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Rimini, aeroporti concorrenti: le strategie di Ancona, Forlì bloccato

 

Ma è vero che l’aeroporto di Ancona offre ai vettori russi un contributo di 21 euro a passeggero per far sì che i voli un tempo riminesi restino nelle Marche? “Non è assolutamente vero, – afferma al telefono Laura Cerasa, direttore commerciale – i contributi non sono di quella entità”.

 

Vero o non vero, è comunque confermato che un contributo c’è, a riprova di quale sia il sistema adottato dagli aeroporti che hanno bisogno per sostenersi di incentivi al traffico. E questo avviene quando Airiminum dichiara solennemente che mai si imbarcherà sulla strada dei contributi alle compagnie. Messe così le cose, la concorrenza con chi ha tutto l’interesse a soffiarci il traffico è un percorso in salita.

 

È evidente perché Ancona sgomita e cerca di soffiarci i russi: anche la società Aerdorica, come la defunta Aeradria di Rimini, naviga in un mare di debiti. L’ultimo bilancio noto è quello del 2013, approvato nel settembre scorso. L’esercizio si è chiuso con 12 milioni di perdite, “ma la gestione ordinaria di esercizio è perfettamente in equilibrio”, ha scritto in una nota la Regione Marche, azionista all’80 per cento. Sembra di ricordare altre dichiarazioni analoghe a noi più vicine, ma andiamo avanti. Il debito complessivo della società è di 37 milioni, “solo” 14 in meno di Aeradria. Un deficit accumulato in anni recente quando direttore generale di Aerdorica era Marco Morriale, adesso sotto processo per peculato e truffa, accusato di una gestione “allegra” dei soldi aziendali. Negli anni scorsi non sono mancati gli aumenti di capitale per ripianare le perdite e permettere all’aeroporto di sopravvivere.

 

L’aeroporto dal novembre 2013 è sotto le cure di Giovanni Belluzzi, un commercialista che ha nel curriculum la presenza nei consigli d’amministrazione di società e banche rilevanti come Unicredit. Senza dover portare i libri contabili in Tribunale, ha definito qualcosa che assomiglia ad un concordato preventivo: pagamenti rateali con i fornitori, accettato dalla larga parte dei creditori, attuati a partire da giugno 2014 e per la durata di 24 mesi; accordo, raggiunto con Banca Marche S.p.a., per la sospensione di 24 mesi dei propri mutui; rateazione decennale dei debiti tributari e contributivi iscritti a ruolo; rateazione dei tributi comunali pregressi del Comune di Falconara.

 

Nell’aprile del 2014 Belluzzi ha anche presentato un piano industriale che si basa essenzialmente sullo sviluppo e potenziamento dei business esistenti: passeggeri, cargo, retails shop, parcheggi, locazioni, agenzie, utilities. In particolare si punta in cinque anni al raddoppio passeggeri (dai 300mila che definiscono la cachtment area, il bacino di utenza, a 600mila) e cargo (da 6mila tonnellate a 12mila). Si tenga conto che il 2014 si è chiuso con 480 mila passeggeri.

Aerdorica ha ottenuto dilazioni nel pagamento dei debiti, ma deve produrre fatturato e utili per poterli pagare, anche se a rilento. È una scommessa da seguire da vicino per capire se con Aeradria avremmo potuto vedere un altro film.

 

Guardando all’altro aeroporto vicino a Rimini, quello di Forlì si scopre come le difficoltà incontrate da Airiminum per entrare in possesso dell’aeroporto non siano isolate. La società Aviacom, dell’imprenditore americano Robert Halcombe, ha ottenuto dall’Enac le certificazioni necessarie, ma non può mettere piede nell’area del Ridolfi. Questo perché l’Enac non accetta di vedersi riconsegnare l’aeroporto dal curatore fallimentare senza che prima siano eseguiti interventi ritenuti assolutamente necessari. Basti pensare che c’è da fare la bonifica del deposito carburanti che da sola costa un milione di euro. Il curatore non se ne vuole fare carico, tanto meno Aviacom. È insomma in corso un braccio di ferro che prima o poi dovrà portare ad un accordo, ma i tempi di riapertura dello scalo si allungano.

E intanto a fare testo sono le lettere degli avvocati. La conferma che quando c’è di mezzo un fallimento, far ripartire un aeroporto è tutt’altro che semplice.

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Rimini, quando in parrocchia si discute di città e piano strategico

 

Metti una serata in parrocchia e ci scappa un confronto, non privo di fuochi di artificio sul finale, sul piano strategico del Comune di Rimini, oggetto del desiderio per alcuni, fuffa maleodorante per altri. La parrocchia è quella di San Gaudenzo, dove parroco è l’ex vicario della diocesi, don Aldo Amati, anche lui sul palco insieme ai relatori per dire che quello era un gesto di Chiesa per alimentare la speranza. Tema della serata è “Rimini: città a misura di sguardo”.I protagonisti della sceneggiatura sono l’architetto Nedo Pivi, con un passato in politica, dirigente scout, fedele parrocchiano; l’architetto Edoardo Preger, urbanista e già sindaco di Cesena; l’ex sindaco di Rimini Giuseppe Chicchi, che si era ripromesso di non parlare mai pubblicamente dei problemi della città e cede invece alla tentazione; il presidente della Camera di Commercio Fabrizio Moretti; ed infine seduto fra il pubblico, ma protagonista del gran finale, Maurizio Ermeti, presidente del Forum e amministratore dell’Agenzia del piano strategico.

 

Nel suo intervento iniziale Pivi si fa interprete del sentimento diffuso fra quanti si sono sentiti sedotti e poi abbandonati dalla sirena del piano strategico. Ricorda il grande investimento che su quello strumento ha fatto il mondo cattolico, esalta il ruolo del defunto Luciano Chicchi e della Fondazione Carim, osserva poi mesto che dopo la bella stagione in città è tornata la cultura della conservazione e delle fazioni contrapposte.

