Novità alla vigilia dell’assemblea della Banca Popolare della Valconca. L’Associazione Tutela Azionisti rinuncia a candidati due suoi uomini per i posti vacanti in consiglio d’amministrazione. Lo annuncia il presidente Ottavio Righini (che si era candidato insieme a Costanzo Perlini) informando che la decisione è stata presa nel corso di un’assemblea al Kursaal di Cattolica alla presenza di oltre 250 soci azionisti (degli oltre 500 iscritti). Cosa è successo? Righini spiega che non è stato trovato un accordo con il Consiglio di Amministrazione in carica e con l’ODS ( organizzazione dipendenti soci). In realtà nella lettera spedita nei giorni scorsi a tutti i soci, Righini e Perlini spiegavano che la loro candidatura era una proposta del consiglio, dell’associazione tutela azionisti e dell’organizzazione dei soci dipendenti. In realtà il consiglio d’amministrazione aveva dato il suo assenso ad un posto, ma l’associazione li voleva tutti e due.

Comunque tutto saltato. Righini annuncia battaglia: “Rimane la sola Assemblea di Bilancio di domenica 6 maggio per esprimere tutto il proprio disappunto per il trattamento che è stato loro riservato, e per lamentare del come è stata gestita la BPV in questi ultimi anni, che fra l’altro ha portato il valore delle azioni a scendere in tre anni di oltre il 60% e la illiquidità della stessa”.

L’assemblea di domenica, ma questo lo si sapeva anche prima, sarà quindi molto calda. La Banca ha già fatto sapere che,invertendo il ciclo degli ultimi anni, il bilancio 2017 ha chiuso con quasi un milione di euro di utile. Ma restano tutti gli interrogativi sul futuro e la scadenza di giugno per la trasformazione in Spa, condizione indispensabile per trovare un socio che possa investire per ripianare la situazione.

                                                                                                                                               

Interrogazione del capogruppo di Patto Civico Mario Erbetta sull’elettrodotto Forlì Fano. L’elettrodotto è stato oggetto di vari procedimenti penali che hanno accertato il nesso di causalità fra l’impianto ed alcune patologie dei residenti. Adesso è in corso un dibattimento in sede civile. I tale procedimento, la soluzione prospettata da tutte le parti del processo (tranne Terna) e dai dai loro consulenti tecnici è l'interramento dei conduttori di corrente elettrica.

Erbetta ha chiesto: quale sia la posizione dell'amministrazione a riguardo, in particolare quali siano state le conclusioni degli Avvocati del Comune di Rimini nella causa in corso e comunque in che modo voglia procedere l'amministrazione concretamente e cioè se è stato studiato dai tecnici comunali un interramento della linea e dove ed eventualmente quali azioni intende il Comune intraprendere affinchè si tuteli la salute dei cittadini riminesi che si trovano ad ammalarsi per colpe non loro; se possa essere fattibile un interramento della linea nel terreno adiacente all'autostrada che eviterebbe interramenti che provocherebbero fasce di divieto di coltivazione ampie; se sia in programma un incontro con i vari Sindaci dei Comuni coinvolti dall'elettrodotto Forlì - Fano, Terna e le popolazioni interessate affinchè si risolva velocemente questo annoso problema e si evitino ulteriori malattie anche cancerogene ai cittadini.

In risposta, l’assessore Montini ha confermato che l’amministrazione condivide la posizione dell’interramento dell’elettrodotto. Ha rimandato a future verifiche la risposta circa la possibilità di farlo anche vicino all’autostrada. Ha detto che al momento non ci sono incontri con altre amministrazioni.

Erbetta si è dichiarato insoddisfatto ed ha trasformato l’interrogazione in mozione. Ha anche annunciato che sarà patto Civico a creare un tavolo con le altre amministrazioni per mantenere alta l’attenzione sul tema.

Si chiamano Condhotel, sono una realtà in molti paesi europei, sono stati introdotti in Italia dal decreto Sblocca Italia. Perché dalla previsioni si possa passare alla fase operativa, è necessario un regolamento regionale. Oggi la Regione Emilia Romagna ha annunciato che tale regolamento sarà varato entro l’estate.

