Progetto Rimini: per la città non basta un posto in prima fila
Progetto Rimini: per la città non basta un posto in prima fila
Da Progetto Rimini riceviamo e pubblichiamo:
Mentre stiamo preparando il prossimo incontro del filotto di piccoli convegni a cui abbiamo dato un titolo quasi struggente “Questa è la nostra città: Discorsi Appassionati intorno al suo futuro”, che si svolgerà l’11 aprile e vedrà tra i relatori il prof. Zamagni e l’ex presidente della UnioneIndustriale di Rimini, Focchi, non possiamo fare a meno di dare uno sguardo, certamente interessato, a quanto sta succedendo in questi giorni nell’agone politico della città.
A guardar da fuori sembra di assistere ad una corsa al primato, un po’ come quando al concerto di Ligabue aprono i cancelli e i ragazzi corrono come matti a prendere i posti di prima fila, quelli sotto il palco. E stanno li a tenere il posto per ore e ore. E non si stancano, no. Mancano ancora 15 mesi buoni alle prossime elezioni amministrative (naturalmente se si va a scadenza naturale) e già si parla di candidature, di liste civiche, di accordi, inciuci, alleanze, tradimenti e voltagabbana. Ormai il dibattito politico-elettorale è come la frutta, non ha più stagione. Si parla, anzi se ne parla, e ognuno ha la sua ricetta, la sua lettura, le sue percezioni. Ma al di là del rischio, per tutti, di arrivare lungo. Forse non sarebbe male perdere adesso un po’ di tempo, per prima capire tutto questo fermento dove dovremmo portarlo.
Ormai tutti, anche chi ha governato la città da sempre ha capito o almeno si è ormai convinto, arrivandoci per contrarietà, che è finita un’epoca e che siamo di fronte ad una vera e propria mutazione genetica della città, in parte obbligata. Un cambiamento radicale che porta con sé una considerazione di fondo che non può essere trascurata da chi si propone già da oggi di guidare nei prossimi anni la città. A differenza di sempre che ha visto questa città dominio incontrastato di una strategia dall’alto, presa a tavolino, qui adesso il cambiamento sta arrivando dal basso. Dalle tante capacità imprenditoriali e sociali, non solo economiche o culturalmente identitarie che si sono decise ad interagire tra loro.
Per questo al di là della rappresentazione elitaria o di parte di questo o quel sagace commentatore, Rimini si sta preparando a vivere il primo tentativo di progetto unitario della città. Certo trovare sinergie e coesione non sarà facile. Ma questo progetto non ha alternative possibili ancorché valide, se non quelle obsolete che riportano ancora al vecchio sistema del confronto tra lo spontaneismo e lo schematismo ideologico.
Questo progetto serve alla città perché è l’unico in grado di valorizzare e canalizzare le diverse energie verso una visione comune. Penso all’aria produttiva delle piccole e medie imprese che non sono solo all’interno dei confini della città, penso al mondo della cultura, a quello dell’innovazione sociale, capace di unire solidarietà e nuovi modelli di business che a Rimini sta diventando una vera e propria industria, penso al turismo competitivo, riqualificato e riposizionato all’interno delle nuove logiche dell’offerta del soggiorno e dell’ospitalità che è ormai costretta ad abbandonare quelle rendite di posizioni che ne hanno atrofizzato il rinnovamento, penso al sistema universitario che ha trovato a Rimini una sua radicata realtà. La vera sfida del prossimo futuro sta proprio in tutto questo. Rimini ne ha tutte le potenzialità. E il ruolo della politica alta è quello di trovare la sintesi tra le varie energie e destinare le risorse ad una visione condivisa. Non basta prendere posto in prima fila. A Rimini serve qualcosa di più.
Natale Arcuri
Caso ex colonia Murri: fra immobilismo e opposizione miope
Caso ex colonia Murri: fra immobilismo e opposizione miope
L’ex colonia Murri di Bellariva è il simbolo degli ultimi 30 anni di tormentata storia di questa città, dove non sono mancate le idee e i progetti di cambiamento, ma tutti si sono arenati su questo o quello scoglio. A questa, oggi, si aggiunge una valenza simbolica ulteriore. Perché qualcuno dei protagonisti della vicenda Murri si muove ancora nell’arena pubblica della politica, e si muove esattamente come allora, dandoci la possibilità di ragionare su un particolare modo di fare opposizione.
Ma veniamo alla nostra storia. Il suo ultimo atto è il fallimento della società Rimini & Rimini facente capo al gruppo Valdadige fondato dall’imprenditore riminese Antonio Benzi, la stessa società che all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso aveva firmato con il Comune di Rimini la convenzione per il recupero dell’ex colonia.
