Giuseppe Chicchi, 73 anni, è stato assessore regionale, sindaco di Rimini, deputato, amministratore dell’Apt. Per le elezioni politiche del 4 marzo si presenta candidato nel collegio uninominale della Camera per la lista Liberi e Uguali.

A una persona con il suo cursus honorum chi gliel’ha fatto fare di fare il candidato di disturbo, messo lì per fare un dispetto al Pd e per non far eleggere Sergio Pizzolante?

“Fino all’ultimo non si sapeva dove si sarebbe candidato Pizzolante e io ho invece subito firmato la candidatura per la Camera. Sono entrato in gioco solo perché sul mio nome c’è stata convergenza fra le tre componenti dell’alleanza, Articolo Uno-Mdp, Sinistra Italiana e Possibile. Non ci avevo proprio pensato, vista l’età che mi ritrovo”.

Lei è uscito dal Pd: ma cosa c’è che proprio non le andava giù nel Pd guidato da Renzi?

“Molte cose. Per esempio la politica dei vari bonus, per la quale sono stati spesi 30 miliardi. Se, per esempio, fossero stati spesi per il risanamento sismico e idraulico del Paese, avrebbero migliorato una situazione a rischio, creato lavoro, occupazione, sviluppo delle imprese. Si sarebbe creato un andamento anticiclico rispetto alla crisi dell’edilizia. C’è stata invece una cecità strategica, si è favorito il lavoro precario, tutto il contrario di una politica keynesiana. Non mi è piaciuto il Job Act. Il famoso articolo 18 era il simbolo più che delle conquiste del movimento operaio, dell’equilibrio raggiunto fra forze del lavoro e forze del capitale. Non a caso approvato da un governo Dc-Psi. È stato cancellato da noi, direttamente, sulla pelle del nostro popolo. C’è stata inoltre una bassa capacità politica a leggere la situazione. Renzi si è impegnato sul referendum senza capire che era un progetto divisivo del nostro mondo”.

Il quadro politico uscito dalla vittoria del no non è così esaltante. Basta guardare alla legge elettorale che ne è venuta fuori…

“Sono stato per il no per motivi di merito, non per dare contro a Renzi. In ogni caso il popolo che vota ha sempre ragione. Sulla legge elettorale convengo che era meglio dare la possibilità del voto disgiunto fra uninominale e proporzionale, e ammettere almeno una preferenza”.

Non le crea qualche problema sapere che i voti che lei porterà via al Pd serviranno a eleggere o una leghista o una dei 5 Stelle?

“Non vado a caccia di voti del Pd, ma di quanti, per le ragioni dette, non voterebbero mai Pd. Non ho problemi perché non porto via voti a uno di sinistra ma a un rappresentante della destra, a uno di Forza Italia”.

Che però ha sostenuto i governi a guida Pd…

“Ho seri dubbi sulle conversioni politiche di uno che ha cambiato 5 o 6 partiti in quindici anni”.

Lei è stato il sindaco di un’alleanza Pds-Dc. Anche lei si è alleato con ex avversari.

“Con la fondamentale differenza che nella Dc convivevano un centro, una sinistra e una destra. E io mi sono alleato con la componente dossettiana. Tanto è vero che subito dopo nacque l’Ulivo, significa che avevamo visto giusto”.

Quindi sempre meglio un ex dc di un ex socialista.

“Specialmente se arriva dalla destra berlusconiana. La Dc era un partito popolare, non era Berlusconi. Un documento della Jp Morgan afferma che bisogna mettere mano alle costituzioni europee che sono nate dall’antifascismo. È quello che si è fatto in Italia smantellando con il Job Act l’art.41 della Costituzione che finalizza la proprietà privata all’utilità sociale. La globalizzazione ha bisogno di un precariato totale”.

Da qui si arriva anche al fenomeno dell’immigrazione voluto per fornire manodopera a basso prezzo, una tesi che circola molto a destra.

“Non mi fido delle ricostruzioni dietrologiche. Vedo nei migranti uomini ai quali è stato tolto quasi tutto e oggi vengono a chiedere qualcosa a noi. È una conseguenza dell’imperialismo che ha dominato nel Terzo Mondo”.

Legge tutto con le vecchie categorie della sinistra…

“La principale è la storia come lotta fra le classi, solo che adesso stano vincendo i padroni. C’è una frase che conserva tutta la sua validità: proletari di tutto il mondo unitevi. Solo così si può far fronte alla globalizzazione. Detto terra a terra: non si può far niente finché gli operai cinesi non si incazzano”.

Ma le sconfitte della sinistra ideologica nel Novecento non le pongono qualche domanda?

“Ci sono molti cadaveri che stanno passando lungo il fiume, non solo quelli della sinistra. Che fine ha fatto l’idea cattolico popolare? E la cultura liberale? Non mi si dica che Berlusconi è liberale, semmai è tendenzialmente un monopolista. E la cultura laica, quella di Giustizia e Libertà?”.