Ma cosa sono i CondHotel? È una tipologia ricettiva che permette di usare una parte della superficie destinata alle camere per realizzare appartamenti residenzialiche sono integrati con l’Hotel. È evidente che si tratta di una possibilità offerta a quelle strutture ricettive che ormai sono fuori mercato e che sono alla ricerca di una via per ristrutturarsi. Le norme nazionali prevedono che il ricavato della vendita degli appartamenti deve essere obbligatoriamente destinato a interventi di riqualificazione e ammodernamento dell’Hotel. In Riviera esistono ovviamente pareri discordi sull’opportunità e sull’efficacia dei Condhotel. Tuttavia oggi la Regione incassa il via libera di Alessandro Giorgetti, presidente regionale di Federalberghi, e Marco Pasi, amministratore Cat di Confesercenti ER in rappresentanza di Assohote“, che hanno dichiarato: ”Si tratta di una leva importante per gli imprenditori, un’opportunità di riqualificazione senza alcuna speculazione. Con il regolamento attuativo della Regione ci allineiamo agli altri Paesi europei e incrementiamo la qualità dell’offerta ricettiva del territorio”.

Il Condhotel abbina camere di albergo, minimo sette, con unità abitative dotate di cucina autonoma che possono essere frazionate e vendute ai privati o affittate sulla base di un contratto di affidamento in gestione. Il gestore unico si impegna a garantire ai proprietari delle unità abitative ad uso residenziale i servizi alberghieri per una durata non inferiore a 10 anni dall’avvio dell’esercizio.

La superficie massima che può essere messa in vendita non deve superare il 40% della superficie complessiva netta delle camere. I nuovi alloggi e le camere di albergo ‘tradizionali’ devono inoltre condividere la portineria e altri servizi di tipo alberghiero.

E se il Condhotel è costituito da più immobili, questi devono essere inseriti in un contesto unitario, nello stesso Comune e avere una distanza massima di 200 metri dall’edificio alberghiero sede della reception.

Come già evidenziato, l’obbligo per gli albergatori è di realizzare, con le somme percepite dalle vendite o dagli affitti, interventi di riqualificazione (restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia) in grado di fare acquisire alla struttura una classificazione superiore a quella attribuita in precedenza, minimo 3 stelle. Da quest’ultimo vincolo sono esclusi i 4 stelle o superiori.

Per permettere la trasformazione degli alberghi esistenti in Condhotel, le Regioni possono prevedere, con norme regionali di attuazione, modalità semplificate per l’approvazione di varianti agli strumenti urbanistici comunali e, ove non siano necessarie varianti, i Comuni possono concedere lo svincolo parziale degli edifici destinati a esercizio alberghiero attraverso il cambio di destinazione d’uso a civile abitazione, con pagamento dei relativi oneri di urbanizzazione e la possibilità di frazionamento e alienazione anche per singola unità abitativa, purché venga mantenuta la gestione unitaria.

Il proprietario della nuova unità abitativa si impegna a rispettare le modalità di conduzione del Condhotel, a garantire l’omogeneità estetica dell’immobile in caso di interventi edilizi e ad adempiere ad altri obblighi negoziali.

“Intendiamo dare una rapida attuazione sul nostro territorio a questa norma - sottolinea l’assessore regionale al Turismo, Andrea Corsini-. Norma che è stata promossa a livello nazionale dalla nostra Regione e dalle Associazioni del settore per raggiungere un duplice obiettivo: diversificare l’offerta turistica con una nuova tipologia di ricettività e favorire gli investimenti per la riqualificazione degli esercizi alberghieri. Il tutto a consumo zero di suolo, in linea con quanto previsto dalla legge urbanistica approvata di recente dalla Regione, rigenerando e recuperando porzioni importanti e di pregio delle nostre città contro il degrado. E in una seconda fase, non escludiamo un nostro intervento legislativo ancor più incisivo, se necessario, dopo il confronto con i Comuni e le Associazioni di categoria del comparto turistico”.

Nei giorni scorsi è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea il nuovo bando di gara per la gestione del servizio idrico nel territorio della provincia di Rimini. I soggetti interessati dovranno presentare le loro candidature entro il 13 giugno. Il precedente bando è stato annullato perché la multinazionale spagnola Acciona Agua ha presentato e vinto il ricorso al Tar contro l’esclusione decretata da Atersir per un aspetto formale.

In attesa di conoscere il nome del gestore (sarà ancora Hera? Sarà un gruppo straniero?), Amir, che è la società proprietaria delle reti, ha fatto il punto sulla propria attività e lanciato qualche messaggio agli amministratori locali.

