Il Galli sarà gestito direttamente dal Comune e per tre anni niente contributi statali
Il Teatro Galli, almeno per alcuni anni, sarà gestito direttamente dal Comune. Lo ha detto in consiglio comunale l’assessore Gianluca Brasini, rispondendo ad una interrogazione del capogruppo della Lega Marzio Pecci.
Il principale motivo è di carattere fiscale. La detraibilità dell’Iva pagata in fase di costruzione presuppone una continuità con l’attività di gestione.
I costi saranno tutti a carico del Comune perché il Galli non potrà attingere ai contributi statali per i teatri di tradizione e nemmeno a quelli per le fondazioni lirico sinfoniche.
Brasini ha aggiunto un altro elemento importante. La programmazione dei primi tre anni dovrà essere di alto livello culturale e artistico. È la condizione per poter successivamente accedere ai contributi del Fondo unico per lo Spettacolo. La qualità, come è noto, ha anche costi elevati.
Si conferma quindi l’ipotesi, o il timore, che per i primi anni la gestione del risorto Teatro Galli provocherà una voragine nei conti del Comune. Ci sono certamente le sponsorizzazioni e gli incassi ma non saranno sufficienti.
Infine Brasini ha aggiunto che anche una eventuale esternalizzazione (che comunque non è all’ordine del giorno) non risolverebbe il problema perché il bilancio dell’ente gestore avrebbe comunque bisogno di un contributo pubblico.
Pecci aveva chiesto lumi anche sulla gestione dal punto di vista culturale e della programmazione, ma Brasini su questo non ha risposto.
L'addio di Erbetta a Gnassi. Pizzolante: si credeva papa
Gnassi addio. In consiglio comunale Mario Erbetta comunica la sua uscita da Patto Civico e dalla maggioranza, e lo fa con un coup de theatre, andandosi a sedere fra i banchi dell’opposizione. È un addio “con grande dolore nel cuore” ma anche con l’inevitabile scia di accuse e di veleni. Nel nuovo ruolo di oppositore del sindaco Gnassi non abbandona l’idea di fondo all’origine di Patto Civico: “Il mio impegno futuro sarà la costruzione di una lista civica locale e regionale che raccolga tutti gli uomini e donne di buona volontà che non si sentono rappresentati da questa maggioranza di centrosinistra, una forza centrista che raggruppi popolari, socialisti, socialdemocratici, liberali e repubblicani che si faccia promotrice delle istanze del ceto produttivo e delle parti sociali e calmieratrice dei populismi in un'allargata coalizione”. Un patto civico made in Erbetta. La scelta di campo è netta, Erbetta sostiene che è morto quello creato da Pizzolante e annuncia di voler continuare la stessa battaglia in uno schieramento alternativo. Ritiene che ci siano molti elettori che si trovano a mal partito fra i populismi leghista e pentastellato e un centrosinistra che non riesce a spingere sull’acceleratore della modernizzazione e del cambiamento. A questi elettori vuole offrire la sua scialuppa di salvataggio che al momento vaga solitaria fra i marosi della politica locale.
Il fondatore di Patto Civico non sarà con lui. Sergio Pizzolante è solidale con i quattro consiglieri rimasti che non sopportavano più le sue prese di distanza, viste come una sorta di populismo all’interno della maggioranza. “Patto Civico – afferma l’ex deputato – è nato per portare i ceti produttivi della città a collaborare con l’amministrazione e il sindaco per un progetto di cambiamento. E i risultati si vedono, dai motori culturali alle fogne, dal lungomare alle periferie. Patto Civico serve a questo. Se invece qualcuno pensava che fosse il mezzo per diventare papa, dico che prima bisogna andare in parrocchia e fare tutta la trafila, da seminarista, prete, vescovo e cardinale. O se qualcuno vuole diventare Napoleone Banaporte, deve trasferirsi in Francia non a Rimini. Né si può invocare la libertà di pensiero, se uno è capogruppo deve esprimere la volontà del gruppo”.
Quindi anche Pizzolante dice un addio, ma ad Erbetta. E gli dicono addio anche gli altri quattro consiglieri, compreso Davide Frisoni, che pure lui qualche volta aveva cercato di esprimere qualche posizione autonoma rispetto al Pd. Erbetta, interpellato, riconosce che ormai non c’era più identità di vedute con Pizzolante, “lui attento alle ragioni della politica, io più pragmatico, rivolto alle cose concrete da fare”. Erbetta ritiene anzi che se qualcosa si è ottenuto in questi due anni “è stato conquistato con i denti, nulla ci è stato regalato”.
