Lunedì, 17 Dicembre 2018 23:31

Cocorico: non rinunciamo al Capodanno

“L’ordinanza del Comune di Riccione che ci impone la chiusura per i prossimi tre mesi in caso di mancata ottemperanza del pagamento della TARI, non mette a rischio il nostro Capodanno”, dichiara subito Fabrizio De Meis, CEO della FDM la società che gestisce il Cocoricò. “Fermo restando che per rendere nulla questa ordinanza, come concordato con l’Ufficio Tributi del Comune di Riccione, faremo fronte ai nostri impegni e faremo inoltre immediatamente ricorso al TAR, ritenendo questo Regolamento comunale, incoerente ed incostituzionale”.

“Stiamo inoltre con i nostri legali valutando anche la possibilità di richiedere un risarcimento poiché il danno economico che ci sta comportando è gravissimo, visto che il clima di incertezza sul Capodanno non favorisce la prevendita delle prenotazioni”. Entrando nel merito delle motivazioni che sostengono l’ordinanza del Sindaco di Riccione, De Meis sottolinea innanzitutto che “appare assai sconcertante una decisione così radicale dopo che la FDM ha da tempo avviato un percorso virtuoso con l’Amministrazione Comunale proprio per chiudere il vecchio contenzioso, relativo agli anni regressi di sua specifica competenza, concordando con l’Ufficio Tributi del Comune di Riccione un piano di rateazione che, in sintonia con quanto richiesto, abbiamo rispettato alla lettera”. “Per quanto riguarda poi il mancato pagamento di 15.500 euro della TARI 2018, che motiva di fatto l’ordinanza, su indicazione, se pur assolutamente informale degli stessi uffici comunali, avevamo predisposto un pre-accordo di rateazione, versando in via preliminare la somma di 3.000 euro come primo acconto, concordando quindi il saldo della prima rata entro la settimana prossima, in attesa di una risposta all’accordo di rateazione delle ulteriori spettanze 2018. Un segno che ci sembrava di assoluta responsabilità verso i nostri obblighi erariali pur considerando che vi è un’anomalia di imposizione alla fonte dovuta ad un evidente errore del calcolo delle superfici tassabili e non considerando inoltre che il Cocoricò che è considerata un’azienda stagionale che servita la sua attività non superando le 60 giornate all’anno”. “Resto ancor di più sconcertato”, continua quindi Fabrizio De Meis, “se considero infine il fatto che oggi al Cocoricò vengono riconosciuti ampi meriti per i tanti e tanti interventi ed investimenti sulla sicurezza e sulla responsabilità oggettiva che abbiamo fatto in questi anni per rispondere in pieno alle esigenze e alle indicazioni ricevute dalla Questura di Rimini e dallo stesso Comune di Riccione. Un impegno che abbiamo e stiamo onorando con grande rispetto e professionalità”.


“Ci tengo a ribadire”, sottolinea ancora De Meis, “che questo ennesimo atto contro il Cocoricò non metterà certo a repentaglio il futuro della nostra attività. Le scelte innovative e la strada della responsabilità che abbiamo intrapreso per il rilancio del Cocoricò nel mondo non si interromperanno per un’ordinanza che ritengo incostituzionale e contraria ad ogni ragione di buon senso. In questi anni abbiamo affrontato e superato momenti difficili. Supereremo anche questo”. “Così come non posso infine non far notare”, conclude Fabrizio De Meis, “come questa ordinanza, voglia in sé essere un segnale di intransigenza amministrativa e che il Cocoricò era ed è il miglior veicolo per la sua diffusione”.

Il consiglio comunale di Rimini martedì sera dovrà approvare il bilancio preventivo. Ai cittadini, di questo complesso documento contabile, interessano innanzitutto due aspetti: quale pressione fiscale viene posta a loro carico e se i loro soldi servono per realizzare importanti opere pubbliche o si limitano ad alimentare i costi della macchina comunale.

Nel bilancio preventivo 2019 alla voce “Entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa” sono indicati 128,5 milioni, il che significa 735,68 euro a testa. Molti? Pochi?

Per poter esprimere un giudizio, risulta utile guardare alla serie storica. Ci siamo avvalsi del servizio statistica della Regione, la quale dichiara di fare riferimento ai dati trasmessi dai Comuni. Quindi dovrebbero corrispondere alla realtà. Ebbene nel 2012, il primo anno completo dell’era Gnassi (era stato eletto a metà 2011) la pressione fiscale era pari a 601,8 euro pro capite. Quindi ci sarebbe stato un incremento di almeno 140 euro nell’arco di sette anni. La situazione è invece più articolata.

