La riserva è stta sciolta: Domenico Samorani, responsabile della senologia all'ospedale Franchini, sarà candidato sindaco a Santarcangelo, sostenuto dai partiti di centrodestra e da una sua lista civica.

Sabato 10 febbraio all'Horel della Porta ci sarà la presentazione ufficiale "del suo progetto di rinnovamento per la città e del suo forte desiderio di prendersi cura di tutte le persone e del territorio di Santarcangelo di Romagna".

Chi sarà alle prossime elezioni il successore di Enzo Ceccarelli alla guida del comune di Bellaria Igea Marina? Nella coalizione di centrodestra, di cui Ceccarelli è stato il leader in questi anni, si parla di un confronto acceso fra Filippo Giorgetti (Forza in Italia) e Michele Neri (centristi). “Sciocchezze, – replica Ceccarelli – nella nostra coalizione sono almeno tre le persone che possono aspirare all’incarico. Oltre ai due indicati, c’è anche Gianni Giovanardi. E c’è una società civile, vicino alla nostra amministrazione, che pure potrebbe esprimere un’ottima candidatura”. Sempre che il centrodestra riconquisti il Comune, a sinistra si parla di una candidatura di Marco Borroni. “Neanche Borroni – afferma sicuro il sindaco – può metterci in difficoltà se la nostra coalizione rimane unita”.

Bellaria Igea Marina è stato il primo comune, non solo in provincia ma in Romagna, a cambiare colore. Era il 2009, da un punto di vista politico quasi un’era geologica fa. “Abbiamo vinto perché si è diffuso il pensiero che si poteva cambiare senza che il mondo crollasse. Bellaria Igea Marina ha cambiato e si è visto che il mondo andava avanti. Ragione per cui ci sono state svolte anche in altri Comuni. Così noi siamo diventati un punto di riferimento per le nuove amministrazioni, mentre io al primo mandato non avevo nessuno”.

A dire il vero in questa seconda legislatura Ceccarelli è apparso meno attivo sulla scena provinciale, il ruolo di leader del centrodestra è stato assunto dal sindaco di Riccione Renata Tosi. “Nel secondo mandato – spiega Ceccarelli – ho avuto gravi problemi di salute, tanto da farmi sorgere il pensiero di interrompere. Fortunatamente adesso sono superati. Sono ancora consigliere di Destinazione Romagna, un incarico a cui tengo perché credo che la Romagna debba lavorare insieme per competere sul mercato turistico. Ho invece rallentato la presenza politica perché al primo posto ho messo l’impegno per Bellaria, rinunciando anche a proposta di candidature alle elezioni del 4 marzo scorso”.

Cosa è cambiato a Bellaria da quando Ceccarelli è sindaco?

“Il mio mandato ha coinciso con i dieci anni peggiori. Ho cominciato con il periodo della grande crisi. I tagli alle amministrazioni locali sono stati ciò che univa i vari governi che si sono succeduti. Questi governi hanno inoltre introdotto riforme che hanno cambiato modo di fare amministrazione, io non riconosco più lo stesso comune che avevo nel primo mandato. È cambiato il modo di fare i bilanci, i bandi, le gare, i lavori pubblici. Cambiamenti che hanno comportato un grosso lavoro di adeguamento da parte della macchina comunale. Le riforme hanno peggiorato la burocrazia”.

Hanno quindi ragione coloro che parlano di una città al palo, senza investimenti, con una crisi nelle presenze turistiche?

“E’ una lettura che non sta in piedi. Noi abbiamo permesso agli alberghi di poter effettuare ristrutturazioni radiali, di oltre un milione di euro. Pensioncine che erano aperte solo tre mesi in estate, adesso sono alberghi che possono essere aperti tutto l’anno e intercettare il turismo fieristico e congressuale. Questo processo ha rimesso in moto l’edilizia e tutti gli artigiani dell’indotto. Siamo riusciti in questo risultato perché abbiamo introdotto norme snellenti, come l’obbligo di dare una risposta entro sessanta giorni. Hanno cominciato i primi alberghi e, per spirito di imitazione, ne sono seguiti altri. Da 15/20 alberghi siamo passati ad averne un centinaio pronti ad aprire se a Rimini c’è il Sigep o c’è un evento nel nostro Palacongressi”.

