Scrivi qui la tua mail
e premi Invio per ricevere gratuitamente ogni mattina la nostra rassegna stampa

Loris Stecca: "Sono ancora un uomo". La fede e il perdono

Giovedì, 26 Luglio 2018

“Sono uomini anche loro e io sono ancora un uomo”, commenta Loris Stecca quando è in questura, in manette, e qualche poliziotto gli manifesta solidarietà con qualche gesto e qualche occhiata sottobanco.

Il libro che ha scritto insieme a Fabio De Santis, dirigente di IEG (No Mas – La mia vita, edizioni Ultrasport) può essere letto come l’ostinato tentativo di testimoniare a se stesso e agli altri di essere rimasto innanzitutto un uomo.

La traiettoria della vita di Loris Stecca ricalca quelli di altri campioni: origini modeste, la stella del successo che comincia a brillare, la stessa stella che si appanna, la discesa negli inferi della disperazione, fino al tentativo di farla finita una volta per tutte. Poteva bastare, ma nel suo destino (lui si è riconciliato così con il suo turbolento passato con l’idea di destino) mancava ancora all’appuntamento l’accoltellamento dell’ex socia che gli ha aperto le porte del carcere, che nel libro lui chiama ironicamente “collegio” o più seriamente “casa di ladri, di infami e di assassini”. Un destino amaro, simile a quello di altri campioni, ma la vita di un uomo è sempre unica e irripetibile.

In quella di Stecca trova posto anche l’imprevisto, che non sempre presenta un volto buono, ma qualche volta sì. Non è stato un imprevisto desiderabile quel black out elettrico che l’8 dicembre 1985 ha interrotto per qualche minuto il combattimento di rivincita con Victor Callejas, al palazzetto dello sport di Rimini, per il titolo di campione del mondo supergallo WBA. Non fosse venuta meno la luce, forse ce l’avrebbe fatta. Senza il black out, l’avversario non avrebbe avuto la possibilità di riprendersi. Lo conferma anche il maestro Elio Ghelfi, intervenuto pure alla presentazione del libro, da Feltrinelli. Storia passata, e la storia non si fa con i se.

È un imprevisto di altro genere, ha il volto di un destino che si fa buono, la rinascita a nuova vita avvenuta grazie al perdono di sua moglie Fiammetta e dei figli. Loris dice che il merito della rinascita è tutto loro e aggiunge “io non sarei stato capace, io non ce l’avrei fatta a perdonare”. Perché lui lo sa quante sofferenze ha procurato, quante lacrime ha fatto versare. “Le dicevano – racconta – cosa fai ancora con lui, divorzia, scappa via. Io lo amo e rimango, rispondeva”. E tutti i sabati visita in carcere e biancheria pulita. Ora, anche se ci sono i conti con la giustizia da saldare, guarda con fiducia al futuro, certo che camperà fino a centocinque anni, quindi ha tutta una vita davanti.

L’idea di destino che professa Stecca avrebbe un carattere di cieca ineluttabilità se non fosse sostenuta da una fede che l’esperienza del carcere e l’incontro con il cappellano, don Nevio Faitanini, hanno portato in luce. In carcere la prima ora d’aria è dedicata alla preghiera, sotto gli sguardi cinici e strafottenti dei compagni di sventura. “Sono convinto che credere - scrive nel libro - non sia adorazione cieca, ma compiere il destino che ti è stato assegnato nel migliore dei modi. E siccome quando nasci tutto è scritto, ma la fregatura è che non ti consegnano il libro con la storia della tua vita, il Padreterno è la lanterna che illumina ogni tanto le pagine e ti rende consapevole della strada che hai fatto e che dovrai fare”.

Loris Stecca ha scritto, da pugile, una delle più belle storie dello sport locale e nazionale. Chi non si è esaltato ed emozionato in quel lontano 1984 seguendo la favola reale dei fratelli Loris e Icio Stecca, il primo campione del mondo supergallo, il secondo campione olimpico a Los Angeles? Rimini e i suoi fratelli campioni di pugilato in prima pagina. Io stesso, alle prime armi della professione, intervistai Loris per il settimanale Il Sabato mentre si preparava a Portorico al primo incontro con Victor Callejas. Era un settimanale che si occupava soprattutto di questioni sociali, culturali e politiche, ma la favola bella di Loris Stecca meritava di essere raccontata.

Chi, in quei mitici anni Ottanta, non conosceva la storia di quella palestra, la Libertas, sotto gli spalti del Romeo Neri, e del suo nume tutelare, Elio Ghelfi? Loris ci arrivò perché voleva dimagrire per far meglio colpo sulle ragazze, e subito imparò che al padrone di casa ci si rivolgeva con il titolo di “maestro”. Uno strano ambiente, dove tutte le puzze si mescolano, dal sudore alla canfora, una scuola di formazione umana e sportiva con leggi proprie, dove a decidere che era arrivato il momento di sposarsi era lui, il maestro Ghelfi.

Gli allenamenti, pensati solo per perdere peso, ebbero un seguito: campione italiano fra i dilettanti per i piuma, professionista nel 1980, campione nazionale nel 1981, europeo nel 1983.

Nel 1984 a Milano l’epico incontro con Leo Cruz per il titolo di campione del mondo supergallo. In quell’occasione Cruz disse la farse “No Mas”, ora basta, che gli valse il titolo e che ha dato il titolo al libro. Poi arrivarono le due sfide con Callejas che lo portarono a ritirarsi dalla boxe.

Nel 2005 a Rimini ci fu la grane rimpatriata: Callejas venne a Rimini, 21 anni dopo, a trovare l’amico-avversario. Loris lo andò a prendere in stazione (“Lo vidi triste, goffo, ingrassato”) e lo portò alla darsena, dove lavorava. Un lungo e affettuoso abbraccio divenne quasi l’icona della noble art dove ai pugni feroci si accompagna il rispetto.

Per Loris quelli erano finalmente giorni sereni. Altre pagine dure della sua vita personale ancora lo attendevano. Ma ora “No Mas”, ora basta, è cominciata un’altra vita.

Valerio Lessi


Le vostre foto

Rimini by @lisaram, foto vincitrice del 15 febbraio

#bgRimini

Le nostre città con gli occhi di chi le vive. Voi scattate e taggate, noi pubblichiamo. Tutto alla maniera di Instagram