Il bilancio si chiude con un utile di 864 mila euro, il miglior risultato degli ultimi dieci anni. L’azienda ha un patrimonio valutato circa 48 milioni (non solo le reti idriche, ma anche immobili), solo tre dipendenti e un amministratore unico che è Alessandro Rapone. I maggiori ricavi arrivano dal canone che il gestore paga, le spese sono soprattutto investimenti per il mantenimento e il potenziamento delle reti. Fra il 2014 e il 2020 ha finanziato interventi per oltre tre milioni di euro, ed ha fornito un contributo di 7,2 milioni di euro per i lavori al depuratore di Santa Giustina.

Nel presentare i dati, l’amministratore Rapone ha richiamato l’attenzione sull’esigenza di monitorare e controllare la rete idrica per diminuire il tasso di dispersione che, di fronte a fenomeni di siccità come nell’estate scorsa, è, per così dire, un lusso che non ci si può permettere. In Romagna il tasso di dispersione è inferiore al 20 per cento, migliore rispetto alla media nazionale che è del 40 per cento, comunque incidente e da ridurre. La principale causa della dispersione è l’obsolescenza delle reti, ma incidono anche i sommovimenti del terreno (fenomeno naturale) e la forte pressione nei momenti di alto consumo.

Quindi la rete è da tenere costantemente monitorata e va attuata una programmazione lungimirante accompagnata da solidità finanziaria. Le amministrazioni, ecco il primo messaggio, non devono considerare Amir una sorta di bancomat da cui prelevare a piacimento. Cosa succede? Succede che in tempi di spending rewiew alcuni Comuni pensano di disfarsi della loro partecipazione in Amir. Lo ha fatto il Comune di Riccione (la sua quota era pari a 250 mila euro) e lo hanno fatto altri Comuni come Gabicce e Carpegna, detentori però di quote insignificanti. Inoltre, anche se ad Amir non è ancora arrivata la comunicazione ufficiale, anche il Comune di San Leo, pure con una quota di 250 mila euro, ha deciso di tirarsi indietro. Se per Riccione la decisione è giustificata dal fatto che è il socio di riferimenti di Sis, l’altra società provinciale proprietaria delle reti, desta in Amir preoccupazione e qualche interrogativo la decisione di San Leo. In quel territorio comunale la società ha alcune infrastrutture che appartengono al territorio demaniale, quindi apparirebbe che San Leo non possa uscire così facilmente. La questione, molta complessa dal punto di vista giuridico, è stata affidata ad un legale.

Per cautelarsi di fronte a questi fenomeni, l’assemblea di Amir ha deciso di devolvere l’utile 2017 ad una riserva straordinaria.

Un altro messaggio Rapone lo ha voluto lanciare a proposito della prospettata fusione di Amir in Romagna Acque. Niente da dire sull’opportunità di una gestione di area vasta, però gli amministratore locali prima di dare il proprio assenso cerchino di ottenere le dovute garanzie sugli investimenti che Romagna Acqua farà nei prossimi vent’anni a Rimini.

Reprimenda della Corte dei Conti alla Provincia di Rimini a proposito del piano di revisione sulle società partecipate varato nell’ottobre 2017. Può sembrare strano che la questione interessi la Provincia (non era stata abolita?, si chiederà qualcuno) ma in realtà alla data del 23 settembre 2016 l’ente (che pur essendo di secondo grado, ancora sopravvive, avendo vinto il no al referendum costituzionale) risultava avere partecipazioni dirette in quindici società di cui quattro appartenenti al settore mobilità e trasporto pubblico locale, tre al settore fieristico congressuale, sei riconducibili allo svolgimento di servizi di varia natura, un istituto bancario, e un Gruppo di azione locale. Successivamente a quella data, la Provincia ha dismesso le proprie partecipazioni in Banca Carim spa, Ferrovie Emilia-Romagna srl, Geat spa, L’Altra Romagna scarl, Ervet spa, Porto intermodale di Ravenna – SAPIR spa, TPER spa.

La Provincia conserva partecipazioni in altre società sulle quali si concentra il piano di revisione preso di mira dalla Corte dei Conti. Vediamole una per una. L’interesse è dato anche dal fatto che le società partecipate della Provincia lo sono anche del Comune, anche se nel 2017 solo la Provincia era fra gli enti sui quali la Corte ha deciso di esercitare il controllo a campione.

