Sono, per così dire, i convitati di pietra del programma per il superamento del campo nomadi abusivo di via Islanda. Se per le famiglie di etnia Sinti è stata, dopo lunga gestazione, trovata la soluzione delle microaree famigliari, per gli altri, cittadini rumeni, non è prevista questa soluzione. La domanda, sollecitata dagli esponenti dell’opposizione, è rimbalzata più volte anche in consiglio comunale senza mai trovare, a dire il vero, una risposta chiara ed esaustiva da parte della giunta. Adesso, i rumeni, stando a quanto scrive il Carlino, dicono che vogliono anche loro le casette promesse ai Sinti, altrimenti non muoveranno le loro roulotte da via Islanda. “Per i rumeni – spiega Kristian Gianfreda, consigliere di maggioranza, che ha seguito il progetto fin dall’inizio – saranno attivati gli interventi assistenziali di bassa soglia, cioè quegli strumenti che il Comune di Rimini ha per far fronte ai casi di emergenza. Sono provvedimenti limitati nel tempo e con a disposizione un budget limitato”. Proviamo a tradurre: se ad una famiglia rumena viene trovato un alloggio, questo non sarà per sempre. Quindi se non finiscono sulla strada adesso, ci potrebbero finire in un secondo tempo? “Anche io – spiega Gianfreda – ho posto questa domanda e finora non ho ricevuto risposte chiare e definitive. Non si capisce ancora se le risposte di bassa soglia saranno sufficienti e quale durata avranno. D’altra parte, il problema è diventato concreto adesso, dopo l’approvazione della delibera di giunta, fino ad oggi si era solo molto discusso e polemizzato”.

Il tema del destino dei rumeni di via Islanda certamente rimbalzerà anche nell’incontro convocato questa sera, mercoledì, alle Celle, dove è prevista la partecipazione del vice sindaco Gloria Lisi e dell’appena nominato sottosegretario alla Giustizia, il leghista Jacopo Morrone.

Resta da capire perché per le famiglie rumene non è stato adottato un analogo provvedimento. La risposta è contenuta nell’allegato A che è parte integrante della delibera approvata dalla giunta. Nel resoconto del censimento effettuato dai servizi sociali nel 2016 in via Islanda si precisa che vi vivono anche 35 persone di nazionalità rumena presumibilmente non (il grassetto è nell’originale) di etnia Rom. Si tratta quindi semplicemente di cittadini rumeni, non appartengono ad una delle due etnie, Sinti e Rom, che sono protette dalla legge”. Si legge nel testo: “La distinzione rispetto all’appartenenza alla comunità rom o sinta risulta essere di fondamentale importanza per la definizione del presente Programma. Data l’assenza di una fonte ufficiale per individuare l’appartenenza a tale comunità, il dato è stato acquisito dagli operatori del servizio sociale durante il colloquio”.

Quindi i rumeni sono esclusi dal programma microaeree e casette, e questo lo si sapeva. Cosa fare per loro? Il capo intervistato dal Carlino reclama le casette e sostiene che gli sono stati offerti quattromila euro per lasciare il campo. Nel testo della delibera si legge invece: “Le nove famiglie di nazionalità rumena, presumibilmente non di etnia Rom o Sinti, che vivono nella parte più degradata del campo e in roulotte fatiscenti, hanno espresso l’interesse ad accedere a soluzioni abitative convenzionali. Con i suddetti nuclei i servizi di protezione sociale hanno iniziato e in qualche caso concluso percorsi di uscita dall’insediamento di Via Islanda attivando le misure previste per i residenti nel Comune di Rimini”. Anche questo è un aspetto che dovrà essere chiarito perché risulta che in via Islanda i rumeni sia ancora tutti lì.

“Gli interventi di bassa soglia – spiega il consigliere Gianfreda – non saranno uguali per tutti, dipende dalle condizioni del nucleo famigliare, dalla presenza di minori e anziani, e da altre variabili. Quello che è certo che per loro non è possibile attivare il programma delle microaree”.

Gianfrda è un convinto sostenitore del programma, afferma che è la soluzione con meno controindicazioni. Anche se i vari comitati e la Lega che ne fa una battaglia politica sostengono il contrario. “L’unica posizione seria arrivata dalle opposizioni – sostiene Gianfreda – è quella della sistemazione negli appartamenti. Però in questa modo il Comune perde ogni possibilità di controllo. Le microaree costano di meno, hanno più margini di successo e sono più facili da gestire. In questo modo mettiamo le famiglie Sinti nella condizione di dover pagare per le loro scelte. Se non pagano le bollette ai fornitori, se non rispettano il contratto, vanno incontro a provvedimenti al pari degli altri cittadini”.

La banca di comunità è un tema caro al professor Stefano Zamagni. Vi ha dedicato un libro che raccoglie saggi e interventi sull’argomento, ne ha parlato anche in un recente convegno organizzato dalla Banca di Rimini, che fa parte della galassia del credito cooperativo.

Ma cosa si intende? “C’è una banca di comunità – spiega il professore – quando un istituto ha come mission principale della propria attività lo sviluppo della comunità locale. Quindi è una banca che opera in un determinato territorio, in questo luogo vi compie tutte le operazioni tipiche della banca, ricavandone un valore che poi viene reinvestito nel territorio. Non va a investire da un’altra parte i soldi che ha ricavato dal territorio”.