Questa volta a far chiudere il cantiere è stata la crisi dell’edilizia che ha toccato pesantemente anche un gruppo solido come Valdadige. Nel 2011, dopo che quattro anni prima, nel 2007, era stato siglato un accordo di programma, il consiglio comunale era riuscito finalmente ad approvare un piano particolareggiato di iniziativa privata volto alla riqualificazione urbana e turistica di Bellariva, all’interno del quale aveva trovato posto anche il recupero dell’ex colonia. Ma il cantiere si è fermato, per così dire, ai preliminari, e già due anni dopo rimbalzavano sui giornali le notizie sulla crisi di Valdadige, che hanno poi avuto l’esito temuto: un nuovo stop al progetto.
All’accordo di programma del 2007 si era arrivati dopo un iter durato praticamente una quindicina d’anni, ovvero da quando un’ordinanza dell’allora assessore regionale all’urbanistica bloccò il cantiere che la società Rimini & Rimini aveva aperto da circa un anno. Nei giorni scorsi il presidente di Dreamini Bruno Sacchini nel fare l’elenco dei progetti finiti nelle secche dell’immobilismo aveva citato anche la Murri, con riferimento al recente fallimento della società. Ma i guai dell’ex colonia hanno un’origine più lontana e al suo fianco Sacchini aveva uno dei protagonisti di quella stagione, il suo vice Mario Ferri.
Bisogna riandare agli anni Novanta nel breve tempo in cui la città era governata dalla giunta Moretti-De Sio, con una maggioranza di pentapartito (Dc, Psi, Pri, Psdi, Pli) e il Pci (poi Pds) all’opposizione per la prima volta dal dopoguerra. Fra i progetti di punta della nuova amministrazione c’era appunto il recupero dell’ex colonia Murri, che doveva diventare un centro commerciale e di servizi avanzati affacciato sul lungomare della città. I giornali dell’epoca, facendo riferimento alla convenzione con Rimini & Rimini, parlano del primo tentativo di collaborazione fra pubblico e privato, un esperimento inedito (e forse per questa ragione contrastato).
Fra i consiglieri di opposizione del Pci-Pds sedeva anche Mario Ferri, di professione commercialista, che cominciò ben presto a sparare contro il progetto. Non tanto sulle cose da fare quanto, da commercialista, sulla fatturazione intercorsa fra Comune e Rimini & Rimini, a suo dire non corretta. Per tutto il 1991 si sviluppa un acceso dibattito che inevitabilmente non si ferma alle questioni fiscali ma investe il rapporto pubblico-privato, con l’accusa che la convenzione sarebbe stata tropo sbilanciata in favore degli interessi privati, e comprende anche le norme urbanistiche, in particolare il piano paesistico regionale, che sarebbe stato violato. Protagonista della battaglia contro la Murri è un altro consigliere comunale, Sergio Gambini, che ricopriva anche l’incarico di segretario del Pci-Pds. Se la Murri per l’amministrazione era una sorta di fiore all’occhiello, per la sinistra all’opposizione era il cavallo di battaglia principale contro la giunta di pentapartito.
Della faccenda finì per occuparsi anche la magistratura: il pm Roberto Sapio aprì un’inchiesta per abuso di ufficio. Nel gennaio del 1992 furono spediti 47 avvisi di garanzia a tutti gli amministratori e consiglieri comunali. Il magistrato sosteneva che non si doveva conferire l’incarico a Rimini & Rimini tramite trattativa privata, che la società aveva solo vantaggi e non oneri, che non c’era l’interesse pubblico visto che si trattava di creare un centro commerciale.
Al Giudice per le indagini preliminari Vincenzo Andreucci viene anche chiesto di emettere un’ordinanza di sospensione del cantiere. Ma Andreucci nel giugno del 1992 rigetta la richiesta e nel dicembre dello stesso anno decide per l’archiviazione. Nell’uno e nell’altro caso le motivazioni sono le stesse: il Comune, trattandosi di intervento complesso, ha fatto bene a seguire la trattativa privata, l’interesse pubblico sta nel fatto che si toglie di mezzo un rudere dalla zona turistica, non c’è violazione del piano paesistico, anche perché le norme della Regione risultano inapplicabili e il piano non contiene neppure clausole di salvaguardia per le ex colonie.
Tutto a posto, quindi? Nemmeno per sogno, anche perché nel frattempo i consiglieri comunali del Pci-Pds, con in testa Ferri e Gambini, avevano presentato un esposto alla Regione. Pochi giorni dopo la sentenza di archiviazione del Gip Andreucci, l’assessore regionale Bottino firma l’ordinanza che decreta lo stop al cantiere. A riceverla in Comune non c’è più la giunta Moretti-De Sio, ma la nuova giunta guidata dal sindaco Giuseppe Chicchi che vede Mario Ferri, assessore al bilancio, e Sergio Gambini assessore all’urbanistica. È una situazione imbarazzante che emerge in modo clamoroso quando di lì a poco si tratta di votare il bilancio consuntivo del 1991, contenente le famose fatturazioni indigeste a Ferri. Il quale va a Roma al Ministero delle Finanze dove gli leggono il parere a suo tempo chiesto dalla giunta di pentapartito secondo il quale la fatturazione è regolare. E così il Pds si trova ad approvare un bilancio contenente l’operazione contro cui, tramite Ferri, si era scagliato nei mesi precedenti.
