono forse eccepire Renzi e Spina? Sissignori, Renzi eccepisce e sostiene che se i beni culturali in Italia sono allo sfascio la colpa è delle Soprintendenze compiacenti. Il cerchio è chiuso, e i consiglieri vanno a casa.
Sandra Sabattini, "la santità che fa venire voglia di vivere"
La sua insegnante di musica restava colpita ed edificata da come scrollava la tovaglia dopo aver sparecchiato la tavola. Le amiche erano conquistate dal sorriso aperto, dalla capacità di accoglienza, dai suoi modi leggeri e profondi, dal suo pregare anche con il corpo. Un’anziana signora, che lei visitava regolarmente per darle sostegno e compagnia alla sua morte si veste a lutto e la piange disperata, tanto da far dire alla madre. “Ma era mia figlia, non la tua!”. L’anziana signora era triste perché ricordava come il suo cuore sobbalzasse dalla gioia già quando la vedeva arrivare a casa sua, di solito un luogo di pena e dolore.
Sandra Sabattini (1961-1983) era davvero La santa della porta accanto, come recita il titolo dei due poderosi volumi che Laila Lucci, docente di scienze bibliche, ha mandato in stampa per i tipi di Sempre, l’editore della Comunità Papa Giovanni XXIII. Sì, perché Sandra era una figlia spirituale di don Oreste Benzi, che aveva incontrato da ragazzina in un campeggio a Casa Madonna delle Vette, quel luogo voluto dal sacerdote dalla tonaca lisa perché i ragazzi avessero un incontro simpatico con Cristo. E per Sandra quell’incontro c’è stato e ha dato forma alla sua giovane esistenza.
L’autrice ha realizzato un’opera monumentale di oltre 700 pagine, impegnando sei anni di lavoro alla ricerca di documenti e testimonianze scritte e orali che fossero utili a costruire il ritratto completo di una giovane strappata prematuramente alla vita terrena a causa di un incidente stradale a Igea Marina. Sfogliando i due volumi, si rimane davvero colpiti dalla meticolosità con cui Lucci è andata alla ricerca di ogni possibile tessera, anche la più piccola, per comporre il mosaico. E il perché è emerso durante l’incontro di presentazione svoltosi mercoledì pomeriggio nel teatro della parrocchia di San Girolamo, a Marina Centro. Giovanni Paolo Ramonda, successore di don Benzi, il vescovo Francesco Lambiasi (che firma la prefazione ai volumi), le due amiche Daniela Santini e Chiara Vitale, la stessa Laila Lucci, tutti hanno in diverso modo sottolineato questa santità quotidiana, assolutamente feriale, da “piccola via” secondo lo spirito di santa Teresina, di cui è stata protagonista Sandra. Per portare in luce questa santità feriale nessun particolare (nemmeno i temi scolastici e i disegni della ragazza) poteva essere trascurato.
Una santità vissuta da giovane ragazza, qual era. “Ridevamo tanto insieme”, ha ricordato l’amica Daniela. Un altro flash che fotografa come “la vita di chi è irresistibilmente attratto da Cristo possa vedere compiersi già su questa terra il proprio desiderio di felicità” (Lambiasi).
Trovando la propria vocazione cristiana nella Comunità Papa Giovanni XXIII, Sandra viveva con fedeltà e precisione l’attenzione alle persone più povere. Aveva anche scelto la facoltà di medicina per gli studi universitari perché pensava che come medico avrebbe potuto alleviare molte sofferenze. Ciò che tuttavia rimane impresso nel cuore della sua figura è quel suo volare spedita verso l’infinito, un volo alto che era anche all’origine della sua generosità e dedizione per gli ultimi.