Però lungo il 2018 Bellaria aveva sempre i dati sulle presenze turistiche in negativo…

“Il confronto bisogna farlo sul lungo periodo. Dal 2009 ad oggi le presenze sono aumentate. Nel 2018 ci sono stati due problemi. Il primo, gli errori della piattaforma per cui gli alberghi non riuscivano a trasmettere i dati. Secondo, nei primi mesi del 2017, avevamo avuti alcuni eventi eccezionali che avevano riempito gli alberghi. Il consuntivo finale è stato comunque positivo, tenuto conto che per noi il 2017 era stato un anno di crescita record”.

Chi vi accusa di essere fermi al palo, aggiunge che non ci sono investimenti, non avete un’idea dello sviluppo della città.

“In dieci anni in opere pubbliche abbiamo speso 70 milioni di euro che per un comune dalle dimensioni di Bellaria non sono pochi. Avevamo ereditato un conflitto con chi doveva realizzare la darsena, la ditta aveva in mano la concessione ma non le risorse per realizzarla. Abbiamo dovuto risolvere il contratto, andare in tribunale. Adesso siamo nelle condizioni di rilasciare una nuova concessione per il porto turistico. Noi crediamo che quell’area sia centrale per lo sviluppo della città e per mettere in relazione Igea con Bellaria. A partire da questa idea abbiamo pensato ad una serie di interventi, alcuni già realizzati, altri da portare a termine. Abbiamo acquisito al patrimonio comunale il Palazzo dei Congressi di Veleno Foschi, che altrimenti sarebbe finito nel degrado come altri beni di quell’imprenditore. Siamo intervenuti sulla zona delle colonie con norme nuove e demolendo molti ruderi. Oggi gli imprenditori hanno la possibilità di trasferire a monte le cubature e, se non in prima linea, possono anche realizzare residenze turistiche. Nell’area delle colonie si potranno fare non alberghi ma strutture per il turismo verde, campeggi, bungalow, villaggi turistici. Un tipo di vacanza molto richiesto dia turisti del nord Europa”.

La sua opposizione però continua a picchiare duro…

“Spesso è una opposizione basata sulle illazioni e sugli esposti, senza rispetto non tanto per me ma per la carica istituzionale”.

C’è qualcosa che non è riuscito a realizzare e che lascia come eredità al suo successore?

“Volevo realizzare un istituto scolastico a Bordonchio, vicino alla piscina, il progetto era pronto ma è saltato per la crisi dell’edilizia perché era legato ad un progetto edilizio. Nel prossimo mandato si potrà fare, vendendo molte vecchie strutture che abbiamo nel centro del paese. La prossima amministrazione dovrà decidere cosa fare della vecchia fornace, un bene che abbiamo acquisito con appena 350 mila euro. Dispone di una vasto parco che subito sistemeremo ma resta da decidere cosa fare del manufatto”.

Bellaria è ancora l’unico comune della Riviera senza imposta di soggiorno?

“Sì e la ritengo una scelta ancora valida. Con l’imposta potremmo riscuotere circa un milione e mezzo. Ho visto che le stesse risorse potevano entrare con l'aumento di un punto l’Ici-Imu. È un’entrata sempre sicura, immediatamente spendibile, mentre l’imposta di soggiorno prima deve essere incassata. Tassando i muri, tutti quelli che fanno turismo contribuiscono, senza bisogno che li vada controllare”.