 

Anno

Pressione fiscale*

Spesa conto capitale*

2012

601,8

481,8

2013

850,7

330,3

2014

853,6

294,7

2015

759,3

305,9

2016

856

420

2017

708,7

666,43

2018 preventivo

784,5

988,74

2019 preventivo

735,68

310,49

Fonte: Servizio statistica della Regione e Bilanci preventivi Comune di Rimini

Come si vede nella tabella, nel 2013 c’è un notevole balzo in avanti, confermato sostanzialmente negli stessi valori nel 2014 e nel 2015. Perché questo balzo? Il 2013 è l’anno in cui la riscossione del pagamento della tassa rifiuti torna in capo al Comune. Quindi aumentano le entrate, anche se a questo punto va ricordato che nel 2012, quando i cittadini pagavano la tassa ad Hera, c’era comunque un esborso da parte loro. Quindi dal 2013 al 2013 non ci sarebbe stato un vero e proprio aumento di pressione fiscale.

La situazione cambia nel 2016 quando la pressione fiscale indicata dal sito della Regione scende a 759,3 euro. L’anno successivo si registra un nuovo calo: arriva a 708,7.

E così arriviamo ai giorni nostri. Per il 2018 non esiste ancora il bilancio consuntivo, bisogna rifarsi a quello preventivo. Rispetto al 2017 la pressione fiscale è risalita di circa 80 euro, attestandosi a 784,5 euro. Come mostra la tabella, il 2018 è anche l’anno della maggiore spesa in conto capitale 988,74. Il biennio 2017-2018 è quello in cui si è maggiormente concentrata la strategia degli investimenti dell’amministrazione Gnassi: Fulgor, Teatro Galli, piano della balneazione, e altro ancora. Nel 2017 la spesa in conto capitale era di 666,43 euro per ogni cittadino.

La tabella indica anche che nel 2019 c’è un calo di pressione fiscale di 50 euro ed anche un vistoso calo della spesa in conto capitale, pari a un terzo dell’anno precedente.

In questi ultimi anni i cittadini hanno certamente messo mano al portafoglio (anche se in misura inferiore rispetto agli anni 2012-2015, ma è altrettanto vero che l’amministrazione ha poi investito. Se bene o male, ciascun cittadino può giudicare.

Domani pomeriggio le famiglie di Sinti giostrai di Rimini insieme alle associazioni Rom e Sinte italiane protesteranno davanti al Consiglio Comunale di Rimini "per la mancata applicazione della legge regionale, e contro l’ottusa e ostinata volontà della giunta Riminese di lasciare per strada un centinaio di Sinti Riminesi di cui la metà sono minori che frequentano le scuole locali".

Il comunicato che ne dà notizia fa riferimento alla storia dei giostrai Sinti che avevano acquistato un terreno per posizionare le loro case mobili, come suggerito dall'Amministrazione del tempo, ed ora sfrattate perchè si trattarebbe di un abuso edilizio.

"I Sinti giostrai di Rimini - si legge inoltre - rappresentano l’esempio migliore di integrazione e del progresso delle nostre comunità senza rinunciare all’identità culturale. Molti anni fa, quando le politiche delle istituzioni italiane nei confronti dei Rom e Sinti erano ridotte alla costruzione dei campi nomadi, alcuni sinti rifiutarono questa come unica possibile soluzione per le loro famiglie. Posare le case mobili e prefabbricati sui terreni agricoli di proprietà allora era consentito dalla legge. Molti di loro, investendo tutti i loro risparmi, acquistarono terreni agricoli e iniziarono da soli la loro lotta per una vita migliore, senza l’assistenza dei servizi sociali, senza fare parte del business della gestione dei campi e della inclusione sociale dei rom e sinti.

Dal 2005 la legge considera abuso edilizio anche la casa mobile sul terreno agricolo, ma nel 2015 la regione Emilia-Romagna ha approvato una legge che consente ai sindaci di modificare la destinazione d’uso per favorire l’integrazione delle comunità sinte in micro aree. Un modo di buon senso per risolvere un vecchio problema che in questo caso riguarda un gruppo di famiglie perfettamente integrate, rispettano la legge, pagano le tasse, i loro figli vanno a scuola.

Cosa impedisce al sindaco di applicare la legge, per una volta una legge buona per rom e sinti, e risolvere il problema di questi suoi concittadini italiani e suoi residenti da sempre?

Questa è la domanda che vogliamo rivolgere pubblicamente all’amministrazione di Rimini, ricordando al sindaco che la giustizia non sempre combacia con l’applicazione della legge – è l’anno di ricorrenze di leggi funeste come quelle razziali - e se c’è una legge che aiuta a essere giusti non bisogna avere paura di applicarla, neppure se si teme di perdere qualche voto".

Domenica, 16 Dicembre 2018 08:55

Costituito il direttivo di Rinascita Civica

Si è dato un'organizzazione il movimeto politico, Rinascita Civica, fondato dal consigliere comunale mario Erbetta. Venerdiì 14 dicembre all'Hotel Madalu' di Viserba è stato costituito il direttivo che ha eletto come Segretario l'Avv. Mario Erbetta. fanno parte del direttivo anche Cinzia Salvatori (delega alla politica sociale e welfare), Denis Casanova (delega alla sburocratizzazione della Pa e alle partecipate). Rizzo Manuela (delega alle pari opportunita'),Vito Nicola Lombardi(delega alla Sanita' e al lavoro), Pedrini Giuseppina (delega alle politiche sull'handicap e sull'assistenza), Gabriele Colonna (delega al Web e alla Sicurezza), Belli Gianluca (delega ai trasporti), Sante Dall'Asta (delega al Turismo e attivita' economiche)


 Tra le prossie iniziative, un grande convegno sul tema le donne nella societa' civile che si svolgera' l'8 marzo con la presenza di Margherita Boniver e un convegno ad Aprile sulla Giustizia con Claudio Martelli e Carlo Nordio ex magistrato.