 

L’architetto Preger non si sofferma sul piano strategico ma infila alcuni dati che forse hanno fatto fischiare le orecchie al sindaco Andrea Gnassi. Fin dalle prime battute si capisce che vuole demolire lo slogan “stop al consumo di suolo”, specialmente quando resta uno slogan senza contenuti nuovi. Preger ricorda che negli ultimi quindici anni la popolazione di Rimini è cresciuta del 14 per cento, le famiglie sono aumentate addirittura del 26 per cento. Non era mai successo dagli anni Cinquanta. Nello steso tempo si scopre che il 20 per cento delle famiglie vive in coabitazione, cioè due famiglie sotto lo stesso tetto. Un dato che si affianca a un altro apparentemente contradditorio: il 30 per cento delle famiglie è unipersonale, la superficie media degli appartamenti è di 90 metri quadri: case troppo grandi per persone sole. Tutto questo per dire che non è vero che non c’è bisogno di nuove case e che certamente si devono poter ristrutturare gli edifici esistenti. Preger indica due piste di lavoro: con gli indici ridicoli che si mettono per frenare il consumo di suolo non si va da nessuna parte, occorre un pensiero nuovo, costruire in altezza (non grattacieli ma palazzi di otto piani); vanno riqualificate le aree dismesse, a Rimini si può considerare tale l’area della stazione, intervenire su essa ha alto valore strategico perché ricompone la cesura fra le due città, il mare e il centro storico.

 

La palla passa all’ex sindaco Giuseppe Chicchi che arriva subito al punto: per ridare benzina al motore che produce ricchezza noi negli anni Novanta abbiamo la scelta delle grandi opere (fiera, darsena, Caar, palasport, ecc.), il punto è che oltre all’hardware non si è prodotto anche un software, cioè una cultura moderna e professionali i servizi di alta qualità. Chicchi va alla lavagna e traccia un disegno che lui propone dl 1989, l’anno della grande paura per le mucillagini. Il succo è che c’è una filiera turistica che ha un picco nei tre mesi estivi e poi si blocca negli altri mesi. Anche le infrastrutture pubbliche, a partire dalla depurazione, sono state costruite per reggere il picco, nel resto dell’anno sono investimenti improduttivi. I dati più allarmanti dell’economia locale sono quelli che indicano che si sta riducendo il numero degli alberghi annuali. Chicchi avverte che quando si decide di far ripartire il motore, oggi bisogna stare attenti all’equilibrio complessivo. E cita tre esempi. Si sta ricostruendo il teatro Galli con 670 posti, quando il teatro ottocentesco ne aveva 900 con una città cinque volte più piccola. Quel teatro è orientato al deficit in modo costitutivo. Le colonie: sono rimaste al palo senza interventi perché la Provincia nel piano regolatore Benevole ha cassato la possibilità di destinarle anche a residenze. Il Palazzo dei Congressi: nel 2006 il parlamento ha diminuito l’Iva per i congressi perché già erano evidenti i segni di crisi e a Rimini si è costruito un Palazzo da oltre 100 milioni.

 

Intermezzo del presidente della Camera di Commercio Moretti che si scaglia contro i grattacieli di Dubai, facendo finta di non aver sentito che Preger aveva parlato solo di otto piani, e che soprattutto rilancia la grande opportunità del piano strategico, che sta funzionando perché grazie ad esso, per esempio, si sta risolvendo il problema delle fogne. Un invito a nozze per Ermeti che prende subito la parola per assicurare che il piano strategico non è morto, è vivo e lotta insieme a noi. Il piano ha compiuto le scelte fondamentali della salute del mare e della rigenerazione della zona turistica. Ed anche lui cita le fogne, i prossimi bandi per il lungomare, la futura pedonalizzazione del ponte di Tiberio, la prossima sistemazione di piazza Malatesta con il trasferimento del mercato (già nel 1999 – obietta Chicchi – avevano firmato un protocollo di intesa con le associazioni degli ambulanti), le rotatorie su via Roma con tanti espropri che prima non erano mai stati fatti (dal pubblico l’ex vice sindaco Zavatta ricorda che lui per via Roma di espropri ne aveva fatti 500).

 

Di fronte all’eloquio torrenziale di Ermeti, Chicchi sbotta: “Ma quanto costa alla città il piano strategico?”. Ermeti risponde che costa 240/260 mila euro all’anno ma grazie ai suoi progetti ha portato a casa finanziamenti per 30 milioni. Ermeti sostiene che il Comune ha ottenuto i finanziamenti per le fogne o si è fatto regalare dallo Stato il lungomare grazie alla visione che il piano strategico ha prodotto.

 

Chicchi non ci sta: “A questo punto non so più chi sia il sindaco, tutto quello che Gnassi afferma essere farina del suo sacco dici di averlo fatto tu!”. E spiega che per lui il piano strategico è un riformismo senza popolo, perché il popolo si esprime attraverso gli strumenti della democrazia rappresentativa. Qui non c’è il popolo, solo alcune associazioni di categoria. Tutto ciò che è stato fatto una buona amministrazione efficiente avrebbe dovuto realizzarlo anche senza piano strategico. Il Psc adottato nel 2011 è fermo al palo e ancora non si è risposto alle 2.500 osservazioni dei cittadini. Lì il popolo si è espresso e non ha avuto risposta. Il tempo di dire che le fogne le pagheranno i cittadini con il 7% di aumento delle tariffe e che lui ha dubbi che possa funzionare il sistema ideato da Hera, e il dibattito si chiude. Forse una nuova serata in parrocchia sarà dedicata interamente al piano strategico. Amen.