Sandra non era una consacrata, era fidanzata, e pensava se stessa nella vocazione del matrimonio. Era ciò che entusiasmava don Oreste. Quando parlò di lei al vescovo Francesco appena arrivato in diocesi, il sacerdote disse: “Pensi, se sarà beatificata, sarà la prima beata fidanzata!”. Esistono sante vergini, spose, vedove, ma in effetti ancora non ci sono fidanzate sugli altari. Per la Sabattini si è conclusa la fase diocesana del processo, ora gli atti sono a Roma, dove la Congregazione per la causa dei santi dovrà pronunciarsi sulla eroicità delle virtù, condizione perché sia dichiarata venerabile; per la beatificazione, come sempre, è necessario un miracolo, ovvero una guarigione giudicata inspiegabile dalla scienza medica. Laila Luce nel libro riferisce di nove guarigioni straordinarie ottenute dopo aver pregato chiedendo l’intercessione di Sandra: Stefano Vitali (cancro), don Sisto Ceccarini (cancro), Mirco Pitanti (leucemia linfoide cronica), signroa M.T. (trauma cranico), Elena Florio (miglioramento da varie patologie), Mauretta Ghirardelli (ha partorito una bimba che secondo i medici avrebbe vissuto solo allo stato vegetale, e invece è venuta alla luce sana), la cugina Enrica (tumore al seno), Ivonne Valpondi (uscita da coma irreversibile), Rita Lidoni (timectonia). A quanto risulta, ci sono anche molti altri che affermano di aver ricevuto grazie. Fra tutte, a suo tempo sarà scelta la guarigione da sottoporre all’esame della Congregazione.
Ma l’eredità principale che questa ragazza ha lasciato l’ha riassunta Giovanni Paolo Ramonda: “Ci invita a donarci con gioia lì dove siamo, a vivere l’oggi di Dio nelle circostanze concrete. È bella la santità, ci fa venire la voglia di vivere”.
Valerio Lessi
Zoccarato (Lega), l'oppositore di Gnassi che guarda a Zaia
Il suo idolo politico è Luca Zaia, il governatore del Veneto, e pertanto, dopo il successo del referendum autonomista, il morale è alle stelle. Matteo Zoccarato, consigliere comunale, segretario della Lega Nord di Rimini, dei suoi 30 anni, dieci li ha trascorsi come militante leghista. Una storia di militanza con qualche episodio eroico: nel 2012, quando tutti erano spariti travolti dall’ondata degli scandali, da solo si è preso la briga di fare ogni sabato i gazebo in piazza per cercare di ricostruire il movimento. “Il gazebo me lo sono comprato da solo all’Obi”, precisa. Tanta abnegazione ha portato i suoi frutti: adesso gli iscritti hanno superato quota duecento. “E ci sono una ventina di ragazzi che si danno da fare per la comunicazione e per aggiornare la pagina Facebook”. E mentre serve al tavolino un caffè al cronista, fornisce la battuta di inizio della conversazione: “ Sono un consigliere al servizio del popolo”, esclama divertito.
Allora cerchiamo di capire come concretamente si realizza questo servizio al popolo.
“Da quando sono stato eletto il telefono è sempre bollente. Più tardi devo andare da una tabaccheria a Miramare che mi ha contattato tramite Facebook per comunicarmi i disagi della zona. Perché contattano proprio me?”.
Ha fatto la domanda, si dia la risposta.
“Perché fra i consiglieri della maggioranza non trovano risposte. E forse perché i consiglieri di maggioranza, che pure a Miramare sono presenti, non contano molto. Ormai sono spariti da tutto. Quando andavo ai dibattiti sulle micro aree per i nomadi non si presentava nessuno”.
Pensa che la vostra opposizione sia efficace?
“Noi cerchiamo di mettere sotto i riflettori le criticità di questa amministrazione, sia sotto il profilo ideologico che quello operativo. Il sindaco si fa bello con le sue grandi opere, ma la città è carente dal punto di vista della sicurezza, della legalità, del sociale. La difesa dell’immagine della città fatta dal sindaco è ridicola. Come fa a dire che non c’è un problema dei sicurezza quando ogni giorno è un bollettino di guerra?”.
Voi attaccate sulla sicurezza, da voi e dall’insieme delle forze di centrodestra non emerge però una vision alternativa a quella del sindaco.