L’ex capogruppo non risparmia accuse dirette al sindaco Andrea Gnassi. Afferma che il suo modo di lottare “non è mai piaciuto al Sindaco e alla sua Giunta che non sono abituati ad avere dei contradditori validi e competenti. Sono un personaggio scomodo e da tempo il sindaco voleva la mia testa per avere un Patto Civico addomesticato ai suoi piedi. E ora lo avrà con mio enorme dispiacere”. Sostiene di non potere limitare il suo agire agli atteggiamenti da Yes Man come qualcuno vorrebbe. “I tempi sono cambiati – argomenta - e censurare il pensiero con parole come metodo e maggioranza vuol dire vanificare la pragmaticità che era la forza motrice di Patto Civico”. Arriva addirittura ad invocare l’art.21 della Costituzione che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero. Sostiene che tale libertà non può essere compressa dalla collegialità della maggioranza, “una gabbia fatta apposta per evitare liberi pensieri e addomesticare le opinioni”.
BuongiornoRimini aveva ben individuato quali siano state le gocce che hanno fatto traboccare il vaso. “Gli ultimi due ordini del giorno sul bando europeo dei rifiuti e sull'istituzione delle unità cinofile da me presentati sono stati considerati indigesti “ non per il merito ma per il metodo” così mi è stato detto. E su un'ennesima riunione in cui mi si chiedeva di smettere di parlare e di fare il capogruppo dissi che con tali divieti non potevo coesistere e che dopo il convegno sull'elettrodotto avremmo deciso il da farsi. Gli ordini del giorno sono passati e il convegno è stato un successo e le richieste si assopirono. Poi il mio intervento sulla Molo Street Parade e sulle sicurezza carente dell'evento. Un intervento dettato dal turbamento del momento. Ho vissuto attimi di terrore che mi hanno fatto riflettere sull'evento e sulle carenze di sicurezza e su cosa sarebbe potuto succedere se invece di 4 ragazzini sfigati si fossero trovati dei malintezionati organizzati”. È stato il delitto di lesa maestà che ha fatto scattare la defenestrazione.
Nel bivio fra restare nel gruppo abdicando alla sua libertà di opinione o invece rimanere fedele all’#erbettapensiero, la scelta è stata “mantenere fede alla parola data ai miei elettori che si aspettano un #erbettapensiero anche divergente dal senso comune ma che porti dei risultati concreti”.
L’uscita di Mario Erbetta dalla maggioranza non ha alcuna conseguenza pratica. Il sindaco Gnassi e la Giunta conservano un ampio scarto sull’opposizione. Fra i militanti, Cinzia Salvatori ha annunciato che anche lei lascia Patto Civico. Certo, resta in piedi la domanda fondamentale sul futuro della lista civica promossa da Sergio Pizzolante. Le elezioni ci sono state appena due anni fa, ma dal punto di vista del quadro politico sembrano trascorsi decenni. Pizzolante non è più deputato, il Pd è stato travolto dall’ondata populista che ha conquistato il governo. Il prossimo anno ci saranno le elezioni amministrative in sedici Comuni della provincia e le elezioni regionali. Una sorta di prova generale di quel che potrebbe accadere a Rimini nel 2021. Se nel Pd dovesse prevalere il gruppo degli antirenziani, è prevedibile che a Patto Civico sia dato il ben servito. E poi nel 2021 non ci sarà più Gnassi.
Patto Civico, silurato Erbetta. Pecci (Lega): hanno sbandato alla prima curva
Mario Erbetta non è più capogruppo in consiglio comunale di Patto Civico. Nel comunicare il siluramento, Patto Civico dà una spiegazione tranquillizzante: "Il gruppo ha deciso, dopo due anni dall'avvio dell'attuale Consiglio Comunale e in virtù delle esperienze maturate, di procedere ad una rotazione semestrale dell'incarico di Capogruppo". Però a considerare i tempi in cui la sostituzione è avvenuta, non si può fare a meno di pensare alle ultime uscite di Erbetta, certamente non in linea con la maggioranza. Anzi, era stato accusato di aver preso l'iniziativa sulle unità cinofile della polizia municipale e sulla necessità di mettere a bando la raccolta rifiuti, senza prima aver consultato il partner di maggioranza, cioè il Pd. Da ultimo, i dubbi manifestati sulla validità della Molo Street Parade, quasi un delitto di lesa maestà nell'universo gnassiano.
E così Patto Civico ha silurato Erbetta e ha inventato un metodo grillino prima maniera per scegliere i capigruppo. Faranno a rotazione ogni sei mesi: adesso entra in carica Mirco Muratori, dal 2 gennaio prossimo gli subentrerà Marco Zamagni.
Patto Civico annuncia anche di aver insediato un gruppo di lavoro rappresentativo del mondo delle professioni e delle imprese, che a breve presenterà proposte sulnuovo Rue, "che dovrà dare risposte nuove a imprese e famiglie in termini di innovazione, rigenerazione e riqualificazione del nostro tessuto urbano". Una iniziativa che a suo tempo aveva già annunciato lo stesso Erbetta.