Dopo l’ordinanza regionale si fanno molte congetture sulla possibilità o meno di proseguire il cantiere: si torna a una versione precedente del progetto, che non violerebbe il piano paesistico? Si fanno i lavori in quelle parti dell’area in cui non cade la scure del piano? La fine della storia è che il progetto resterà bloccato e quando si era riusciti a farlo ripartire è arrivata la crisi del mercato edilizio a stopparlo nuovamente.
Perché questo esercizio di memoria? Non certo per rivangare vicende che ormai appartengono alla storia. La vicenda Murri, oltre ad essere destinata a restare (forse per sempre) un’icona dell’immobilismo, è anche esemplificativa di un modo di fare opposizione che si affida più agli esposti o alla via giudiziaria, che alla costruzione di una credibile alternativa. I protagonisti dell’opposizione al progetto Murri ebbero alla fine partita vinta, ma la loro cocciutaggine ragionieristica a cosa ha portato in fin dei conti? Al blocco di un progetto di riqualificazione che aveva addirittura passato indenne anche l’esame della magistratura in un periodo di alta tensione (era già cominciata la stagione di Mani Pulite). La memoria storica può essere d’aiuto nel momento in cui la città si prepara al confronto elettorale del 2016 e si vagheggia l’esigenza di un “partito della città” che ponga il bene comune come elemento unificante. Per far prevalere il bene comune le scorciatoie degli esposti e dei ricorsi, le vie “giustizialiste” possono eccitare l’animo dei tifosi ma corrono il rischio di lasciare una terra bruciata in cui non cresce più nulla. E infatti dopo più di vent’anni la Murri è ancora ferma al palo.
Voglio tutto, ovvero l'Infinito: la testimonianza di Marta Bellavista
Voglio tutto, ovvero l'Infinito: la testimonianza di Marta Bellavista
Sfogliando le prime pagine, andando frettolosamente e direttamente ai primi suoi scritti ci si imbatte in una esperienza straordinaria.
Nella semplicità di uno scrivere che rimane fedele al suo essere un appunto, una rapida memoria, una espressione informale di un'esperienza del tutto quotidiana e concreta, si apre l'orizzonte dell'infinito.
Voglio tutto, é un volume agile, da leggere d'un fiato, oppure da snocciolare passo dopo passo, accompagnando la propria giornata, tra un impegno e l'altro, lasciando che le parole di questa ragazza possano accompagnare il nostro quotidiano.
Il libro, edito da Itaca (www.itacaedizioni.it), raccoglie gli scritti di Marta Bellavista, una giovane riminese, appena laureata, la cui vicenda terrena é stata stroncata da un tumore all'età di soli 27 anni. La famiglia ha trovato tra le sue carte centinaia di appunti, lettere e passi del diario, connotati da profondità e originalità, la cui lettura suscita uno struggimento e una pulsione a vivere intensamente tutto, di cui oggi c'é assoluto bisogno.
Non é un caso che la pubblicazione nasca per lo stimolo di una dottoressa, la quale leggendo un dialogo tra Marta e il padre Giorgio, pubblicata su una rivista mensile, scrisse alla famiglia, “fate conoscere a tutti la storia di questa ragazza. Può aiutare i nostri figli a vivere”.
Di qui il libro, la cui cura é stata affidata ad Emanuele Polverelli.
Marta, viserbese, ha studiato in università a Milano ed ha maturato una profonda esperienza cristiana. Fortemente intrisa di domande, ha incontrato in alcuni amici la possibilità di sperimentare un'esperienza cristiana concreta del tutto incarnata nella vita, nello studio, nelle sue amicizie, nelle circostanze che si trovò ad affrontare. L'emergere del tumore, altro non fu che una di queste circostanze, la quale, pur drammatica e spaventosa (il primo insorgere avvenne all'età di soli 23 anni), venne vissuta da Marta dentro un orizzonte più ampio, tanto da stupire (se stessa e) i suoi amici. Stupore che si allarga all'intera università. I suoi amici raccontavano, "dovresti vedere la sua faccia, sofferente ma lieta!"
Senza fare nulla di particolare, la sua vicenda viene conosciuta ben oltre l'università e fiumi di amici, o sconosciuti, cercano di visitarla, vederla, stare con lei.
Dopo un mese e dopo l'operazione, la malattia scompare improvvisamente e inspiegabilmente. Ma dopo due anni riaffiora di nuovo, e, di nuovo, angoscia e dolore si mescolano con una fede capace di impressionare chiunque la incrociasse.
In mezzo a queste vicende, i suoi scritti attestano tutto il segreto della sua vita, un segreto che merita di essere guardato con attenzione, perché spunto e provocazione per ognuno, credente o non credente che sia, giacché mette a fuoco la vita, semplicemente la vita ma la vita intera, ovvero la nostra umanità espressa senza censure, senza il timore di occultare nulla.