“Abbiamo le nostre proposte che cerchiamo di portare avanti. Ma è difficile perché siamo esclusi da tutto. Si ricorderà che per l’evento contro la violenza alle donne non è stata coinvolta la nostra rappresentante in commissione pari opportunità. Grazie a una mia mozione, il consiglio comunale ha dovuto discutere della situazione della viabilità in zona Gaiofana”
Avete la presidenza della commissione di controllo e non si riunisce quasi mai. Nello scorso mandato, quando era in mano alla Franchini dei 5 Stelle, lavorava sodo.
“La commissione si è riunita tre o quattro volte su temi rilevanti. Il presidente è un coordinatore, devono essere anche i consiglieri a sollecitare le riunioni sugli argomenti che ritengono importanti. Se non funziona, la responsabilità è di tutta l’opposizione”.
Quindi concorda con l’impressione che il centrodestra vada avanti in ordine sparso senza costruire un progetto alternativo a quello di Gnassi?
“I miei rapporti con gli altri consiglieri di opposizione sono buoni. Certo è che la situazione è cambiata rispetto a dieci anni fa. I consiglieri non hanno più dietro alle spalle partiti organizzati e strutturati che producono idee. In piazza il sabato ci siamo solo noi, qualche volta si vede Renzi. Camporesi è sparito. Noi prossimamente i gazebo li faremo anche il sabato pomeriggio e la domenica”.
Lei insiste sui gazebo in piazza. In qualche modo dà ragione a chi sostiene che voi nuovi consiglieri leghisti non studiate, non approfondite i contenuti delle delibere, vi affidate agli slogan e tutto finisce lì.
“In realtà vedo che i consiglieri più esperti quando intervengono su una delibera dicono alcune cosette sul merito e poi tornano sui temi che sono il loro cavallo di battaglia, per qualcuno è la Fiera, per un altro è il Parco del Mare, e così via. Hanno i loro chiodi fissi e non si spostano da lì. Io, per esempio, nel dibattito sulle partecipate ho sollevato il problema dell’Amfa. Come pensa il Comune di vendere il proprio residuo 25 per cento per due milioni e mezzo quando l’azienda ogni anno realizza in media un utile di 150 mila euro? Non hanno saputo o potuto rispondermi”.
Beh, anche voi andate avanti per chiodi fissi, per esempio la sicurezza. E, tornando al discorso precedente, una vision alternativa sullo sviluppo della città non emerge.
“Per un progetto alternativo la differenza la fanno le persone. Io sono un leghista vecchio stampa, non mi interessa tanto il centrodestra o la diversità dal centrosinistra. Mi interessano i contenuti. Se si approfondiscono i rapporti fra le persone, potrà nascere anche un progetto coeso. Fino a un anno e mezzo fa neppure li conoscevo gli altri consiglieri. In ogni caso adesso siamo concentrati a fare opposizione. Se tiriamo fuori adesso il nostro progetto, vuol dire che siamo in campagna elettorale. E invece si vota fra quattro anni”.
Dopo i referendum di Lombardia e Veneto, insisterete per l’autonomia della Romagna?
“Il primo passo è ottenere maggiore autonomia per l’intera regione Emilia Romagna. Bisogna creare una spinta dal basso. L’iniziativa del presidente Bornaccini è solo uno scimmiottamento di quello che ha fatto Zaia. Poi, gradualmente, ci batteremo anche per l’autonomia della Romagna come regione. Non ci basta fare una provincia unica come vuole il Pd, lasciando che Bologna decida sempre tutto”.
La sfida del Marano: due vision (Gnassi e Tosi) a confronto
Il caso è emblematico, e per questa ragione vale la pena prenderlo in esame e valutarlo. Non sappiamo che esito avrà l’accenno di dialogo sull’area del Marano fra il sindaco di Rimini Andrea Gnassi e la collega di Riccione Renata Tosi. Si fa a presto a dire villaggio del divertimento stile Ibiza, ma se si comincia a pensare quali investimenti siano necessari per rimettere in sesto ex colonie abbandonate e complessi alberghieri ormai degradati, si capisce che la riuscita dell’impresa avrebbe molto del miracoloso.