Ma l'#lerbettapensiero (è l'hashtag che usa per le sue esternazioni) annuncia battagla. Su Facebook scrive: "La sacralità della libertà di pensiero in una società democratica. Vi invito domani a seguire il consiglio Comunale dove svelerò la mia versione e le mie decisioni". Non sembra proprio si sia trattao di un normale avvicendamento.
A infilare il coltelllo nella piaga nelle contraddizioni della maggioranza è il capogrupppo della Lega, Marzo Pecci, che ipotizza un "morto politico" che, se si riferisce a Erbetta c'è già stato. Scrive Pecci: "Patto Civico, che si era intestato la rappresentanza delle categorie economiche e degli imprenditori riminesi, compresi gli imprenditori balneari, ha sbandato subito alla prima curva, dopo appena due anni e sta provocando la prima “morte politica”.
Lo avevamo detto e gridato in campagna elettorale due anni fa: “prima i riminesi”. Purtroppo la maggioranza con Patto Civico ha voluto anteporre agli interessi dei cittadini una politica di potere personale che, scoperta dagli elettori, è stata subito bocciata: il 4 dicembre col referendum sulla riforma costituzionale ed il 4 marzo con le elezioni politiche. Si è così creata all’interno dei partiti di maggioranza una lotta fratricida, prima di perdere le prossime elezioni, per spartirsi le ultime briciole di potere.
La lotta provocherà qualche morte politica e, soprattutto, terrà la città ferma, al palo, per un altro po’ di tempo. Auspichiamo che, terminato il regolamento dei conti si torni al confronto politico vero soprattutto con la Lega, che è oggi partito di governo, per salvaguardare gli interessi dei cittadini riminesi che vanno da quelli economici, a quelli sulla sicurezza, fino a quelli sportivi".
Rimini è una provincia per giovani Neet. Maggioli: preoccupante
Rimini è una provincia per Neet, e non è un primato invidiabile. Per Neet si intendono i giovani che non studiano, non lavorano e nemmeno lo cercano, non seguono corsi di formazione professionale. In Italia questa è una comunità di 2,1 milioni di individui, pari al 34,1 per cento dei giovani nella fascia di età dai 15 ai 29 anni. A Rimini la percentuale è del 25,4. Colpisce innanzitutto che la quota sia superiore alla media nazionale, ma fa ancora più impressione che Rimini sia, insieme a Imperia, la prima città del nord in questa classifica. Prima di Rimini, tranne appunto Imperia, ci sono esclusivamente province del sud. Inoltre tutte le altre province della regione vanno meglio: Ravenna è al 23,3, Ferrara al 21,8, Reggio Emilia al 15,1, la vicina Forlì al 14,5, Bologna al 12,9 e Modena addirittura all’11,9.
L’impietosa fotografia, che restituisce il quadro di una provincia fanalino di coda nella realtà economica emiliano-romagnola, con una comunità giovanile composta per più di un quarto da ragazzi senza arte né parte, è scattata nel rapporto annuale dei Consulenti del Lavoro, presentato nei giorni scorsi al Festival del lavoro svoltosi a Milano.
Dal rapporto si apprende che per tutti i valori Rimini si piazza sempre nella parte medio-bassa della classifica e sempre dopo le altre province della regione.
Per tasso di occupazione è al 52° posto, con il 63,3 per cento, per fortuna maggiore della media nazionale, 58 per cento. Forlì è al 26° posto con il 66,5 per cento. La differenza fra tasso di occupazione maschile e femminile è del 13,4, anche in questo caso inferiore alla media nazionale, ma sempre maggiore di quello di Forlì, Ravenna, Modena e Bologna. Rimini è anche fra le province (al 28°posto) con un’elevata quota (42,3) di contratti non standard, cioè a tempo determinato, part-time involontario, collaboratori.
Il rapporto prende in esame anche la media retributiva mensile dei lavoratori dipendenti, che oscilla fra il picco di Bolzano (1.500 €) e il fondo classifica di Ragusa (1.059 €) . In questa classifica Rimini si colloca al 70 posto con 1.258 euro di retribuzione media. Dopo di noi ci sono solo Pesaro e le province del sud, mentre la media nazione è di 1.324 € al mese.
E veniamo al tasso di disoccupazione che a Rimini nel 2017 era del 10,2, migliore della media nazionale attestata all’11,2. Fa impressione vedere Forlì al 7, Bologna al 5,1 e Reggio Emilia al 4,9.
Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è a Rimini del 30,6, inferiore a quello nazionale (34,7) ma decisamente superiore a quello di Forlì (18,8) e di Bologna (13,3).
Viene esaminato anche il tasso di mancata partecipazione al lavoro, che include oltre ai disoccupati anche i cosiddetti scoraggiati, cioè quelli che nemmeno più cercano un lavoro. Rimini si classifica al 58° posto, con un tasso del 15 per cento, certamente migliore della media nazionale (20,5) ma sempre peggiore delle altre province vicine. Gli inattivi (non lavorano e non cercano occupazione) sono il 29,4 per cento.