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Agenzia Mobilità: salta l'assemblea per la trasformazione

 

La prima convocazione era per il 30 gennaio, poi è stata aggiornata al 6 febbraio, quindi rinviata ancora al 5 marzo. In realtà non si farà più, è stata annullata. Ad essere stata cancellata definitamente è la convocazione dell'assemblea di Am, Agenzia Mobilità della Provincia di Rimini, chiamata a deliberare la trasformazione della società in una srl consortile e ad approvare il piano di accorpamento delle agenzia di mobilità di tutta la Romagna.

 

Il progetto, sostentuo dal Pd e dalle amministrazioni comunali guidate da questo partito, non è però stato condiviso dalle amministrazioni di Riccione, Bellaria Igea Marina, Montefiore e Coriano. Due le motivazioni principali: con la srl ci sarà un aumento dei costi a carico dei Comuni, non c'è garanzia del mantenitmento di qualità dei servizi.

 

Nella lettera che il presidente dell'Assemblea, l'assessore del Comune di Rimini Gianluca Brasini, ha inviato ai soci si legge che l'assemblea è stata annullata per le difformità riscontrate nelle deliberazioni adottate dai consigli comunali. Si è insomma preso atto che sul progetto non c'è unanimità.

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Aeroporto, il volo della riapertura slitta al 7 marzo

Si va componendo il contenzioso fra Enac e Airiminum. La società ha trasmesso oggi ad Enac tutta la documentazione utile ai fini dell'ottenimento dell'idoneità per lo svolgimento dei servizi di sicurezza e per la certificazione dei servizi di handling". Lo ha detto il direttore generale Marco Consalvo che ha aggiunto: "Purtroppo, per questioni burocratiche che ci auguriamo siano in via di soluzione, non abbiamo ancora accesso agli uffici in cui abbiamo lavorato fino a venerdì: l'accesso è indispensabile per svolgere le attività minime propedeutiche alla riapertura dell'aeroporto".


"Il primo volo - ha aggiunto Laura Fincato, presidente di AIRiminum 2014 - atterrerà da Mosca il 7 marzo: lo slittamento ci è stato chiesto dal vettore VIM Airlines. Meglio così: quei 3 giorni saranno utili per i lavori indispensabili".


La presidente e il direttore generale hanno incontrato i sindacati. "Si tratta del secondo incontro con le rappresentanze dei lavoratori: le abbiamo aggiornate sulle difficoltà che stiamo incontrando - ha spiegato Consalvo - e abbiamo proseguito il confronto sui criteri di assunzione anche in relazione al personale che operava con Aeradria e alle tipologie di contratto con la società AIRiminum 2014 e AIRhandling. La prima gestirà l'aeroporto. La seconda, partecipata al 100 per cento dalla prima, gestirà i servizi a terra".

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Rimini ricorda don Giussani: la testimonianza di don Mario Vannini

 

C’è stata un’amicizia profonda e consolidata fra don Luigi Giussani e Rimini, anzi fra don Giussani e molte, moltissime persone di Rimini. “C’è stato un periodo, negli anni Settanta – racconta un amico di vecchia data, don Mario Vannini, sacerdote riminese – in cui don Giussani aveva una presenza assidua a Rimini. Appena poteva, veniva, anche solo per andare a cena con gli amici preti. Penso non sia esagerata l’affermazione che Rimini, grazie anche alla stima che aveva per don Giancarlo Ugolini, era la pupilla dei suoi occhi”.

 

Comunione e Liberazione si ritroverà giovedì 26 febbraio alle 19,30 nel Tempio Malatestiano per una Messa, presieduta dal vescovo Francesco Lambiasi, a dieci anni dalla scomparsa del sacerdote milanese e nel sessantesimo anniversario della nascita del movimento.

 

Don Mario Vannini ricorda bene le circostanze del suo primo incontro con Giussani. “Era una domenica pomeriggio del 1967, io ero cappellano a Riccione e mi era stato chiesto di seguire i ragazzi di GS. Andai ad un incontro con lui nella sede della Gioventù Studiosa, in via Cairoli. Avevo sentito parlare di Giussani ma non lo avevo mai ascoltato direttamente. Rimasi subito letteralmente colpito e conquistato dal modo che aveva di annunciare la proposta cristiana, un modo così persuasivo che lasciava a bocca aperta. Tanto che io, ingenuamente, ebbi il pensiero di chiedergli quali libri aveva letto per poter dire quelle cose. Non glielo chiesi. Con il tempo ho capito che a renderlo così persuasivo non erano tanto i libri, per quanto lui fosse uno studioso intelligente, ma il fatto che le sue parole coincidevano con la verità della sua persona. Lui era ciò che diceva. Aveva intorno tanti giovani che lo seguivano perché chi lo ascoltava trovava immediata corrispondenza fra le sue parole e le attese del proprio cuore. Quella domenica del 1967 io feci la stessa esperienza di coloro che duemila anni fa ascoltavano Gesù: un discorso nuovo, fatto con autorevolezza, che colpisce il cuore”.