In questa fase, pertanto, ci interessa accendere i riflettori sui contenuti dello scambio di battute a mezzo stampa fra i due sindaci. Gnassi ha portato l’attenzione sull’esigenza di sottrarre l’area del Marano al destino di degrado che potrebbe travolgerla. Ex colonie ed ex alberghi potrebbero essere ristrutturati e trasformati in beach hotel, luoghi per la vacanza dei giovani che intorno trovano la spiaggia per il divertimento sotto il sole e i locali per il divertimento notturno. Rimini e Riccione pertanto si devono mettere insieme per progettare sul Marano un villaggio del divertimento giovanile stile Ibiza.
Tosi ha risposto che lei è disponibile a sedersi al tavolo con Rimini per verificare cosa si può fare insieme per sbloccare la situazione. Quanto all’idea di una Ibiza dell’Adriatico, pone un distinguo: «Credo debbano essere gli imprenditori, e non gli amministratori, a decidere quale sia la riconversione migliore e più redditizia per certe strutture alberghiere. Noi amministratori, e su questo ci sarà tutto il mio impegno, possiamo essere dei facilitatori affinché i privati possano investire».
Diciamo pure che per una volta si è capita la differenza fra un sindaco di sinistra e uno di destra. Con la precisazione, molto importante, che sulla posizione di Gnassi incidono più che le nostalgie per un dirigismo da piano quinquennale, le proprie tendenze vocazionali di art director della Riviera e quelle caratteriali di uomo solo al comando. Precisato questo,sono evidenti le differenze che giustamente e fortunatamente non impediscono il dialogo.
Gnassi ha il merito di aver sollevato una questione importante (il destino dell’area di confine fra Rimini e Riccione) sulla quale negli anni scorsi non è mancata una letteratura occasionale che però si è sempre risolta in niente. Come gli è congeniale, dopo aver individuato il tema, si è affrettato a dire quella che secondo lui sarebbe la soluzione ottimale: il villaggio stile Ibiza. Il Comune, nella sua visione, non si limita a disegnare il quadro ma decide anche il contenuto.
Tosi, che al pari di Gnassi, vive la spina nel fianco del Marano (lato Riccione un certo polo del divertimento era nato, “silenziato” dalla sua prima amministrazione) accetta la proposta di dialogo e collaborazione, ma si affretta a precisare che il Comune deve svolgere il ruolo di facilitatore, mentre sono gli imprenditori a dover decidere quale tipo di ristrutturazione sia più conveniente e remunerativa.
Non è un dibattito astratto, le risposte che si danno determinano un modo concreto e diverso di immaginare lo sviluppo della Riviera e la collaborazione con gli operatori economici. Anche a Rimini, per il Parco del Mare, il Comune si è mosso secondo il metodo indicato dalla Tosi: ha disegnato un quadro generale (la realizzazione di un polo di Sea Wellness), ha scritto alcune regole fondamentali e ha invitato gli imprenditori a fare le loro proposte.
È quando c’è di mezzo il divertimento notturno che Gnassi riscopre la vocazione dirigistica di una sinistra superata e la sposa all’altra vocazione, quella di autonominato art director che decide anche come i giovani devono divertirsi e come gli imprenditori devono investire. Basta osservare il destino dei suoi “fiori all’occhiello”. La Notte Rosa, nata come volano ad una rinascita del mondo della notte in Riviera, si è trasformata, sedimentata e irrigidita (guai a mettere in discussione un solo iota!) in una manifestazione vetrina sempre uguale e senza crescita. La Molo Street Parade è nata come manifestazione vetrina per un determinato target giovanile, ha avuto un certo successo (al di là dei numeri gonfiati a dismisura), e a quel punto è rimasta, senza cercare di diventare il seme di altri eventi simili dislocati in altre aree del territorio e capaci di diventare anche un prodotto turistico.