Il rapporto prende infine in esame l’indice di efficienza e di innovazione del mercato del lavoro, basandosi su cinque parametri: 1. tasso d’occupazione (15-64 anni); 2. tasso di non Neet (15-29 anni): più è alto il valore dell’indice, meno sono i giovani che non lavorano, non studiano e non sono in formazione; 3. rapporto tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile, che segnala la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e l’aumento dell’occupazione complessiva; 4. quota di occupati che esercitano professioni altamente qualificate nei settori più innovativi; 5. quota di lavoratori con contratti standard e, quindi, meno lavoratori “precari” maggiormente esposti al rischio di povertà.
Rimini si trova nel gruppo intermedio, al 64° posto, ma perdendo 19 posizioni rispetto al 2016. Bologna è al 1° posto, Forlì al 29° (+2) rispetto al 2016, Ravenna al 42° (-15, rispetto al 2016).
“Di questi dati – osserva il presidente di Confindustria Paolo Maggioli – ciò che mi impressiona è l’elevata percentuale di Neet. Il tasso di occupazione, il livello delle retribuzioni penso siano influenzati dal ruolo del turismo nell’economia locale. Il turismo vuol dire stagionalità, precarietà dei contratti e purtroppo anche il fenomeno del nero che è rilevante e che costituisce il tema dei temi, a cui prestare la massima attenzione”.
“Ma - continua Maggioli - sono più colpito da questo alto numero di giovani che non lavorano, non cercano lavoro e neppure seguono corsi di formazione. Significa che abbiamo di fronte a noi la questione rilevante del ruolo dell’istruzione e della formazione. L’Università e gli istituti tecnici devono essere oggetto della massima attenzione perché realizzino una formazione di alto livello, capace di preparare al mondo del lavoro. Come Confindustria siamo impegnati per rafforzare la presenza Rimini dell’Università, le aziende cercano di avviare rapporti di collaborazione. Occorre anche che il corpo docente siano sempre più di alto livello e non consideri Rimini come un passaggio verso altre sedi. Anche l’alternanza scuola lavoro va incrementa, sia da parte delle aziende che delle scuole che non la devono vedere come una formalità ma come un investimento per il futuro loro e dei giovani”.
Un'estate, 50 anni fa: nasce la Comunità Papa Giovanni XXIII
Quest’anno sono i cinquant’anni dal Sessantotto, l’evento che così profondamente ha inciso sulla cultura, il costume e la politica di questo mezzo secolo. Quest’anno ricorre un altro anniversario: sono trascorsi cinquant’anni dalla fondazione della Comunità Papa Giovanni XXIII. A dire il vero il ’68 è un anno importante nella biografia di don Oreste Benzi anche per un altro motivo, la nascita della parrocchia della Resurrezione, che da quel momento sarà una sorta di quartier generale del sacerdote dalla tonaca lisa.
Nell’estate del ’68 accade qualcosa che sarà il seme di una realtà oggi diffusa in tutto il mondo. Don Oreste è padre spirituale in seminario e insegnante di religione al liceo Serpieri. Viene a contatto con i ragazzi spastici del centro di rieducazione psicomotoria aperto a Rimini nel mese di marzo. In maggio scopre la realtà del Centro discenetici dell’ospedale Rizzoli di Bologna. Alla suora direttrice propone di portare quei ragazzi in vacanza sulle Dolomiti, ad Alba di Canazei. Da alcuni anni aveva aperto Casa Madonna delle Vette, eretta anche con i soldi raccolti durante un viaggio negli stati Uniti. Don Benzi l’aveva realizzata per portarci in vacanza i preadolescenti, perché nell’impatto con la bellezza delle montagne facessero “un incontro simpatico con Cristo”. “Se ci porto i ragazzi sani, perché non ci devo portare anche quelli spastici?”: è l’intuizione di quella che diventerà una sorta di parola d’ordine del sacerdote e della sua Comunità, “Dove siamo noi, lì anche loro”. Se riavvolgiamo il film della società italiana a cinquant’anni fa, non è difficile scoprire che per gli handicappati non ci fosse altra soluzione che l’istituto, che diventava spesso una sorta di casa di reclusione, per quanto con tutti i servizi. L’handicappato era allora forse il diverso per eccellenza, e come tale andava escluso dalla società dei sani. Coinvolgendo alcuni universitari, ex alunni del liceo, e seminaristi, don Benzi organizza il torpedone che porta sulle Dolomiti un gruppo di ragazzi spastici.
La loro presenza non tarda molto a farsi notare. Appena due giorni dopo il loro arrivo, giunge la telefonata dell’Azienda di Soggiorno a lasciare la valle. Era anche disposta a pagare il trasferimento in un’altra località, più defilata, lontana dagli occhi dei turisti. La proposta viene rispedita al mittente e per dieci giorni gli spastici e i loro accompagnatori vanno dove sono tutti: in funivia, in piscina, in paese, lungo i sentieri. Nell’anno dell’utopia al potere, don Benzi realizza una rivoluzione concreta che con il tempo cambierà la mentalità comune di fronte alla disabilità.