Parliamo della Rimini a guida Andrea Gnassi…

Ci sono molti nodi non risolti, per esempio l’aeroporto, l’università. Che ne sarà dell’Università senza i contributi della Fondazione Carim? C’è precariato anche fra i lavoratori del turismo: come è possibile immaginare una riqualificazione in un contesto del genere? Non è stato risolto il problema delle colonie, che a Rimini e sulla riviera restano un bubbone. C’è la necessità di favorire l’uscita degli hotel marginali con strumento nuovi come i condhotel o di favorire la ristrutturazione di quelli esistenti utilizzando ad esempio le Esco (Energy Service Company). Altro grande tema è la messa a norma sismica degli edifici edificati prima del 1984 ”.

Cosa pensa della politica degli eventi così cara al sindaco?

“Ero a Milano, ero andato dal sindaco Albertini, esco e vedo in piazza Duomo una grande impalcatura alta quasi quanto il Duomo. Chiedo a un vigile: ma cos’è? Risposta: E non lo vede? é uno spreco di denaro pubblico. La politica degli eventi la vedo come una politica debole, che non produce reddito. Lavora sul marketing, cioè sull’immagine. Ma i manuali di marketing spiegano che se all’immagine non corrisponde un prodotto, c’è il rischio dell’effetto contrario”.

Dopo gli eventi, il mantra sono diventati i cosiddetti “motori culturali”, il Fulgor, il Museo Fellini… Che ne pensa?

“Penso che possano essere importanti se diventano istituzioni di una cultura solida, non solo effimero. Con l’effimero si resta ignoranti. Mi pare che qualcosa del genere abbia detto anche il professor Paolo Fabbri a proposito del Museo Fellini. Rimini tutto sommato ha un hardware solido: la Fiera, il palazzo dei Congressi, la darsena, 1200 alberghi… ciò che manca è un software che sia in grado di ottimizzare gli investimenti effettuati e di dare una dimensione internazionale alla città”.

 

Valerio Lessi

Ora che il quadro delle candidature è completato, gli elettori hanno un elemento concreto su cui ragionare per orientare il loro voto. È vero che si tratta di elezioni politiche nazionali e quindi il primo criterio di scelta è quello politico, cioè di corrispondenza alle proprie preferenze ideologiche (in senso ampio) o ai propri interessi. È però altrettanto vero che sulla scheda l’elettore troverà dei nomi e cognomi accanto ai simboli e che il voto servirà a eleggere o a non eleggere persone che hanno un volto concreto, una storia, una professionalità, una competenza. Pertanto la scelta può essere determinata da un mix tutto personale di orientamento politico generale e di apprezzamento per questo o quel candidato.

La prima cosa da sapere è che la legge elettorale in vigore non ammette il voto disgiunto. Una possibilità che, per esempio, è ammessa nelle elezioni comunali: si può votare un candidato sindaco e poi dare la preferenza al partito del cuore, che può non essere fra quelli che sostengono il candidato sindaco.

Per l’elezione della Camera e del Senato nei collegi uninominali ci sono nomi singoli (uno per partito o per coalizione) da votare, dove vince chi arriva primo e gli altri restano a casa. Ma con questo sistema (uninominale maggioritario) si elegge solo un terzo dei componenti dei due rami del Parlamento, il resto è eletto con il sistema proporzionale al quale partecipano liste di partito ognuna con un elenco di candidati. Ma queste liste di partito del proporzionale sono anche collegate al candidato uninominale. Ora se uno pensasse: mi piace quel candidato nell’uninominale proposto dalla coalizione A ma come partito nel proporzionale voglio votarne un altro che fa invece parte di un’altra coalizione, ecco questo non si può fare. Chi lo fa, si vedrà annullare il proprio voto.

Allora è importante sapere come si vota. Se faccio la croce solo sul candidato uninominale e basta, il mio voto sarà automaticamente distribuito nel proporzionale (sulla base dei risultati complessivi ottenuti nella circoscrizione) tra tutti quei partiti che sostengono il detto candidato. Ho però un’altra possibilità: tracciare la croce sul candidato uninominale e contemporaneamente sul partito che più mi rappresenta nella coalizione a lui collegata. È il modo più completo per esprimere il proprio voto e per evitare di favorire partiti che saranno pure alleati ma non mi rappresentano pienamente come quello che preferisco. La terza opzione, che sembra quella preferita dal legislatore che ha voluto una legge prevalentemente proporzionale, è quella di tracciare la croce sul simbolo di un partito: in questo caso, automaticamente, il voto sarà trasferito anche al relativo candidato uninominale.

Un po’ complicato? Sì, è vero non è semplice, ma queste sono le “delizie”, si fa per dire, del Rosatellum bis.

Accanto ai simboli di partito, l’elettore troverà sulla scheda altri quattro nomi che sono appunto i candidati del cosiddetto listino proporzionale. È un listino bloccato, non si può dare la preferenza, l’unica scelta disponibile è prendere o lasciare. È bene sapere che nella stragrande maggioranza dei casi ad essere eletto sarà solo il primo della lista o il secondo qualora al primo posto ci sia un big, candidato anche in altri collegi, e che, una volta eletto, opti per qualcuno di questi collegi. Pertanto se vi chiede il voto un candidato che è al terzo o al quarto posto, sappiate che in realtà vi chiede il voto per il suo partito, perché lui Montecitorio o Palazzo Madama lo vedrà solo in cartolina.