Sono comunque banche che mirano a produrre utili? “La banca del territorio – questa la seconda caratteristica - non ha come obiettivo principale l’estrazione del profitto. Quindi è diversa dalle altre. Utilizza i guadagni della propria attività per finanziare opere di utilità sociale per il territorio di cui è espressione. C’è infine una terza caratteristica fondamentale che è una governance di tipo democratico. Negli organismi di governo i soggetti sono scelti con una procedura democratica, cercando di coinvolgere i vari portatori di interessi del territorio. Non cono soggetti nominati o cooptati dall’alto. Questa caratteristica è esaltata nelle banche di credito cooperativo dove un azionista vale un voto”.

Ma esistono ancora oggi banche con queste caratteristiche? “Certamente – risponde Zamagni - lo erano le Casse di Risparmio, che ormai non esistono più così come erano nate e pensate nell’Ottocento. Anche le Banche popolari sono nate come banche della comunità e in parte lo sono ancora. Senza la Popolare di Sondrio, la Valtellina sarebbe, per così dire, alla fame. E anche le banche di credito cooperativo rispondono a questo identikit”.

Fra le Casse di Risparmio che sono “sparite” c’è anche quella di Rimini. I nuovi proprietari si sono comunque dilungati a spiegare che la banca conserverà sempre un rapporto privilegiato con il territorio. “Non bisogna giocare con le parole. – osserva Zamagni – Dire che una banca conserverà un rapporto non significa che è un istituto di credito basato sul territorio. Se, per ipotesi teorica, il territorio di Rimini non dovesse più in futuro garantire business, la banca non ci penserebbe molto a lasciare. La banca del territorio, invece, è come il capitano della nave: se affonda, non la lascia mai e affonda con essa”.

Ma nell’attuale mondo globalizzato con i meccanismi che regolano il mondo della finanza, può sussistere una banca così come lei la disegna? “Il problema in realtà è un altro. I territori esistono, le comunità locali esistono. In Italia, poi, gran parte della popolazione non vive nelle grandi città, ma nei paesi, nelle campagne, in cittadine di piccole dimensioni. Chi sostiene che le banche della comunità non hanno futuro, pensa all’America. Ma da noi la situazione è diversa, chi vive in Valmarecchia, per fare un esempio, avrà sempre bisogno di una banca che sia espressione di quel territorio. La globalizzazione valorizza lo sviluppo locale, non lo delegittima. Dicevo che il problema è un altro e sa qual è?”

Lo dica.

“La verità è che nel futuro spariranno le banche tradizionali. Le nuove piattaforme tecnologiche saranno il luogo dove avvengono le transizioni finanziarie. Quindi le banche tradizionali ne soffriranno. Certo continueranno ad esistere le grandi banche che hanno obiettivi speculativi, ma quelle tradizionali avranno notevoli problemi. In questo contesto continueranno ad avere un senso le banche di comunità”.

I cristiani nell’attuale momento sociale e politico del Paese. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani, si è fatto interprete (e vi ha dato una risposta) della domanda che attraversa persone e comunità. Nel corso della recente preghiera per l’Italia tenuta a Roma in Santa Maria in Trastevere, da una parte ha invitato a non soffiare sul fuoco della frustrazione e della rabbia sociale, dall’altra ha esortato a lavorare per il bene comune dell’Italia senza partigianeria, con carità e responsabilità.

“Mi pare che l’intervento del cardinale Bassetti – osserva Manuel Mussoni, 33 anni, presidente dell’Azione Cattolica della diocesi di Rimini – sia riconducibile al metodo indicato dalla Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II: alla Chiesa stanno a cuore i drammi e speranze di ogni uomo e di ogni popolo. Nella situazione italiana ci sono indubbiamente esperienze positive ma sono evidenti anche fenomeni di paura, frustrazione, rabbia, sofferenza. È il punto da cui partire e di cui farsi carico per affermare un metodo di attenzione e di solidarietà”.

Il cardinale Bassetti fa anche un ulteriore passo in avanti, sostiene che i cristiani non possono “disertare quel servizio al bene comune che è fare politica in democrazia.”.

“Certo, è cosi, – conviene Mussoni – però è altrettanto interessante ciò che precede il passaggio sulla politica. Spiega che se c’è una carenza di presenza in politica questa è una conseguenza della paura. Si ha paura del futuro, e chi ha paura non lo costruisce nemmeno il futuro. Ragione per cui le persone tendono a chiudersi in se stesse e a non chiedersi più qual è il contributo che possono dare agli altri, alla comunità. Bassetti richiama quindi a mettersi in gioco per gli altri, a far fruttare il proprio talento. Tutto il suo discorso è appunto basato sulla parabola dei talenti, i doni ricevuti da mettere al servizio”.