Voglio tutto, lo si può trovare presso le librerie riminesi, o anche prenotare online presso www.itacaedizioni.it.
Vi é inoltre un sito (www.scrittidimarta.it) che sta pubblicando le numerose testimonianze su di lei. É presente anche una fanpage su facebook, utile per rimanere informati, apponendo il classico "mi piace" su tutte le prossime pubblicazioni relative al libro.
Gardini: ma lo sapete che in Spagna dove c'è un Trc si blocca lo sviluppo turistico?
Gardini: ma lo sapete che in Spagna dove c'è un Trc si blocca lo sviluppo turistico?
Attilio Gardini, docente ed esperto di economia del turismo, non aveva alcun desiderio intenzionale di fare del populismo a buon mercato o di solleticare gli istinti della platea. Lui ha cercato di proporre un ragionamento.
Ad un certo punto del suo discorrere, la platea del convegno organizzato da Progetto Rimini, si è visibilmente riscaldata. C’era chi, se non fosse stato sconveniente, avrebbe gridato “Gardini santo subito”. E ancora non era arrivata la notizia che il presidente della Provincia Gnassi vuole commissariare il sindaco Tosi, altrimenti chissà che sarebbe successo.
Il bravo economista stava spiegando che uno dei fattori di successo di una destinazione turistica è la mobilità, anche all’interno della zona costiera. E ha portato l’esempio della Costa Brava, dove crisi o non crisi, i numeri continuano a crescere. Per raggiungere una località della costa, si risale verso l’interno, dove si imbocca una strada ultraveloce che in pochi minuti ti porta all’altezza della meta, e quindi si comincia a scendere verso la costa. Cioè il traffico di attraversamento sulla costa è stato eliminato. E tutto questo ha favorito lo sviluppo turistico dell’area. L’unico punto in cui non c’è stato sviluppo è quello fra Barcellona e Matarò, collegate da un metro di costa. Il percorso della metropolitana ha fatto da barriera e da ostacolo a qualsiasi sviluppo.
Boato in sala e applausi a scena aperta. Ognuno ne tragga la morale che crede.
Notte Rosa, Pesaro non la merita, ma noi l'abbiamo capita?
Notte Rosa, Pesaro non la merita, ma noi l'abbiamo capita?
Tra Pesaro e Rimini, è noto, non corre buon sangue. Nessun motivo razionale o ragionevole, ma una forma di quelle ataviche antipatie che corrono fra una città e l’altra, vicine dal punto di vista geografico.
Ora succede che i sindaci non si curino, e giustamente, di questi alterchi fra tifoserie avverse e decidono di estendere la Notte Rosa oltre il Tavollo. E’ l’edizione del decennale e il sindaco di Rimini, l’inventore, vuole brindare allargando i confini dell’impero. I sudditi riminesi si aspettavano che i vicini pesaresi, finalmente approdati alla civiltà grazie alla munificenza del sovrano, si prodigassero in salamelecchi e giaculatorie di ringraziamento. Invece no, hanno cominciato a dire che loro la trasgressione non la vogliono, che Rimini si tenga pure il suo modello turistico, che noi seguiamo la nostra strada.
Poteva finire lì, ma i sudditi riminesi hanno fatto gli offesi, arrivando alla storica sentenza: quelli di Pesaro la Notte Rosa non se la meritano.
Che guaio incolmabile! Certo i riminesi, se contassero fino a dieci prima di ogni attività labiale, potrebbero avere il pensiero che se la Notte Rosa è vista come un fenomeno di trasgressione non da Taormina o da Bolzano, ma dai nostri vicini di casa, forse vuol dire che noi di Rimini qualche pretesto l’abbiamo fornito. Magari involontariamente, ma a qualcosa avremo dato adito. Forse sarebbe necessario che qualche albergatore mettesse il muso fuori dal suo albergo e forse anche lui sarebbe più cauto.
Anche perché il sindaco di Rimini, che si pregia della medaglia di inventore della Notte Rosa, nell’annunciare il decennale e la voglia di sbarcare oltre il Tavollo, ha completamente dimenticato le ragioni originarie della Notte Rosa. Lui l’aveva pensata come pedagogia collettiva ad una “notte dolce” che doveva con il tempo esprimersi non solo in una notte di luglio ma durante tutta l’estate. Chiunque può verificare se in Riviera, dopo dieci anni, sono cresciuti fenomeni di “notte dolce”. Adesso nemmeno se ne parla più: il sindaco la presenta come il grande evento di sistema che si giustifica appunto come evento, un grande botto di inizio estate, capace adesso di colonizzare anche i popoli vicini.
Pesaro non si meritererà la Notte Rosa, ma noi abbiamo capito cosa è diventata?
