Dopo una gestazione di quasi nove mesi, il 5 e 6 dicembre arriverà al voto finale in Assemblea la nuova legge urbanistica regionale, il cui relatore è il riminese Giorgio Pruccoli. “Una legge rivoluzionaria” la definisce con enfasi il consigliere regionale che l’ha seguita passo dopo passo in questi nove mesi. Sulla nuova legge sono appuntante le aspettative di chi pensa possa essere uno strumento utile per rimettere in moto un’industria delle costruzioni che ormai da dieci anni conosce solo record negativi.

La legge – sottolinea Pruccoli – azzera tutte le previsioni urbanistiche precedenti. I Comuni avranno tre anni di tempo per adeguarsi alla nuova normativa. Vanno in archivio il Piano strutturale, il Rue, il Poc, per fare posto ad un unico strumento urbanistico di cui ogni Comune si dovrà dotare, il Pug, cioè Piano urbanistico generale. Non è solo una differenza nominativa: mentre i vecchi strumenti conferivano diritti (qui si può edificare, lì non si può) il Pug non li conferisce, tanto che dopo la legge non si pagherà più l’Imu sui terreni.

L’azzeramento delle previsioni esistenti porterà a livello regionale le superfici di espansione da 250 a 70 chilometri quadrati. In ogni Comune l’espansione non potrà superare il 3 per cento. La filosofia di fondo è di arrivare entro il 2050 al consumo di suolo a saldo zero.

Un’altra importante novità è che le politiche abitative residenziali potranno avvenire solo dentro il consolidato urbano. Nelle aree di espansione si potrà intervenire solo con insediamenti produttivi o con interventi di edilizia sociale. “Ciò significa – spiega Pruccoli – che nelle città non si potranno costruire nuovi edifici, ma che si dovranno demolire edifici vecchi e ricostruirli”. Questa è la vera rivoluzione: la legge vuole favorire la rigenerazione urbana, l’adeguamento antisismico e il risparmio energetico. Pruccoli, quando parla di demolire e ricostruire intere porzioni di città, non si nasconde la difficoltà derivante da una estrema parcellizzazione della proprietà immobiliare. Ognuno è proprietario del proprio appartamento e per fare interventi radicali occorre coinvolgere più soggetti. “Un’impresa che vuole lavorare – esemplifica Pruccoli – potrebbe farsi carico del raggiungimento dell’accordo. Va dall’anziano che vive in una casa ormai troppo grande per lui, gli fornisce in cambio un piccolo appartamento nuovo, e procede alla riedificazione del vecchio immobile”.

È una prospettiva del tutto diversa da quella a cui si era fino ad oggi abituati. Pruccoli la spiega in questo nodo: “Un’impresa edile aveva di fronte un’area vergine, dove era prevista una pianificazione o dove, per intervenire, occorreva una variante. Adesso le aree vergini non ci sono più, potrà intervenire solo dove c’è del costruito. L’impresa dovrà farsi venire un’idea per un’area dove già esiste qualcosa”.

È evidente che per innescare una dinamica di questo tipo occorrono incentivi. La Regione, insieme alla nuova legge, mette sul piano un fondo di 30 milioni da spendere entro il 2020.

Ma nel pacchetto della legge ci sono anche altri incentivi, fiscali e normativi. Sarà abolito il contributo straordinario, saranno introdotti sconti fino al 20per cento dei contributi di costruzione, saranno dati premi volumetrici (aumenti di cubatura) a chi presenta progetti di rigenerazione urbana che abbiano caratteristiche di qualità. Ed ancora procedure semplificate, risposta degli uffici comunali entro 40 giorni, demolizioni e ricostruzioni in deroga, procedure semplificate per l’uso temporaneo di edifici di interesse pubblico. Viene introdotta anche una norma per “sbloccare” i condomini: per un intervento di adeguamento sismico è sufficiente che sia d’accordo il 50 per cento dei proprietari.

Lo strumento operativo per realizzare un progetto di rigenerazione urbana sarà un accordo con tutti gli operatori interessati. Ciò però non significa – afferma Pruccoli – che non possa essere presentato il progetto di un singolo soggetto privato sul suo immobile. Potrà usufruire comunque degli incentivi economici, fiscali e normativi messi a disposizione dalla legge.

“Questa – osserva Pruccoli – è una legge che implica un cambiamento culturale nella pubblica amministrazione, nelle imprese e nei professionisti. Francamente non penso che questi soggetti siano già pronti al salto culturale richiesto. Abbiamo però tre anni di tempo perché la nuova mentalità si possa gradatamente affermare”.

La nuova legge riuscirà anche ad aiutare la ripresa edilizia? “Certo, può aiutare molto. In questa direzione vanno anche le norme sulla semplificazione delle procedure che abbiamo approvato quest’estate. Bisogna però sapere che se tutto è fermo non è solo per gli aspetti normativi. Il nodo sono i finanziamenti bancari”.

Un incoraggiamento all'iniziativa del Comitato Nazarat, che a Rimini e in altre città italiane il 20 di ogni mese si riunisce in piazza per pregare per i cristiani perseguitati, è arrivato dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin anche a none di Francesco.