 

Il secondo ricordo che affiora alla memoria di don Vannini si riferisce agli immediati anni del post-sessantotto, quando sotto il nome di Comunione e Liberazione rinasceva un tentativo di presenza cristiana che faceva riferimento all’insegnamento di Giussani. “Eravamo a Bologna o a Forlì, non ricordo bene, ad un’assemblea di preti. Ci fu un contrasto fra don Francesco Ricci (uno dei primi sacerdoti del movimento, grande protagonista della prima espansione internazionale di CL, ndr) e don Giussani. Ricci, facendo riferimento all’allora dibattito teologico fra chiesa e mondo, tempo ed eternità, sosteneva che noi cristiani non possiamo perdere il treno della storia. Giussani replicava che noi non possiamo rispondere in modo reattivo alle provocazioni della storia, ma che le modalità della risposta devono essere suggerite dall’esperienza che si vive. Il modo adeguato di stare nella storia è annunciare l’eterno. È la fede ciò che salva il mondo, noi contribuiamo a salvare il mondo costruendo la comunità cristiana. Un concetto analogo lo disse anche a me, in replica ad un mio intervento, in un altro raduno di preti. Io dissi che una volta piantata la presenza, bisogna sbarcare per andare all’attacco delle varie situazioni. C’era un implicito giudizio che non basta la fede per salvare il mondo. E lui replicò: biondo, non si finisce mai di sbarcare!”.

 

Un altro ricordo di don Vannini mette a fuoco un tratto fondamentale della personalità di don Giussani, il suo sguardo valorizzatore di ogni brandello di verità da qualunque parte provenisse. “C’era un’assemblea di “parola chiara”, come la si chiamava a quei tempi, al cinema Italia, in via Cairoli. Il preside di una scuola riminese intervenne per dire qualcosa. Non ricordo il contenuto, ma Giussani lo valorizzò tantissimo. Noi restammo sbigottiti perché consideravamo quel preside un nostro nemico. Terminato l’incontro, gli facemmo presente tutte le nostre perplessità: ci hai messo in difficoltà, adesso sarà ancora più accanito contro di noi. E lui rispose: amicus Plato, sed magis amica veritas, sono amico di Platone ma mi è più amica la verità. La verità viene prima dell’amicizia”.

 

Di Giussani, don Vannini ama sottolineare la sua paternità, la sua capacità di amicizia più forte degli errori che potevi commettere. “Quando don Giancarlo Ugolini, don Domenico Valgimigli ed io avemmo un grave incidente stradale, venne giù e andò a trovare don Giancarlo in ospedale e noi che eravamo a casa. Ricordo anche che, nel momento di una mia crisi, venne a trovarmi a San Martino Montelabate, suonò il campanello ed io, che pure avevo visto chi era, non andai ad aprirgli. Lui se ne andò ma io non rimasi tranquillo. Sapevo che era a casa di comuni amici. Presi la macchina e feci quattro volte il giro dell’isolato, prima di fermarmi e scendere. Bussai alla porta e gli dissi: non sono degno di essere tuo figlio ma prendimi almeno come tuo servo. Mi abbracciò con calore. Lui con noi aveva infinita pazienza e misericordia. Negli incontri lui partiva dai nostri silenzi o dalle nostre domande sbagliate per ricominciare da capo, per riandare all’origine, per ribadire qual era il punto. Ha avuto pazienza con don Ricci e lo ha sempre valorizzato, anche quando altri lo mettevano in discussione. Anche se le tue idee lo facevano rabbrividire, non si fermava alle idee. La sua amicizia non era fondata sull’omogeneità delle idee. Lui non mollava mai, se ti incontrava, la sua amicizia era per sempre. Di don Giancarlo Ugolini aveva enorme stima. Ricordo cosa disse a sua sorella, la Lella: don Giancarlo è silenzioso, ma averne di persone così accanto a me”.

 

È da annotare anche l’ultima riflessione che propone don Vannini: “Ho conosciuto don Oreste Benzi per il quale c’è il processo di beatificazione. Ho conosciuto don Giussani, che pure è su quella strada. Sono persone con cui ho collaborato spalla a spalla, che ho visto arrabbiarsi, che ho visto nei loro limiti umani. Una volta don Giussani venne a dormire da me e mi fece notare che c’erano gli scarafaggi, dei quali aveva paura. Allora mi chiedo: cosa è la santità? I santi sono persone tanto prese dallo struggimento per Cristo che la loro vita cambia, in modo evidente. Non smettono di essere uomini, con passioni, interessi e debolezze, ma sono presi totalmente dall’incontro decisivo della loro esistenza”.

 

L’ultima volta che don Mario incontrò Giussani, il sacerdote milanese non lo riconobbe e gli chiese. “Chi sei?”. E da questo episodio affiora un ultimo ricordo. Don Giussani è a San Marino per un incontro di Comunione Liberazione Lavoratori. Si sente male e il malore lo impressiona: “Don Mario, chissà se il Signore mi chiederà di dare testimonianza della fede in Lui nella malattia e nella morte”. Poi una iniezione lo riporta immediatamente baldo e attivo come tutti lo ricordano.

Valerio Lessi

 

giussani-ugoliniDon Luigi Giussani e don Giancarlo Ugolini

 

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"Enac chiude l'aeroporto di Rimini ai dipendenti di Airiminum". Il direttore smentisce

 

 

Non accenna a terminare la via crucis verso la riapertura dell'aeroporto Federico Fellini di Rimini. Da oggi i dipendenti di Airiminum non hanno accesso agli uffici dell'aeroporto. Una nota della società informa che le chiavi sono state richieste questa mattina da Paolo Trapani, ultimo direttore generale della fallita Aeradria, che ha dichiarato di agire su richiesta di Maria Concetta Laudato direttore di ENAC - Emilia Romagna. Erano già due settimane che i 14 dipendenti già assunti avevano iniziato a lavorare per la nuova società. Airiminum definisce quanto successo "una situazione kafkiana"  e afferma che a questo punto non ci sono certezze nemmeno sull'incontro della presidente Laura Fincato e del nuovo direttore generale Marco Consalvo con le rappresentanze sindacali, incontro programmato per mercoledì pomeriggio.

"Assolutamente non vero, - replica via e-mail da Roma la dottoressa Laudato - sto presentando dettagliata relazione al Direttore Generale ENAC al riguardo, affinché valuti le informazioni da dare a mezzo di comunicato stampa, riservandomi, personalmente, ogni azione a mia tutela e a tutela dell'interesse pubblico connesso alla funzione che rivesto".