L’altra questione è quella del voto utile. Nel collegio uninominale ha la realistica possibilità di prevalere solo un candidato dei tre maggiori schieramenti: centrosinistra, centrodestra e 5 Stelle. Chi vota per un altro candidato, deve sapere che esprime solo un voto simbolico, di appartenenza, non contribuirà ad eleggere alcuno. Così come nel proporzionale saranno ammesse solo le liste che superano la soglia di sbarramento del 3 per cento.

Il collegio della Camera è composto dal territorio della provincia di Rimini, tranne i Comuni di Bellaria Igea Marina e Santarcangelo di Romagna. Il collegio del Senato è composto dal territorio della provincia di Rimini e da una parte del territorio di Forlì Cesena (ad esclusione del capoluogo e altri tre comuni). Il collegio plurinominale della Camera (proporzionale) è composto dia territori delle province di Rimini, Forlì Cesena e Ravenna, quello del Senato aggrega i 4 collegi uninominali Senato che comprendono il territorio della città metropolitana di Bologna e delle province di Forlì Cesena, Ravenna e Rimini, nonché una parte del territorio della provincia di Ferrara.

Elezioni 4 marzo: i candidati nella provincia di Rimini

Con sorprese e conferme si è chiusa la partita delle candidature per le elezioni politiche del 4 marzo.

Partiamo dal Senato (collegio Rimini-Cesena), dove a confrontarsi per la conquista del seggio uninominale ci sono Carla Franchini, per il Movimento 5 Stelle, Tiziano Arlotti, per il centrosinistra (Pd), e Antonio Barboni per il centrodestra (Forza Italia).

La candidatura di Carla Franchini solo all’apparenza è una sorpresa dell’ultima ora. La prima posizione nella lista dei candidati supplenti e l’incredibile soddisfazione da lei espressa per il risultato ottenuto, lasciavano intuire che ci sarebbe stato un girone di ritorno con la candidatura nell’uninominale. Carla Franchini è stata consigliere comunale a Rimini dal 2011 al 2016 e si è tenuta fuori dalla bagarre fra le due liste concorrenti che hanno portato all’assenza del simbolo a 5 stelle dalle scorse elezioni comunali. Luigi di Maio ha detto e ripetuto che nei candidati uninominali sarebbero andati esponenti della società civile. Questa linea non pare attuata a Rimini, dove le due candidate sono due militanti storiche del Movimento: Carla Franchini, appunto, al Senato e Giulia Sarti alla Camera. Ma non è un mistero che i 5 Stelle puntino sulla forza trainante del loro simbolo più che su candidature in grado di sparigliare le carte.

Tiziano Arlotti si è aggiudicato il derby di coalizione con Sergio Pizzolante per il posto di candidato al Senato, dato più sicuro per il centrosinistra rispetto al seggio della Camera. Arlotti è il deputato uscente, nel partito gode di buona reputazione e dispone di una vasta rete di amici e sostenitori che sicuramente scenderanno in campo per agevolare la sua rielezione. Certamente non commetterà l’errore di considerare certa la vittoria e c’è da aspettarsi che girerà il collegio in lungo e in largo alla ricerca dell’ultimo voto.

Se la dovrà vedere, oltre che con la Franchini, con Antonio Barboni, esponente storico di Forza Italia, per dieci anni in consiglio comunale, sempre eletto con una valanga di preferenze. Medico dell’aeronautica in pensione, è anche lui molto conosciuto in provincia di Rimini, forse dovrà farsi conoscere e apprezzare nel cesenate. Il recupero di un dirigente storico come Barboni probabilmente è da mettere in relazione con il clamoroso siluramento del coordinatore regionale Massimo Palmizio che non sarà candidato. Fra il gruppo storico azzurro di Rimini e il coordinatore regionale negli ultimi anni non è corso buon sangue, per dirla con un eufemismo. A quanto pare Palmizio è stato esautorato a causa delle proteste che arrivavano dai territori, compreso Rimini, per le candidature che venivano proposte. Non a caso nel listino proporzionale del Senato, dopo Anna Maria Bernini, è sparito il riccionese Andrea Dionigi Palazzi ed è comparso invece il giornalista Luigi Amicone, ex direttore di Tempi.

Nel collegio uninominale del Senato sarà candidata, per Liberi e Uguali, anche Giovanna Ubalducci, ex piddina, che si era candidata a sindaco a Cattolica in alternativa a Sergio Gambini. La sua presenza non impensierisce più di tanto Arlotti che invece ha qualcosa da temere dalla candidatura di Vasco Errani che guida il listino proporzionale. Poiché la legge elettorale non ammette il voto disgiunto, l’elettore piddino che sentisse il richiamo della foresta della sinistra pura e dura, inevitabilmente si troverà a votare per Liberi e Uguali anche nell’uninominale.