Rispondendo ad una lettera di Marco Ferrini, uno dei promotori del Comitato Nazarat, il cardinale ha scritto: “Mi congratulo per la sensibilità e la partecipazione alle sofferenze dei cristiani perseguitati e per aver risposto alla loro drammatica situazione nel Vicino Oriente, con un corale appello alla preghiera, ed auspico vivamente, a nome del Santo Padre Francesco, che tale iniziativa si vada sempre più diffondendo e ottenga copiose grazie celesti. Nell’unirmi spiritualmente alla vostra catena di preghiera, volentieri trasmetto a Lei e a tutti i componenti del “Comitato Nazarat” la mia benedizione”.

Se l’anno scorso sembravano esserci i segnali di una timida ripresa, nel 2017 sul settore dell’edilizia è tornato il “grande gelo”. L’anno edilizio va da ottobre a ottobre, quello 2016-2017 si è quindi appena concluso, e ancora non si conoscono i dati. Pare però che si avrà una contrazione del monte ore lavorate, il segnale inequivocabile che di ripresa non si può parlare. Si è ancora dentro un tunnel che presenta caratteristiche da paura: nel 2008 in provincia di Rimini gli addetti al settore dell’edilizia erano 7.016, nel 2016 erano scesi a 3.227, la crisi si è mangiata più della metà dell’occupazione del settore. “In questi anni – aggiunte Massimo Bellini, segretario degli edili della Cgil – ha chiuso anche il 50 per cento delle aziende. E a cessare l’attività sono state anche molte delle ditte storiche, ben strutturate. Sono riuscite a tenere le piccole imprese, probabilmente perché le ridotte dimensioni le rendono anche più flessibili ai cambiamenti del mercato”. Per il 18 dicembre i sindacati hanno indetto uno sciopero per il rinnovo del contratto di lavoro di una categoria che però va sempre più assottigliandosi.

Da un certo punto di vista, la situazione di Rimini è paradossale. C’è un’amministrazione comunale che ha fatto dello stop alla cementificazione del territorio uno dei capisaldi della propria politica. “Questo – osserva Bellini – è un principio assodato dal quale non si può e non si deve tornare indietro. Noi stessi, come sindacato, abbiamo sposato questa linea. Però, anche in documenti sottoscritti insieme all’amministrazione comunale, è stato detto che lo stop alle nuove edificazioni andava accompagnato da un programma di riqualificazione e ristrutturazione delle strutture edilizie esistenti. Non solo abbiamo fabbricati che hanno bisogno di essere ammodernati, di essere messi a norma dal punto di vista sismico e del risparmio energetico, ma c’è il vasto campo della messa in sicurezza del territorio dal dissesto idrogeologico. Quindi di lavoro per il settore edilizio ce ne sarebbe a volontà”. Se poi si considera che a Rimini e in tutti i Comuni della Riviera c’è un vasto repertorio di alberghi che, se vogliono rimanere sul mercato turistico, hanno bisogno di interventi radicali, ecco che emerge tutto il paradosso a cui si accennava. Sulla carta ci sono mille cantieri che potrebbero essere aperti, e invece l’industria edilizia continua a perdere colpi.

Il Comune di Rimini, che ha innalzato la bandiera dello stop all’ulteriore cementificazione del territorio, non è sembra altrettanto solerte nel favorire l’attività edilizia di ristrutturazione e riqualificazione. Anche se con il sindacato ha sottoscritto impegni in tal senso. “In effetti – conviene Bellini – le amministrazioni potrebbero fare molto di più. Ci sono numerosi edifici pubblici che avrebbero bisogno di essere messi a norma con l’antisismica, che avrebbero bisogno di interventi su risparmio energetico. Il Comune dovrebbe essere il primo a dare l’esempio, probabilmente anche i privati gli andrebbero dietro. Poi ci possono essere gli incentivi. I privati hanno già quello statale delle detrazioni fiscali al 65 per cento. La sindaca di Santarcangelo, per esempio, ha concesso un piccolo, quasi simbolico, premio di cubatura per chi esegue interveto di riqualificazione”.

Massimo Bellini appare fiducioso nella prossima approvazione della nuova legge urbanistica regionale che dovrebbe mettere a disposizione risorse e nuovi strumenti normativi proprio per incentivare ristrutturazioni e riqualificazione. “A quel punto di lavoro per i Comuni ce ne potrebbe essere parecchio. Aspettiamo di vedere come il testo sarà licenziato dall’aula, poi potremo fare ulteriori considerazioni”.

Ma per questa edilizia di tipo nuovo sono necessari operai nuovi, cioè con una formazione professionale adeguata. E un altro punto sul quale il sindacato sottolinea le responsabilità delle imprese e degli enti locali. “In molte situazioni di crisi – spiega Bellini – ho fatto la seguente proposta. Mentre sono in corso gli ammortizzatori sociali, invece di mandare gli operai a spasso tutto il giorno, impegnamoli in corsi di formazione in cui possano apprendere, per esempio, le nuove tecniche costruttive, il risparmio energetico, e così via. A parole si dicevano tutti d’accordo, ma poi in concreto non è stato fatto nulla. Quando invece la strada della formazione è un tassello importante per una strategia di ripresa del settore”.