 

Nei giorni scorsi, quando la presidente Laura Fincato e il direttore Marco Consalvo hanno tenuto una conferenza stampa in aeroporto, il ruolino di marcia era che da lì a qualche giorno sarebbe arrivata la firma della convenzione con Enac e che tutta la macchina si sarebbe messa in moto per attendere il primo volo dalla Russia il 4 marzo. Al momento la convenzione non è ancora stata formata e l'incidente di questa mattina certamente ne allunga i tempi.

 

"Difficilmente potremo ragionare su scenari positivi - afferma Fincato - visto che si continuano a sollevare le asticelle degli ostacoli che forse qualcuno vuol rendere insuperabili, a danno dell'economia di tutta la Riviera. Per prima cosa mi rivolgerò al Prefetto: questi inspiegabili e continui stop-and-go stanno compromettendo lobiettivo che AIRiminum 2014 si era prefigurato, quello di dare una pronta risposta alle istanze del territorio e della stessa ENAC per una riapertura dellaerostazione già ai primi di marzo".

 

L'annuncio di una richiesta di risarcimento danni - a partire dagli stipendi che AIRiminum 2014 deve pagare anche se ai suoi 14 dipendenti non è consentito lavorare - è contenuto in una lettera dell'amministratore unico della società Leonardo Corbucci al direttore generale di ENAC Alessio Quaranta. Corbucci sottolinea come "nonostante finora tutti gli sforzi di AIRiminum 2014 - volti a soddisfare le legittime richieste dellENAC e delle altre autorità coinvolte - abbiano sempre raggiunto i risultati nei termini attesi (spesso addirittura con qualche giorno di anticipo), abbiamo dovuto spesso superare faticosamente una serie di ostacoli inaspettati apposti dalla Direzione Aeroportuale Emilia Romagna rifacendosi ad adempimenti burocratici".

 

Si legge nella nota di Airiminum: Corbucci cita numerosi esempi, a partire dal notam che impediva l'accesso all'aeroporto al team di certificazione: è stato emesso il 31 dicembre 2014, con la motivazione che era scaduta l'assicurazione del curatore. Purtroppo non era stato dato alcun avviso preventivo ad AIRiminum 2014 al fine di gestire in maniera efficace la problematica: il team di certificazione ha avuto accesso al sedime aeroportuale solo il 13 gennaio, dopo che la società aveva stipulato e prodotto il certificato dellassicurazione su tutti i beni demaniali nonostante ancora formalmente non in possesso degli stessi.

 

"Oggi - scrive Airiminum - è stato raggiunto il paradosso con la decisione della Direzione Aeroportuale Emilia Romagna di impedire ai dipendenti di AIRiminum 2014 di accedere agli uffici amministrativi dellex Aeradria: le stanze erano occupate ormai da due settimane, dopo che era stato raggiunto laccordo con il curatore fallimentare".

 

C'è da sperare che ancora una volta si riveli risolutivo l'intervento del prefetto Claudio Palomba.

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In preghiera per i cristiani perseguitati con padre Jahola da Mosul

 

 

Il Comitato Nazarat di Rimini domani venerdì 20 febbraio alle 21,15 torna a recitare pubblicamente il Rosario in piazza Tre Martiri.
L’iniziativa “Appello all’Umano”, voluta da cattolici praticanti e laici, è nata ad agosto ed è rivolta a scuotere le coscienze sulla condizione dei cristiani perseguitati dai terroristi islamici dell’Isis in Medio Oriente. Oltre alla preghiera in queste occasioni vengono raccolti fondi da destinarsi ai cristiani che da mesi hanno dovuto abbandonare le loro case e vivono, quando va bene, in campi profughi. L’iniziativa “Appello all’Umano” ha colto finora un inaspettato successo, segno che nella nostra società, spesso descritta come arida e materialista, è ricca invece di generosità, forza morale e umanità.


In questa occasione il messaggio che è stato scelto per introdurre la serata è del neo eletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Si tratta di un brano del suo discorso d’insediamento del 3 febbraio 2015. In particolare, riferendosi al terrorismo islamico internazionale, il presidente Mattarella ha specificato che “Va condannato e combattuto chi strumentalizza a fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa. Considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell'ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore. La minaccia è molto più profonda e più vasta. L'attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza”.


Oltre alla recita del Rosario e ad alcuni canti, anche in questa occasione i presenti potranno ascoltare il racconto di un testimone che ha vissuto i momenti drammatici di questi ultimi mesi. L’ospite di questa serata sarà don Georges Jahola, sacerdote della Chiesa Siro Cattolica nella diocesi di Mossul. Padre Jahola parlerà della deportazione di cui è vittima il suo popolo, messo in fuga dai miliziani dell’Isis.


Come ormai consuetudine il momento di preghiera pubblico viene anticipato nel pomeriggio da un incontro alla parrocchia “Santa Maria Mater Ecclesiae - Villaggio Primo Maggio”, dove i ragazzi di don Tarcisio Tamburini incontreranno don George Jahola.
Al termine della recita del Rosario e della testimonianza, per chi vuole, la discussione, con la possibilità di porre domande all’ospite della serata, continua al Circolo Cittadino di via Dante 18.

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Crac Aeradria: gli errori, i reati, le domande aperte

 

Superato il clamore dei primi giorni, con lo stupore di vedere il gotha della politica riminese accusato di associazione a delinquere e oggetto di provvedimenti cautelari come il maxi sequestro da 34 milioni, è forse è arrivato il momento di fare alcune valutazioni che, per forza di cose, a inchiesta ancora aperta, sono assolutamente provvisorie.