Per i cattolici italiani – chiediamo a Musosni - che implicazioni ha il richiamo di Bassetti? “Anche per i cattolici – risponde – c’è il rischio di aver paura della politica, di vederla come un ambiente sporco e cattivo da cui stare fuori. Magari si è impegnati in molteplici e generose forme di carità, però si vuole mantenere una certa distanza dalla politica. Quando invece la politica è una delle più importanti esperienze di carità che si possano vivere, un contributo ad edificare la comunità. Quindi, senza pensare di dover ricoprire chissà quali ruoli prestigiosi, si tratta di mettere in campo idee nuove che costruiscano, Bassetti parla di idee ricostruttive. Bisogna dare libero campo alla fantasia, ad azioni nuove”.

Pensa quindi che sia un invito ad una presenza di cattolici più efficace, più organizzata? “No, penso che il sia innanzitutto un richiamo alla persona. Nella formazione della coscienza delle persone, che è il lavoro in cui sono impegnato come presidente dell’Azione cattolica, forse non insistiamo a sufficienza a far emergere la dimensione della prossimità all’altro. C’è il rischio di un individualismo. Dedichiamo molte risorse all’educazione dei giovani, alla famiglia, alla vita associativa, ma forse non sottolineiamo a sufficienza anche la dimensione politica, l’impegno a ricostruire il tessuto della società. È un talento da spendere. Mi chiedo perché fra le tante persone che sono raggiunte dalla nostra azione educativa non emergono, accanto alle altre, anche vocazioni alla politica. Nell’attuale pluralismo di idee, penso sia importante ci siano persone che esprimono quell’esperienza cristiana che ha tanto segnato tutti gli aspetti della vita sociale del Paese”.

Secondo Mussoni la comunità cristiana deve risvegliare i talenti della persona, la formazione deve mirare alla coscienza del singolo. “Poi sarà la singola persona a giocare i suoi talenti negli ambienti in cui si trova a vivere. Non è il momento del gioco di squadra, ma di puntare su un movimento dal basso, che parta dalla persona”. Mussoni, che è insegnante di religione nelle scuole medie superiori e a questa sua esperienza ha dedicato un libro (“Il capitolo più bello del libro”, Pazzini) crede molto ad un metodo: ha efficacia e porta risultati ciò che nasce da una relazione. Dalla sua esperienza ha tratto la convinzione che con gli studenti non si tratta di esserci per trasmettere qualcosa, ma di esserci per esserci, per stare vicino, per ascoltare. Nel libro racconta anche del rapporto con quel ragazzo "difficile" da gestire che ha sorpreso facendosi cento chilometri per andare a vederlo a giocare una partita di calcio. "Nel rapporto educativo con i giovani la mossa decisiva è puntare sulla relazione. La conoscenza personale, l’ascolto delle persone viene prima di ogni scelta. Questo vale per un prete, per un genitore, per un educatore ed anche per un politico. Come si fa ad affrontare i problemi politici, la questione dei nomadi, il dramma degli immigrati, se non si parte dall’ascolto? Quando esplose il problema di nomadi sono andato a prendere un the in una roulotte di via Islanda. E lì ho cominciato a capire, sono nati dei rapporti di amicizia. Se c’è uno sforzo di conoscenza, si costruisce la storia”.

Venerdì, 08 Giugno 2018 17:38

Turismo, ministero accorpato all'agricoltura

Ci eravamo chiesti giusto due giorni fa che fine avesse fatto l’idea, contenuta nel contratto di governo Lega-5 Stelle, di costituire un Ministero del Turismo autonomo. Nella formazione del governo la delega è rimasto in capo al ministero dei beni culturali, affidato al grillino Alberto Bonisoli. Sembrava del tutto cassata anche l’idea, circolata nei giorni precedenti la formazione del governo, di accorpare in un unico dicastero agricoltura e turismo, in nome di un comune marketing dei prodotti Made in Italy.

Ora a riaccendere i riflettori sull’argomento è il ministro dell’agricoltura, il leghista Gian Marco Centinaio che ha dichiarato che il decreto di trasferimento delle deleghe è già pronto, che Di Maio e Salvini sono d’accordo e che presto ci sarà l’approvazione in consiglio dei ministri.

L’accorpamento fra turismo e agricoltura dovrebbe comunque essere un passaggio intermedio, perché stando sempre alle dichiarazioni di Centinaio l’obiettivo finale rimane quello di un ministero autonomo con portafoglio.

Centinaio certamente, dal punto di vista personale, è più interessato al turismo, mondo dal quale proviene (era direttore di un tour operator).

Per giustificare l’accorpamento fra turismo e agricoltura ha osservato: “Le città ormai sono sature di turisti. E’ il momento di guardare ai borghi, ai paesi, a ciò che c’è nel resto d’Italia, compresi i 24mila agriturismi che già esistono”. Stava parlando ad una conferenza della Cia, confederazione italiana dell’agricoltura.