Il mercato edilizio che va è solo quello delle abitazioni di tipo A, cioè con nuove tecniche costruttive e risparmio energetico. C’è invece un vasto patrimonio immobiliare che rimane invenduto “E probabilmente quegli appartamenti – osserva Bellini – sono anche invendibili perché costruiti o prima della crisi e nei primi anni di crisi, con costi nettamente superiori a quelli attuali”. E gli immobili che rimangono sul groppone delle imprese contribuiscono ad aumentare ed accelerare le difficoltà.

Quanto invece al tema della ristrutturazione alberghiera che rimane ferma (a parte gli interventi, pochi, che hanno usufruito dei finanziamenti a fondo perduto della Regione), una delle cause fondamentali è la non coincidenza fra proprietà degli immobili e gestione alberghiera. La proprietà preferisce avere una rendita assicurata, piuttosto che investire nell’innovazione. Si tratta i vedere, se nel lungo periodo, è una strategia vincente.

(Rimini) Mario Erbetta, capogruppo di Patto Civico, tiene il punto sulla questione delle micro-aree per i nomadi. Non devono essere solo tre come proposto dall'assessore Gloria Lisi. E dice che queste sono le indicazioni del sindaco Gnassi: "Prevedono soluzioni unifamiliari, le uniche che permettono da un lato di risolvere il problema contingente e dall’altra di portare a un’integrazione reale".

“La riunione di ieri - scrive Erbetta in una nota - ha rappresentato uno step verso la soluzione di un problema decennale. Condividiamo le preoccupazioni del Vescovo e siamo pronti ad assumerci le responsabilità che comporta essere amministratori della città di Rimini.
Il sovraffollamento ipotizzato dai tecnici comunali nella soluzione proposta di tre zone non è plausibile e contraddice la sintesi condivisa che identificava in 5/6 le zone per meglio distribuire le 7 famiglie interessate.
Pertanto, lavoreremo alacremente con tutta la maggioranza affinché si trovi una soluzione ottimale condivisa che porti al superamento del campo di Via Islanda e a una effettiva integrazione delle famiglie Sinti.

Il tutto in base delle indicazioni del sindaco Gnassi, che noi condividiamo in toto, e che prevedono soluzioni unifamiliari, le uniche che permettono da un lato di risolvere il problema contingente e dall’altra di portare a un’integrazione reale".

Ma come sarà il Parco del Mare? Domanda della quale molti vorrebbero conoscere la risposta, dopo mesi che si parla dell’idea e delle manifestazioni di interesse espresse dagli imprenditori. Adesso ci sarà finalmente chi lavora alle linee progettuali, alla visione paesaggistica e architettonica che dovrà armonizzare intervento pubblico e intervento privato. È stato insomma individuato il soggetto che concretamente “disegna” il Parco del Mare.

La gara effettuata da Palazzo Garampi ha visto vincitore un raggruppamento di studi che ha come capofila lo studio Miralles Tagliabue di Barcellona, specializzato nella progettazione di spazi pubblici e nella riqualificazione di contesti urbani.. Fra i recenti interventi c’è l’Hafen City di Amburgo, cioè la sistemazione dell’area del porto della città tedesca. Del gruppo fanno parte anche lo studio Massarenti Architettura, lo studio Abacus che si è già cimentato con i lungomare di Gallipoli e di Grado, lo studio MaDe, specializzato in architettura e paesaggistica.

Il gruppo si metterà subito al lavoro perché nei primi mesi del 2018 sono attese le prime elaborazioni. Una corsa contro il tempo perché è necessario che i primi cantieri siano aperti nell’ottobre 2018. Entro il 2019 devono infatti essere spesi i 2,85 milioni di finanziamento regionale (fondi europei) che il Comune ha ottenuto a fronte di una spesa prevista di 4,5 milioni.

I primi stralci di lungomare che partiranno sono il tratto da piazzale Fellini a piazzale Kennedy e il lungomare Spadazzi di Miramare. Un pezzo di cantiere in qualche modo è già aperto con i lavori di piazzale Kennedy per la realizzazione della vasca di accumulo: la parte visibile sarà un anticipo di Parco del Mare.

Il team di architetti e paesaggisti dovrà stendere le linee guida, andando a definire le funzioni pubbliche che saranno localizzate nel lungomare sud. Benedetta Tagliabue, capo del team, ha spiegato che l’ambizione è quella di creare una soluzione che tenga conto dell’identità del luogo, della sua originalità, del suo rapporto con il contesto urbano. Il compito dei tecnici sarà anche quello di integrare il disegno complessivo con le proposte che sui quei due tratti di lungomare hanno proposto i privati. Saranno loro a stabilire come i progetti privati si devono armonizzare, con un occhio particolare all’impatto ambientale, alla scelta dei materiali e delle tecnologie costruttive, all’uso di energie rinnovabili. In un secondo tempo il team dovrà anche verificare la corrispondenza fra le progettazioni esecutive e le linee guida da esso elaborate.