Partiamo dai dati di fatto. C’è stato il fallimento di Aeradria con un buco di più di 50 milioni. Già questo dice che sono stati commessi errori ed anche gravi. Se insieme agli errori sono stati commessi reati, è ciò che deve accertare la margistratura. Ogni volta che c’è un fallimento, anche di una piccola azienda, se gli inquirenti decidono di guardarci con la lente di ingrandimento, inevitabilmente spuntano irregolarità. Figuriamoci nel caso di Aeradria, dove di per sé la vicenda è sorretta da un quadro normativo complesso, non solo italiano ma europeo (le norme sulla concorrenza e quindi il divieto di denaro pubblico alle compagnie) che, assicurano gli esperti, non sono rispettate in molti altri aeroporti italiani e stranieri.

 

L’escalation di questi giorni dipende dal fatto che la Procura ha alzato il tiro: nel suo mirino non ci sono solo gli ex amministratori di Aeradria, accusati dei tipici reati dei fallimenti, ma anche una serie di politici e amministratori pubblici (in carica o ex) per i quali è stato ipotizzato il reato (infamante solo a pronunciarlo) di associazione a delinquere. Ha un bel dire il procuratore capo che associazione a delinquere non significa per forza “di stampo mafioso” (un fine umorista come Nando Piccari ha proposto di chiamarla “di stampo aviatorio”) ma è comunque preoccupante per l’opinione pubblica venire a sapere che i famosi nove indagati si sarebbero coscientemente messi d’accordo per sostenere una società ridotta a un colabrodo solo per non compromettere le proprie ambizioni personali e politiche.

 

Il momento di sgomento viene superato e lascia spazio a più brucianti interrogativi, quando leggendo l’ordinanza del Gip vi si trovano giudizi che sembrano appartenere più al campo della politica (dove il diritto di “punizione” appartiene ai cittadini con il voto) che al diritto. E stupisce che, di questo, non se ne accorgano quegli esponenti di centrodestra che magari si sono sempre stracciati le vesti per la politicizzazione della magistratura che colpiva il loro leader Berlusconi (peraltro mai inquisito per atti di governo ma solo per vicende aziendali e personali) e che ora invece, presi dal sacro furore di sconfiggere la sinistra alle prossime elezioni, non disdegnano la via giudiziaria, aborrita quando riguardava il loro leader.

 

Questo quanto al metodo. Entrando invece nel merito, è evidente che l’iniziativa della Procura mette sotto accusa, presentandola come una grande e ben congegnata iniziativa criminale, quel sistema di collaborazione fra pubblico e privato che ha portato alla nascita della consociata Riviera di Rimini Promotion, creata per “dribblare” il divieto dei contributi pubblici attraverso il meccanismo dell’acquisto di biglietti “vuoto per pieno”. Se si vanno a leggere articoli di giornale e documenti pubblici di una decina di anni fa si scoprirà che tutti, politici, amministratori e rappresentanti delle associazioni di categoria, avevano salutato la novità come un passo in avanti del territorio riminese, sempre così anarchico e diviso, che finalmente riusciva a fare sistema. Dieci anni dopo quel fare sistema è senza padri, anzi tutti sembrano vergognarsene. Solo qualche accenno fra le righe, niente di più. L’ex presidente della Provincia Nando Fabbri ha posto l’accento sulla procura che esprime giudiziosi politici. E va bene. Qualcosa ha detto anche il sindaco Andrea Gnassi, ma senza approfondire come il tema meritava. Tacciono, per evidenti motivi, i rappresentanti delle varie associazioni albergatori. Era un sistema virtuoso o un’artificiosa finzione di cui vantarsi?

 

Continuiamo nel merito. La Procura sostiene che i guai dell’aeroporto sono nati dal fatto che la famosa associazione a delinquere, incurante dei debiti di Aeradria che crescevano a vista d’occhio, ha agito per tenere aperto l’aeroporto ad ogni costo. Si tratta di capire perché questo giudizio, lungi dall’essere un complimento, è invece un atto di accusa. Leggendo l’ordinanza del Gip, capita spesso di leggere che gli indagati hanno agito per mantenere in vita Aeradria, nonostante i debiti. Da un punto di vista giuridico, probabilmente è corretto valutare così il loro comportamento, ma dal punto di vista dell’opinione pubblica interessa di più capire se i politici agivano per tenere aperto e funzionante l’aeroporto e non per ambigui interessi personali. Se si guarda l’Europa, ci sono numerosi aeroporti, anche più importanti di quello di Rimini, che sopravvivono solo grazie al foraggiamento pubblico annuale di milioni su milioni. Evidentemente quei politici valutano che un aeroporto sia essenziale per la loro comunità. Che questa infrastruttura sia fondamentale per Rimini e provincia non si può discutere, i famosi 800 milioni di indotto non finiscono solo nelle tasche di albergatori e commercianti, ma anche dei dipendenti di tutte queste imprese turistiche. È insomma un volano dell’economia locale, e lo si è ben visto in questi mesi di chiusura e di crisi dei voli russi.

Perché allora hanno sbagliato i politici locali a tenerlo aperto ad ogni costo? Una approfondita analisi potrebbe stabilire se da un certo punto in poi ci sia stato una sorta di accanimento terapeutico che non trovava giustificazione nei numeri e nei costi per la comunità. Se c’è una responsabilità dei politici e degli amministratori probabilmente è stata quella di non avere avuto il coraggio e il buon senso di gettare la spugna quando la situazione lo richiedeva. Gettare la spugna poteva voler dire dichiarare l’impossibilità di continuare o cercare partner privati verso i quali non si è mai guardato con convinzione. È giusto fare di tutto per tenere aperto l’aeroporto, ma con costi sostenibili per il territorio. Se questa responsabilità politica è poi sfociata anche in reati penali, saranno i giudici a stabilirlo.