C’è dietro tutto questo un equivoco che l’osservazione del sindaco Tosi contribuisce a smascherare. Il mondo della notte in Riviera non è nato per decisione delle amministrazioni comunali, non è sbocciato come frutto di un illuminato piano regolatore del divertimento. È stata la fantasia e la creatività degli imprenditori a creare il mondo della notte. E anche lo sviluppo che questo mondo ha avuto dopo la crisi delle mucillagini (evocato dall’on. Pizzolante che si è candidato come trait d’union fra Gnassi e Tosi) non è l’esito di una programmazione amministrativa ma la risposta intelligente degli imprenditori alla nuova sfida che era stata posta.
Con questo non si vuole dire che le amministrazioni comunali non debbano svolgere anche una funzione di indirizzo. Nessuno, nemmeno il sindaco Tosi, è ancorato ad una visione vetero-liberale che si limita a stare a guardare. Ma fra il dirigismo e il laissez fair ci può essere una terza strada che Rimini e Riccione, se vogliono, possono percorrere.
Sul Marano Gnassi e Tosi si dan la mano (ma con distinguo)
Il sindaco di Rimini Andrea Gnassi lancia la proposta, quello di Riccione non si tira indietro ma fa qualche distinguo, in mezzo si mette il deputato Sergio Pizzolante che appoggia il tentativo di dialogo fra i due maggiori Comuni della costa.
Gnassi ha portato l’attenzione sull’area del Marano, dove sia a Rimini che a Riccione, c’è una sorta di cimitero degli elefanti, enormi strutture (ex colonie, alberghi chiusi) che accentuano il degrado. Facciamo insieme un progetto di rilancio – dice Gnassi,- trasformiamoli in beach hotel per i giovani, favoriamo la nascita di un’area di divertimento per i ragazzi. Un villaggio stile Ibiza, insomma.
Tosi dice che va bene intervenire insieme su quell’area, ma ciò che deve essere fatto lo devono decidere gli imprenditori, non gli amministratori. Spetta a loro decidere qual è la riconversione migliore, più redditizia.
Pizzolante prende la palla al balzo invitando la Tosi e Riccione ad accettare la sfida fino in fondo.
Con questa motivazioni: “Due anni fa, nel Salento, con Maurizio Pasca e Gianni Indino della Confcommercio e con la regia del Prefetto Palomba, dopo le vicende tragiche del Cocoricò e della discoteca di Santa Cesarea Terme, abbiamo misurato il valore economico ed anche sociale e culturale dell'economia della notte.
Dal punto di vista economico vale 77 miliardi. Più dell'intera agricoltura italiana. Sul piano sociale e culturale ha un valore ancora più significativo. La notte è il luogo della nostra libertà. Nella storia, l'uomo si è evoluto vincendo il buio della notte. Non è un caso se l'estremismo islamico attacca i luoghi del divertimento, simboli della nostra civiltà aperta. I luoghi dove la notte si illumina. Dove vivono, creatività e innovazione. Dove nascono le tendenze che fanno grande un luogo. Se c'è qualità la notte non fa paura. Ibiza è un esempio. È un grande progetto! Ci permetterebbe di tornare protagonisti in un’economia nella quale siamo stati grandi... i più grandi. Quando la Notte, dopo le mucillagine, salvò il giorno”.
Pizzolante comunque si dice d’accordo con alcuni distinguo dei sindaco di Riccione.
I primi 95 anni di Riccione
Si è svolta in Piazzale Ceccarini la festa per celebrare i 95 anni del Comune di Riccione.
Sul palco, a fare gli onori di casa, l'assessore Stefano Caldari che ha condotto il pomeriggio e ha presentato gli ospiti, la blogger Arianna Porcelli Safonov e la band degli Extraliscio.