"Storia di Andrea, il santo bevitore" è lo spettacolo che il centro culturale Il Portico del Vasaio propone per lunedì 17 dicembre alle ore 21.15 al Centro Tarkovskij di Rimini, via Brandolino. Lo spettacolo, tratto dal racconto di Jospeh Roth, La leggenda del santo bevitore, sarà interpretato da Carlo Pastori e Marino Zerbin, per la regia di Carlo Rossi. L’ingresso è a offerta libera.

L’allestimento mette in scena, in forma di racconto teatrale con canzoni, la storia di Andrea, barbone parigino toccato dalla Grazia di un Incontro con un benefattore che, a patto che la somma venga restituita alla piccola S. Teresa nella chiesa di S. Maria di Batignolles, gli offre una somma in denaro di cui poter disporre liberamente.

Andrea si dimentica a lungo del debito, finchè un giorno di fronte alla chiesa incontra una bambina di nome Teresa.
Andreas le chiese: “Come ti chiami?” “Teresa”, rispose lei.
“Ah,” esclamò Andreas “ma questo è bellissimo! Non avrei mai pensato che una così grande, così piccola santa, una così grande e piccola creditrice mi concedesse l’onore di venirmi a cercare, dopo che io ho tardato tanto ad andare da lei.” (…) Da tanto tempo io le devo 200 franchi, e non mi è più riuscito di restituirglieli, signorina santa!”
Lei non mi deve affatto dei soldi, ma io ne ho un po’ nel borsellino, li prenda e vada via, che stanno per arrivare i miei genitori”.
E con ciò tolse dal borsellino 100 franchi e glieli dette.

La piccola santa libera Andreas del peso del suo debito - Lei non mi deve affatto dei soldi -, lo libera “dal peso di quel limite che l’uomo trova dentro tutto quello che fa”.
Ma non solo. Andreas al momento di questo suo incontro con la bambina ha già ritrovato per l’ennesimo ‘miracolo’ i 200 franchi necessari per ripagare il suo debito, e il dono di Teresa ha davvero la consistenza del centuplo, di un anticipo sulla eredità promessa.
Lo spettacolo viene proposto come un momento di preparazione al Natale. Prima che gli attori entrino in scena saranno lette alcune meditazioni di don Luigi Giussani

Dobbiamo immedesimarci. Come è importante il cuore aperto, la semplicità del cuore e la povertà del cuore, per afferrare bene questi momenti, per sapersi immedesimare! Nella misura in cui non siamo poveri di spirito, non ci immedesimiamo con niente, perché immedesimarsi vuol dire abbandonare la posizione in cui si è. Dobbiamo immedesimarci con Maria del capitolo primo di san Luca o coi pastori del capitolo secondo di san Luca o coi Magi del capitolo secondo di san Matteo.

“L’idea di seguire insieme uno spettacolo per prepararsi al Natale – spiega il Portico del Vasaio - è perché una rappresentazione teatrale (che accade sempre nuova ogni volta che si ripete) non chiede una comprensione distaccata, ma proprio quella immedesimazione alla quale Giussani ci ha invitato con le parole ascoltate all’inizio; aiutandoci così a riscoprire come la grazia della Sua presenza riaccada continuamente nella nostra vita”.

La DMC (Destination Management Company), cioè il nuovo soggetto al quale il Comune di Rimini vuole affidare la promozione turistica, non è piaciuta alla minoranza che ha compattamente votato contro. La delibera comunque è passata e quindi partirà la procedura per scegliere entro il 30 settembre prossimo la società incaricata .

Da parte della minoranza sono stati evidenziati soprattutto due temi. Il primo: un ennesimo strumento di promozione, quando invece dobbiamo interrogarci sull’identità e sulla qualità del prodotto Rimini. Secondo: il dualismo che si viene a creare fra Destinazione Romagna, l’organismo romagnolo di cui è presidente Andrea Gnassi, e la DMC. Nel merito del nuovo strumento poco o nulla hanno detto i vari interventi.

Ad aprire il fuoco è stato il consigliere Mario Erbetta, di Rinascita Civica. “Non abbiamo una programmazione turistica, ma solo eventi estemporanei. Abbiamo pensioncine che sarebbero da chiudere e alberghi che inseguono la politica dei prezzi bassi. Adesso facciamo una nuova società: ma per vendere cosa? Solo eventi come la Molo Street Parade e la Notte Rosa”.