L’ente è presente con l’8,65 per cento del capitale nella società consortile Patrimonio mobilità provincia di Rimini, che è la società proprietaria delle rete di trasporto pubblico e incaricata di condurre a termine il Trc. Qui la Corte rileva che la società deve adeguarsi alle norme del Testo Unico 175 del 2016 che vuole che le società a controllo pubblico abbiano di norma un amministratore unico (in Pmr c’è un Cda di tre membri).

La Provincia detiene il 2,65 per cento nel Centro agro-alimentare riminese spa. In questo caso il rilievo è sul fatto che nella relazione della Provincia si parli di assenza di controllo pubblico sulla società, nonostante il 90 per cento del capitale sia in mano pubblica. La Corte replica che tale controllo esiste anche quando più pubbliche amministrazioni esercitano il controllo congiuntamente mediante comportamenti concludenti, a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato. Quindi è necessario che i soci pubblici assumano le iniziative del caso allo scopo di rendere coerente la situazione giuridica formale con quella effettiva, e di adeguare di conseguenza anche gli organi di gestione (amministratore unico).

Più interessanti e sostanziose le osservazioni a proposito di Rimini congressi spa, una delle scatole in cui è racchiuso il sistema fieristico congressuale riminese. La società è partecipata al 31,92 per cento dalla Provincia, al 35,58 per cento dal Comune di Rimini tramite la propria holding e al 32,5 per cento dalla Camera di Commercio della Romagna. Stando alle disposizioni del Testo Unico, la società dovrebbe essere chiusa: non ha dipendenti e un fatturato pari a zero. Nel proprio piano la Provincia la conserva e osserva che la situazione deriva dal fatto che si tratta di holding pura e che i requisiti, in termini di dipendenti e fatturato sono soddisfatti se riferiti all’intero gruppo.

La Corte ne prende atto, e allora appunta le proprie osservazioni sul gruppo. Al momento di inviare la relazione alla Corte dei Conti ancora non era stato perfezionata l’annunciata fusione fra Vicenza e Rimini. Dopo la fusione, la Provincia ha conferito la partecipazione diretta in Italian exhibition group spa a Rimini Congressi, che attualmente detiene il 57,84 per cento della società fieristica. La Corte prende atto della confermata volontà di quotazione in Borsa, osservando però che non sono indicati i tempi previsti e che si parla genericamente di medio termine. In attesa che ci sia una privatizzazione, IEG resta controllata da Rimini congressi srl, che partecipa ad un patto parasociale stipulato insieme alla stessa Provincia di Rimini e alla Regione Emilia Romagna. Si tratta quindi di una partecipazione di controllo e pertanto nei prossimi provvedimenti di revisione delle partecipate dovranno essere considerate le partecipazioni societarie possedute tramite Rimini Congressi: la Società del palazzo dei congressi spa, la stessa Italian exhibition group spa e le società da queste a loro volta partecipate.

In tale prospettiva la Corte osserva che lo statuto di Italian exhibition group spa prevede un consiglio di amministrazione composto da sette a undici membri (quello eletto nei giorni scorsi ne contempla nove) e che, pertanto, esso andrebbe adeguato alle previsioni di legge, cioè amministratore unico o al massimo consiglio di tre membri.

Sul sistema fieristico - congressuale l’ultima osservazione della Corte riguarda la Società del Palazzo, proprietaria dell’astronave di via della Fiera, posseduta al 81,39 per cento da Rimini congressi srl, al 18,39 per cento da Italian exhibition group spa e allo 0,22 per cento da Aia Palas scarl). I giudici prendono atto della previsione di fondere per incorporazione entro il 2020 la Società del palazzo dei congressi nella controllante Rimini congressi, però non si esimono dal rilevare che a rigor di legge andrebbe chiusa, essendo priva di dipendenti e avendo registrato risultati di esercizio negativi fin dal 2007 (anno della sua costituzione).

Riguardo a Romagna acque – società delle fonti spa, partecipata al 2,57 per cento, la Corte censura il fatto che lo statuto societario, nonostante sia stato aggiornato nel dicembre 2017, preveda ancora un consiglio di amministrazione composto da cinque membri e che, non siano state incluse nel provvedimento di ricognizione straordinaria le partecipazioni possedute indirettamente tramite Romagna acque spa.