Al momento del brindisi sono saliti sulla scena anche il sindaco di Riccione Renata Tosi, il preside dell'Istituto Alberghiero Savioli Giuseppe Ciampoli e Edmo Vandi a ricordare la storia delle mitiche balere.
Gli studenti dell'Istituto Alberghiero che, ha ricordato il preside facendo riferimento alla data dell'autonomia di Riccione (il 1922), sono nati nel 2002, hanno preparato e servito al pubblico meravigliosi cupcake, presenti anche nell'immagine coordinata dell'evento.
Quei riminesi che acquistavano le auto del socialismo reale
È il centenario della Rivoluzione d’ottobre, e puntualmente Stefano Pivato è arrivato in libreria con un volume dedicato all’ultimo mito partorito da quell’evento: la conquista sovietica dello spazio. Anche in questo libro PIvato, docente a Urbino e per un periodo anche assessore alla cultura di Rimini, indaga più che sui fatti in sé su come furono comunicati e vissuti nell’immaginario collettivo del popolo comunista in Occidente. I comunisti sulla luna è stato presentato ieri al Museo della Città dallo stesso autore e dai colleghi storici Roberto Balzani e Piero Meldini.
Nel 1957, un anno dopo il rapporto Kruscev che aveva denunciato gli enormi crimini di Stalin e dopo i carri armati sovietici a Budapest (due eventi che in Occidente avevano scosso il popolo comunista e provocato l’allontanamento di buona parte degli intellettuali), i sovietici lanciarono nello spazio il primo Sputnik. Il primato del mondo sovietico – così martellava la propaganda - si manifestava anche nella supremazia tecnologia e nella conquista dello spazio. “E’ stato l’evento della riscossa comunista, il ritorno dell’orgoglio”, ha chiosato Meldini. Quattro anni dopo, nel 1961, è la volta di Juri Gagarin, che per primo compie uno volo a bordo di una navicella spaziale. È il primo cosmonauta della storia: cosmonauta, perché quelli americani saranno invece chiamati astronauti. Si trasferì nello spazio la guerra fredda, che uno storico americano – ha ricordato Pivato – ha definito come la grande fiction del Novecento. E prima di Gagarin c’era stata la storia di Laika, la prima cagnetta a volare fra le stelle. E se Gagarin (quanti bambini furono chiamati Juri in quegli anni!) divenne nella propaganda il simbolo del riscatto del proletariato, la sfortunata bastardina che morì in orbita poco dopo il lancio lo precedette come simbolo della superiorità scientifica della Russia socialista.
Una grande fiction, che ha alimentato l’ultimo mito nel cuore dei militanti e ha dato via a presentazioni e letture da panegirico, nella stampa comunista e amica, e a satire feroci in quella avversaria, e in qualche caso anche a qualche commento preoccupato per i missili che i sovietici avevano imparato a lanciare con successo.
In realtà, i comunisti sulla Luna non arrivarono mai perché dalla presidenza Kennedy in poi gli Stati Uniti intensificarono gli investimenti e la ricerca per dare vita alle missioni Apollo che nel 1969 portarono Neil Armstrong a diventare il primo uomo che ha posato i piedi sul nostro satellite.
Ma l’aspetto più esilarante del racconto di Pivato nel libro riguarda quei militanti comunisti dei paesi occidentali che, abbagliati dalla supposta superiorità tecnologica sovietica, presero ad acquistare le automobili prodotte nei paesi del socialismo reale. Una storia che ha avuto qualche protagonista anche a Rimini. Ricordate l’episodio dei film di don Camillo e Peppone, nel quale il sindaco comunista di Brescello, esperto meccanico, non riesce a far funzionare il trattore ricevuto in dono dai compagni sovietici? La sua era un’impresa talmente disperata che si risolse a chiedere una benedizione a don Camillo, pur di poter riavviare l’infernale marchingegno.