 

Ultimo punto. Un altro aspetto che non convince delle vicende dell’aeroporto è il modo, verrebbe da dire maldestro, con cui le istituzioni pubbliche che erano i soci di maggioranza di Aeradria (Provincia e Comune in primo piano) cercano di chiamarsi fuori da tutto, addebitando ogni responsabilità agli ex amministratori. La decisione di affidarsi ad un legale per accertare se esistono i presupposti di un’azione di responsabilità contro Massimo Masini & Soci provoca un sorriso amaro. Il presupposto di questa decisione è che i soci di maggioranza si sarebbero accorti del buco di Aeradria solo dopo il fallimento e l’apertura dell’inchiesta. Cioè il sindaco e il presidente della Provincia, pure chiamati a frequenti aumenti di capitale, non c’erano e se c’erano non sapevano (o forse dormivano?). Soci, va sempre ricordato, che hanno tenuto in piede il cda presieduto da Masini fino all’ultimo secondo. Se le responsabilità penali le deve accertare, persona per persona, la magistratura, da quelle politiche non si può sfuggire con il tentativo di scaricare tutto su amministratori nominati e confermati per anni.

1bSenso civico o calcolo, Tosi adesso lasci perdere il TRC

 

Alcuni giorni fa la quinta sezione del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso del Comune di Riccione contro il Tar dell’Emilia Romagna. Il ricorso era stato presentato per annullare la sentenza con la quale, il 30 ottobre scorso, il TAR aveva bocciato la richiesta del Comune di variare il tracciato del metrò di costa.

Al di là delle motivazioni giuridiche addotte, la bocciatura del Consiglio di Stato sembra mettere la parola fine alla guerra del Comune di Riccione contro il TRC. O, almeno, la fine di una guerra ragionevole.

Solo nei prossimi giorni vedremo se la giunta guidata da Renata Tosi deciderà invece, pur registrata quest’ultima sconfitta, di continuarla ugualmente.

 

La battaglia contro il TRC (e, in subordine, contro “questo” TRC) è stata il simbolo della vittoria di Renata Tosi, il tema che è servito a scardinare definitivamente la fiducia che i riccionesi, da sempre, avevano riposto in sede elettorale nel massimo partito della sinistra. Ci sarà un’altra occasione per analizzare come e perché questa battaglia sia risultata efficace e vittoriosa, per adesso basti osservare che il mandato ricevuto dagli elettori imponeva certamente alla Tosi di iniziare subito questa lotta e provare a vincerla.

Per quello che si è visto, la lotta c’è stata – e dura – e ha visto l’attuale sindaco sia nella veste di capopopolo, guidando pattuglie di cittadini a bloccare cantieri, sia in quella di azzeccagarbugli alla ricerca di qualche cavillo legale che potesse far deragliare ai confini del Comune quello strano filobus che viaggia su una corsia riservata (quasi) e che è pomposamente chiamato Trasporto Rapido Costiero (così si capisce da che parte stiamo nel merito dell’opera).

 

Però, arrivati a questo punto, ci chiediamo che interesse ci sia a continuare ancora questa guerra.

Sicuramente non ne trarrebbe nessun vantaggio la giunta Tosi. Ha dichiarato che avrebbe combattuto e l’ha fatto. Il TRC era ormai un progetto troppo avanzato, troppi atti sono stati firmati, troppi soldi sono stati spesi; e una classe politica intera, quella che ancora comanda, ufficialmente continua a volerlo.

Prima si sfila, prima comincia a puntare le carte sul proprio progetto di città, smettendo la parte della Compagnia dell’anello, di quelli “che dovevano fare l’impresa”, e meglio sarà. Nel caso contrario, avvicinandosi alle urne, la sconfitta accettata adesso non avrà più il sapore della buona battaglia combattuta con onore se pur persa, ma diventerà il simbolo della sua incapacità, nascondendo pure ogni altra cosa potrà aver fatto di buono. Si sa, chi di simboli colpisce, di quegli stessi simboli perisce.

 

Ma c’è anche un discorso come cittadino tra gli altri, anche se il primo, che Renata Tosi dovrebbe fare. Se il TRC è inevitabile, dunque, W IL TRC. Sì, perché la sconfitta onorevole prevede che si cerchi di evitare il più possibile i danni collaterali e le vittime civili. A questo punto un amministratore, fatto tutto quello che era in suo potere per ostacolare un progetto che non condivideva, deve vigilare che quello stesso progetto sia utile alla collettività e che non gravi più di tanto sui bilanci cittadini; insomma, che funzioni.

Che si ricordi pure ai cittadini chi l’ha voluto, che si ricordi pure di chi sono le responsabilità, ma a questo punto l’inizio di una guerriglia (che potrebbe essere la scelta che segue la sconfitta nella guerra tradizionale) porterebbe solo costi in più alla città e un tempo più lungo di realizzazione: con l’aumento delle percentuali di probabile inutilità del progetto stesso.

 

In sintesi, sarebbe bello sentire un discorso pienamente e consapevolmente civico, di quelli che in Italia proprio si fa fatica a sentire. Del tipo: è un’opera che non condividevamo, finchè ci è stato possibile l’abbiamo combattuta, ma adesso la cosa più utile alla città è fare ognuno la propria parte perché sia realizzata al meglio.

Al contrario, dopo questa ultima sentenza, l’aumento dei costi del TRC per finanziare una guerra inutile e l’impedimento dei lavori per forzarne l’inutilità, potrebbero facilmente diventare ‘complicità’ con quella classe politica che per adesso, da sola, ne porta tutta la responsabilità.