Gli ha fatto seguito Davide Frisoni, di Patto Civico, che ha sottolineato alcuni aspetti non chiari: a quali soggetti è rivolto il bando per trovare la DMC? Quali professionalità sono coinvolte? A suo giudizio la nuova società deve avere la capacità di dialogare anche con la realtà extracomunale e con le associazioni culturali del territorio.

Per il leghista Matteo Zoccarato da Destinazione Romagna non verrà alcun beneficio per il territorio. Quindi va bene puntare su brand Rimini, ma c’è scarsa chiarezza sul progetto e gli elementi indicati per scegliere il soggetto sono troppo discrezionali.

Il consigliere Gennaro Mauro si è indignato per l’assenza del sindaco, che detiene la delega al turismo e che è presidente di Destinazione Romagna. Quest’ultima è un papocchio che finora si è distinto per non fare nulla. Gnassi corre ai ripari e promuove un’operazione solo per Rimini, trascurando gli altri Comuni della Riviera coi quali si dovrebbe invece fare sistema. Andiamo verso una situazione di palese conflitto. Rimini dovrebbe invece occuparsi di più della riqualificazione delle strutture ricettive che sono fuori mercato.

Anche per Carlo Rufo Spina, di Forza Italia, prima bisogna chiarirsi le idee su quale turismo vogliamo a Rimini e poi pensare agli strumenti di promozione. Se c’è il problema degli uffici Iat (finora gestiti da Rimini Reservation, che sarà chiusa), questi potrebbero passare in capo al Comune. “Se la DMC non è obbligatoria, fermiamoci, ne riparleremo quando sarà passata l’illusione del Parco del Mare dove solo 3 operatori su 153 hanno dichiarato di voler proseguire nelle manifestazioni di interesse. Il rischio è che si faccia una società per i soliti amici degli amici”.

Anche per Gioenzo Renzi, se si vuole u turismo di qualità, dobbiamo mettere mano a processi di riqualificazione del nostro prodotto. Per 70 anni abbiamo puntato sul turismo balneare, dimenticandoci del nostro patrimonio artistico e culturale. Adesso il sindaco l’ha riscoperto, ma non si può ridurre solo al Fulgor, al Galli e al Museo Fellini. Ci sono anche la storia romana, la storia rinascimentale, il Trecento riminese.

Secondo Marzio Pecci, capogruppo della Lega, ciò che manca a Rimini sono le infrastrutture, sono i collegamenti stradali, l’alta velocità, un aeroporto che funzioni. “Sul progetto di DMC ha ragione il consigliere Frisoni: fa schifo ed ha bisogno di essere integrato”.

Dai banchi della maggioranza interviene il consigliere Simone Bertozzi per respingere la narrazione delle minoranze secondo le quali saremmo all’anno zero, mentre negli ultimi anni sono stati compiuti passi da gigante.

Molto sarcastica la replica dell’assessore Gian Luca Brasini, che si è rammaricato che nessuno abbia letto i documenti che accompagnavano la delibera. “A Rimini quando si parla di turismo è come il calcio, tutti non mancano di dire due parole a totale sproposito”. A Spina che aveva invocato il passaggio degli Iat al Comune, ha risposto dicendo che deve essere bipolare, oscillando fra neo liberismo e statalismo di ritorno.

Ha sostenuto che non ci sarà nessun dualismo fra Destinazione Romagna e DMC per due motivi: primo, perché la Destinazione ha esclusivamente compiti di promozione e non di commercializzazione; secondo, perché la stessa legge regionale dà facoltà ai comuni con notevole massa critica di strutture e presenze di crearsi la propria DMC.

L’incarico sarà affidato con un bando a dialogo competitivo: il Comune fissa linee guida generali, poi nel dialogo coi privati che intendono a partecipare si definisce il capitolato, quindi i privati presentano le loro offerte finali.

Avanti. Il Borgo San Giuliano a Rimini è il titolo di una mostra che il fotografo riminese Giorgio Salvatori presenta nella sede della Clinica Merli in via Settembrini.

L'esposizione, composta da 60 scatti, è frutto del progetto che l'artista ha sviluppato nel Borgo San Giuliano a Rimini concentrando l'attenzione dello sguardo sulle porte dello storico borgo. Ciò ha costituito una sfida volta a ricercare l’inaspettato nel quotidiano, l'invisibile delle emozioni in un luogo dato per scontato perché sempre visibile, sebbene esso sia un luogo simbolico e caratteristico della città con i suoi vicoli colorati e la sua inconfondibile atmosfera felliniana. Il Borgo San Giuliano – dice l'artista - è un luogo del cuore di tante persone, di chi ci abita, di chi lo vive e di chi lo visita anche solo un giorno. E' la storia del vecchio e del nuovo, di generazioni che si affiancano. Proprio da questa percezione nasce un inedito racconto fotografico del Borgo dei pescatori che custodisce vecchie abitudini e traccia nuove direzioni della città. Il nome stesso della mostra “Avanti” rappresenta la volontà dell’artista di focalizzarsi su un invito e una apertura ideali, una attitudine al dialogo con gli altri, tutti elementi tipici di questo quartiere.