L’assessore Roberta Frisoni ha spiegato che la negoziazione con i privati è in fase avanzata e che quindi nei prossimi mesi si potranno vedere i progetti dei primi tratti di nuovo lungomare. Sarà comunque necessario attivare l’art.18 della legge urbanistica regionale che prevede accordi di programma che di fatto diventano strumenti di pianificazione urbanistica.

Il gruppo di architetti dovrà lavorare in stretto raccordo con i tecnici comunali e con il piano strategico per questioni inerenti anche i cambiamenti che necessariamente dovrà avere la mobilità, tenuto conto della completa pedonalizzazione e dell’avvio del Trc.

Intanto è in corso la gara per l’affidamento della progettazione esecutiva dei tratti piazzale Fellini- piazzale Kennedy e lungomare Spdazzi. Il contenuto prevede giardini e aree verdi, punti panoramici con vista sul mare, aree gioco, spazi per eventi e spettacoli, aree wellness, percorsi ciclopedonali, aree di sosta.

"I dati turistici Istat dei primi 9 mesi del 2017, dall’1 gennaio al 30 settembre, - ci scrive il sindaco di Rimini Andrea Gnassi - confermano le positive impressioni degli operatori e degli addetti ai lavori che già nei mesi estivi esprimevano la loro soddisfazione per l’andamento di una stagione ‘da ricordare’. I numeri provinciali indicano una crescita del 4,9 per cento degli arrivi e del 3,2 per cento dei pernottamenti. Il Comune capoluogo fa registrare queste cifre al termine dei ¾ dell’annata turistica: + 5,9 per cento di arrivi e + 4,6 per cento di presenze. Rimini, tra gennaio e settembre, fa registrare un incremento delle presenze estere del’8,7 per cento (media provinciale + 5,7 per cento).
Ma a mio avviso una riflessione adeguata va fatta su un sottodato, cioè quello del ‘peso’ della componente straniera sul totale complessivo dei 9 mesi. Se per la provincia di Rimini le presenze estere valgono il 23,8% del totale, per Rimini questa percentuale sale sensibilmente al 30,45 per cento. Un dato straordinario se si pensa che i 2.098.113 pernottamenti esteri accumulati a Rimini da gennaio a settembre sono già superiori alle 2.071.596 presenze straniere registrate nell’intero arco dei 12 mesi del 2016. In buona sostanza, l’anno in corso ci ha fatto ‘guadagnare’ turisticamente un intero trimestre di ospiti provenienti da fuori Italia. Il dato è sostanzialmente omogeneo lungo tutti i 9 mesi.

MESE
PRESENZE ESTERE (% SUL TOTALE)
Gennaio 26,3
Febbraio 23,1
Marzo 27,9
Aprile 25,4
Maggio 39
Giugno 26,5
Luglio 34,1
Agosto 26,7
Settembre 39
TOTALE 30,5

Dando un’occhiata allo ‘storico’, per quanto di difficile se non arbitraria comparazione, l’ultima volta che i pernottamenti esteri superarono la soglia del 30 per cento fu il 1988, l’anno pre mucillagini, quando l’oscillazione si fermò al 34 per cento. Per scendere poi al 29 per cento del 1989 e precipitare al 21 per cento del 1990 da dove mediamente, con qualche alto e altrettanti bassi, non ci si è più mossi per diverse annate.
I numeri del 2017 registrano la crescita del segmento russo, tornato ai fasti di alcuni anni fa (443.772 presenze per un + 26,6 per cento), la progressione tedesca (407.464 pernottamenti per un + 6 per cento) e la crescita di alcuni mercati quali quello polacco (125.383 presenze per un + 18 per cento). Sono Paesi sui quali Regione, APT e Comuni, Rimini in primis, hanno attivato da tempo campagne promozionali che hanno evidentemente avuto impatto efficace e che dunque meritano di essere portate avanti con altrettanta determinazione, potenziandole e estendendole. Una riflessione va fatta sui motivi di questa crescita dell’estero: la buona stagione, i problemi assortiti di molta concorrenza internazionale certamente, ma un ruolo lo hanno avuto la promozione e il dinamismo delle città della riviera di Rimini, con i progetti di riqualificazione in corso che hanno e avranno una forte attrattiva sul pubblico internazionale. Penso ad esempio al lavoro che Rimini sta facendo sui contenitori culturali, uscendo dalla dominanza balneare e impostando già da tempo un lavoro che vede già ‘funzionare’ i contenitori culturali per mostre, eventi, relazioni mentre sono ormai in avanzatissima fase di riqualificazione.
Ma sbaglieremmo bersaglio se adesso ci accontentassimo. Perché deve essere chiara una cosa: resta tantissimo il lavoro da fare sia sul prodotto che sull’accessibilità allo stesso, gli elementi cioè che più sono cercati e ricercati dal potenziale viaggiatore straniero. La rete ferroviaria veloce, lo sviluppo dell’aeroporto, il miglioramento della rete interna della mobilità, la riqualificazione delle strutture ricettive restano i punti su cui lavorare, e lavorare in fretta come sistema e non demandando a un solo soggetto questo compito, se non vogliamo disperdere i risultati del 2017 nei rivoli della ‘fortunata contigenza’."