Una grande alleanza, dal centro destra ai 5 Stelle, passando dai civici, per battere la sinistra a Rimini alle prossime amministrative? La suggestione lanciata da Carlo Rufo Spina (Forza Italia) su buongiornoRimini vede il segretario romagnolo della Lega, il deputato Jacopo Morrone, su una linea di prudente attesa. Erano state proprio le dichiarazioni di Morrone sull’esigenza di preparare il cambiamento anche in sede locale ha dare il via alla riflessione di Spina. “Facciamo un passo alla volta – suggerisce – Per il momento siamo impegnati con i 5 Stelle con un contratto di governo nazionale che ci auguriamo porti risultati concreti. Sul territorio c’è un centrodestra che ha visto crescere la propria classe dirigente. Noi stessi come Lega abbiamo contribuito in questa direzione. Considero però prematuro parlare di alleanze adesso. Può essere che la collaborazione al governo nazionale possa estendersi sul territorio, al momento siamo solo all’inizio dell’esperienza di collaborazione. Alle amministrative mancano tre anni, certamente dovranno essere costituiti tavoli di lavoro per preparare il programma, ma parlare di alleanze è prematuro.”. Potrebbe essere, chiediamo, che alle regionali del novembre 2019 ci possa essere qualche esperimento nuovo’ “Tutto è possibile. Ma mi fermo qui, i pensieri e i sentimento che ha ciascuno di noi non hanno importanza. Sarà la segretaria al momento opportuno a decidere la linea”.

Chi vede l’eventualità di un’alleanza del centrodestra con i 5 stelle come il peggiore die mondi possibili, è Gianni Piacenti, a suo tempo dirigente di Forza Italia. “Mi sono svegliato con un prurito fastidioso”, scrive sul suo prfilo Facebook con il linguaggio colorito che lo contraddistingue .

“Per più di vent’anni – argomenta - mi hanno fatto venire l’orticaria le teste d’uovo che ogni tanto si svegliano e dettano la linea politica per il centrodestra ma quotidianamente non si sporcano le mani e si occupano d’altro. Da quando ho deciso di non occuparmi più delle questioni politiche stanziali ho evitato sia di criticare sia di suggerire ai capi della politica locale. Logicamente faccio il tifo e spero che la coalizione di centrodestra riesca a creare le condizioni per delle alternative liberal nazionali nel territorio riminese a cominciare dal comune di Rimini.
Per non battere il mento e solo per lenire il fastidioso prurito guardo per un attimo e solo per un attimo, lo giuro, alla situazione riminese. Mi fa schifo solo l’idea di prostituire la storia del centrodestra riminese, che comunque lo si voglia giudicare ha una sua coerenza culturale, con la proposta immonda di una alleanza con il grillismo pur di vincere le elezioni. Lo so, col sistema elettorale per i comuni non è necessario un accordo programmatico al primo turno, ma solo ipotizzare una alleanza al probabilissimo ballottaggio con la setta della Casaleggio e associati mi fa vomitare e non solo metaforicamente”.

Interessante la chiosa che fa Sabrina Vescovi, del Pd: “A Riccione è già successo. Anche senza apparentamento. Perché a quei tempi (mi riferisco al 2014 e forse anche al 2017) i grillini erano ancora convinti sostenitori del “non ci alleeremo mai con nessuno!”. Anche a Cattolica, al ballottaggio, il centrodestra votò abbastanza compatto per il grillino Mariano Gennari.
“Vedremo col tempo – aggiunge Vescovi - quanti e quali saranno i danni di questa roba. Di cui FI ha una grande responsabilità”. Vescovi è convinta che l’alleanza giallo verde sia destinata a durare. “Qualcosa però mi dice – conclude - che se i moderati italiani si mettessero a ragionare si potrebbe costruire qualcosa”.

La nuova sede, che domani avrà l’inaugurazione ufficiale, ha la forma della prua di una neve con tre vele che di notte si illuminano con i colori della bandiera italiana. E all’interno ampi spazi, vetri, luce, marmi, lampadari di design, una hall che sembra l’ingresso di un hotel piuttosto che di una fabbrica. È il sogno di Bruno Bargellini che, dopo una storia di oltre quaranta’anni, ha preso finalmente forma ed ha un nome, Top Automazioni, l’azienda di Poggio Torriana specializzata nella produzione di caricatori automatici per torni.

“Già a quindici anni – confessa Bargellini, 67 anni – sognavo di fare l’imprenditore. Ma cosa fare?”. Per una decina d’anni, dopo aver frequentato l’Istituto Comandini a Cesena, lavora come tornitore all’Scm. Quindi nel 1977 si licenzia e in un dismesso capannone per polli di Poggio Berni apre la Torneria Automatica Bargellini. Al suo fianco c’è la moglie Valeria, che cura la contabilità. Ancora oggi lavora in azienda, seguendo l’ufficio acquisti. Così come sono pienamente inseriti i due figli Gian Maria, 40 anni, che guida la rete commerciale, e Nicola, 37 anni, impegnato invece a seguire la produzione. Una famiglia tutta casa e lavoro, un’azienda a completa conduzione famigliare che viaggia sui 20 milioni di fatturato all’anno e ha allo studio un progetto per raddoppiare il volume di affari. Già era successo qualche anno fa: un programma di raddoppio del fatturato è stato realizzato in appena due anni.