Il sindaco e presidente della Provincia di Vicenza Francesco Rucco ha nominato il secondo consigliere che gli spetta nel consiglio d'amministrazione di IEG. Si tratta dell'avvocato Fabio sebastiano, che assumerà anche l'incarico di vice presidente. Sebastiano, 45 anni, laureato in Giurisprudenza all’Università di Ferrara, socio e fondatore di uno studio legale, è stato scelto in seguito ad un bando pubblico. In suo favoro hanno contato le competenze nel diritto societario, commerciale, fallimentare, bancario e finanziario.

“Caratteristiche queste che ci hanno convinto della bontà della nostra scelta, – ha dichiarato il sindaco Rucco – ritenendo che una competenza specifica nell’ambito legale, e in particolare di quello che oggi sempre più spesso di definisce il diritto degli affari, sia imprescindibile per condurre una realtà imprenditoriale come Ieg, che presenta anche complicate sfaccettature di diritto societario, e che deve confrontarsi con un mercato internazionale fortemente competitivo. Il radicamento sul territorio, poi, è il valore aggiunto, poiché occorre rafforzare l’identità vicentina all’interno del Gruppo IEG”.

“Non vi è dubbio che occorra subito lavorare bene su Vicenza, anche perché, così facendo, si persegue l’interesse dell’intero Gruppo, che non è incompatibile con quello di Vicenza, anzi – ha dichiarato l’avvocato Sebastiano – è questo lo spirito con cui affronto questo incarico, un onore di cui ringrazio il sindaco Rucco; certo anche un onere, visto che non intendo deludere le aspettative del territorio. Già da martedi sarò al lavoro a Rimini e poi a Vicenza, poiché intendo subito prendere contatti con i rappresentanti delle categorie dato che il momento è cruciale e occorre sin da subito capire la questione degli investimenti, da dove prendere la finanza e come utilizzarla.”

Un sacerdote, don Carlo d’Imporzano, da anni in Cina, che dirige una onlus che coordina progetti sociali di sviluppo in diversi Paesi, progetti che hanno come protagonisti gli stessi beneficiari. Insieme a lui un secondo sacerdote, don Adamo Affri, cappellano nel carcere di Piacenza, responsabile della comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini. Sono i protagonisti dell’incontro sul tema “Identità. Nel dialogo, chi siamo” organizzato dal centro culturale Il Portico del Vasaio per martedì 5 febbraio alle ore 21,15 al Teatro degli Atti di Rimini.

L’incontro è il primo di un ciclo dedicato a “Le parole che dividono”, cioè le parole sul cui significato esiste un dibattito culturale particolarmente acceso. Le parole individuate sono popolo, tradizione, paura e, per l’incontro di martedì 5 febbraio, identità.

I due relatori sono entrambi impegnati in situazioni (la Cina, il carcere) dove l’incontro con la diversità umana, sociale e culturale è esperienza quotidiana. A loro sarà chiesto di raccontare come l’incontro con un altro così diverso da noi può diventare l’occasione per scoprire chi siamo e cosa siamo chiamati ad essere nel mondo.

Nella consapevolezza, come dice papa Francesco, che l’identità “non è un dato che viene stabilito, non è un numero di fabbrica, non è un'informazione che posso cercare su Internet per sapere chi sono” e che “Non siamo qualcosa di totalmente definito, stabilito. Siamo in cammino, siamo in crescita”.

Don Carlo d'Imporzano è nato a Milano nel 1945. Laureato in matematica nel 1969 e licenziato in teologia nel 1970, ha svolto attività di docenza universitaria in Italia e all’estero, di ricerca con il CNR, è stato Presidente dell'Università EUROCOL di Bogotà - la prima Università Interattiva via videoconferenza per le fasce più povere della popolazione colombiana.

Nel 1994 fonda la Fondazione Monserrate che realizza progetti sociali, sanitari, educativi e di alta formazione in Europa, Asia e America Latina per la quale è responsabile dei progetti internazionali e Chief Representative in Cina, dove risiede dal 2003.