Alla Camera tutto è più complicato e aperto a tutte le sorprese. La ragione sta nella candidatura di Sergio Pizzolante come candidato del centrosinistra. Nel Pd, anche quando la candidatura era solo probabile, era sceso in campo per contrastarla l’ex assessore regionale Maurizio Melucci, il quale, dopo che è stata confermato, ha dichiarato che lui non lo voterà mai in quanto è un esponente storico del centrodestra, campione di trasformismo. I mal di pancia dentro il Pd sono stati immediatamente intercettati (non era così difficile prevederlo) da Liberi e Uguali che, abbandonata la candidatura di bandiera dell’ex assessore comunale Roberto Biagini, ha calato un pezzo da novanta come l’ex sindaco Giuseppe Chicchi. Il messaggio, per nulla fra le righe, mandato all’elettorato piddino è questo: fate voi, preferite un uomo con il Dna perfetto della sinistra, come Chicchi, o un uomo che fino a qualche anno fa stava con Berlusconi? Una riproposizione in salsa riminese del confronto che ci sarà a Bologna fra Pier Ferdinando Casini e Vasco Errani.

Al Senato è candidato, come capolista nel proporzionale di Noi per l’Italia-Udc (coalizione di centrodestra, leader Lupi, Cesa e Fitto), una vecchia conoscenza della politica riminese, Mauro Ioli, segretario del Ppi quando fu fatto l’accordo per Ravaioli sindaco con vice Melucci. Anche per lui un cambio di casacca speculare a quello di Pizzolante.

Se Liberi e Uguali farà di tutto per far perdere a Pizzolante voti di sinistra, non si può trascurare il fatto che il deputato uscente di Civica Popolare potrebbe recuperare molti voti a destra. Sulla carta a Rimini e a Riccione Pizzolante può disporre di un “partito” che alle ultime elezioni comunali ha raccolto più del 15 per cento. Non a caso, il listino proporzionale di Civica Popolare alla Camera è guidato dal capogruppo in consiglio comunale di Patto Civico, Mario Erbetta, e comprende anche un’altra consigliera di Rimini, Daniela De Leonardis. La grande incognita di queste elezioni alla Camera è in favore di chi ci sarà il maggior travaso di voti, se da destra verso sinistra o se da sinistra verso la sinistra-sinistra, fermo restando che Chicchi non ha alcuna possibilità di elezione, la sua appare come la classica candidatura di disturbo.

Nel collegio uninominale per la Camera Pizzolante dovrà vedersela con la candidata della Lega, l’assessore di Riccione, Elena Raffaelli. Non è escluso che fra un volto moderato e una esponente della linea sovranista e populista incarnata oggi dalla Lega, molti elettori tradizionalmente di centrodestra orientino il loro voto su Pizzolante. Sulla scheda ci sarà anche il nome della giovane Giulia Sarti, del Movimento 5 Stelle, che dalla sua ha solo la forza del simbolo, non avendo curato (o almeno nessuno se ne è accorto) i rapporti con il collegio negli ultimi cinque anni. Resta ancora inevasa, a liste presentate, la curiosità di sapere quanti click ha ottenuto in rete la Sarti per meritarsi il ritorno a Montecitorio. Misteri della politica pentastellata.

Questo l'elenco dei materiali su Fellini in possesso del Comune di Rimini

- Il libro dei sogni: il diario dove Fellini, su consiglio dello psicoanalista Ernst Bernhard, ha trascritto, a partire dagli anni Sessanta, i frutti della sua fertilissima attività onirica ed è, a tutti gli effetti, un'opera imprescindibile, e ancora tutta da studiare, per poterne comprendere la poetica. Un lavoro che, prendendo spunto dai suggerimenti e dagli strumenti della psicoanalisi junghiana, affronta e rielabora, attraverso l'utilizzo di linguaggi artistici differenti i sogni, le visioni, le paure del regista riminese. Una testimonianza straordinaria di creatività che racchiude in sé le caratteristiche del diario, dello storyboard e che affonda le radici nelle esperienze come vignettista e umorista al “Marc'Aurelio”, anticipando di qualche decennio il linguaggio delle graphic novels. Le immagini e le parole che, con assoluta libertà, crescono pagina dopo pagina, vanno a formare un'opera complessa e articolata che affianca il cinema del regista, integrandolo e arricchendolo con la mediazione del sogno;

- circa 470 disegni, una cospicua testimonianza della straordinaria propensione grafica di Fellini, che non solo usava il disegno per accompagnare le istruzioni ai suoi collaboratori (scenografi, costumisti, truccatori, ecc) ma lo praticava continuamente, utilizzando qualsiasi materiale avesse a disposizione, dai sacchetti di carta ai tovaglioli di stoffa ai frontespizi di libri;

- circa 30 abiti di scena relativi ai film Casanova e Roma realizzati da Danilo Donati, che per il Casanova ottenne l’Oscar. Del Casanova sono posseduti anche alcuni arredi, tra cui l’Uccello meccanico;

- una serie di dattiloscritti: sceneggiature intere o parziali, trattamenti, copioni e giornalieri di vari film, tra cui Le notti di Cabiria, La dolce vita, Giulietta degli spiriti, Toby Dammit, Fellini-Satyricon, I clowns, Roma, Amarcord, Il Casanova di Federico Fellini, Prova d’orchestra, E la nave va, Ginger e Fred, Intervista, La voce della luna e Il viaggio di G. Mastorna, il progetto mai realizzato.