Torniamo alla storia. Svolgendo il mestiere del tornitore, si affaccia l’esigenza di automatizzare e velocizzare il lavoro. I caricatori a quel tempo esistenti non soddisfacevano Bruno. E così si è lanciato nell’impresa – siamo nel 1985 - di costruirne uno, come dire, a sua immagine e somiglianza, pezzo dopo pezzo. Ciò che normalmente richiede gli studi di un ingegnere meccanico, l’ha realizzato da solo. “Il mestiere – racconta - l’ho imparato a scuola, a quel tempo le scuole professionali erano in sintonia con il mondo del lavoro, le macchine su cui ci addestravamo erano le stesse che poi incontravano in officina. Non è come adesso che c’è un divario enorme fra formazione scolastica e mondo del lavoro”. Una preparazione che ha permesso a Bargellini, realizzato il primo caricatore, di smontarlo e quindi di disegnarlo, per poterlo riprodurre. Quindi ha costruito il secondo e ha cominciato a usarli entrambi nella sua torneria. Visto che l’invenzione funzionava e che anche le tornerie della zona a cui cercava di venderlo lo apprezzavano, decide di aprire un’azienda – siamo nel 1990 – dedicata solo alla produzione di caricatori: è la GMV, dalle iniziali dei noni dei figli. La dimensione della famiglia è sempre presente in ogni passo della storia aziendale.

In breve tempo, Bargellini si accorge che, rispetto ai colleghi tornitori della zona, non può continuare a svolgere il doppio ruolo di concorrente e di fornitore. Capisce che alla lunga non avrebbe funzionato. Nel 2000, all’apertura del nuovo millennio, il grande salto: nasce la Top Automazioni, che ingloba la Bargellini e la GMV, e si dedica esclusivamente alla produzione di caricatori. Il fondatore gira il mondo partecipando alle fiere del settore e comincia a piazzare il suo prodotto anche all’estero: attualmente le esportazioni rappresentano circa il 40 per cento del fatturato, dirette soprattutto verso la Germania, la Francia, i paesi del nord Europa, e anche in America, soprattutto in Messico.

Certamente non vende più il primo modello, l’innovazione e l’automazione sono nel Dna dell’azienda, che investe nella ricerca e sforna continuamente novità per sempre meglio rispondere alle esigenze del mercato. Tanto che nel 2005 la Top Automazioni è premiata da Unioncamere come azienda più innovativa d’Italia.

Ma arriva il terribile 2009. “Una botta tremenda – ricorda Bargellini – da un anno all’altro siamo passati da 9 a 2 milioni di fatturato”. Non era un problema di prodotto, era che l’economia non girava più, le aziende non facevano più acquisti. L’imprenditore ha reagito immettendo nell’azienda tutte le risorse finanziarie che aveva a disposizione. E l’azienda si è ripresa, anche velocemente. Fa parte della cultura aziendale di Bargellini reinvestire nell’azienda la quasi totalità degli utili, la società viene continuamente ricapitalizzata. Così come gli è totalmente estranea ogni tentazione di delocalizzazione. Anzi, non apprezza proprio quegli imprenditori che vanno a produrre dove i costi sono minori e poi vendono sul mercato italiano ai prezzi italiani. Lui crede in un prodotto totalmente e realmente made in Italy.

Sul suo prodotto è molto fiero. “Noi diciamo che i nostri caricatori sono unici al mondo. E lo sono realmente, perché si autoregolano da soli. I concorrenti cercano di copiarci ma ancora non sono arrivati a scoprire tutti i segreti del nostro brevetto”.

L’ultima sfida è la costruzione della nuova sede, un investimento da 10 milioni. “Per progettarla – spiega - siamo partiti dalle esigenze funzionali. Ogni reparto doveva essere lungo 60 metri e largo 15, per ospitare una intera linea di produzione. Poi abbiamo cercato di renderlo un luogo bello, dove si stesse bene a vivere e a lavorare. Credo molto al welfare aziendale: abbiamo realizzato la palestra e la mensa gratuita per i dipendenti”. Bargellini crede anche alla responsabilità sociale dell’impresa. All’evento di domani annuncerà che costruirà a sue spese la rotonda davanti all’azienda che poi sarà passata al Comune e alla Provincia.

La Top Automazioni ha 83 dipendenti, tre linee di produzione (presto partirà la quarta) che realizzano 1200 caricatori all’anno. L’azienda produce in proprio anche i pezzi che servono per costruire le macchine. Il reparto è un virtuoso mix di automazione e impiego di risorse umane: dodici operai si alternano nei turni di lavoro, ma la produzione va avanti, in automatico, anche di notte e nel week end. “ Amo molto l’automazione – spiega Bargellini – tutto lo stabilimento è automatizzato, anche l’impianto di condizionamento per far trovare il clima giusto quando si comincia a lavorare”.

Valerio Lessi

Un contratto per Rimini sottoscritto da una grande alleanza che va dalla Lega ai 5 Stelle, passando da Forza Italia, i movimenti civici e addirittura Patto Civico. È la clamorosa proposta che arriva da Carlo Rufo Spina, Forza Italia, capogruppo in consiglio comunale.

Il punto di partenza è una riflessione sulle condizioni di salute del centrodestra, che se a Roma sul governo si è diviso in tre tronconi, a Rimini va in ordine sparso dalle elezioni del 2016 in poi. Il futuro del centrodestra è uno degli argomenti su cui parlare sotto l’ombrellone in questa estate 2018 dominata dalla politica. E infatti sulla spiaggia di Riccione, il 16 giugno, ci sarà un dibattito dedicato all’argomento, presenti anche Spina e altri esponenti berlusconiani. La novità della posizione del capogruppo in consiglio comunale è che sia proprio un esponente di Forza Italia a proporre una grande alleanza comprensiva dei 5 Stelle, notoriamente indigesti a Berlusconi.