Al ritorno a Rimini scatta un altro tormentone del sacerdote: “Adesso che hai visto, non puoi più fare finta di niente”. Alcuni giovani continuano a vedersi e a condividere il loro tempo libero con gli handicappati. «La particolarità – ha commentato l’attuale presidente Giovanni Paolo Ramonda, in una intervista all’house organ Sempre - è stata il cogliere che le membra più deboli, come afferma San Paolo, sono quelle che vanno curate maggiormente, e che un popolo è tale se si prende cura dei più fragili. Il mettere la vita con i ragazzi spastici e in seguito con i malati di mente, i tossicodipendenti, i senza dimora, e così via, è un linguaggio che viene compreso da tutti,credenti e non credenti, giovani ed adulti. Quando uno si china verso l’escluso e lo solleva si ha un’esplosione di vita. In particolare i giovani sono catturati da questo messaggio
e sentono che vale la pena spendersi nella condivisione diretta».
I cinquant’anni della nascita della Comunità Papa Giovanni XXIII saranno ricordati il prossimo 10 luglio ad Alba di Canazei con un evento. A Casa Madonna delle Vette è stata anche allestita una mostra fotografica curata da Riccardo Ghinelli, che ha immortalato moltissimo della vita di don Benzi e della Comunità. «A Madonna delle Vette è nata la voglia di raccontare con la fotografia il nuovo che vivevamo. Raccontare il nostro punto di vista di giovani che si andavano a divertire assieme a degli amici, mentre gli altri vedevano quello che stavamo facendo come un atto di pietà. Ho voluto raccontare questo, quello che per noi era vita, mentre per gli altri era straordinario.»
I cinquant’anni della Comunità saranno celebrati anche a Rimini, dove tutto è nato, il prossimo 7 dicembre. In occasione di quell’evento sarà presentato anche il Premio internazionale don Oreste Benzi. Dalla parte degli ultimi, che ogni anno ad una personalità, ad una Associazione o ad un Ente che, senza distinzione di sesso, nazionalità, religione o appartenenza a forze politiche, “si sia particolarmente distinto nell’ambito di vita o nel settore dove si trovi ad operare, a favore delle persone che la nostra società malata ancora emargina, sfrutta o ritiene un inutile “scarto”, non riconoscendo in ognuna di esse l’inviolabile dignità della persona umana, creata ed amata da Dio”.
La storia della Comunità, e soprattutto quella del suo leader e fondare don Oreste Benzi, si è spesso incrociata con la storia della città e con le varie forme di povertà ed emarginazione sociale di volta in volta emergenti: disabili, minori, tossicodipendenti, prostitute, nomadi. Oggi la Comunità non è solo riminese, anche se in città sono la segreteria e i servizi generali. Quel primo gruppetto è diventato una realtà diffusa in 42 paesi del mondo, che gestisce 450 strutture di accoglienza con cinquemila persone inserite, mettendo a tavola ogni giorno oltre 41 mila persone. I membri della Comunità sono 1.800 e in 300 stanno compiendo il periodo di verifica.
Popolare Valconca: valanga di sì alla Spa
La Banca Popolare della Valconca è diventa una Spa. La trasformazione da cooperativa a società per azioni è stata decisa ieri pomeriggio a Morciano dall'assemblea straordinaria in seconda convocazione, dopo che la prima seduta, per motivi tattici, non aveva raggiunto il numero legale.
Il sì alla trasformazione ha avuto un'adesione quasi plebiscitaria: ha votato a favore l'81,8 per cento, in termini assoluti 917 voti. Il no si è fermato al 16, 2 per cento, mentre le astensioni sono state il 2 per cento.
E' quindi passato a larga maggioranza il messaggio che indicava nella trasformazione in Spa il passaggio necessario perchè la Banca possa aspirare ad attirare un partner disposto ad investire e quindi a dare un futuro all'Istituto di credito. Con la forma cooperativa e il conseguente voto capitario (indipendentemente dalle azioni possedute) non invogliava nessuno a farsi avanti. L'azione di risanamento compiuta dopo le ispezioni della Banca d'Italia potrà così trasformarsi in un progetto di rilancio e di sviluppo. Pertanto il primo obiettivo della neonata Spa è proprio quello di individuare al più presto un partner.
Meeting 2018, il '68 e l'enigma della sofferenza innocente
Se le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice, cosa dire quando la storia, sia quella quotidiana e personale che quella più universale, presenta il volto della tragedia, della morte, della sofferenza, spesso di persone innocenti? Quando la storia si muove, e provoca guerre, lutti, distruzioni, incidenti, catastrofi, che ne è della felicità dell’uomo? È ancora vera la frase che farà da filo conduttore al Meeting 2018: “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice?”