Il catalogo della mostra, edito da NFC Edizioni, si apre con una presentazione di Monica, Aldo e Mauro Merli (promotori del progetto) ed è corredato dai contributi critici di Alice Zannoni (critica d'arte e curatrice), Roberta Sapio (coordinatrice del progetto) e Giorgio Salvatori (fotografo).

La mostra Avanti. Il Borgo San Giuliano a Rimini sostiene l’ONG Loving Gaze a Lagos in Nigeria, coordinata dalla riminese Dott.ssa Alda Gemmani. Il 50 % delle opere acquistabili presso la Clinica Merli dal 12 dicembre 2018 al 15 febbraio 2019 sarà destinato all’ONG Loving Gaze.

 

Se sulla vicenda della mancata quotazione in Borsa di IEG il presidente Lorenzo Cagnoni e l’amministratore delegato Ugo Ravanelli hanno sostanzialmente ribadito le tesi (mercati sfavorevoli) espresse nella conferenza stampa di venerdì scorso (e per i contenuti rimandiamo al nostro articolo), nella seduta delle commissione consigliare seconda e quinta hanno fornito invece maggiori particolari sulla vicenda dell’articolo de La Stampa dell’11 novembre scorso che aveva messo sotto accusa “l’allegra gestione delle fiere” e aveva parlato di parentopoli e gettato ombre su alcuni aspetti della gestione.

Per quasi cinque ore Cagnoni e Ravanelli hanno risposto alle numerose e incalzanti domande dei consiglieri di minoranza che sono intervenuti, Pecci, Zoccarato, Mauro, Renzi, Camporesi, Spina. Con Cagnoni che, soprattutto nell’ultima replica, ha sfoderato la sua signorile ironia, e Ravanelli che più di una volta ha spiegato che i consiglieri potevano trovare risposta a tante delle loro domande nel prospetto informativo che nessuno di loro aveva scaricato quando era presente sul sito di IEG (adesso, venuta meno la quotazione, è stato tolto). Non sono mancati anche gustosi siparietti, di cui più avanti diremo.

In un certo senso i vertici di IEG hanno tracciato una sorta di identikit della fonte dell’articolo “sgangherato” del quotidiano torinese. Hanno spiegato che esso faceva riferimento a documenti interni che in azienda conoscevano solo i membri del cda e altre sette otto persone. L’articolo – è stato detto - era ben documentato su fatti precedenti il rinnovo del consiglio d’amministrazione e più impreciso su altri fatti seguenti. C’è stata quindi una fonte interna – questo in verità lo si era intuito anche in precedenza – che ha sollecitato l’attenzione del giornale. Non è stata una manovra della concorrenza, come ha ipotizzato qualcuno della minoranza.

La replica agli articoli de La Stampa

Nel merito, Ravanelli ha innanzitutto spiegato che i premi di produzione ai dipendenti sono elargiti non con criteri soggettivi, ma seguendo accordi sindacali e precise procedure di valutazione. Quanto ai casi conflitto di interesse, ha ricordato che le segnalazioni – nove casi in tutto – sono venute dagli stessi dipendenti e che per tutti l’organo di vigilanza ha stabilito che non ci fossero elementi per intervenire. Piccole cose, tipo un telefonino ricevuto in regalo e usato per il lavoro d’ufficio, o alcuni buyer ospitati nell’albergo di un membro del cda. Quando il consigliere Spina ha invitato Ravanelli a non essere così sbrigativo per il caso di un consulente parente di un manager, l’ad ha risposto che pure lui è rigoroso e che anche quella vicenda non è rilevante. Non è vero che l’avvocato Claudia Perrucca si è dimessa dall’organo di vigilanza per pressioni. È vero che ha cambiato una relazione, ma perché ha riconosciuto che in un punto era sbagliata. Le valutazioni del personale compiute dalla società esterna non erano corrispondenti alla realtà e Ravanelli ha ribadito la sua stima nei confronti dei dipendenti citati nell’articolo. Nella sostanza, ha completato il quadro, arricchendolo di particolari, di quanto già scritto nella circolare interna del 12 novembre.

L’articolo de La Stampa ha influito sulla mancata quotazione? Cagnoni lo ha escluso categoricamente (“c’entra come i cavoli a merenda”). Certo ha nuociuto all’immagine della società e gli avvocati sono già al lavoro per valutare i danni.

Il ben servito a Facco e Marzotto

Molte domande, soprattutto da Pecci, della Lega, sui motivi che hanno determinato l’abbandono dell’ex direttore Corrado Facco, prima, e del vice presidente Matteo Marzotto, poi. Pecci ha sostenuto che la mancata quotazione è partita con l’addio di Facco, persona capace di importanti relazioni con investitori esteri.