“Sono molto d’accordo con l’amico Jacopo Morrone della Lega che ha detto che occorre da subito costruire un programma di cambiamento e un’alleanza fra le forze che sono alternative alla sinistra. Dico che deve essere una grande alleanza, che comprenda tutti coloro che si pongono in alternativa al Pd, quindi il centrodestra, i movimenti civici e, perché no, anche i 5 Stelle. Bisogna realizzare anche a Rimini il governo del cambiamento, dove ce n’è particolarmente bisogno visto che la sinistra è al potere in modo ininterrotto da settant’anni. A Bellaria e a Riccione si è visto subito come il cambiamento ha prodotto immediatamente risultati concreti sulla riduzione fiscale, il calo della spesa pubblica, le dismissioni del patrimonio, lo smantellamento della rete di potere delle associazioni e delle cooperative contigue alla sinistra”.

Un’idea interessante: come si concilia la realtà di un’opposizione che quasi mai agisce unita, dove emergono personalismi e diversità di vedute a volte anche su temi importanti?

“Sì è vero, alle elezioni del 2016 ci siamo presentati divisi e anche adesso esprimiamo sensibilità diverse. Davanti abbiamo però tre anni di tempo, un periodo sufficiente per lavorare a costruire il governo del cambiamento di Rimini. Non bisogna dimenticare che noi abbiamo votato nel giugno 2016, poi in dicembre c’è stato il referendum che ha cambiato completamente il quadro politico. Oggi già vediamo scalpitare Patto Civico, penso che quando saranno passati due anni, sei mesi e un giorno dall’elezione di Gnassi e il sindaco non sarà più ricandidabile, assisteremo ad un sempre più marcato sganciamento di Patto Civico dalla maggioranza. Il nuovo candidato del Pd non avrà nei loro confronti lo stesso atteggiamento di Gnassi e penso quindi che il loro approdo naturale sia nell’alleanza per il cambiamento”.

Si intuisce che la sua proposta nasce sull’onda del successo ottenuto da centrodestra e 5 Stelle alle ultime elezioni politiche. Non è però automatico che una maggioranza politica diventi anche una maggioranza amministrativa. Come pensate di fare?

“A Riccione nel 2014 l’alternativa si è realizzata senza che ci fosse alle politiche un elettorato maggioritario di centrodestra. Comunque è evidente che bisogna mettersi all’opera, realizzare dei tavoli di lavoro in cui costruire il programma per il cambiamento. Vanno riannodati i rapporti con i ceti medi e produttivi. Non ho difficoltà a riconoscere che Gnassi è stato bravo a a interpretarli, anche se le rispose che dà sono sempre viziate da una mentalità dirigista. Non deve essere il Comune che decide cosa fare e poi chiama gli imprenditori a realizzare le sue idee. Il Comune deve fornire un quadro di opportunità, poi sono gli imprenditori a decidere cosa fare”.

Nella primavera 2019 la gran parte dei Comuni della provincia andrà al voto. Ci saranno prove tecniche della grande alleanza antisinistra poi da esportare nel capoluogo?

“No, penso che alle amministrative si andrà secondo lo schema classico: sinistra, centrodestra e 5 Stelle. Alle regionali di novembre ci saranno le novità. O si ripresenta l’alleanza giallo-verde, e allora per noi moderati saranno serie difficoltà, oppure si costruirà la grande alleanza di tutte le forze contro la sinistra”.

È una sua idea, un suo auspicio o ci sono già segnali concreti?

“È una mia idea, ma sono anche molto attento a ciò di cui si parla negli ambienti politici”.

Vedremo. Ma quali dovrebbero essere i punti programmatici di questa grande alleanza?

“Al primo posto la libertà di impresa. Una riduzione e riqualificazione della spesa pubblica, il Comune spende oggi in settori dove si potrebbe molto risparmiare. Ad esempio, si potrebbe eliminare la politica di eventi come Notte Rosa, Molo e via dicendo, che porta a Rimini solo un turismo straccione, quando invece il futuro di Rimini è nel turismo culturale e business. Vanno eliminato i finanziamenti ad associazioni e cooperative sociali che servono solo a costruire centri di potere funzionali all’egemonia della sinistra. Penso che i servizi sociali, la cultura debbano essere gestiti direttamente dal Comune”.

Lei non perde occasione per definirsi liberale, se tutto è gestito dal Comune che fine fa il principio di sussidiarietà?

“Sono contrario ai finanziamenti per il volontariato e le cooperative sociali. Il terzo settore può essere aiutato con sgravi fiscali e la concessione di spazi negli edifici pubblici. Punto. Altrimenti si creano centri di potere che rispondono solo a se stessi e non sono contrabili dall’ente pubblico. Faccio un esempio, il Cocap, il consorzio che gestisce per conto del Comune il commercio su aree pubbliche. Riceve un finanziamento con cui assume quattro dipendenti e gestisce una partita delicata. Chi mi garantisce che non vengano effettuati favoritismi o non si cada in conflitto di interessi?”.