Su Start Romagna, partecipata dalla Provincia al 2,49 per cento, la Corte prende atto del «percorso di privatizzazione della società prospettato dalla Provincia, peraltro, secondo quanto riferito, necessario per “superare il duplice ruolo attualmente ricoperto dagli enti locali di soci del regolatore e anche del gestore” del servizio». Osserva infine che lo statuto prevede ancora un consiglio di cinque membri.

Il Parco del Mare procede a spizzichi e bocconi. L’ultimo atto dell’amministrazione comunale è l’affidamento di due incarichi professionali connessi alla realizzazione dei parcheggi interrati nei primi due tratti di lungomare (dal piazzale Fellini a piazzale Kenned, lungomare Spadazzi a Miramare), quelli dove il Comune è impegnato a realizzare l’Infrastruttura verde urbana per il Parco del mare, ovvero tutti gli interventi pubblici necessari a completamento dell’intervento che faranno i privati.

Dalla determina si apprende che saranno realizzati due parcheggi interrati, uno di 430 posti auto (tratto Fellini-Kennedy) e uno di 93 posti auto sotto il lungomare Spadazzi.

Come si è arrivati alla decisione e alla individuazione dei posti auto? La determina richiama lo studio “Analisi e strategie per il sistema della sosta del Parco del Mare”, presentato dalla società Mobilityinchain srl di Milano, specializzata appunto nello studio e nella proposta di piani della mobilità e del traffico. La società milanese aveva ricevuto l’incarico di studiare la mobilità connessa al Parco del Mare nell’ottobre scorso, con un impegno di spesa da parte del Comune di circa 26 mila euro. La società doveva fornire risposte a tre grandi questioni: lo spostamento del traffico dal Lungomare su Viale delle Regine, Asse Mediano e SS-16; il sistema della sosta in parcheggi interrati sotto il sedime del Lungomare; il sistema della sosta a ridosso del tracciato ferroviario/Trc. Per quanto riguarda i parcheggi interrati le proposte doveva spingersi fino ad immaginare anche la politica tariffaria.

Gli incarichi professionali affidati nei giorni scorsi sono per un ingegnere, Loris Rinaldi, finalizzato alla redazione del progetto delle strutture, e per un geologo, Fabio Vannoni, per le necessarie indagini geologiche e idrogeologiche. Per l’ingegner Rinaldi è previsto un compenso di 24 mila euro e per il geologo Vannoni di 34 mila euro. Le opere pubbliche che vanno sotto il titolo “Infrastruttura verde urbana per il Parco del mare” devono essere completate entro il 2019, pena la perdita del contributo di 2,85 milioni di fondi europei ottenuti tramite la Regione.

L’altro tassello che deve comporsi è quello delle proposte dei privati che hanno accettato di essere della partita. I loro interventi (così come quelli del Comune) dovranno attenersi alle linee guida che sono in corso di elaborazione dallo studio Miralles Tagliabue in collaborazione con altri studi. I una recente intervista al Sole 24 Ore l’architetto Tagliabue ha parlato di tempi lunghi per la redazione del Masterplan. Tempi lunghi che mal si concilierebbero con l’esigenza di rispettare le scadenze. Ora si apprende che in data 10 maggio l’architetto dovrebbe essere a Rimini per consegnare i primi elaborati. Si spera per quella di data di poter vedere qualcosa che non siano i generici rendering finora circolati.

Intanto l’amministrazione ha fatto sapere che sono cominciati i lavori di copertura della vasca di laminazione di piazzale Kennedy, sopra il quale sarà realizzato un belvedere che costituirà parte integrante del futuro Parco del Mare. Nello stesso tempo il titolare del bagno 28a ha cominciato il rifacimento del proprio stabilimento balneare “distrutto” dal cantiere di Hera. Il finanziamento avuto per i danni subiti lo aiuterà nel dare un volto nuovo al proprio stabilimento, progettato secondo le linee del piano dell’arenile. Quindi è un anticipo del Parco del Mare – secondo le dichiarazioni dell’assessore Frisoni - solo per modo di dire. Anche perché, da quel che risulta, solo cinque bagnini e due risto-bar hanno finora aderito, e sono tutti nella zona del lungomare Spadazzi. Tutti gli altri sono nella posizione dell’attesa: aspettare di vedere che esito avrà la vicenda delle concessioni.