- una raccolta di circa 124 pezzi tra manifesti, locandine e fotobuste che accompagnarono l’uscita in sala del film di Fellini;

- una collezione di quasi 600 foto scattate sui set di tutti i film di Fellini;

- ore di materiale video provenienti dall’archivio delle Teche Rai: special, backstage, servizi giornalistici e quant’altro prodotto nel corso degli anni dalla Rai su Fellini;

- un fondo di circa 120 pezzi costituito da partiture, colonne sonore, quaderni e fogli di appunti che documenta il sodalizio di Fellini con Nino Rota;

- un archivio costituito da centinaia di ritagli di giornali e quotidiani dedicati a Fellini dagli anni cinquanta fino alla sua morte;

- una raccolta di riviste umoristiche degli anni trenta e quaranta per le quali Fellini lavorò

prima di diventare regista, tra queste: “Il Marc’Aurelio”, “Il Travaso”, “Il 420”.

- una biblioteca specializzata costituita da circa 1000 pubblicazioni.

Entro il 28 febbraio dovranno pervenire al Comune di Rimini le proposte e le offerte per l’allestimento del Museo Fellini che si dipanerà fra Il palazzo del Cinema Fulgor, Castel Sismondo l’esterno di piazza Malatesta e spazi limitrofi. La base d’asta del bando è di 367 mila euro, Iva esclusa, le offerte dovranno essere al ribasso ma nella valutazione la parte economica conterà per il 10 per cento, mentre la parte tecnica peserà per il 90 per cento.

Spulciando la relazione tecnica che accompagna il bando, è possibile capire come l’amministrazione ha pensato il Museo.

Si parte dalla premessa che “Temi come la memoria, la magia, il desiderio erotico, spesso declinato nei registri del comico e del grottesco, la creazione artistica, lo spettacolo in tutte le sue varianti (dal circo al varietà al cinema stesso), il gioco, il sogno e l’inconscio costituiscono infatti alcune grandi coordinate di senso intorno a cui ruota il cinema di Fellini e che il museo dovrà sviluppare per costruire un grande catalogo di immagini felliniane”.

Ed ecco l’articolazione degli spazi. “I primi due piani del Fulgor dovranno sviluppare e reinterpretare il rapporto tra la terra d’origine e l'intera opera di Fellini, in un gioco di rimandi tra realtà e immaginazione, ricordi e sogni, storia ed espressione artistica”.

“Il terzo piano dovrà essere concepito come un loft living space: uno spazio informale nelle modalità di fruizione e libero nell’elaborazione dei contenuti; uno spazio aperto alla ricerca di nuove soluzioni per esplorare e reinterpretare l’immaginario felliniano”.

Arriviamo a Castel Sismondo: “Nelle sale del Mastio, trasformate in scenografie espositive, saranno ricostruiti gli ambienti dei film di Fellini con materiali di scena, installazioni multisensoriali e tecniche di riproduzione digitale così che il visitatore potrà attraversare e vivere il set, immergendosi, ad esempio, nella fontana di Trevi con Anita Ekberg, perdendosi nella nebbia di Amarcord, passeggiando tra i costumi di Roma e del Casanova o sfogliando, riprodotte in 3D, le pagine del Libro dei sogni”.

“Le 5 sale dell’Ala di Isotta dovranno invece godere della massima flessibilità dal punto di vista allestitivo, impiantistico e illuminotecnico, così da essere dedicate a ospitare mostre temporanee, che possono ispirarsi, oltre che alla stretta iconografia del cinema di Fellini, ai principi generali di funzionamento dei suoi film: il meccanismo della sfilata, ad esempio, così ricorrente nella costruzione di molte sequenze del regista riminese”.

Ed infine il CircAmarcord. “In questo spazio outdoor, che dovrà sviluppare la dimensione più propriamente fellinesca del Museo Fellini, il visitatore sperimenterà gli aspetti più ludici, bizzarri e freak del cinema del regista.

A partire dal luogo esatto dove il piccolo Federico scoprì la magia del circo, come Fellini racconterà ne I clowns, sorgerà un grande parco dell’immaginario visionario e cinematografico felliniano. CircAmarcord sarà una giostra di allestimenti circensi e installazioni interattive che prenderà ispirazione dai luoghi, dalle situazioni, dai personaggi e dai temi più tipici e popolari dell'opera del genio riminese, in grado di coinvolgere e trasportare persone di ogni età e cultura”.

La relazione è completata dall’elenco dei materiali felliniani in possesso del Comune, che potete leggere nell’articolo a fianco.