“O lei è ingenuo o non so quali fonti di informazioni abbia. – ha replicato Cagnoni a Pecci – Facco ha sempre fatto il direttore di una piccola fiera di provincia che ha accumulato 45 milioni di debiti e che noi abbiamo rilevato visto che era in difficoltà”. Quindi il presidente di IEG ha ribadito che Facco non era più necessario alla governance della società. “Gli abbiamo offerto un nuovo ruolo, lo ha rifiutato e quindi lo abbiamo licenziato”. Addio senza rimpianti.

Altrettante frecciatine avvelenate Cagnoni le ha lanciate verso Matteo Marzotto, “persona gentile alla quale pure mi ero affezionato” ma “che si era fatto un film non corrispondente alle regole di funzionamento di una società”. Le sue dimissioni sono arrivate solo dieci giorni prima della scadenza prevista. Gli accordi con Vicenza prevedevano che dopo la quotazione i veneti avessero un solo rappresentate in consiglio d’amministrazione. “E per quel ruolo – ha precisato Cagnoni – non avevano indicato Marzotto”. L’ex vicepresidente ha parlato di contrasti insanabili con lui? “Mi sono meravigliato leggendo queste cose. - ha osservato Cagnoni – Non so quali fossero questi contrasti. In consiglio d’amministrazione non ha mai votato contro. Solo recentemente, dopo le dimissioni dell’avvocato Perrucca, ha voluto distinguersi dalla nostra decisione di affidare al presidente dei revisori dei conti anche la guida dell’organo di vigilanza. Lui ha detto che preferiva il dualismo delle figure. Tutto qui”.

Siparietti in commissione

Si diceva all’inizio di qualche siparietto. Il primo, è stato provocato da Pecci che nel suo intervento citava persone e circostanze. Il capogruppo del Pd l’ha messo in guardia: se continuava, si sarebbe dovuto secretare la seduta, con l’uscita del pubblico e della stampa. Le citazioni delle persone sono finite e la seduta non è stata secretata. Camporesi si è lamentato perché non è mai stato comunicato lo stipendio di Cagnoni. Ravanelli: “Si trova a pagina 213 del prospetto informativo. Secondo me sono pochi i soldi che guadagna Cagnoni così come sono troppi quelli che riceveva Marzotto. 142 mila euro all’anno per fare il vice presidente non si sono mai visti”. Ma visto che il prospetto non l’ha mai scaricato nessuno, lo stipendio di Cagnoni al momento rimane un mistero. Camporesi ha voluto anche sapere perché IEG fa pubblicità sulla stampa locale e a quanto ammonta il contratto con un portale web vicino al Pd. “Non lo so, mi informerò”. Poco dopo gli arriva una e-mail e Ravanelli soddisfatto lo comunica in diretta: “Tremila euro all’anno”.

Il futuro di IEG

Cagnoni e Ravanelli hanno confermato che per la quotazione in Borsa resta aperta la seconda finestra a primavera. Se sarà utilizzata, dipende dalla situazione favorevole o meno dei mercati.

Lo stop alla quotazione non interrompe l’ambizioso progetto industriale, anche se è indubbio che qualcosa dovrà essere rivisto. Non interrompe nemmeno il processo di nuove aggregazioni o con Bologna (meno probabile) o con altre realtà del nord. Cagnoni è stato molto sferzante nei confronti del socio vicentino: “In una società la guida la detiene il socio di maggioranza”.

Infine l’assessore Gianluca Brasini ha detto che nulla cambia per il debito di Rimini Congressi con Unicredit. Non ci saranno i 18 milioni derivanti dalla quotazione per ridurre subito il debito, ma ci sono ogni anno gli utili di IEG che servono a pagare la rata di due milioni e mezzo.

Nella stagione turistica 2019 ci sarà, stando a quanto anticipato dall’amministratore delegato Leonardo Corbucci, qualche volo in più all’aeroporto di Rimini. Tornano i russi di Ural Airlines che si erano trasferiti a Bologna, Ryanair amplia le proprie rotte aggiungendovi Budapest e Cracovia, la tedesca Lufthansa collegherà Monaco con il Fellini con un volo di linea.

Fra le novità, avrebbe potuto esserci anche un volo, sempre dalla Germania, proposto da Eurowings, la compagnia low cost di Lufthansa. Purtroppo non è andato in porto. È una storia che mette in luce le persistenti difficoltà di una collaborazione fruttuosa fra l’aeroporto e il territorio.

Da quanto risulta a BuongiornoRimini, circa due mesi fa ad Airiminum è arrivata una proposta di Eurowings. I termini erano i seguenti. La compagnia avrebbe attivato due voli settimanali dalla Germania, con destinazioni da scegliere da parte dell’aeroporto e del territorio. Voli che avevano la capacità potenziale di portare a Rimini fino a 20 mila passeggeri. L’operazione ovviamente aveva un costo, la compagnia chiedeva di ridurre al minimo il pagamento dei servizi aeroportuali. Fatti i conti, Airiminum aveva individuato nella cifra di 240 mila euro la somma necessaria all’operazione.