Anche il mese di settembre è stato positivo in Riviera, e ciò determina un saldo ampiamente positivo dei primi nove mesi dell’anno. Il 2017 si avvia ad essere archiviato come un anno di ripresa, almeno dal punto di vista degli arrivi e delle presenze. Cosa questo movimenti turistico abbia provocato nei bilanci delle imprese, è un dato che i numeri non riescono a restituire.

Ma vediamo i dati di settembre. A Bellaria Igea Marina è stato un mese splendido: + 5,5% di arrivi e + 6,9% di presenze. Buono anche a Misano Adriatico, che in parte ha beneficiato dell’effetto Motogp: gli arrivi crescono del 4,8% e le presenze del 3,1%. Anche a Riccione notevole incremento di presenze (6,7%), anche se gli arrivi calano addirittura del 4,6%. Rimini si mantiene sostanzialmente stabile (-0,7% di arrivi e incremento di presenze dello 0.8%), mentre Cattolica ha il segno negativo ovunque: -0,9% di arrivi e – 0,5% di presenze.

In totale settembre ha visto in provincia di Rimini una diminuzione di arrivi dell’1% e un aumento di pernottamenti del 2,7%.

A Rimini il mercato estero è al 30%

Il bilancio dei primi nove mesi dell’anno nella provincia di Rimini è ampiamente positivo: gli arrivi sono cresciuti del 4,9% e le presenze del 3,2%. Al successo ha contribuito soprattutto il mercato estero (+5,7%), anche se questo dato non è uniforme in tutti i Comuni della costa. Se a Rimini i pernottamenti di turisti stranieri superano il 30% del totale, Riccione conferma la sua sofferenza sull’estero con appena il 16,5%. Su valori simili Cattolica (17,2%), va un po’ meglio Bellaria (20,9%), mentre Misano si attesta intorno al 18%.

I primo nove mesi nei singoli Comuni

Vediamo i saldi delle singole località: A Rimini +5,9% di arrivi e +4,6% di presenze (in termini assoluti fanno circa 7 milioni i pernottamenti. Bellaria Igea Marina chiude i primi 9 mesi dell’anno con un +4,8% di arrivi e +3,4% i presenze. Riccione vede crescere gli arrivi del 4,1% (774.167) e le presenze dell’1,6% (3.436.038). Misano Adriatico segna una crescita di arrivi del 5,8% e di presenze del 4,6%. Ed infine Cattolica nei primi nove mesi dell’anno cresce sia in arrivi (+2,9%) che, seppure leggermente, in presenze (+0,7%).

Vacanze sempre più corte

È interessante osservare anche la durate della vacanza, che è sempre più breve. La media provinciale è di 4,6 giorni. Bellaria è a quota 5,6, Rimini 4,2, Riccione 4,4, Misano 5,3 e Cattolica 5,4. Si può ipotizzare che a Rimini e a Riccione la durata sia inferiore perché in questi due centri c’è maggiore turismo fieristico e congressuale.

Destinazione Romagna

Riviera di Rimini fa parte di Destinazione Romagna, il nuovo organismo di promozione e commercializzazione sorto dalla riforma dell’ex legge 7. L’ambito comprende tutte le province romagnole più Ferrara. I dati ovviamente riflettono l’andamento positivo generale. Destinazione Romagna ha prodotto nei primi nove mesi dell’anno 6,2 milioni di arrivi e 29,6 milioni di presenze. Rispetto al 2016, i turisti sono cresciuti del 5,9% (6,4% gli stranieri) e i pernottamenti del 5,5% (6% gli stranieri).

Una nuova stagione per la Galvanina e una “ricucitura” paesaggistica e ambientale dell’ampia area (circa nove ettari) occupata sul colle di Covignano. Laddove sventolava “Bandiera Gialla” troverà posto un articolato complesso dedicato alla filiera del benessere, declinato anche nella dimensione della buona tavola. Giovedì in consiglio comunale approda per l’approvazione il progetto presentato dalla Galvanina Spa che cambierà aspetto e in parte funzioni ad un angolo pregiato di Rimini, reso noto in tutta Italia dalla discoteca funzionante negli anni Ottanta e dalle numerose trasmissioni televisive che ha ospitato in quella stagione. Un investimento che certamente supererà i dieci milioni.

 

Il progetto è un classico esempio di come gli interessi pubblici e privati possono arrivare a buona sintesi quando c’è la volontà di rispondere positivamente alla richiesta delle imprese di sviluppare e riqualificare la propria attività. Ci sono voluti tre anni di istruttoria per trovare la quadratura del cerchio e per superare le difficoltà burocratiche e normative che a un primo impatto sembravano essere di ostacolo. Una conferenza dei servizi alla quale hanno partecipato tutti gli enti interessati (dalle Soprintendenze alla Ausl) ha dato il via libera con alcune prescrizioni che sono state accolte.