“Il problema è il solito, – commenta il professor Paolo Fabbri, che per alcuni anni è stato direttore della defunta Fondazione Fellini – si fanno i contenitori e poi c’è il problema di sviluppare i contenuti. Innanzitutto noto che lo si vuole chiamare Museo Internazionale, ma non viene specificato in cosa consiste questa internazionalizzazione. Con la Fondazione avevamo allestito un sito, www.federicofelllini.it, che era in cinque lingue e che ora è sospeso in un limbo, senza nuovi apporti. Se si vuole fare un Museo internazionale, quello delle lingue è un problema da affrontare. Il Museo certamente è impostato per far venire gente a Rimini, per alimentare il turismo. È in sostanza un progetto turistico, e questo può andare bene, sono riminese, so di cosa si nutre la città. Ma non basta”.

E che altro ci vorrebbe?

“Il Museo deve essere anche un luogo di ricerca. Questa è una funzione importante che non può mancare. Il Museo deve essere pensato con spazi dove la ricerca possa essere organizzata con strutture e persone adeguate, all’altezza del compito. Non ho ben capito, leggendo la relazione, cosa si voglia fare nel terzo piano del Fulgor. Penso che il terzo piano, che un tempo doveva essere destinato alla Fondazione, possa essere molto adatto per ospitare la ricerca. Che, ripeto, non può mancare”.

Nei contenuti si accenna anche ad una certa idea di Fellini. La trova corrispondente all’intera statura del personaggio?

“C’è un’insistenza su Fellini come uomo del circo, del clown, della magia, siamo sempre nell’ambito del progetto turistico. Storicamente i Musei nascono come luoghi di conservazione, adesso c’è l’idea che debbano essere luoghi di promozione. Va bene, facciano anche un festival della magia al Museo Fellini, purché sia anche un luogo di ricerca. E siano coinvolti grandi ricercatori di calibro internazionale. In qualche passaggio si accenna appena al nome di Tonino Guerra. Soprattutto per una parte della produzione felliniana, l’apporto di Guerra è determinante. Non ho ben capito come lo si voglia valorizzare”.

Con il materiale a disposizione del Comune, è possibile allestire un buon Museo?

“Il nostro Leon battista Alberti diceva che è inutile aggiungere foglie d’ore nei quadri, basta un po’ di giallo. Il cinema di Fellini è stato fatto così: l’acqua di Venezia del Casanova era resa con la plastica, il Rex lo ha proiettato su un muro di Cinecittà, lo stesso uccello meccanico è poca cosa. I “feticci” del cinema felliniano sono di materiale povero, lui non era come Visconti che utilizzava solo cose originali. Quindi, con la povertà di materiali, bisognerà lavorare soprattutto con le immagini, con contenuti multimediali. Certo, bisognerà fare una nuova edizione del Libro dei sogni, l’attuale è molto approssimativa. È necessario un serio lavoro critico che porti a una nuova pubblicazione. Bisogna inoltre tener presente che c’è un’enorme quantità di materiale cinematografico, televisivo e di stampa che ha accompagnato il lavoro di Fellini negli anni. Parte è a disposizione del Comune, ma è solo quello italiano. E tutto il materiale estero? In Francia, per esempio, c’è moltissimo. Il patrimonio andrebbe implementato, in questo e in altri campi. Per esempio, i materiali in possesso della nipote saranno acquisiti e utilizzati?”

“Vi invito ad esigere dai protagonisti della vita pubblica coerenza d’impegno, preparazione, rettitudine morale, capacità d’iniziativa, longanimità, pazienza e forza d’animo nell’affrontare le sfide di oggi, senza tuttavia pretendere un’impossibile perfezione”. Intervenendo in Piazza del Popolo a Cesena, il 1 ottobre scorso, papa Francesco ha tracciato un originale manifesto dell’impegno politico che vale la pena di rileggere in questo periodo di campagna elettorale. Francesco ha invitato a “considerare la nobiltà dell’agire politico in nome e a favore del popolo, che si riconosce in una storia e in valori condivisi e chiede tranquillità di vita e sviluppo ordinato”. E ha invitato ancora una volta a non stare a guardare dal balcone, ma di assumersi le proprie responsabilità.

La tentazione che molti si ritrovano addosso è quella dell’astensione, determinata dal triste spettacolo che la politica ha dato di sé negli ultimi anni. Tuttavia, per non restare al balcone ad osservare la storia che scorre sotto i nostri occhi e magari commentare sdegnati che è una brutta storia, l’unica possibilità che ciascuno di noi ha è quella del voto. Certo, un tempo tutto era più facile, gli schieramenti nazionali e internazionali imponevano di stare dall’una o dall’altra parte, e, magari turandosi il naso, si poteva compiere il proprio dovere civico senza troppi problemi di coscienza. Oggi tutto è diventato più complesso, il crollo delle ideologie, il discredito della politica, l’impoverimento di cultura, esperienza e preparazione delle attuali classi dirigenti, il venire meno di un rapporto diretto fra eletti ed elettori, questi ed altri fattori rendono più difficile orientarsi e scegliere.