Andiamo avanti. Cos’altro dovrebbe contenere Il programma per il cambiamento di Rimini?

“Una diversa idea della viabilità. Ciò di cui Rimini ha bisogno non è il Trc, che è nato negli anni Novanta e risponde ad esigenze di turismo di massa che non ci sono più. Ciò che ci serve è ampliare la Statale 16, realizzare la complanare all’autostrada”.

Ma il Trc ormai è fatto, pronti a partire?

“Il piano economico era basato su numeri che non si realizzeranno mai. Quindi bisogna essere pronti ad un piano alternativo quando l’insostenibilità economica sarà conclamata e sarà trascorso il periodo necessario per non incorrere in penalità. Potrebbe diventare una grande pista ciclabile, vera, da Riccione a Rimini”.

Non le sembra che nei vostri interventi di forze di opposizione cavalchiate ogni protesta che nasce in città, invece che mostrare un’idea di città e di amministrazione diversa?

“A dire il vero ogni nostra critica è sempre accompagnata da proposte alternative. Forse nel caso dei lavori nell’area del Ponte di Tiberio, la famosa e contrastata passerella, non abbiamo evidenziato a sufficienza che il progetto rispondeva ad un’esigenza reale. A cui magari occorreva dare una risposta più ampia e completa, comprensiva, per esempio, dell’eliminazione del traghettino fra le due sponde e dell’innalzamento del Ponte della Resistenza. Ma quando faremo il programma del cambiamento individueremo alcuni punti e su ognuno diremo la sinistra ha fatto così e noi faremo in questo altro modo. Sarà il nostro contratto per Rimini”,

Valerio Lessi

La Giunta comunale ha approvato il programma per il superamento del campo nomadi di via Islanda e l’individuazione delle microaree familiari per 11 nuclei sinti presenti nel campo abusivo.

"Partendo dalla necessità improrogabile di sanare una situazione critica e pericolosa, - si legge in una nota di Palazzo Garampi - l’Amministrazione comunale ha deciso di avvalersi degli strumenti messi a disposizione dalle legge regionale 11/2015 che indica le “norme per l’inclusione di rom e sinti” e che stabilisce come gli enti locali debbano favorire i processi di autonomia, emancipazione e integrazione sociale di queste popolazioni sostenendo il superamento delle aree di sosta di grande dimensione, promuovendo processi di transizione alle forme abitative convenzionali e promuovendo allo stesso tempo la sperimentazione di soluzioni abitative innovative come le microaree famigliari. A tale scopo l’Amministrazione ha avviato un censimento dell’insediamento di via Islanda, per avere un quadro preciso e completo delle presenza di nuclei e famiglie riminesi di etnia Sinti: sono stati 11 i nuclei famigliari rilevati, per un totale di 45 persone, tra cui 13 minori, 3 anziani e 6 con problemi di salute e disabilità. I nuclei di etnia Sinti che rientrano nel programma sono 10, in quanto due nuclei distinti (di cui uno composto da una sola persona) hanno manifestato la volontà di unirsi per legami di parentela. Di queste 10 famiglie riminesi, quattro accederanno a soluzioni abitative convenzionali, secondo quanto prevedono i regolamenti comunali, mentre sono 6 le famiglie attualmente presenti nell’area di via Islanda che saranno distribuite in maniera proporzionata sul territorio comunale attraverso l’individuazione di cinque microaree famigliari, per un totale di 32 persone (di cui 7 bambini e 3 anziani).

Dopo una fase di verifica tecnico-amministrativa, partendo da un corpus di oltre 50 aree potenzialmente disponibili via via ridotto in ragione delle caratteristiche di un progetto orientato verso integrazione e inclusione (ad esempio una distribuzione uniforme sul territorio, un adeguato collegamento alle vie di comunicazione, distanza da fonti di pericolo), le microaree pubbliche individuate su terreni di proprietà comunale secondo le linee guida indicate dalle legge regionale sono state selezionate a seguito di una approfondita ricognizione, dislocate omogeneamente sul territorio comunale secondo le indicazioni venute anche dalle sedute di consiglio comunale specificatamente dedicate, e attrezzate per ospitare i moduli abitativi. Le aree individuate sono in via Cupa, via Feleto, via della Lontra, via Montepulciano e via Orsoleto che ospiteranno da due ad un massimo di quattro moduli abitativi, che nello specifico saranno ‘case mobili’, della tipologia di quelle abitualmente utilizzate nei campeggi, di circa 25mq ciascuno, soluzioni quindi molto contenute sia nei costi, sia nell’impatto territoriale.

Il contratto di locazione che legherà l’amministrazione ai nuclei famigliari prevede, oltre naturalmente al pagamento di un canone mensile, un complesso di rigorosi obblighi a carico dei beneficiari e che dovranno essere rispettati, pena la risoluzione del contratto. Non potranno ad esempio essere realizzati ampliamenti e pertinenze; le aree esterne dovranno essere mantenute pulite; il capofamiglia individuato come responsabile della microarea dovrà inoltre comunicare eventuali ospiti o l’ampliamento del nucleo famigliare per la nascita di figli o matrimoni e chiedere preventivamente l’autorizzazione. Un incaricato comunale periodicamente si occuperà di verificare la corretta gestione delle aree, così come sarà verificato che vengano assolti tutti gli impegni definiti con i servizi sociali, a partire dall’obbligo scolastico per i figli minori. Ogni intervento del programma sarà infatti supportato da un percorso di accompagnamento individualizzato curato dagli operatori dello Sportello sociale.