A Rimini non arrivarono trattori, ma ci fu chi ordinò le auto prodotte dal socialismo reale. Skoda, Zaz, Moskvic e Wartburg erano i marchi che davano l’illusione di possedere un pezzo di quanto di meglio poteva produrre il socialismo. Nando Piccari, Ennio Balsamini, Lanfranco De Camillis, Walter Moretti, sono i nomi di alcuni militanti comunisti che cedettero al mito. Salvo poi scoprire in breve tempo che quei pesanti catorci, funzionanti a miscela con freni e frizioni inappropriate, sterzi inaffidabili e rumorosità fuori dall’ordinario, era meglio lasciarli stare.
Nando Piccari ha raccontato l’effetto che fece sulla moglie l’arrivo di una fiammante Zaz che andava finalmente a sostituire la solita Cinquecento. “Mi aspettavo un plauso per avere finalmente procurato un’altra auto a prezzo abbordabile. Invece quando la vide cominciò a chiedermi divertita: “Ma cos’è quel coso lì? A quale circo l’hai rubata? O ti pagano per andarci in giro?” E si incamminò a piedi una volta saputo che l’avevo comprata e che lei avrebbe dovuto concorrere al pagamento delle rate.”
Oggi gli storici spiegano che a differenza degli americani i sovietici non si preoccuparono mai di applicare agli oggetti di consumo popolare le tecnologie messe a punto per lo spazio. Magra consolazione per chi aveva creduto nell’ultimo mito arrivato da oltre cortina.
Cattolica, non brillano le 5 Stelle. Gennari, un anno dopo
“L’apertura di credito verso Mariano Gennari e la sua giunta sta venendo meno”. E se lo dice Massimiliano Gessaroli, già candidato sindaco per il centrodestra, accusato spesso di fare da stampella ai 5 Stelle, significa che l’esperimento grillino al Comune di Cattolica sta mostrando vistosi limiti.
“Fino ad oggi - aggiunge Gessaroli - molte parole e pochi fatti. Abbiamo le cieliegine sulla torta, gli eventi di Natale e del Motogp, ma non c'è la torta”. Il leader del centrodestra lamenta soprattutto una mancanza di reale discontinuità rispetto alle precedenti amministrazioni di sinistra. Il Comune di Cattolica non è stato aperto come una scatoletta di tonno, per usare la metafora a suo tempo usata dai grillini per il Parlamento. “In campagna elettorale – spiega – avevano promesso che avrebbero aperto i cassetti per far emergere tutto ciò che di sbagliato era stato fatto prima. Questo in realtà non è avvenuto. Si continua come prima. Ho sollevato il tema della ciclabile, un obbrobrio, fatto per compiacere la Regione a guida Pd, un intervento fuori legge. L’assessore non ha trovato di meglio che giustificare le scelte fatte in precedenza”.
Che la luna di miele con Gennari fosse agli sgoccioli lo si era capito nella settimane scorse dalla vivace battaglia condotta contro la mancata pubblicazione sul sito del Comune delle dichiarazioni dei redditi di consiglieri e assessori. I documenti erano stati inviati agli uffici comunali ma anziché finire online hanno preso la polvere nei cassetti. “Il sindaco - informa Gessaroli - ha finalmente risposto alla mia interrogazione. Emerge che chi doveva fare e controllare non l’ha fatto. Della vicenda si dovrà occupare l’autorità anticorruzione, perché sono previste sanzioni economiche e disciplinari per chi non ottempera a questo obbligo di trasparenza”.
Il paradosso di Cattolica a 5 Stelle vuole che l’unico comune pentastellato della provincia scivoli proprio sul tema della trasparenza, la bandiera sempre sventolata dai militanti grillini.
Il Pd, per esempio, ha sollevato il caso del bando per la gestione dei mercatini estivi. Era uscito un bando che chiedeva almeno tre anni di esperienza, e si era presentata solo la ditta che aveva svolto il servizio negli anni precedenti. Pochi giorni prima della scadenza, il bando viene ritirato e se ne pubblica uno nuovo dal quale sparisce il requisito dei tre anni di esperienza. A questo punto si presenta e lo vince una ditta di fresca costituzione, il cui titolare in precedenza è stato in società con un assessore e che a quanto pare vanta un invidiabile elenco di protesti. È immaginabile come si sarebbero scatenati i 5 Stelle a parti inverse.