Don Adamo Affri, 50 anni, originario di Crema, è un sacerdote che ha scoperto la propria vocazione sacerdotale vivendo in una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, dove tuttora abita. Ordinato sacerdote a 40 anni, svolge il proprio ministero fra i detenuti del carcere di Piacenza. È anche responsabile della comunità riminese della Papa Giovanni XXIII.

 

Quando è in visita ai detenuti del carcere di Piacenza, don Adamo Affri risponde sbrigativamente che è “dentro”. Gli chiediamo: cosa succede dentro?

“Dentro di me o dentro il carcere?”.

Cominciamo da cosa succede in carcere.

“Quando sono partito avevo mille paure, non sapevo bene cosa fare. Poi ho scoperto che le persone mi chiedono di esprimere ciò che sono, un sacerdote. Quindi quando sono in carcere celebro la Messa, tengo incontri di catechesi, incontro le persone a tu per tu. Mi cercano, mi vogliono incontrare. Quindi più sto dentro, più mi trovo occupato. Non ci sono solo i detenuti, ma anche le guardie. Prendiamo un caffè insieme, scambiamo qualche parola, a volte mi invitano nelle loro famiglie. Mi sono guadagnato la loro fiducia. È come se fossi parroco di un villaggio”.

E dentro di lei cosa è successo?

“Dentro di me sono cambiate tante cose. All’inizio pensavo di non essere all’altezza. Mi ponevo molte domande: cosa posso portare io a loro? come posso essere credibile ai loro occhi, io che entro ma poi esco? Poi ho scoperto che loro desiderano semplicemente che ci sia qualcuno che condivide la vita. Se prima avvertivo paura e smarrimento di fronte a quei corridoi, di fronte ai cancelli, ai forti rumori metallici, adesso quel luogo mi è diventato famigliare. Dentro il carcere trovi tante persone diverse, per lingua, cultura, religione, però scopri che in tutti c’è lo stesso anelito, la stessa ricerca di un significato per la vita. Nel partecipare al loro cambiamento, alle loro speranze, anche io mi sono ritrovato cambiato, partecipe di un cammino di liberazione. Loro si atteggiano nei miei confronti in modo molto libero, non hanno da nascondere nulla, hanno perso tutto. Anche io mi sento provocato a gettare via le mie maschere e trovo molta libertà, molta pace, molta serenità”.

Don Adamo oltre che cappellano nel carcere di Piacenza, è anche il responsabile a Rimini della Comunità Papa Giovanni XXIII. La settimana la trascorre fra visite in carcere e incontri a Rimini. Don Adamo sarà uno dei relatori al primo incontro del ciclo che il centro culturale Il Portico del Vasaio dedica a “Le parole che dividono”. L’altro è don Carlo d’Imporzano, della Fondazione Monserrate, da anni in Cina per sviluppare rapporti di cooperazione internazionale. Il primo appuntamento è per martedì 5 febbraio alle 21,15 al Teatro degli Atti sul tema “Identità. Nel dialogo, chi siamo”.

Don Adamo, lei cosa ha scoperto nel dialogo con i detenuti che incontra nel carcere di Piacenza?

“Ho scoperto tante cose belle che nemmeno pensavo. Ho scoperto il senso dell’appartenenza, che tutti ci apparteniamo, perché in tutti noi c’è la stessa sorgente, lo stesso desiderio di essere umani. I detenuti mi coinvolgono nelle loro vicende; tuttavia, nel rapporto con loro, i reati, anche quelli più gravi, passano immediatamente sullo sfondo. Davvero l’uomo è più del suo errore”.