Non è una riflessione astratta, da filosofi e teologici, è una domanda che rimbalza dentro ciascuno di noi spesso, anche quotidianamente. Basta guardare un telegiornale, leggere alcune notizie. A volte è un dolore che ci colpisce direttamente per una malattia, per la perdita di una persona cara. E allora? Non viene forse la voglia di seguire il filosofo illuminista Voltaire che di fronte al terremoto di Lisbona del 1755 e ai morti che aveva provocato scrisse un pamphlet per scagliarsi contro coloro che sostenevano che tutto è bene, che la realtà è positiva?
Nella presentazione riminese del Meeting, sabato pomeriggio nella cornice del Cinema Fulgor, Ignazio Carbaiosa, sacerdote spagnolo docente di Antico Testamento, ha affrontato la questione di petto e così ha offerto un interessante anticipazione delle riflessioni che si potranno fare in Fiera a Rimini dal 19 al 25 agosto. Carbaiosa è il curatore di una delle principali mostre di questa edizione, quella su Giobbe e l’enigma della sofferenza. Il personaggio di Giobbe è il prototipo dell’uomo che protesta con Dio perché ritiene di essere vittima di una sofferenza ingiusta. Le forze che hanno mosso la sua storia personale non l’hanno reso felice, ma povero e abbandonato. Giobbe chiama Dio a rispondere del proprio operato, ed è ciò che hanno fatto gli uomini anche del secolo scorso, quando di fronte ad Auschwitz hanno chiamato Dio a rispondere al tribunale della ragione.
Giobbe, per stare all’esempio biblico, rifiuta le analisi razionali che i saggi gli propongono. Solo lo sguardo sulla creazione, opera di Dio, lo interpella. L’enigma della sofferenza non si risolve con un’analisi razionale ma con la partecipazione ad una storia in cui Dio si fa vicino all’uomo. L’esempio citato da Carbaiosa è illuminante. Il ragazzo che riceva una sberla da un amico, reagisce rifilandogliene altre due. Se torna a casa, e la sberla la riceva dalla madre, si chiede perché. Se le sberle della storia arrivano nel contesto di una storia di rapporti con Dio, allora l’uomo può rivolgere a Dio la domanda. Quindi non una spiegazione, ma un Dio che si fa presente, lo stesso Dio che muove la storia: questa la risposta all’enigma della sofferenza. Sarà interessante vedere come questo percorso sarà documentato nella mostra del Meeting.
Il titolo del Meeting, una frase di don Luigi Giussani, risale a cinquant’anni fa, nel contesto del movimento del Sessantotto italiano all’Università Cattolica di Milano. Giussani chiede a un giovane cosa stia facendo. “Sto partecipando alle forze che muovono la storia”. E il sacerdote risponde: “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice”. Normalmente siamo portati a separare ciò che muove la storia (strategie geopolitiche, guerre, rivoluzioni, cambiamenti economici e climatici, ecc.) dal desiderio di felicità che alberga nel cuore dell’uomo. Appaiono come due percorsi distinti, che non si incrociano mai. L’ipotesi del Meeting è che ciò che rese felici i primi che andarono dietro a Gesù sia anche ciò che muove la storia. Un campo di indagine stimolante è appunto quello del Sessantotto. Uno spazio tematico del Meeting 2018 – un luogo dentro i padiglioni della Fiera dove si mescolano i “generi”
tradizionali del Meeting, convegni, mostre, spettacolo, porta appunto il titolo “Vogliamo tutto. 1968-2018”. Un gruppo di giovani ricercatori e studenti universitari (è una delle novità di questa edizione, un maggiore coinvolgimento dei giovani nelle proposte del Meeting) hanno provato ad indagare su quel periodo e a chiedersi se l’attuale «cambiamento d’epoca» non affondi le sue radici anche in quella sorta di «rivoluzione antropologica» che si è avviata negli anni Sessanta. Uno spazio che, per le domande e le riflessioni che suscita, sarà certamente sarà uno dei più visitati.
Nello spazio chiamato “Cammini” sarà una sorta dia rena dove sarà possibili confrontarsi, con incontri, reportage, testimonianze, dialogo fra i partecipanti, su alcuni movimenti della storia contemporanea: migrazioni, conflitti, dialogo tra le religioni.
In Exoplanets i visitatori sono invece invitati ad un viaggio fra le stelle per scoprire l’ultima frontiera dell’astrofisica: la presenza di un enorme numero di pianeti che ruotano intorno ad altre stelle, i cosiddetti “pianeti extrasolari”, detti appunto “exoplanets”.
Il quarto spazio è Cdo for innovation, un laboratorio a cielo aperto in cui presentare alla platea del Meeting le diverse facce di chi oggi fa innovazione in Italia ma anche tanti incontri in cui ascoltare le testimonianze di imprenditori, inventori, giovani maker, esperti di cyber-sicurezza, visionari capaci di portare avanti progetti innovativi in ambito educativo e sociale.