Dreamini evolve verso il partito della città (Parte Civile)
Dreamini evolve verso il partito della città (Parte Civile)
Da Dreamini a Parte Civile, dall’associazione culturale nasce per gemmazione un nuovo soggetto politico cittadino. Lo ha annunciato oggi il presidente Bruno Sacchini, specificando che il nome, Parte Civile, non allude ad una deriva giudiziaria o giustizialista, ma vuole evocare, sulla scia del renziano partito della nazione, un partito della città. Nel nome non compare la parola Rimini perché a detta di Sacchini oggi è troppo inflazionata e, fra tanto uso e abuso, nessuno si interroga sull’identità culturale. La città è allo sfascio, dal Palas alla Murri, fino a quel nuovo brand varato dal sindaco, rimining, che, se cercato su Google, restituisce ben altri significati.
Il nuovo soggetto politico, aggiunge il vice presidente di Dreamini Mario Ferri, presto uscirà con il proprio programma elettorale “che punta a rilanciare l’economia della città”.
Ma visto il pullulare di liste civiche e affini c’è qualcuno che tira le fila per costruire un progetto alternativo credibile e vincente?
Sacchini risponde che sta costruendo una trama di contatti con gli esponenti di tutti i partiti e delle liste civiche presenti alla scorsa tornata elettorale (alcuni personaggi erano presenti anche alla conferenza stampa). “Dopo la loro prima uscita pubblica – aggiunge Sacchini – ho anche contattato il presidente di Progetto Rimini, Michele Donati, per chiedergli un incontro ma ho ricevuto un rifiuto. Ma non sono preoccupato a collezionare sigle.Mi interessa poter parlare con quel 70 per cento di riminesi che non va a votare perché disgustato dalla politica sia di maggioranza che di opposizione”.
Tuttavia la conferenza stampa non era stata convocata per parlare dei progetti politici di Rimini, bensì per dare notizia dell’esposto inviato alla Corte dei Conti per segnalare che la famosa lettera di patronage firmata da Comune e Provincia a garanzia dei debiti del Palacongressi non è segnalata nel bilancio del Comune. Il ricorso è firmato oltre che dall’ideatore Mario Ferri, anche da Bruno Sacchini, dall’ex consigliere comunale Luigi Camporesi, Stefano Casadei, ex consigliere regionale, e Saverio Messina, sindacalista Uil: Mario Ferri sostiene che la lettera di patronage, firmata nel 2010 dall’allora sindaco Alberto Ravaioli e dal Presidente della Provincia Stefano Vitali, sia da considerare “forte” e quindi assimilabile in tutto e per tutto ad una fidejussione. Una frase contenuta nella lettera (“Ci impegniamo a fare tutto quanto nelle nostre possibilità affinché Rimini Congressi srl faccia fronte alle sue obbligazioni nei vostri confronti.”) secondo Mario Ferri confermerebbe che si tratta di una lettera di patronage forte e non debole. Se quindi è assimilabile ad una fidejussione, deve essere segnalata in bilancio perché incide sulla capacità di ricorso al credito da parte del Comune di Rimini.
Tradotto dal linguaggio giuridico-contabile, significa che se viene riconosciuta questa fidejussione, il Comune può contrarre meno mutui per le opere pubbliche.
Resta da capire perché un soggetto politico che nel 2016 vuole candidarsi alla guida della città, voglia perseguire questo obiettivo che si ritorcerebbe anche contro di lui.
Aeroporto, un "profetico" manifesto del Pd
Aeroporto, un "profetico" manifesto del Pd
Cosa succederebbe se i riminesi vedessero un manifesto, firmato Partito Democratico, che annuncia che l’aeroporto riparte, che sono in arrivo una miriade di voli da Berlino e da Mosca, che tutto avviene grazie agli investimenti voluti dal Pd?
Se i riminesi vedessero un manifesto di questo tenore, penserebbero che qualcuno si è bevuto il cervello, che oltre al danno adesso occorre sorbirsi anche una colossale beffa.
Ed è quello che è accaduto quando qualcuno ieri su Facebook ha postato il manifesto che vedete qui sotto e l’ha commentato nel modo che potete immaginare, suscitando una catena di altri commenti che vanno dallo sberleffo all’indignazione.
Nessuno si è fermato un attimo a pensare che quel manifesto “doveva” per forza avere un’altra data, non era uscito in questi giorni dal circolo Pd di Miramare. Se fosse uscito in questi giorni, ai dirigenti di quel circolo il sindaco Andrea Gnassi, per quanto compagno di partito, dovrebbe subito firmare un Tso.
La reazione del pubblico di Facebook è comunque una spia del livello di indignazione che la vicenda dell’aeroporto suscita in città. Dice anche a chi l’opinione pubblica attribuisce la responsabilità di un aeroporto fallito e ad oggi non ancora riaperto: al Pd, punto e basta.
Dopo quel manifesto, nel settembre 2011, si tiene una riunione in Aeradria in cui si dipingono scenari rassicuranti. Dopo due anni Aeradria era già fallita.