La corruzione, gli scandali, i problemi storici sempre più incancreniti sembrano suggerire che il proprio voto non conta nulla. Comprensibile, anche se il virus del moralismo giacobino, la pretesa di un’impossibile perfezione (per dirla con papa Francesco) rischia di deformare lo sguardo sulla realtà e costringere alla resa al mainstream dominante diffuso a iosa da taluni talk show televisivi. Non ci si può limitare a stare al balcone e nemmeno arrendersi alla rabbia, al rancore, al ribellismo.

Nel discorso di papa Francesco a Cesena ci sono alcuni criteri che possono aiutare ad uscire dal vicolo cieco.

Sui politici che sbagliano

Se il politico sbaglia, vai a dirglielo, ci sono tanti modi di dirlo: “Ma, credo che questo sarebbe meglio così, così…”. Attraverso la stampa, la radio… Ma dirlo costruttivamente. E non guardare dal balcone, osservarla dal balcone aspettando che lui fallisca. No, questo non costruisce la civiltà. Si troverà in tal modo la forza di assumersi le responsabilità che ci competono, comprendendo al tempo stesso che, pur con l’aiuto di Dio e la collaborazione degli uomini, accadrà comunque di commettere degli sbagli. Tutti sbagliamo. “Scusatemi, ho sbagliato. Riprendo la strada giusta e vado avanti”.

Il politico che sbaglia è una categoria non ammessa dalla mentalità comune contemporanea, ammorbata dal giustizialismo. I vari populismi, di destra e di sinistra, alimentano le loro fortune con la gogna ai politici che sbagliano, da mandare a casa, meglio ancora in galera. I politici, come tutti gli uomini sbagliano e devono avere l’onestà di riconoscere i propri errori. Anche questa è un’attitudine non facile da riscontrare oggi nei politici, propensi a giustificare ogni azione, anche la più insensata. Se c’è una severità da esercitare è con chi non ammette errori, con chi rivendica impossibili superiorità morali. Va riconosciuto che la difficoltà di dire “ho sbagliato” dipende anche da un’opinione pubblica sempre meno incline a concedere una seconda chance a chi è andato fuori strada. L’impossibile perfezione della politica richiede uno sguardo realistico sull’uomo, sulla sua grandezza e sulle sue inevitabili debolezze.

Sulle promesse elettorali

“Le vicende umane e storiche e la complessità dei problemi non permettono di risolvere tutto e subito. La bacchetta magica non funziona in politica. Un sano realismo sa che anche la migliore classe dirigente non può risolvere in un baleno tutte le questioni. Per rendersene conto basta provare ad agire di persona invece di limitarsi a osservare e criticare dal balcone l’operato degli altri”. 

Se c’è una caratteristica del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, questa è proprio la complessità dei problemi. Ad una situazione sempre più complessa, sia sul piano locale che globale, non si può rispondere con ricette miracolistiche, con la pretesa di realizzare tutti e subito i cambiamenti necessari. Le forze politiche che vengono da un periodo di opposizione hanno invece la tentazione di presentarsi agli occhi degli elettori come capaci di risolvere in un colpo problemi che chiedono tempo e gradualità. A questa tentazione se ne accompagna un’altra. Quella di inserire nel programma l’abolizione di tutto ciò che ha fatto chi è stato al governo. Non si dice “questo è insufficiente, bisogna fare un passo avanti”, conservando quanto di buono è stato realizzato in precedenza; oppure non si dice: “sono problemi complessi, proveremo ad avviarli a soluzione”. No, si vuole marcare il cambiamento con abrogazioni totali e promesse di realizzazione immediata.

Quanto sia irragionevole la posizione di chi promette rapidi e radicali cambiamenti, lo dimostra l’esperienza storica. Quando costoro arrivano a detenere le leve del potere, immediatamente invocano la complessità dei problemi per giustificare l’impossibilità di risolverli tutti e subito.

Nell’avvio della campagna elettorale per il 4 marzo, soprattutto forze populiste come Lega e Movimento 5 Stelle hanno voluto distinguersi proponendo l’abolizione di leggi precedenti e proponendo nuovi provvedimenti di spesa senza indicare le coperture necessarie. Questi attegiamenti certamente serviranno a raccogliere voti, ma le inevitabili delusioni che ne deriveranno non faranno altro che alimentare disgusto e distacco dalla politica. Sono quindi preferibili politici che facciano la fatica di trovare soluzioni parziali ma realistiche, e non si limitino a contestare quanto fatto da chi li ha preceduti.

Sull’arte del compromesso

“Il buon politico finisce sempre per essere un “martire” al servizio, perché lascia le proprie idee ma non le abbandona, le mette in discussione con tutti per andare verso il bene comune, e questo è molto bello”.

Già il cardinale Joseph Ratzinger aveva scritto che il compromesso non è l’ignobile abdicazione dei propri ideali, ma il giusto metodo di un’azione politica volta alla ricerca del bene comune. Veniamo da più di un ventennio di barbara degenerazione del confronto politico, dove la normale dialettica fra idee diverse è diventata demonizzazione dell’avversario. Il giacobinismo rivoluzionario che anima la prassi di talune forze politiche non aiuta certo a fare passi avanti. Si rischia di dimenticare che una buona politica è “riconoscere che ogni idea va verificata e rimodellata nel confronto con la realtà; pronti a riconoscere che è fondamentale avviare iniziative suscitando ampie collaborazioni”. Il compromesso, la ricerca di accordi per il bene comune, la disponibilità ad integrare le proprie idee con quelle degli altri per trovare soluzioni più corrispondenti ai bisogni delle persone: questo è il sale della politica, non la solitaria rivendicazione della propria purezza ideale.