L’ostacolo più grave era rappresentato dai numerosi manufatti abusivi che con il tempo si erano aggiunti agli edifici legittimamente costruiti. Partendo dalla convinzione che “lo sviluppo di attività economiche private di eccellenza costituisce di per sé un interesse pubblico in senso stretto, per le complessive ricadute positive che comporta per le comunità locali”, la via di uscita è stata trovata nell’articolo 11 della legge 240 sul procedimento amministrativo. Con la proprietà sarà stipulato un accordo che prevede modalità e tempi certi di demolizione delle opere abusive prima della realizzazione dei nuovi immobili, “in modo – si legge nella relazione - da salvaguardare sia l’interesse pubblico volto alla repressione degli abusi e ad un assetto riqualificato del territorio coerente con il vincolo paesaggistico, che l’interesse privato allo sviluppo e consolidamento di una attività di impresa industriale locale”.

 

Il progetto prevede di intervenire sui tre sottoambiti in qui è articolato il complesso Galvanina: l’area di sud-ovest, occupata dal ristorante “il Pomod’Oro”, attualmente chiuso; l’area nord, ove ha sede lo stabilimento produttivo d’imbottigliamento dell’acqua captata nel sottosuolo; quella ad est, più elevata, dove negli anni sessanta fu realizzato lo stabilimento termale, dove si trova la fonte storica della Galvanina con il monumento cinquecentesco e dove negli anni Ottanta trovò posto “Bandiera gialla”.

Il ristorante Pomod’oro sarà completamente rinnovato e diventerà il prototipo del brand Trattorie romagnole del Pomod’Oro che la Galvanina intende promuovere in tutto il mondo. Alla ormai storica e affermativa attività di esportazione di acque minerali, affiancherà anche un nuovo export dei prodotti tipici e delle eccellenze dell’area romagnola. Vicino al ristorante troverà posto anche un laboratorio didattico enogastronomico.

Il vecchio stabilimento termale in disuso sarò riconvertito alla moderna filosofia del wellness, con Beauty Spa, palestra, area massaggi, giardino d’inverno con piscina, area per le wellness terapie (sauna, bagno turco, stanza del sole), ristorante wellnes.

Per lo stabilimento produttivo il progetto prevede, oltre che un ampliamento, anche alcuni interventi di tinteggiatura e schermatura in legno per mitigarne l’impatto rispetto all’ambiente circostante.

I tre ambiti (Pomod’Oro, Terme Wellness, Stabilimento) saranno “ricuciti” dal punto di vista ambientale e viario, per armonizzarli con il parco e il paesaggio agricolo circostante.

La superficie costruita aumenta di circa 7.00 mq rispetto all’esistente quantificato in 5.80 mq.

L’intervento provocherà per le casse comunali un introito di circa due milioni di euro: 345 mila come monetizzazione degli standard urbanistici, 972 mila euro come contributo straordinario, 600 mila euro come contributo di costruzione.

La delibera che sarà approvata in consiglio comunale costituisce una variante al Rue e al Quadro Conoscitivo del Piano strutturale. La Galvanina Spa avrà tempo cinque anni per chiedere i permessi di costruzione, pena la decadenza della variante urbanistica.

Ha tenuto banco per qualche giorno la vicenda di Fabio Ubaldi, consigliere comunale di Patto Civico a Riccione e nel 2014 candidato sindaco per il Pd, che in un primo momento aveva deciso di sottrarsi all’obbligo di legge di presentare la propria dichiarazione dei redditi. Il clamoroso rifiuto ha sollevato un vespaio di polemiche (alimentate soprattutto dal suo ex partito) e alla fine anche Ubaldi è convenuto a Canossa e ha mostrato la sua dichiarazione del 2016: in quell’anno ha avuto un reddito di 3.841 euro.

E così Ubaldi, imprenditore di successo, si vede accomunato agli altre sette consiglieri (su 30) che sono al di sotto della soglia di 10 mila euro di reddito. Ubaldi aveva cercato di giustificare il suo rifiuto di dare pubblicità ai sui redditi per rispetto della privacy dei soci con cui lavora e per non dare adito a operazione di sciacallaggio. Una motivazione che non stava in piedi (la legge non chiede di rendere noti i redditi dei soci), e infatti non ha retto più di due giorni.

Non sappiamo e non ci interessa sindacare perché Ubaldi abbia avuto nel 2016 un reddito così basso, dieci volte inferiore a quello che denunciava negli anni passati. Quel che colpisce a Riccione, ma anche a Rimini, è la numerosa compagnia con cui Ubaldi si trova. Otto consiglieri su trenta sotto la soglia dei 10 mila euro rappresentano il 27 per cento, quasi un terzo del consiglio. Oltretutto, vi sono addirittura due consiglieri con reddito zero, ed anche in giunta abbiamo un assessore al bilancio che per sé gestisce un “bilancio” di appena 1.219 euro.