“Il dato politico più rilevante – osserva Alessandro Belluzzi, Pd, già stretto collaboratore del sindaco precedente, da sabato prossimo, salvo sorprese, nuovo segretario del partito a Cattolica – è la mancanza di visione progettuale di questa amministrazione. L’unico atto emerso è il Masterplan che è un irrealizzabile libro dei sogni. Ci è costato 30 mila euro e abbiamo visto che l’assessore lavorava nello stesso studio dove era presente l’architetto che lo ha firmato. Anche in questo caso è immaginabile cosa sarebbe successo a parti inverse”.
Secondo Belluzzi ai 5 Stelle manca una vision sul futuro della città, ma manca anche una corretta pratica amministrativa. Avevamo lasciato progetti cantierabili, come il rifacimento delle fogne della zona regioni. La Giunta attuale non l’ha eseguito. Dove sono finiti i 300 mila euro stanziati? Nelle luci di Natale? Avevamo posto le condizioni per l’eliminazione dell’addizionale Irpef. È stata invece confermata. È stata eliminata la festa dello sport che era un appuntamento importante per il mondo sportivo di Cattolica. Peraltro le associazioni sportive aspettano l’uscita del bando per la gestione degli impianti, che è in ritardo di un anno”.
Belluzzi fa il proprio mestiere di segretario in pectore del maggior partito di opposizione ma è impressione diffusa che, a parte le suggestioni del Masterplan che ancora sono lettera morta, la giunta a 5 Stelle non abbia in questo anno e mezzo di attività dato alcun segnale di sostanziosa novità rispetto al passato. Un indicatore rivelatore è il bilancio, la cui impostazione è rimasta inalterata. Nessuna novità su tasse, servizi, alienazione di beni pubblici. Il bilancio sta in piedi grazie a oltre nove milioni di residui attivi, ma non si sa quanti di quei crediti siano realmente esigibili. Gli stessi revisori dei conti, nemmeno tanto fra le righe, hanno lanciato l’allarme e invitato la giunta ad accantonare poste sufficienti. Entro l’anno dovrebbe poi arrivare la sentenza sul contenzioso Swap (i famosi e famigerati derivati) che, se fosse favorevole, liberebbe molte risorse. Intanto però, niente di nuovo sotto il sole.
Anche la politica urbanistica segue i binari del passato: il Rue (regolamento edilizio comunale) è stato approvato così come l’aveva pensato la precedente amministrazione.
L’unico segnale di cambiamento, riconoscono anche i critici più severi, è nei rapporti con i cittadini: il sindaco Gennari li riceve. Le associazioni di categoria hanno vissuto un anno di luna di miele: finalmente erano ascoltate. Ma ora anche loro aspettano che dalle parole si passi ai fatti.
Francesco saluta con il cappellino gli alunni della Karis
Giornata speciale per gli alunni classi delle Scuole primarie della Karis Foundation di Rimini e di Riccione che, accompagnati dalle loro maestre e dalle Direttrici Marina Magi e Grazia Pazzaglia e dagli insegnanti di religione don Stefano Vendemini e don Roberto Battaglia, hanno partecipato a Roma all'udienza del mercoledì con Papa Francesco in piazza San Pietro.
Racconta don Roberto: "I bambini, già presenti a Roma dal giorno precedente, impegnati in una intensa visita didattica, si sono alzati prestissimo in modo da poter essere in prima fila a salutare il Papa e guardarlo negli occhi, per cercare nel suo volto lo sguardo di Gesù".
In piazza i bambini si sono presentati con il loro distintivo cappellino blu. Un bambino lo ha lanciato verso Francesco, il papa lo ha preso al volo e li ha salutati sventolando il cappellino. Grande gioia e soddisfazione per alunni e accompagnatori.