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Su un discorso del papa e la storia recente della chiesa riminese

Mercoledì, 18 Novembre 2015

2bSu un discorso del papa e la storia recente della chiesa riminese

 

 

Papa Francesco a Firenze ha recentemente chiesto alla Chiesa italiana di essere una Chiesa “libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa”. E per ribadire il concetto ha usato molti argomenti (qui l’intervento completo).

 

Che impatto ha avuto questo richiamo in chi vive la concretezza dell’impegno pastorale in mezzo al popolo cristiano? Costituiscono parole già conosciute e digerite o chiedono un cambiamento? Ne parliamo con due sacerdoti riminesi, don Mario Vannini, parroco di San Giuseppe al Porto, e don Roberto Battaglia, parroco a Montescudo e assistente diocesano di Comunione e Liberazione.

 

Don Vannini parte osservando che il discorso del papa è stato letto da molti osservatori come un intervento di rottura rispetto alle indicazioni che ai vescovi italiani erano arrivate dai pontificati precedenti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sarebbe, secondo questa interpretazione, una sottolineatura della spiritualità rispetto ad una precedente insistenza sulla presenza in campo culturale e sociale. Una lettura che don Mario Vannini non condivide. “A me sembra che l’insistenza di Francesco sia sulla centralità di Gesù Cristo come punto fondamentale su cui misurare la presenza cristiana nel mondo. Se si coglie questo come un richiamo spirituale o come una rottura rispetto alla storia precedente, significa che si è sbilanciati. Il suo è invece un richiamo all’essenziale, a ciò da cui partire per costruire un reale umanesimo cristiano”.

 

“Ed è un richiamo – aggiunge don Battaglia – che chiede a tutti di cambiare. Il suo approccio sfugge continuamente ai tentativi di volerlo fare rientrare nelle consuete categorie, che si usano per difendersi o per impossessarsi di quanto dice. È un cambiamento reale, che chiede una conversione del cuore, non si può ridurlo al mutamento di una linea rispetto ad un’altra. Dottrina e pastorale, spiritualità e missione, rigore teologico e operatività concreta sono uniti dall’urgenza di guardare a Cristo e lasciarsi guardare da Lui. È questa la realtà da cui partire rispetto ai progetti pastorali astratti, costruiti a tavolino, o rispetto alle astratte formulazioni dottrinali. Francesco dice che la dottrina è Gesù Cristo. Ed usa un’espressione che riecheggia un’affermazione di Benedetto XVI. A Firenze Francesco ha osservato che “una Chiesa che pensa a se stessa e ai propri interessi sarebbe triste”; allo stesso modo Benedetto ebbe a dire che “una Chiesa che parla di se stessanon è interessante per l’uomo”. C’è quindi una nota comune, contro ogni ecclesiocentrismo, verso la quale purtroppo a volte si resiste. L’autentica dottrina non è l’affermazione delle verità su Cristo, ma il riaccadere dell’avvenimento di Cristo”.

 

La conversazione si intreccia senza il bisogno di porgere specifiche domande. Don Vannini si inserisce osservando che spesso “L’insistenza sulla centralità di Gesù Cristo viene colta come un disprezzo per i piani pastorali ed i problemi concreti. Non mi pare si possa accusare Francesco di questo. Lui ci richiama al fatto che se non si parte da Gesù Cristo si rischia di vivere tutto il resto in modo dualistico, utilizzando altri criteri quando si tratta di entrare nel vivo delle questioni. Alla domanda cosa dobbiamo fare, risponde che dobbiamo pensarci noi, e non perché inviti ciascuno a fare come crede. Se Cristo è il tuo criterio di impatto con la realtà, il resto poi viene di conseguenza”.

Secondo don Roberto Battaglia l’invito del papa è non acquietarsi in nessuna forma, sempre pronti a cambiare, a dialogare, ad ascoltare tutti. E mette in evidenza un punto del discorso di Francesco che è in effetti una novità mai vista prima. “Indica come strumento di lavoro per le diocesi, le parrocchie, le comunità, la sua Evangelii Gaudium. È un documento su cui tutti siamo invitati a fare i conti. Ha usato parole che ci fanno capire che forse ancora non lo abbiamo preso sul serio”.

 

Ascoltando i due sacerdoti viene da pensare che di fronte a papa Francesco le consuete categorie progressisti/conservatori usate per classificare le posizioni nella Chiesa hanno davvero fatto il loro tempo. Don Vannini, per ragioni anagrafiche, ha vissuto quegli anni di tensioni, anche a livello locale. “Sì, Francesco brucia in un solo colpo queste classificazioni. Se c’è una distinzione che emerge dalla sua posizione è semmai fra chi scommette sulla centralità di Cristo e chi, dando per scontato questo punto di partenza, si affanna a cercare subito le implicazioni per la linea pastorale”. Su questo don Battaglia aggiunge: “A volte si è aggrappati ai vecchi schemi come i giapponesi nella giungla alla fine della guerra. Con Francesco c’è il superamento dei dibattiti intraecclesiali e di ogni atteggiamento autoreferenziale”.

 

Don Vannini mette in evidenza la convenienza umana di questa novità: “Se il punto di partenza è la mia conversione a Cristo, di fronte ai problemi della realtà mi giocherò con libertà, con pazienza, ritrovando nelle circostanze della vita la Presenza decisiva per me e per gli altri. So che il punto di partenza non è un frenetico attivismo, ma la bellezza che scopro nella vita seguendo Gesù. E questo diventa anche più efficace dal punto di vista pastorale: le persone sono colpite da qualcosa di bello che poi investe tutta la vita. Devo però riconoscere che anche fra noi preti e nelle nostre comunità spesso è proprio questo il punto di difficoltà maggiore”.

 

Nel discorso del Papa c’è il richiamo a due possibili tentazioni, il pelagianesimo e lo gnosticismo, che probabilmente sono suonate “strane” alla maggior parte degli osservatori. Ma chi ha vissuto l’esperienza di CL nei decenni passati, ricorderà che erano stati due bersagli polemici del settimanale Il Sabato, che aveva il suo punto di riferimento in don Giacomo Tantardini, un sacerdote legato da rapporti di amicizia con il cardinale Bergoglio. Che impressione ha fatto questo “ritorno”? “Il papa mette in guardia dal pelagianesimo non perché non creda nell’utilità delle norme o delle istituzioni, ma perché vede che spesso c’è un passaggio troppo frettoloso verso lo sforzo etico che l’uomo da solo può mettere in campo. E lo gnosticismo mi ricorda la polemica sul Cristo “incartato” (la mole di documenti su tutto) al posto del Cristo incarnato: Francesco ripete che di Cristo bisogna fare esperienza, non discorsi. Sottolinea che lui ci primerear, ci precede in ogni circostanza della vita”. Aggiunge don Battaglia: “Ha indicato due tentazioni attuali del cristianesimo, trasversali rispetto ai presunti schieramenti individuati dalla stampa: quella di difendere la fede da un mondo ritenuto ostile con un’astratta dottrina e quello di affidare la riforma della Chiesa al cambiamento delle strutture. Affermando che l'essenziale è Cristo il Papa ha negli occhi la Sua umanità concreta, per questo mi provoca a riconoscere lo sguardo di Gesù nella carne di chi incontro, dal povero o da chi è ferito, che grida un bisogno che è anche il mio, fino al volto dei ragazzi a scuola o dei parrocchiani. È solo da questo riconoscimento che posso guardare con tenerezza a me stesso e, quando e come Dio vuole, sperimentare una fecondità nel ministero”.

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