La proposta di programma approvata dalla Giunta sarà pubblicata in albo pretorio per 45 giorni allo scopo di raccogliere contributi e osservazioni di cittadini, prima del passaggio in Consiglio Comunale a cui spetta l’approvazione definitiva. Saranno organizzati nel prossimo mese e mezzo sul territorio almeno 2 incontri di illustrazione del programma alla cittadinanza".

Continua l'attivismo di Patto Civico, e in particolare del suo capogruppo Mario Erbetta. Il primo appuntamento - poi ne seguiranno altri dedicati alla rigenerazione urbana e alla sburocratizzazione - riguarda l'elettrodotto Forlì-Fano, del quale Patto Civico chiede l'interramento.

Il convegno è in programma sabato 9 giugno, al mattino, nella sala di Sgr, in via Chiabrera.  Il dibattito inizierà con un riepilogo storico-giuridico delle cause penali e civili concluse e in corso grazie al contributo dell'Avv. Maurizio Ghinelli del Foro di Rimini; poi si parlerà dei campi magnetici e delle soluzioni tecnologiche, del loro impatto ambientale e dei costi sul territorio degli stessi con l'Ing. Ariano Mantuano e con i professori Fausto Bersani e Giovanni Campeon. Di seguito si affronterà con i dottori Morando Soffritti e Alberto Ravaglioli il tema degli Effetti sulla
salute dell'elettromagnetismo. Sentiremo le testimonianze di due rappresentanti dei comitati che da anni si battono per l'Interramento dell'Elettrodotto e infine parleranno i rappresentanti Regionali, Consiglieri Giorgio Pruccoli e Nadia Rossi, i sindaci dei 5 comuni coinvolti della Provincia Riminese Andrea Gnassi (Comune di Rimini e Provincia di Rimini), Mimma Spinelli (Comune di Coriano), Stefano Giannini (Comune di Misano Adriatico), Daniele Morelli (Comune di San Giovanni in Marignano) e Alice Parma (Comune di Santarcangelo di Romagna). Poi sarà la volta delll'Ass. all'ambiente del Comune di Rimini Anna Montini esponente di Patto Civico e infine chiuderanno il capogruppo dei Popolari Per Cesena Gilberto Zoffoli e il capogruppo della lista civica di Forlì-Noi Forlivesi Paola Casara.


“E' la prima volta a Rimini  - osserva Mario Erbetta - che si affronta un tema così delicato in modo organico e con la presenza di professori universitari, tecnici, rappresentanti di comitati e cosa più importante politici locali e regionali. Il fine del convegno è quello di analizzare il problema elettrodotto dal punto di vista storico, giudiziario, tecnico, medico e politico per poi cercare di istaurare in Regione un tavolo di lavoro permanente affinchè con Terna si arrivi a quella soluzione politica che metta per sempre la parola fine al problema elettromagnetismo come è avvenuto in Toscana e in Veneto che in casi simili hanno interrato gli elettrodotti”.

Nel discorso che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto oggi al Senato non c’è stato alcun accenno al turismo. Non è un silenzio paragonabile agli altri (non si può dire tutto) perché nel contratto di governo sottoscritto da Movimento 5 Stelle e Lega al turismo sono dedicate quasi tre pagine delle 57 complessive.

Un capitolo che si apre con queste affermazioni tese ad affermare l’improtanza strategica del settore: “L'Italia è una nazione a vocazione turistica grazie al patrimonio storico, culturale, paesaggistico e naturale e ad eccellenze quali, ad esempio, l'enogastronomia, la moda, il design, unici al mondo. Il Turismo vale attualmente il 12% del PIL e il 14% dell’occupazione. Può valere molto di più e diventare uno dei settori cardine per l’attivazione del volano della nostra economia”

Nel contratto, soprattutto, era contenuta l’affermazione che un settore come il turismo non può fare a meno di un Ministro (con portafoglio) dedicato all’industria delle vacanze. Nell’attuale governo la delega al turismo è in mano al Ministro dei Beni Culturali, così come era nei governi precedenti. Al momento quindi nessuna novità.

È vero che nel contratto c’è scritto che la formazione del Ministero del Turismo sarà un processo graduale, però non si può non notare che nelle dichiarazioni programmatiche di Conte non ce n’è alcun accenno.

Il contratto di governo così recitava: “La nuova struttura ministeriale non dovrà avere un impatto economico negativo per le casse statali, pertanto verranno individuati due passaggi formali fondamentali che si svolgeranno nel tempo della legislatura: un’iniziale scorporazione delle competenze turistiche fuori dal MiBACT per ricollocarle in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sotto forma di Dipartimento. Successivamente, attraverso passaggi legislativi graduali e oculati rispetto alle competenze regionali, ma soprattutto con un lavoro costante sulla riorganizzazione delle risorse finanziarie dedicate al turismo (attraverso tutti gli interventi elencati di seguito), si potrebbe creare il Ministero con Portafoglio dedicato al turismo”.

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