I vertici della società di gestione hanno quindi pensato di coinvolgere il territorio. Hanno bussato alla porta della Camera di Commercio, e si sono rivolti ai rappresentanti delle categorie economiche, albergatori, commercianti, artigiani, industriali. Ci sono stati contatti individuali e anche riunioni di gruppo. A quanto pare, è subito emersa la difficoltà a racimolare la somma che, va precisato, era proporzionale al numero di passeggeri effettivamente sbarcati a Rimini. Fossero stati di meno, la richiesta si sarebbe abbassata. Per facilitare le cose, a un certo punto Airiminum ha deciso di offrire anche un proprio contributo. di 40 mila euro, restavano quindi 200 mila euro, 10 a passeggero.

Un’adesione convinta è venuta dagli albergatori di Riccione: fra loro, il comune e tutto il sistema cittadino avrebbero garantito 20 mila euro. “Ci è sembrata una proposta ragionevole. - afferma il presidente Rodolfo Albicocco – Il mercato tedesco ci interessa e i costi proposti erano nell’ordine delle cose. Noi siamo sempre disponibili di fronte alla concreta possibilità di portare nuovi turisti sul territorio”. D’altra parte, nel 2011, ai tempi di Aeradria, era stata fatta una ricerca secondo la quale per ogni turista sbarcato all’aeroporto c’era un indotto di circa mille euro a testa: 900 mila passeggeri, 970 milioni di indotto.

Ma alla risposta positiva di Riccione se n’è aggiunta solo una seconda, quella dei commercianti, gli altri hanno declinato l’offerta. L’Associazione albergatori di Rimini ha fatto un ragionamento diverso. “Le associazioni in quanto tali – spiega la presidente Patrizia Rinaldis – non hanno risorse sufficienti. Bisognerebbe rivolgersi ai singoli privati, ma è difficoltoso e manca lo strumento. Inoltre bisogna capire che un turista che arriva porta ricchezza a tutto il territorio e non ci si può rivolgere solo agli albergatori. Tutti devono fare la loro parte, ciascuno deve assumersi la propria responsabilità”.

La società di gestione dell’aeroporto avrebbe potuto coinvolgere anche il Comune, ma probabilmente la presenza dell’Amministrazione al tavolo non avrebbe avuto un effetto risolutivo. Ancora è lontana la parola fine al processo Aeradria (dove è imputato anche il sindaco Gnassi) e la questione di un sostegno economico all’aeroporto resta quindi un nervo scoperto, anzi una ferita bruciante. Certamente anche nell’atteggiamento delle associazioni di categoria c’è più di una riserva mentale, visti i guai giudiziari a cui sono andati incontro i loro colleghi che si erano lasciati coinvolgere nella gestione di Aeradria. Nella vicenda pesa pure il fatto che Airiminum ha cominciato solo da poco a cercare un rapporto empatico con il territorio, e il territorio ha guardato spesso con diffidenza al “marziano” atterrato a Miramare.

“C’è bisogno di uno strumento nuovo – insiste Rinaldis – che distribuisca equamente fra tutte le categorie economiche gli oneri del sostegno a iniziative di promozione turistica e anche di sviluppo dell’aeroporto. Uno strumento nel quale sia coinvolto anche il Comune, che potrebbe destinare parte dell’imposta di soggiorno a questi scopi”. È il ritratto della Dmc, la società di destination management che Palazzo Garampi ha deciso di costituire. Dove funziona – vedi Bologna – è la Dmc, alla quale partecipa tutto il territorio, che tratta con le compagnie low cost per nuovi voli al Marconi. Si può però aggiungere che gli strumenti nascono, e poi funzionano, se si crea un clima di fiducia reciproca e di compartecipazione allo stesso scopo. Ciascuno dovrà fare un passo in avanti.

L’impresa non era facile. Nel girare un film sul tema della casa famiglia, il rischio dietro l’angolo era quello di cadere nel didascalico, nell’ossessione di voler spiegare a tutti i costi, di fornire una immagine edulcorata da Mulino Bianco, di voler realizzare un’opera educativa. Visto il film, nell’anteprima al Palacongressi in occasione della visita del presidente Mattarella alla comunità Papa Giovanni XXIII, bisogna constatare che il rischio è stato accuratamente evitato e il risultato è stato una pellicola godibile da tutti. Solo cose belle è un bel film, che si guarda con piacere, che emoziona, che coinvolge, che si presta a molte interpretazioni.

“Ho voluto raccontare – spiega il regista Kristian Gianfreda – l’impatto che più di vent’anni fa ha avuto su di me l’incontro con la realtà della casa famiglia. È stato come essere proiettati in Alice nel paese delle meraviglie, un mondo capovolto. I poveri, i disabili, gli emarginati, che a me evocavano solo depressione e tristezza, in quel luogo erano felici. Dove mai sono capitato? Che storia è questa? Cosa c’è dietro?”.