Dall’altra parte del Marano, a Rimini, la situazione non è che sia molto diversa. Nove consiglieri su quaranta hanno un reddito inferiore a 10 mila euro, undici sotto i 15 mila euro.

I “poveracci” sono soprattutto nel gruppo del Pd (5 su 13) e di Patto Civico (2 su 5) ma in generale, tranne qualche eccezione, non ci sono redditi che fanno pensare ad una situazione economica florida.

E questo suggerisce alcune considerazioni sullo stato della politica. Fino a dieci, quindici anni fa, in consiglio comunale arrivavano persone che nella vita personale avevano già raggiunto obiettivi significativi. Professionisti stimati, piccoli imprenditori con un’attività ben avviata, dipendenti con un posto sicuro. Farsi eleggere in consiglio comunale era un po’ per aggiungere un cursus honorum pubblico a quello già realizzato in campo privato. Chi aveva un mestiere od era ben avviato nella professione, pensava così di dare il proprio contributo alla vita pubblica, immettendovi la propria esperienza.

Oggi questa tipologia di persone sembra rifuggire dall’attività politica. Gli eletti sono tali perché inseriti nelle liste dai partiti, la prima selezione la fanno i partiti, gli elettori scelgono fra la rosa che gli è offerta. E questo è un particolare che dice molto sull’attuale capacità dei partiti di rappresentare e interpretare il meglio della società civile.

Molto, certamente, dipende dal clima di antipolitica che si respira nel Paese da Mani Pulite in poi. Se la cattiva politica, che non è mancata a Rimini come a Roma, ha fatto di tutto per respingere le migliori energie intellettuali e morali, non si può non osservare la curiosa eterogenesi dei fini che ha prodotto l’antipolitica. Si è allontanato dalla scena pubblica chi poteva vivere del proprio e abbracciava la vita politica per servizio o, perché no, per ambizione personale, e si è avvicinato chi è senza un mestiere o una professione e l’unico reddito che denuncia è in larga parte formato dai gettoni di presenza in consiglio e in commissione. L’antipolitica, che ha avuto fra i suoi bersagli chi usa la politica per arricchirsi, ha insomma generato una classe dirigente che tira a campare solo grazie alla politica. A livello nazionale il caso emblematico è il gruppo parlamentare dei 5 Stelle, dove abbondano i giovanottoni che sono passati dalla disoccupazione o dalla precarietà allo scranno di deputato.

Il guaio è che questa eterogenesi dei fini produce un risultato che è sotto gli occhi di tutti, l’impoverimento culturale della classe politica. Per rendersene conto, basta seguire qualche consiglio comunale, dove il contributo di molti eletti si limita a votare quando richiesto.

Questi eletti, nella maggior parte, non hanno partiti organizzati e strutturati alle spalle. Se guardiamo quella che per comodità di definizione chiamiamo Prima Repubblica, a quel tempo l’attività politica cittadina era saldamente in mano ai dirigenti dei partiti, e in consiglio comunale arrivano le seconde file che comunque erano molto più formate rispetto agli attuali rappresentanti. Sfasciatosi il sistema dei partiti, gli unici rimasti a fare politica sono gli eletti nelle istituzioni, con le caratteristiche e le conseguenze che abbiamo visto.

Quando leggeremo che fra i consiglieri comunali sono spariti quelli a reddito zero o al limite della soglia di povertà, sarà il segnale che qualcosa di nuovo sta emergendo anche nella politica.

C’è un filo evidente che unisce san Giovanni Paolo II, Benedetto XV e Francesco nel loro atteggiamento nei confronti di don Oreste Benzi, e c’è anche un filo che unisce i tre papi citati e il sacerdote riminese nella coscienza della missione e delle urgenze della Chiesa nel mondo contemporaneo.

Una riflessione su questo tema così interessante per capire la statura religiosa del prete dalla tonaca lisa l’ha svolta sabato a Bologna in professor Guzman Carriquiry, a lungo sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici ed oggi segretario della Pontificia commissione per l’America Latina. Nel corso del suo mandato, don Benzi presentò la domanda e ottenne il riconoscimento vaticano della Comunità Papa Giovanni XXIII.

Don Benzi ha sempre vissuto «una comunione affettiva ed effettiva» con i pontefici che si sono succeduti. Il tempo di papa Wojtyla è quello della piena accoglienza e valorizzazione della fioritura di comunità e movimenti che, come carisma di grazia e di luce, hanno fatto irruzione nella Chiesa del Novecento. I nuovi movimenti ecclesiali erano visti come un frutto dello Spirito che rende contemporaneo Cristo alla storia. Il 7 ottobre 1998 ci fu il primo riconoscimento per la Papa Giovanni XXIII e il 29 novembre del 2004 don Benzi e i suoi amici furono ricevuti da Giovanni Paolo II.  «Per dare autentico amore ai fratelli è necessario attingerlo in Dio. Per questo opportunamente voi dedicate soste prolungate alla preghiera, all’ascolto della Parola di Dio, e fondate tutta la vostra esistenza su Cristo».