Quel manifesto di quattro anni fa suscita sorrisi amari. Vi si legge: “ senza il Pd non ci sarebbe stato”. Sì, il fallimento dell’aeroporto.
Rimini, la scultrice Ceccarelli racconta un Marvelli vivo
Rimini, la scultrice Ceccarelli racconta un Marvelli vivo
Suo padre Sergio, lo storico preside del liceo classico Giulio Cesare, era stato un amico di Alberto Marvelli, con il quale aveva condiviso la militanza nell’Azione Cattolica. “Mi sento un po’ come una sua figlia, figlia della stessa storia di esperienza cristiana alla quale lui ha appartenuto”, dice la scultrice Paola Ceccarelli, alla quale la Confraternita di San Girolamo ha commissionato il bassorilievo bronzeo del beato riminese nel decimo anniversario della sua ascesa agli onori degli altari. Il bassorilievo, che sarà posto nell’Oratorio di san Giovannino, sede della Confraternita, sarà inaugurato sabato 14 marzo alla presenza del vescovo monsignor Francesco Lambiasi, del sindaco Andrea Gnassi, del presidente Marco Ferrini, dei partecipanti al convegno nazionale degli amministratori pubblici di Azione Cattolica (che quest’anno si riuniscono a Rimini per sottolineare il decennale della beatificazione di Marvelli), del presidente nazionale dell’Azione cattolica Matteo Truffelli e dell’assistente mons. Mansueto Bianchi. Saranno presenti anche alcuni amici del giovane che è stato anche assessore al Comune di Rimini negli anni della prima ricostruzione: don Fausto Lanfranchi, Viterbo Tamburini, Giorgio della Biancia, Giuseppe Giunchi, Giorgio Amati. Alcuni di loro erano, come Marvelli, soci della Confraternita e nel giorno del funerale avevano portato a spalla la sua bara.
Il filo rosso ideale che unisce la scultrice al beato ha dettato anche la realizzazione dell’opera. “La Confraternita – racconta – inizialmente mi aveva commissionato una semplice lapide con una scritta. Una volta accettato il lavoro, non riuscivo però a partire. Avevo già lavorato anche alla tomba che in Sant’Agostino, per me non è una persona qualsiasi o un personaggio del passato. Apparteniamo alla stessa storia cristiana, se a Rimini non ci fosse stato lui anche la mia storia sarebbe stata diversa. Era un uomo con un temperamento con il quale mi sento in sintonia, era presente ovunque e tutto riconduceva all’appartenenza a Cristo. Giulio Cesare, Napoleone sono importanti personaggi della storia che hanno realizzato un loro progetto. Marvelli è invece un protagonista della storia di Rimini che ha realizzato il progetto di un Altro. Questo fa la differenza, quindi non poteva essere la lapide commemorativa di un uomo morto”.
Per passare dalla richiesta della committenza all’idea creativa più congeniale alla volontà di restituire un Marvelli “vivo”, ci voleva qualcosa che facesse fare lo scatto. Per la scultrice Ceccarelli la molla è stata la lettura di alcune informazioni su Bosone di Higgs, la cosiddetta “particella di Dio”. “Ho capito che è una particella che attira altre particelle, favorendo così la creazione della massa. Marvelli in qualche modo è stato una particella che attirando (non a sé ma a Cristo) ha contribuito a formare un popolo”.
Cerchiamo allora di descrivere il bassorilievo realizzato da Ceccarelli. Sullo sfondo si vede l’Arco d’Augusto, eletto a simbolo della città di Rimini dove si è consumata l’avventura cristiana di Marvelli, e la chiesa di San Giovannino, sede della Confraternita che lo ha visto come socio. Caratteristica del beato è stata la sua partecipazione a tute le opportunità di aggregazione che il mondo cattolico gli offriva. “Ma la sua testimonianza è restata – avverte Ceccarelli – non perché ha fatto tante cose o perché era presente ovunque, ma perché in tutto questo viveva per Cristo. È questa la ragione che me lo rende vicino, fosse stato solo un attivista non mi avrebbe interessato”.
Torniamo al bassorilievo. Su questo sfondo emerge la figura di Marvelli: tutto lo spazio è solcato dal segno della croce, che rappresenta appunto l’ideale per cui il giovane, morto a 28 anni in un incidente stradale, ha speso tutta la sua vita, densa di impegni e di carità operosa (eroica durante i bombardamenti della guerra) fino a quella suprema forma di carità che è l’attività politica. “Da questi solchi – sottolinea Ceccarelli – emergono delle figure umane, il popolo generato da Marvelli”.
In basso una scritta ricorda l’appartenenza di Alberto, testimone di fede e di carità, alla Confraternita, nel decimo anniversario della beatificazione.