Valerio Lessi

A Pescara sono stati resi noti i candidati del Movimento 5 Stelle al Parlamento per i listini proporzionali. Per quanto riguarda Rimini non mancano le sorprese. Tutto secondo le previsioni per la Camera dove la deputata uscente Giulia Sarti è la capolista del listino, quindi con buone probabilità di rielezioni. Gli altri candidati (ma non sono riminesi) sono Carlo Ugo de Girolamo, Francesca Savelli e Cristiano Casadei.

Al Senato invece il listino proporzionale è guidato da Michela Montevecchi, parlamentare uscente. Al secondo posto troviamo il riminese Marco Croatti, seguito da Elisa Bulgarelli e Davide Brunelli. L’ex consigliere comunale di Rimini Carla Franchini, la cui candidatura era data per scontata dalla stampa locale, è invece segnalata solo come candidata supplente.

Non sono invece stati resi noti i nomi dei candidati per i collegi uninominali, che il capo politico del movimento, Luigi Di Maio, si riserva di indicare nei prossimi giorni. La Franchini rientrerà in gioco?

Nei prossimi giorni saranno resi noti anche i dettagli delle parlamentarie, sarà così possibile sapere quanti voti hanno preso i candidati e gli esclusi.

Poichè le sue dichiarazioni hanno messo a rumore l'area i entodestra, il consigliere Filippo Zilli vi ritorna per precisare i concetti.

"Le parole da me pronunciate “nomi improponibili” - scrive in una nota - non sono ovviamente riferite alla qualità delle persone, alcune delle quali stimo apertamente, ma piuttosto alla capacità reale delle stesse di competere con nomi più “pesanti” espressi dagli avversari, soprattutto in mancanza di una scelta condivisa che avrebbe allargato, e non di poco, il paniere disponibile. In sostanza ciò che conta è prendere voti, e a mio parere questi nomi non sono in grado di coprire elettoralmente l’intero territorio della nostra circoscrizione, col rischio di perdere una grandissima occasione. E non sarebbe la prima volta.

Da qui nascono volontà e necessità di far squadra per raggiungere l’obiettivo: l’elezione di un parlamentare del nostro territorio a noi politicamente vicino.

Si è cosi instaurato un tavolo di confronto con Forza Italia ed il suo coordinatore Rufo Spina da cui sono emerse un paio di candidature significative e decisamente autorevoli della società civile, in grado di raccogliere voti non solo nella propria parrocchia politica ma estendersi all’intero territorio".

Rispondendo ad una domanda sull’integrazione fra gli staff delle fiere di Rimini e di Vicenza, il presidente di e amministrazione delegato di Ieg, Lorenzo Cagnoni, in conferenza stampa aveva detto: “Chi pensava che non ci fossero mal di pancia tra gli appartenenti alle due diverse realtà si illudeva. Era logico che accadesse, con i tanti cambiamenti che ci sono stati”. 

Evidentemente i mal di pancia non riguardano solo i dipendenti ma coinvolge anche il management ai livelli più alti. Il vice presidente Matteo Marzotto, che rappresenta il 19 per cento dee capitale della nuova società nata poco più di un anno fa dalla fusione fra Rimini e Vicenza, ci è rimasto mano perché non è stato invitato alla conferenza stampa di Rimini. E leggendo i resoconti ha fatto un salto sulla sedia quando ha visto che Cagnoni, oltre ad aver fatto tutto da solo, non aveva battuto più di tanto sul tasto della quotazione in Borsa. Al Giornale di Vicenza ha dichiarato: «io ho la delega per seguire il processo di quotazione in Borsa e l’operazione è stata condivisa in toto dai soci di Vicenza e di Rimini. Dalle dichiarazioni rilasciate dal presidente questa priorità mi sembra essere tornata in discussione». I generale le esternazioni di Cagnoni gli sono parse “una forzatura evitabile”.

Liberi e Uguali, il nuovo partito della sinistra, guidato a livello nazionale da Pietro Grasso, ha inviato ai propri dirigenti regionali e nazionali le proprie proposte per le candidature alel prossime elezioni politiche dle 4 marzo.

Per i collegi uninominali di Camera e Senato sono stati fatti i nomi di Roberto Biagini, ex assessore del Comune di Rimini, e di Leonardo Montecchi, medico.

Ma la candidatura forte sarà quella di Vasco Errani: l'ex presidente dela Regione sarà sicuramente il capolista del listino bloccato nel collegio plurinominale o della Camera o del Senato.

Come candidati di servizio nei collegi plurinominali, Liberi e Uguali ha proposto anche Leonina Grossi, Giovanna Ubalducci, Mara Garattoni, Foetunato Stramandinoli.

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