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Parigi, Islam e dintorni: a Rimini una serata che ha parlato al cuore, cioè alla ragione

 

 

 

Uno pensa di andare ad una conferenza e si trova invece coinvolto in un evento che lo scuote. Non solo perchè ascolta una lettura davvero inedita dei fatti di Parigi e dell'avanzata dell'Isis, ma perchè quella lettura non è l'ennesimo discorso, pure intelligente, sulla drammatica attualità che viviamo. E' al contrario la testimonianza di un uomo che da questa attualità si è lasciato ferire, commuovere, interrogare, ed ha cercato di rispondere alle domande facendo parlare il suo cuore, cioè la sua ragione. Le centinaia di persone che ieri sera in Sala Manzoni a Rimini hanno ascoltato Wael Farouq hanno vissuto l'esperienza di una commozione intensa che non lascia tranquilli e suscita la domanda su cosa permetta di reagire così, in quel modo drammaticamente umano, ai fatti che ci bombardano ogni giorno. Se la verità si è fatta carne, - ha osservato Wael Farouq - io devo poterla vedere in qualcuno, devo incontrare la "carne". Wael è stato questa "carne" per chi ha ascoltato la sua testimonianza.

Sulla serata pubblichiamo l'articolo che Alessandro Caprio ha scritto per Tracce.it

 

Wael Farouq aveva deciso di non partecipare più all’incontro in programma ieri sera, a Rimini, sui fatti di Parigi. Troppo grande la tristezza per quanto accaduto in Libia in questi giorni, con l'assassinio di 21 cristiani egiziani copti, suoi connazionali, per mano dei terroristi dell’Isis. A fargli cambiare idea è stata, però, l’immagine di uno dei condannati  che, proprio nel momento prima di morire, «ha avuto uno sguardo di speranza, senza paura. Io sono qui per questa speranza», ha esordito. Perché il problema non è «cosa facciamo con l’Isis, ma cosa facciamo qui dove siamo. Dobbiamo aiutare il bene a venire fuori da ciascuno di noi». Come ha fatto quella insegnante, racconta Farouq, di fronte alla decisione del preside di non fare il presepe vivente a scuola, per non "offendere" 18 alunni musulmani: «Mi è venuta a chiedere cosa dice l’islam su questo. E io: "Non ti preoccupare di cosa dice l’islam, ma di cosa dicono i loro genitori". Hanno detto tutti di sì. Anzi, le hanno detto: "Se tu ci vuoi così bene grazie a questo, vogliamo partecipare anche noi"». Alla fine il Bambino Gesù l’ha fatto un musulmano.

 

«Non esistono musulmani buoni o cattivi, esistono dei protagonisti: questa insegnante è stata una protagonista nella storia perché ha dato spazio ai genitori per vivere la loro umanità. Se non avesse lasciato questo spazio sarebbe rimasto solo il pregiudizio sui musulmani cattivi. Puoi discutere anni sulla religione, ma non puoi discutere sul fatto di uno che ti vuole bene». Tutti crediamo nei valori, anche l’Isis. Ma questi valori sono quasi sempre staccati dalla realtà. «La stessa parola "Islam" significa "pace", "bene". Crediamo in questo, ma chi lo vive? Tutti i leader islamici hanno condannato i fatti di Parigi, ma la condanna può essere un modo per lavarsi la coscienza e basta». Manca un giudizio. «Tanti musulmani devono chiedere tutto ai propri imam. Ma Dio dice che l'ultimo riferimento è il tuo cuore, solo che il cuore è in vacanza!». E lo stesso accade in Occidente: «Come posso dare un giudizio sui musulmani senza conoscerne uno? Il problema è questo vuoto di significato. Tutti adesso vogliono fare guerra all'Isis ma per combatterlo non servono bombe ma valori vissuti. Servono persone, come quell’insegnante. La nascita di un "io" in una esperienza. Di una fede come quella del ragazzo decapitato».

 

O come quella di Ahmed, il poliziotto musulmano francese ucciso dai terroristi islamici per difendere la libertà di giornalisti satirici di prendere in giro la sua religione. «Caspita se c’è ancora qualcosa di vero nella nostra Europa!», incalza Alessandro Banfi, direttore di TgCom: «Oggi si uccide in nome di Dio, ma la mostruosità è che nessuno è più davvero religioso. Perché il senso religioso è il contrario di una fede che possiedo». E cita lo storico incontro, contemporaneo alle crociate, tra san Francesco e il sultano. «Cosa si sono detti? La cosa certa è che si sono stimati: Francesco ha visto un uomo che aveva il senso di Dio, ed è stato visto per quello che era: un grandissimo uomo che amava il Signore. Ecco, in quel momento, il cuore non era andato in vacanza, ma era diventato una fortuna, per i cristiani era diventato una grazia». Com’è possibile, oggi, un incontro tra questi due mondi?

 

Per Farouq, al centro c’è l’amore: non il "peace and love", ma un amore realista, che porta al discernimento. «Non è vero che l’amore è cieco. Anzi, l’amore ti permette di vedere oltre i difetti dell’altro. Con questo sguardo possiamo capire anche quanti falsi messaggi riceviamo di continuo. L’Isis non potrebbe continuare un solo giorno senza gli aiuti di chi compra il petrolio e vende le armi. Centinaia di migliaia di persone in Iraq hanno scelto di non rinnegare la propria fede e di morire per questo, ma per i mass media tutto ciò non fa notizia. Occorre, allora, trasformare l'informazione in conoscenza. C’è tanta informazione, ma poca conoscenza. Abbiamo lo spazio per esistere ma non per essere: ed essere è un rapporto. Chiediamo allo spazio pubblico di poter far entrare la nostra identità. E la verità, come dice Papa Francesco, è un rapporto».

 

sala mamzoni portico

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