Il papa polacco – ha sottolineato Carriquiry – chiese un nuovo dinamismo missionario alla Chiesa, e non è un caso che l’espansione della Comunità nel mondo sia avvenuta in larga parte nel corso del suo pontificato. Ma Wojtyla è stato anche il papa che nei suoi documenti ha sviluppato un’attenzione alle vecchie e nuove forme di povertà e ribadito l’amore preferenziale per i poveri. E don Benzi e la sua comunità lo hanno ripreso «andando oltre l’assistenzialismo umanitario, spogliandolo da ogni deriva ideologica, vivendolo nella gratuità». Hanno dato vita a quella «fantasia nella carità» chiesta da Giovanni Paolo II.

Di Benedetto XVI resta il telegramma spedito alla morte di don Benzi, definito «un infaticabile apostolo della carità», ed il saluto rivolto al termine di un’udienza generale due anni dopo la morte: «La feconda eredità spirituale di questo benemerito sacerdote sia per voi stimolo a far fruttificare nella Chiesa e per il mondo la provvidenziale opera da lui iniziata a favore degli ultimi della nostra società».

Carriquiry si è quindi soffermato sull’eccezionale sintonia che si coglie fra il carisma di don Benzi e papa Francesco, rimarcando che il sacerdote ha anticipato la testimonianza e i temi fondamentali del magistero dell’attuale pontefice.

Don Oreste e le sue opere hanno anticipato l’insistenza di Francesco sul senso profondo della misericordia «come abbraccio dell’amore del Padre misericordioso che non esclude nessuno, che non pone precondizioni morali per l’incontro e l’accoglienza, che si carica di tutte le nostre fragilità per essere compagnia e salute di una umanità ferita».

Carriquiry si è detto persuaso che il carisma di don Benzi e le sue opere siano in sintonia con le nuove categorie degli esclusi, degli sfruttati dei nuovi schiavi, di cui parla spesso Francesco. Nella Evangelii Gaudium, che è il documento fondante di questo pontificato «non c’è pauperismo settario, niente dei vecchi arnesi del’ideologia, nessun progetto di cambiamento sociale deciso a tavolino».

Quello di don Benzi è per Carriquiry un carisma di prossimità solidale, pieno di tenerezza e di compassione, di passione per stare in mezzo ai bisogni e alle speranze della gente. «Le comunità e le opere del sacerdote sono ante litteram quell’ospedale da campo che secondo Francesco deve essere la Chiesa, chiamandola così ad una conversione pastorale». Solo la prossimità dell’amore rompe pregiudizi e resistenze, apre i cuori, porta con sé un’attrattiva, fa sorge domande che preparano all’annuncio del Vangelo. Tutt’altro che rimanere rinchiusi tra i muri ecclesiastici o anche tra i muri della propria associazione». Carriquiry legge insomma il carisma di don Oreste come realizzazione di quella dimensione missionaria della Chiesa, in uscita.

E così siamo all'altro filo che lega don Oreste ai tre papi citati, come emerge anche dall’Introduzione alla nuova edizione del libro intervista Con questa tonaca lisa, tornato in libreria nel decennale della morte del sacerdote (a cura di Valerio Lessi, edizioni San Paolo.

Un capitolo fondamentale dell’intervista è dedicato alla situazione della Chiesa, che in quel momento il sacerdote vedeva come «assediata e disarmata». E questo avveniva perché la Chiesa si attardava a confidare nelle strutture, nei documenti, nei convegni, anziché riconoscere la novità, frutto dello Spirito, delle nuove comunità e movimenti. Si muoveva come se esistesse ancora una cristianità mentre un popolo cristiano era tutto da ricostruire. La valorizzazione dei movimenti è stata un tratto distintivo del pontificato di Giovanni Paolo II. L’esigenza di una riforma della Chiesa che abbandonasse la fiducia nelle strutture e gli apparati per affidarsi invece all’imprevedibilità e libertà dello Spirito era un tema centrale ella riflessione del cardinale Jospeh Ratzinger, espressa anche nel famoso intervento al Meeting di Rimini del 1990 e ribadita più volte anche nel corso del pontificato. E sulla stessa scia si colloca Francesco quando insiste sulla Chiesa in uscita, quando invita i cristiani ed anche i movimenti a non essere autoreferenziali. Nel libro intervista Con questa tonaca lisa, don Benzi esprimeva, con la sua sensibilità, questi contenuti sommariamente ricordati. Se don Benzi rivendicava la valorizzazione dei movimenti e delle comunità ecclesiali non lo faceva per una nuova forma di autoreferenzialità (dalla Chiesa-istituzione alla Chiesa-movimento) ma ai fini della missione nel mondo. «Lo scopo – diceva - è che la Chiesa diventi prossima a ogni persona attraverso comunità missionarie che, salvate da Cristo, diventano contagiose per gli altri, riescono a far innamorare di Cristo». È quella stessa comunicazione del cristianesimo “per attrattiva” che Francesco ama spesso richiamare.

Pagina 40 di 115