Il programma del Meeting, fra mostre, spettacoli, incontri, dibattiti è come sempre moto articolato. Ci sarà modo di ritornarci. Da segnalare subito, però lo spettacolo inaugurale, la sera del 19 agosto, nell’Arena del Ponte di Tiberio. In occasione dei 150 anni dalla nascita del grande poeta francese Paul Claudel, andrà in scena una riduzione del suo capolavoro drammaturgico La scarpina di raso. Attraverso il mare del desiderio, ovvero l’avvincente storia d’amore tra Donna Prohuéze e Don Rodrigue.
Popolare Valconca, la decisione sulla Spa slitta a domani
Nulla di fatto all'assemblea della Banca Popolare della Valconca, convocata questa mattina alle otto per decidere la trasformazione in Spa. Non è stato raggiunto il quorum del 10 per cento necessario per deliberare. I soci si sono presentati, ma molti non si sono registrati, erano lì solo per controllare se si raggiungeva il numero legale. Una volta verificato che si eranoregistrati solo 175 soci (meno del 10 permcento), se ne sono andati. Non c'è stato quindi il previsto blitz, ha prevalso il ripiegamento tattico.
Quindi i giochi veri si faranno domani alle 17,30, quando non sarà necessario alcun quorum per la validità dell'assemblea. Per decidere la trasformazione in Spa è invece necessario il voto favorevole dei due terzi dei soci presenti.
Popolare Valconca, gli schieramenti in campo sabato
Quella di sabato 30 giugno alle otto del mattino doveva essere una convocazione formale, in attesa della convocazione reale, decisiva, per domenica 1 luglio alle ore 17,30. In realtà, è molto probabile che l’importante decisione sulla trasformazione della Banca Popolare della Valconca in Spa venga già presa sabato mattina. È sufficiente che sia presente, anche con deleghe, almeno il 10 per cento degli azionisti; quindi, visto il clima surriscaldato che si respira intorno al destino della banca, è facile che venga subito raggiunto.
In questi giorni di vigilia i bene informati hanno capito che, quanti sono contrari alla trasformazione in Spa, sono tentati di fare il blitz presentandosi tutti sabato alle otto, sperando di cogliere tutti di sorpresa. E così anche quelli che sono per la trasformazione faranno altrettanto.
Vi è una considerazione, nel merito, che spinge ad abbandonare la forma storica della cooperativa e assumere quella di società per azioni. Il consiglio d’amministrazione della banca ha avviato un’azione di risanamento che ha portato innegabili buoni risultati. Non tutto il lavoro è completato, c’è ancora la delicata partita dei crediti deteriorati da risolvere, c’è da trovare un rinnovato e proficuo rapporto con la clientela. C’è soprattutto da pensare al futuro della banca. Negli ultimi due anni, affidandosi anche ad advisor, gli amministratori hanno cercato ogni possibile strada per arrivare all’integrazione con un altro istituto per poter assumere una fisionomia più solida, capace di reggere l’urto della concorrenza con i giganti del credito, mantenendo integra la fisionomia di banca del territorio. Risulterebbe improbabile, allo stato attuale, che possa comparire all’orizzonte un generoso benefattore, finché rimane la forma cooperativa, e quindi ciascuno conta per un voto indipendentemente dal numero delle azioni che possiede; in tal caso nessuno avrebbe l’interesse a fare un investimento di decine di milioni. La trasformazione in Spa – sostengono coloro che sono favorevoli – è il passaggio obbligato per completare l’opera di risanamento e per trovare un partner disposto ad investire. Per essere presenti e vincenti in un quadro in cui tutti i competitori si sono rafforzati sotto il profilo patrimoniale, occorre potersi dotare di risorse adeguate. E queste risorse difficilmente si investono in una società dove ancora vige ancora il voto capitario.
Su questa linea sembra convenga anche l’associazione dei piccoli azionisti guidati da Perlini e Righini.
Anche i dipendenti soci, che sono ben organizzati visto che all’ultima assemblea hanno eletto due consiglieri e un membro del collegio sindacale, sarebbero a favore della Spa, con l’eccezione della parte più sindacalizzata, che invece sarebbe incline al mantenimento dello status quo. Sulla carta quindi i sostenitori della Spa dovrebbero riuscire nell’impresa. C’è però un’ area di pensiero (l’assemblea dirà quanto vasta), presente soprattutto fra i soci morcianesi e della Valconca, che è restìa ad abbandonare l’idea di una banca totalmente espressione del territorio e al servizio della comunità locale. Sono gli argomenti che ancora ieri rilanciava la Federconsumatori di Rimini: “la vicinanza alla Comunità, la mutualità fra i soci, la partecipazione dei soci con la possibilità di contare sulle scelte strategiche. Anche un socio come Gianfranco Vanzini, in un recente articolo su Il Ponte si è espresso per il mantenimento del voto capitario e ha paventato il pericolo che, con l’ingresso di investitori esterni, la banca rischierebbe di sparire. Una posizione secondo cui, a dispetto della globalizzazione e dell’andamento del mercato bancario, “piccolo è ancora e sempre bello”.