In una ricerca condotta da Mediobanca su dati del 2015, la Banca Popolare della Valconca era considerata un istituto di credito ad alto rischio. In quella speciale classifica comprendente 114 banche, la Carim era al quindicesimo posto e la Valconca al sessantunesimo. Sappiamo quale è stato il destino di Carim e il redde rationem è alle porte anche per l’istituto di Morciano. Certo, le dimensioni non sono paragonabili (la Valconca gestisce 22 sportelli ed ha 180 dipendenti) ma le dinamiche, almeno quelle macro, sono le stesse.

La Popolare della Valconca è in perdita costante dal 2013: complessivamente si sono polverizzati quasi 46 milioni, di cui 23,5 solo nel 2016. Nello stesso periodo i crediti in sofferenza sono passati da 59,4 milioni a 72,3, andando ad incidere pesantemente sul patrimonio della banca. A quanto pare il film è lo stesso visto alla Carim: sono stati concessi finanziamenti a soggetti scarsamente affidabili, il che ha contribuito ad incrementare il totale dei crediti deteriorati. Inoltre, si è concentrata l’attività prevalentemente nel settore immobiliare, senza opportune diversificazioni.

Anche alla Popolare della Valconca tra il 2016 e il 2017 sono arrivati gli ispettori di Bankitalia che l’hanno rivoltata come un calzino e hanno dato precise indicazioni per il futuro. La prima è che il peso dei crediti deteriorati è tale che l’istituto non può più pensare di cavarsela da solo, deve necessariamente trovare un partner robusto che possa immettervi denaro fresco per risanare la situazione e pensare al futuro. I crediti deteriorati, inoltre, come da indicazioni della BCE, dovranno essere ceduti e scomparire dai bilanci entro il 2019. La seconda indicazione è strettamente collegata alla prima: l’istituto deve trasformarsi in Spa perché un eventuale investitore non accetterà mai di sborsare milioni di euro e non contare nelle decisioni sulla base del capitale investito. La storica formula della cooperativa per azioni è quindi da abbandonare per dotarsi di un nuovo strumento societario, più consono a tempi che prevedono pochi e forti competitor nel mercato bancario italiano ed europeo: la stessa cosa peraltro stanno compiendo, sia pure con un percorso diverso, le Banche di credito cooperativo.

Il giorno fatidico dovrebbe essere fissato nel mese di giugno. Sarà convocata un’assemblea straordinaria con all’ordine del giorno la trasformazione in Spa.

E qui, non ci vuole molta fantasia a immaginarlo, cominciano i dolori. Nella Popolare della Valconca, guidata da oltre vent’anni dall’avvocato Massimo Lazzarini, sono in molti a non volersi rassegnare al cambiamento e, a dispetto dei dati di bilancio e delle prescrizioni di Bankitalia, continuano a coltivare l’illusione di poter conservare la propria autonomia e di poter raccogliere denaro da investitori disponibili a contare quanto un azionista da pochi euro. Naturalmente gli psicodrammi e le preoccupazioni sono alle stelle: gli amministratori vedono in pericolo i propri incarichi e il ruolo, da alcuni rivestito per lunghi anni; i soci azionisti temono di perdere in modo consistente il denaro investito; i dipendenti sono in allarme perché temono per il proprio posto di lavoro, nonostante finora non siano avvenuti licenziamenti.

Si può quindi prevedere che l’assemblea dei soci in programma domenica prossima sarà particolarmente calda. Oltre che approvare il bilancio consuntivo 2017, che verosimilmente non sarà da brindisi, l’assemblea deve anche eleggere due componenti del consiglio d’amministrazione. Sbagliato pensare che, visto che al massimo staranno in carica giusto due mesi, nessuno sia interessato ad occupare quelle due poltrone. C’è infatti grande fermento, e ne è la prova una lettera, di cui siamo in possesso, in cui si caldeggiano due nomi – Ottavio Righini e Costanzo Perlini, esponenti dell’associazione piccoli azionisti – per i posti vacanti. Non è facile capire la logica razionale che suggerisce questa battaglia per entrare in un consiglio d’amministrazione inevitabilmente a scadenza. Si pensa di poter difendere meglio gli interessi dei soci azionisti che verosimilmente vedranno azzerate le proprie partecipazioni prenotando un posto nel consiglio? Ma non si considera che chi accetterà di investire nella Valconca nominerà un suo consiglio d’amministrazione, espressione della quota di capitale sociale acquistata?