Gianfreda, 47 anni, padre di quattro figli (l’ultimo nato proprio al termine delle riprese del film), consigliere comunale, da anni si cimenta con il linguaggio delle immagini. Da quando, causa matrimonio, dovette lasciare la responsabilità della Capanna di Betlemme (la casa dove sono accolti barboni e senza tetto) e don Oreste Benzigli disse che per lui vedeva quella professione. Anche in questo caso il sacerdote aveva visto giusto. Forse già lo vedeva nei panni del regista che racconta la casa famiglia, l’esperienza più originale uscita dalla sua creativa carità. Spesso la si confonde con altre strutture di accoglienza, che ne conservano il nome ma non lo spirito e il metodo “inventati” dal sacerdote con la tonaca lisa. Il punto fondante della casa famiglia “made in Benzi” è il fatto di essere una famiglia, con due genitori, che accolgono non solo i propri figli ma anche quelli generati da altri, pure se non sono belli, sani, intelligenti o non hanno la fedina penale immacolata.

“Abbiamo scelto il tema della casa famiglia – racconta Gianfreda - perché ci sembrava la realtà che meglio rappresentasse il mondo che l’ha generata. Era emersa anche la proposta di fare un film su don Oreste, ma io mi sono opposto fermamente, non mi sentivo pronto. Anche se il don, in un certo senso, è dentro ogni scena del film dalla prima all’ultima. Finora ho girato soprattutto documentari su temi sociali ma mi sono accorto che, anche quando passano in Rai, parlano ad un pubblico ristretto, a chi è già interessato. Quello del film, raccontare una storia bella e interessante, è invece un linguaggio universale che parla a tutti, soprattutto se riesci ad emozionare chi guarda”. Il regista racconta di aver ricevuto, durante la lavorazione, molte critiche dagli amici della comunità, che non capivano la differenza di linguaggio fra un documentario e un film e volevano che “spiegasse” di più, in modo diretto e didattico, cosa è una casa famiglia. Gianfreda ha saputo resistere alle pressioni e i critici di un tempo si sono uniti ora all’applauso generale.

L’altra scelta importante è stata il genere: un film drammatico o una commedia? La scelta è caduta sulla commedia, genere che ha il pregio di compensare con leggerezza l’inevitabile pesantezza che certi temi sociali inevitabilmente producono. La storia racconta l’impatto traumatico che l’apertura di una casa famiglia provoca nella vita di un paese dell’entroterra, San Giovanni Marignano, dove, come in ogni altra parte d’Italia sono radicati i pregiudizi nei confronti dei disabili e degli emarginati. Alla sceneggiatura hanno lavorato, oltre a Gianfreda, anche persone del calibro di Andrea Valagussa (Don Matteo, La strada di casa). Il punto di vista esterno, l’Alice nel paese delle meraviglie, è Benedetta, la figlia del sindaco, che mal sopporta gli schemi borghesi e perbenisti dell’educazione impartita in famiglia. Nella casa famiglia incontra, oltre a un papà e una mamma, un extracomunitario appena sbarcato, una ex-prostituta, due ragazzi con gravi disabilità, e Kevin, un giovane carcerato in affido. Accanto agli attori professionisti, anche due disabili realmente ospiti di una casa famiglia, e centinaia di comparse. “La conoscenza ravvicinata del mondo della disabilità – spiega Gianfreda – mi ha permesso di raccontarla con ironia, usando anche uno sguardo politicamente scorretto. Le due persone che hanno recitato, pur nella semplicità del loro pensiero, erano consapevoli che stavano facendo gli attori. Questo per me è molto importante. Erano talmente consapevoli che studiavano il copione e si arrabbiavano, come gli altri, quando cambiavo una battuta.”

Senza rivelare nulla della trama, si può però dire che la storia non ha un lieto fine, anche se non si deve credere che dopo tutte le vicende i protagonisti non siano cambiati. Però l’esito non è scontato, all’apparenza siamo di fronte ad un fallimento. “Più che una trovata narrativa –afferma Gianfreda – quel finale era già scritto fin dall’inizio, fin dal momento in cui abbiamo pensato a questa storia. Nella casa famiglia confluiscono persone imperfette, sbagliate, a partire dagli stessi genitori. Una casa famiglia è piena di cose brutte, se si guarda al vissuto di chi vi appartiene. Però tutti stanno insieme e vanno avanti, facendo tesoro di ogni esperienza, insieme imparano a guardare agli altri e al futuro con fede e/o con fiducia”. Il titolo Solo cose belle viene dalla frase che Ciccio, il ragazzo disabile protagonista (ormai una star che ha ricevuto anche l’omaggio di Mattarella) pronuncia quando tutto sembra crollare: “Da quando sono qui, ho vissuto solo cose belle”.

Nel 2019 il film uscirà nelle sale, Gianfreda è ancora alla ricerca del distributore che voglia scommetterci. Poi metterà mano a qualche altro progetto. Adesso che la prova del film è riuscita, non gli dispiacerebbe cimentarsi su don Oreste Benzi. “Si potrebbero raccontare gli ultimi quaranta giorni, c’è tutta la sua vita in quel periodo”. Gli ultimi 40 giorni di don Benzi, come titolo potrebbe funzionare.

Valerio Lessi

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