Queste due posizioni si daranno battaglia in assemblea e ciascuno dovrrà assumersi le sue responsabilità (il voto è palese) di fronte a tutti. Sabato mattina il verdetto.
Dopo le elezioni. Da destra e da sinistra le reazioni alla disfatta del Pd
È interessante osservare il dibattito sui social sviluppatori anche in sede riminese dopo i risultati del ballottaggio delle ultime elezioni amministrative (leggi qui nostro articolo di commento).
A destra si osservano due reazioni distinte e contrapposti. Un vecchio protagonista della politica berlusconiana, Gianni Piacenti, osserva con evidente disappunto: “Gli elettori del centrodestra che a Imola nel ballottaggio hanno votato per il partito della Casaleggio e associati in odio alle sinistre si sono comportati come quei mariti cornuti che per far dispetto alla moglie infedele si auto evirano. Fra un anno non si accetteranno scuse o cenere sul capo. A Imola come a Roma, Livorno o Torino se andrà bene non si muoverà nulla ma se qualcosa si muoverà sarà un disastro”.
Di tutt’altro tenore la reazione di Carlo Rufo Spina, capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale a Rimini che celebra soddisfatto il tracollo delle amministrazioni rosse: “Alla sinistra e al Pd rimane ora solamente il versante adriatico: Ravenna, Rimini, Pesaro, Ancona, tetrapoli che rappresenta l'ultima roccaforte ideologica e incrollabile al potere rosso. Ma la storia ci insegna che tutte le roccaforti, assediate pian piano, lentamente ma inesorabilmente, alla fine cadono.
E anche la tetrapoli crollerà sotto i colpi della modernità, del rinnovamento liberale e delle esigenze sempre più crescenti e indispensabili di sicurezza, ordine e legalità! Ancona per ora si è dimostrata incrollabile. Prossimo appuntamento fra un anno per l'assalto a Pesaro. Poi toccherà nel 2021 a Rimini e Ravenna: l'orologio della Storia, con inesorabili note, sta battendo il count-down”. A chi gli fa osservare che si tratta di magra vittoria, visto che a Imola Forza Italia nemmeno entra in consiglio comunale, Spina replica convinto: “Qua chi spazza via la sinistra fa comunque un bene collettivo!”.
Chi esulta punto e basta è Bruno Galli, segretario provinciale della Lega: “Quei risvegli, quelli belli!!... C'era una volta il pd, che continuino pure sulla strada dell'arroganza con le loro offese... Noi andiamo avanti dritti e con il sorriso!!...Unico cruccio, Rimini (salvo imprevisti) non fa parte della batteria dei comuni che andranno al voto il prossimo anno...”.
A sinistra, il lutto è espresso in vario modo. L’assessore regionale Emma Petitti scrive che “C'è solo una cosa da fare. Il Congresso subito. Non possiamo continuare a dire che gli elettori non hanno capito e noi abbiamo fatto le cose più giuste e al meglio, consolatorio forse ma non riabilitativo rispetto alle responsabilità. Dobbiamo ripartire e non resistere a dispetto della realtà. Dobbiamo restituire il partito agli iscritti e discutere di identità, progetto, ripartendo dai valori e non dagli slogan facili. Congresso per ripensare e superare una situazione non più accettabile o riproponibile”.
Un suo collaboratore, l’ex assessore provinciale Fabio Galli, aggiunge: “Qualcuno sosteneva (in modo illusorio) che le elezioni amministrative sarebbero state un'altra partita rispetto alle politiche del 4 marzo. E invece la partita è stata la stessa, si è solo giocato il secondo tempo , più o meno brutto come il primo per il centrosinistra, con diversi comuni persi fin dal primo turno e sconfitte MOLTO pesanti nei ballottaggi . Caporetto in Toscana (Massa, Pisa, Siena) ma brutte batoste in altre città storiche per il centrosinistra come Ivrea, Cinisello Balsamo e la roccaforte emiliano-romagnola Imola. Quanto occorre aspettare ancora per avere un chiarimento definitivo sul futuro del PD? Si continua a tenere la polvere sotto il tappeto? Davvero qualcuno pensa di rimandare al prossimo anno un congresso urgentissimo? Nel 2019 ci saranno elezioni europee ed una tornata amministrativa che riguarderà molti comuni; sarà bene arrivarci con un gruppo dirigente legittimato e con una linea politica chiara e netta. La ripartenza (rifondazione?) non è più rinviabile”.
Alyri, copme il consigliere comunale Simone Bertozzi, hanno invece individuato un nuovo nemico: “A me Carlo Calenda fa paura. Un nuovo Renzi da tenere alla larga. Bisogna guardare a sinistra, oggi più che mai in un Europa governata dalle destre”.