A proposito di possibili soggetti interessati alla Banca, si fa il nome del fondo Lowy (gruppo internazionale con sede ad Hong Kong) che nei giorni scorsi ha perfezionato l’acquisto di Credito di Romagna, un altro istituto che, dopo essere stato coinvolto in inchieste anche di natura penale, rischiava la risoluzione e che ha comunque subito il removal totale di tutti gli amministratori da parte della Banca d’Italia. Per l’acquisto di Credito di Romagna (11 sportelli), Lowy ha sborsato 50 milioni di euro che, sommate alle cifre richieste dalle autorità di Vigilanza europee, alzano il costo effettivo dell’operazione ad almeno 60/65 milioni; si valuta che per la Popolare della Valconca ne siano necessari almeno 75. Ma l’interesse di Lowy (o di ogni altro potenziale acquirente) e della stessa Valconca si potrà realizzare solo se l’istituto marcia spedito verso la trasformazione in Spa. Il passaggio indicato da Bankitalia appare la condizione necessaria perché il piccolo istituto di credito di Morciano possa aspirare ad avere, oltre a una gloriosa storia, anche un dignitoso futuro.

La grande novità è il ritorno di Ugo Ravanelli nelle vesti di amministratore delegato. Ravanelli  giusto due anni fa se ne era andato da Rimini Fiera (ancora non c’era IEG) per contrasti con il presidente Lorenzo Cagnoni. Oltre alla novità, dall’assemblea degli azioni di IEG che oggi ha eletto il nuovo consiglio d’amministrazione la conferma di Matteo Marzotto come vice presidente.

Ravanelli nel 2016 se ne era andato (era direttore generale) perché Cagnoni si era opposto alla sua nomina di amministratore delegato, volendo concentrare nelle sue mani tutto il potere esecutivo. Nella nota ufficiale diffusa da IEG si legge oggi che il consiglio d’amministrazione ha accettato la raccomandazione del Comitato per la Corporate Governance e la best practice internazionale “di evitare la concentrazione di cariche in una sola persona ed in particolare di prevedere la separazione dei ruoli di Presidente e di Amministratore Delegato”. Quindi Cagnoni presidente e Ravanelli amministratore delegato.

Del consiglio d’amministrazione fanno dunque parte Barbara Bonfiglioli, 58 anni, Sales Manager - Responsabile commerciale Estero e Italia per le Collezioni Fuzzi, Jean Paul Gaultier, Custo Barcellona Beachwear, PierAntonioGaspari; Lorenzo Cagnoni, 79 anni, Presidente di Rimini Fiera e poi di IEG dal 1995; Amministratore Delegato dal 1995 ad oggi; Michela Cavalieri, 51 anni, Assessore alle Risorse Economiche e alle Politiche del Lavoro del Comune di Vicenza;Daniela Della Rosa, 49 anni, Presidente e Amministratore Delegato di Petroltecnica S.p.A., socio fondatore di DDR Studio Legale. Membro dell’Organismo di vigilanza di Acquirente Unico S.p.A; Maurizio Renzo Ermeti, 60 anni, imprenditore del settore alberghiero e Presidente del «Forum per il Piano Strategico di Rimini»; Lucio Gobbi, 31 anni, dottorando in Economics and Management - International Economics School of Social Sciences – Università di Trento. Esperienze di insegnamento presso le università di Trento e del Sacro Cuore – Milano; Catia Guerrini, 55 anni, imprenditrice del settore dolciario. Vice Presidente di Cesena Fiera S.p.A. e componente del Consiglio Generale di Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena; Matteo Marzotto, 51 anni, imprenditore. Già Presidente di Fiera Vicenza e poi Vice Presidente di IEG. Presidente di Dondup S.p.A., membro, tra gli altri, dei Consigli di Amministrazione di Brunello Cucinelli S.p.A., Morellato & Sector S.p.A; Ugo Ravanelli, 64 anni, Consigliere di Amministrazione Indipendente e Presidente del Comitato Controllo e Rischi di MARR S.p.A. (quotata al Segmento Star di Borsa Italiana S.p.A.) di cui è stato anche Amministratore Delegato e Presidente; Simona Sandrini, 51 anni, Head of Automotive Events presso GL Events Italia S.p.A.

 L’assemblea degli azionisti ha approvato anche il bilancio consuntivo del 2017.

L’esercizio 2017 del Gruppo IEG si è chiuso con un fatturato consolidato pari a 130,7 milioni di euro. Il Margine Operativo Lordo (EBITDA1) al 31 dicembre 2017 ammonta a 23,2 milioni mentre l’Utile Netto consolidato è di 9,1 milioni di euro.