Ceccarelli ha realizzato bassorilievi anche per la tomba di don Giancarlo Ugolini, iniziatore a Rimini di Comunione e Liberazione, e a Sant’Igne di San Leo per ricordare don Luigi Giussani che in quei luoghi per anni ha guidato la Via Crucis con migliaia di giovani.
Sempre per il decennale della beatificazione, domenica 15 marzo al Museo di Rimini si inaugura la mostra d’arte dal tiolo “Lèvati, o anima, e guarda”.
Bonus fiscale per le paritarie: per Masi (Cdo) "piccolo passo avanti"
Bonus fiscale per le paritarie: per Masi (Cdo) "piccolo passo avanti"
In Italia le agevolazioni fiscali per persone e imprese fanno una somma annuale di 70 miliardi di euro. I contribuenti possono detrarre fino al 19 per cento le spese mediche, le spese veterinarie, per la palestra, per l’università. Nel pacchetto di misure di attuazione della“buona scuola” il Ministero dell’istruzione ha messo anche la detraibilità delle spese sostenute dalle famiglie che mandano i figli alla scuola paritaria. Uno sconto fiscale fino ad un massimo di quattromila euro di spesa. È stato calcolato che questa misura costerebbe alle casse dello Stato 300 milioni di euro, una cifra che non sposa di molto la somma di 70 miliardi. Eppure su questa misura, al momento solo annunciata, si è scatenata la solita polemica contro gli aiuti dello Stato alle scuole “private” perché, si dice, deve essere valorizzata la scuola pubblica, intendendo per questa solo quella statale.
“La proposta del Ministero - afferma Marco Masi, presidente della Cdo Opere Educative, riminese trapianto a Bologna – è un piccolo passo in avanti in favore delle famiglie della scuola paritaria. Non è certo la realizzazione di una piena ed effettiva libertà di educazione, che comporta interventi di altra natura. Tuttavia si toglie una discriminazione: adesso si possono detrarre alcune spese, ma non quelle per la scuola, limitando la libertà di scelta delle famiglie”.
Le decisioni ultime saranno prese nel Consiglio dei ministri convocato per martedì prossimo. Il progetto iniziale prevedeva di introdurre tutte le novità scolastiche, fra cui l’assunzione dei precari, per decreto. Ma sia le riserve del Presidente della Repubblica, sia le proteste del Parlamento che con il ricorso frequente ai decreti si sente svuotato, hanno indotto il governo ad una pausa di riflessione. “Il rischio – avverte Masi – è che l’assunzione dei precari venga a per decreto, in nome dell’urgenza, e che le altre misure, fra cui il bonus fiscale per le famiglie vengano inserite in un disegno di legge, la cui approvazione è destinata ad arrivare alle calende greche”.
Masi ha ricordato che il bonus fiscale è solo un piccolo passo in avanti e non rappresenta la conquista della vera parità. Una parità sancita formalmente dalle legge 62 del 2000, ministro Berlinguer, che ha stabilito che il sistema nazionale di istruzione è composto dalle scuole statali e dalle scuole paritarie, tutte con gli stessi diritti. Alla parità giuridica, a quindici anni di distanza, non è mai corrisposta una parità economica, cioè mettere le famiglie nella condizione di scegliere liberamente. Adesso pagano le tasse allo Stato anche per i servizi scolastici di cui non usufruiscono e devono pagare le rette alle scuole paritarie.
“Sono quattro – spiega Masi – le linee su cui fondare una effettiva parità. La prima è un contributo per alunno basato sui costi standard, che ancora non sono stati definiti. La seconda è una fiscalità di vantaggio in favore dei gestori: non si capisce perché le scuola statali paghino la tassa rifiuti per metro quadro e le paritarie sulla base del numero degli alunni. Vanno aggiunte inoltre le misure per il diritto allo studio degli alunni, specialmente quelli con meno capacità economiche, un ambito su cui negli ultimi anni sono intervenute anche le Regioni. Ed infine la detraibilità delle rette da parte delle famiglie”.
In questo modo, insorgono quanti non vogliono neppure sentire parlare di parità, si sottraggono risorse alle scuola statali, che invece hanno bisogno di essere valorizzate. “Niente di tutto questo, sono obiezioni che nascono da una visione ideologica. Non sono sottratti soldi alle statali ma si tratta di risorse aggiuntive in favore delle famiglie. Non bisogna dimenticare che le scuole paritarie rappresentano in Italia, ed anche in Emilia Romagna questa è la quota, l’11 per cento del sistema di istruzione. Vogliamo ignorarle? Sarebbe come se lo stato nei suoi provvedimenti ignorasse una Regione come la Campania. La polemica è fatta nel momento in la spesa corrente del Ministero aumenta del 7,5 per cento, tutta in favore del personale”.