Nel 2017, nel complesso delle sedi espositive e congressuali di Rimini e Vicenza, IEG ha totalizzato 59 manifestazioni, 280 tra congressi ed eventi, 15.649 espositori, 2.648.675 visitatori.

La capogruppo IEG S.p.A. ha chiuso l’esercizio 2017 con 109,4 milioni di euro di ricavi e un Utile Netto di 8,7 milioni.

L’Assemblea degli Azionisti ha deliberato la distribuzione di un dividendo lordo di 0,18 euro, con un dividend payout ratio del 63,6%, che verrà messo in pagamento entro il 31 luglio 2018; l’utile non distribuito, pari a circa 3,1 milioni di euro viene accantonato a Riserve.

Il sindaco Andrea Gnassi, il segretario generale Laura Chiodarelli e i componenti della giunta di allora (Roberto Biagini, Gian Luca Brasini, Irina Imola, Massimo Pulini, Nadia Rossi, Jamil Sadegholvaad e Sara Visintin) hanno rinunciato all’appello contro la sentenza della Corte dei Conti che li aveva condannati in relazione al caso di Sergio Funelli, il capo di gabinetto assunto con uno stipendio non corrispondente al reale titolo di studio (mancava la laurea). Ciò significa che Gnassi e Chiodarelli dovranno rifondere l’ente di 16.457,20 euro e gli assessori dovranno sborsare 4.081,34 euro ciascuno.

La diversità di trattamento fra Gnassi e Chiodarelli e i singoli assessori sta nel fatto che i componenti della giunta sono stati giudicati colpevoli di aver istituito in organico la figura di capo di gabinetto con un emolumento eccessivamente alto (non tale se Funelli fosse stato laureato), mentre Gnassi ha concretamente nominato Funelli e Chiodarelli ha stipulato il contratto per l’ente.

In un primo momento tutti gli imputati avevano presentato ricorso alla sentenza di primo grado. Anche perché fra loro c’era il sindaco Andrea Gnassi che non era coperto da assicurazione perché si era dimenticato di stipulare la polizza. Inoltre, in quel momento, faceva testo la sentenza assolutoria nei confronti di Matteo Renzi, che nelle sue vesti di presidente della provincia di Firenze, aveva subito un processo analogo. Nel ricorso, presentato dall’avvocato Fernando Pinto, gli amministratori aveva sostenuto la tesi che non c’era stato danno erariale, anzi l’ente aveva risparmiato 600 mila euro rispetto all’assetto organizzativo preesistente.

In seguito però è emerso che gli ultimi orientamenti giurisprudenziali lasciavano intuire che ci sarebbe stata una condanna anche in appello con l’aggravio delle spese locali, di qui la decisione di rinunciare al ricorso, presentata nel febbraio scorso, e la sentenza di accoglimento della rinuncia all’appello emessa dalla Corte io 20 aprile.

Tutti i condannati in primo grado dovranno quindi restituire il danno quantificato, chi di tasca propria, chi tramite l’assicurazione.

È in programma domani a Rimini l’assemblea di IEG (Italian Exhibition Group), la società del gruppo fieristico riminese. Sarà chiamata ad eleggere il nuovo consiglio di amministrazione dopo che un mese fa tutti i componenti “riminesi” del consiglio aveva rassegnato le dimissioni in anticipo rispetto alla scadenza naturale, proprio per provocare un aggiornamento della governance del gruppo. Le dimissioni erano state motivate con l’esigenza di avere un consiglio pienamente legittimato e funzionante in vista della probabile quotazione in Borsa.

Alla vigilia dell’assemblea, si è appreso che nei giorni scorsi l’assemblea di Vicenza Holding, che detiene il 19 percento delle azioni, avrebbe indicato, anche se non in maniera ufficiale, i due consiglieri che da statuto gli spettano: sarebbero l’attuale assessore alle attività partecipate del Comune di Vicenza, Michela Cavalieri, ed il vice presidente uscente Matteo Marzotto. Quest’ultimo, secondo le indiscrezioni, sarebbe dunque confermato in consiglio, anche se non si sa in quale ruolo. Al socio vicentino, spetta comunque la vice presidenza. L’assemblea dovrebbe inoltre nominare un amministratore delegato, ridimensionando così il ruolo del direttore generale Corrado Facco, che potrebbe uscire dalla società.

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