Le associazioni delle scuola paritaria, sia quelle dei gestori che dei genitori, negli ultimi anni, segnate dalla crisi economica, hanno più volte sottolineato come la mancanza di ogni misura in favore della parità abbia fortemente limitato la libertà di scelta delle famiglie e inciso sulla sopravvivenza di molte scuole. Con il risultato, poco apprezzabile, di un impoverimento dell’offerta scolastica
Inchieste Aeradria e Carim. La fine di un sistema e una nuova sfida
Inchieste Aeradria e Carim. La fine di un sistema e una nuova sfida
La contemporaneità mediatica delle inchieste su Aeradria e Carim ha fatto loro assumere un valore simbolico particolare. E non a caso molti commentatori hanno parlato di crollo di un vero e proprio sistema di gestione del potere.
Che di sistema si trattasse, e non del monopolio di un singolo partito, l’ha voluto subito chiarire Maurizio Melucci con il candore del politico di lunga data. “La Carim è sempre stata un feudo della DC. La sinistra deve porsi poche domande”.
Dunque un sistema proprio perché non riguardava solo la politica in senso stretto, ma ambiti di potere differenti e con maggioranze ideologiche diverse tra loro.
Ma proprio per questo, aspettando di capire se si è trattato anche di arricchimento indebito, diretto o indiretto che sia, più che una questione etica, questi fatti pongono la necessità di ridefinire i termini stessi della gestione del potere, a partire da quella ‘prudenza’ che, fuori dall’ambito delle virtù cristiane, potremmo chiamare accortezza o semplicemente ‘onestà intellettuale’. Tanto è vero che, nelle loro diverse sfaccettature, gli scandali di questi giorni si configurano prima di tutto come ‘reati’ di superbia assoluta, con il carico di autoreferenzialità, opacità e superficialità che ad essa consegue.
Prima di tutto dunque, un problema di rappresentanza e di realismo. Se il potere cioè attesti un ruolo di guida del popolo in quanto massa incompetente che deve essere sollevata da problemi che non comprende o, invece, implichi la necessità (e non solo il dovere) di riferirsi a coloro, cittadini o risparmiatori, dai quali deriva il proprio mandato. Non per introdurre pratiche improbabili di consultazione nelle sedi dei partiti o sul web, quanto per indicare un modo trasparente di fare politica, dichiarato nelle intenzioni e nei mezzi che si vuole seguire; e che tale può essere solo se continua a considerarsi prima di tutto un servizio.
E pure, se, nell’esercizio del potere, una finalità giudicata buona autorizzi qualsiasi azione per il suo raggiungimento o invece anche la politica debba rispettare la cruda, ignorante e poco elegante, e pure ingiusta, realtà come tale. La si può pensare come si vuole, ma le vicende Aeradria e Carim dimostrano che i guai insorgono proprio quando i potenti perdono il senso della realtà, intestardendosi nelle proprie analisi e nelle proprie soluzioni. Quasi a pensare che sia il potere stesso a determinare, e addirittura a ‘fare’, la realtà.
In questo senso il tema dell’esito diventa centrale. E non solo perché, a guardar bene, quando ci si sente giustificati a utilizzare qualsiasi mezzo per ottenere uno scopo buono, dietro, c’è sempre l’ambizione di perpetuare il proprio potere personale.
Ma, soprattutto, perché in questo si rivela quale sia la propria concezione della politica. Per capirlo possiamo mutuare un pensiero di Charles Péguy sulla guerra, quando, a un amico che parlava della sicura vittoria francese sull’impero tedesco, diceva “Non parlare di vittoria. Siamo noi destinati a vincere o piuttosto a preservare, a qualunque prezzo, un certo livello di umanità?” Qual è dunque il compito della politica e del potere? Se lo scopo è solo vincere le battaglie che si intraprendono, è legittimo provare a vincere a ogni costo e con ogni mezzo.
Infine, parlando di superficialità, si è costretti ad ammettere che di competenza e di professionalità, in giro, sembra essercene sempre meno; e che la levatura calante del personale reclutato per la gestione del potere sembra ormai un serio problema. O almeno lo sarà se invece dell’umiltà di chi vuole imparare, di chi si mette di continuo in discussione, prevarrà ancora (come è stato fino a ieri) la certezza che l’appartenenza ad una certa cerchia di potere abiliti a gestire qualsiasi situazione. Oltre a giustificare qualsiasi scelta si intraprenda.
Speriamo dunque che dopo questi scandali la gestione del potere nella nostra città non sia più come prima. Per tutti.
Per i partiti, la fiducia nei quali è crollata addirittura sotto i livelli dell’epoca di Tangentopoli, e, in generale, per chi dispone di un potere: tutti alle prese con un grave problema di selezione della classe dirigente (e quindi di selezione delle idee e delle competenze). Per i cittadini: che non possono esimersi dal costruire i propri strumenti di rappresentanza, invece di relegare il proprio ruolo alla sola indignazione.
In questa dialettica tutta da ricostruire, tra politica e società civile, e nella quale non c’è chi possa dirsi del tutto ‘innocente’, si potrà fondare quella che, mutuandola dalla vita delle aziende, potremmo chiamare una nuova sostenibilità politica del potere.