Accennava prima che in carcere si incontra tanta diversità…

“Sì, anche perché i detenuti sono soprattutto stranieri. Molti sono musulmani, ci sono diversi ortodossi, rumeni, e ci sono gli albanesi, che sono niente e sono tutto. Arrivano con il loro bagaglio e sono aperti a tutto. Nel rapporto con i musulmani c’è la consapevolezza che le differenze sono originalità. Per cui non c’è competizione ma rispetto per l’altro. Quando qualche detenuto fa la spesa e mi passa dei viveri da donare ai poveri, non mi dicono di darli a quelli della loro etnia o religione. Mi chiedono semplicemente di darli a chi ha bisogno”.

Noi che siamo fuori, istintivamente abbiamo paura e diffidenza di chi sta dentro. Cosa permette di superare la paura?

“E’ l’incontro. L’incontro abbatte tutti gli ostacoli, ha una forza incredibile. Capita a volte che arrivino gli autori di reati gravissimi, che istintivamente non avrei voglia di incontrare. Ma quando faccio il passo di andare da loro, crollano tutte le paure”.

L’incontro con l’altro aiuta a scoprire la propria identità?

“Sì, certo, e questo avviene in un cammino. Questo lo vedo molto nella mia esperienza. Scopro di me aspetti nuovi, anche limiti, non solo risorse. Così come vedo che quando l’altro è guardato in un certo modo, quando si accorge che è considerato come persona e non identificato con i suoi reati, scopre anche lui la sua umanità. I detenuti tendono a identificarsi con la loro storia, che rifiutano. Il cambiamento avviene quando scoprono che anch’essi sono amabili. Quando li incontro non chiedo cosa hanno fatto o di che religione sono. In loro incontro Gesù, Gesù che si è incarnato nella nostra umanità”.

Come è avvenuto l’incontro con la Comunità Papa Giovanni XXIII?

“Ero un giovane alla ricerca di qualcosa per cui valesse la pena vivere. L’incontro con un fratello della comunità mi ha portato a vivere in una casa famiglia. Dovevo starci sei mesi, invece sono passati diciotto anni e sono ancora nella casa famiglia Vivendo lì, ho scoperto la mia vocazione, per cui all’età di quarant’anni sono diventato prete. Quest’anno è il decimo anniversario della mia ordinazione. Nella condivisione dei poveri, ho scoperto la mia identità, cosa ero chiamato ad essere nel mondo”.

Come può accadere?

“Si tratta non solo di vivere per i poveri, ma di farsi povero. Papa Francesco dice di volere non solo una Chiesa per i poveri ma una Chiesa povera. Se anche tu non diventi povero, non capisci chi sei”.

Che significa diventare povero?

“Significa riconoscere che solo dal Signore può venire la salvezza. Significa riconoscere di essere fragili, deboli, bisognosi di essere salvati. Questa salvezza avviene in un noi, nella Chiesa, nella comunità. Fuori da questo noi, non posso essere davvero me stesso. Quindi essere poveri significa lasciarsi guidare dallo Spirito Santo nel rapporto con il Signore e con la Chiesa. È un cammino stupendo, perché il Signore ha molta fantasia”.

Valerio Lessi

L’aspettativa della comunità Papa Giovanni XXIII e il desiderio di quanti sperano di vedere al più presto don Oreste Benzi salire alla gloria degli altari era che il processo diocesano si concludesse entro il 2018, in concomitanza del cinquantesimo anniversario di fondazione dell’Associazione. Così non è stato e si dovranno attendere ancora alcuni mesi: la previsione è che il processo possa concludersi prima dell’estate.

Le ragioni dell’allungamento dei tempi sono molteplici. Innanzitutto il gran numero di testimoni chiamati a deporre. La postulazione, rappresentata da Elisabetta Casadei, ne ha indicati un centinaio, altri sono stati chiamati d’ufficio dal tribunale, altri ancora sono stati indicati da alcuni testimoni come persone che potevano aggiungere particolari rilevanti. Al momento ne sono stati ascoltati 131, un numero importante che spesso non tutte le cause riescono a raggiungere. Nel corso dei suoi 82 anni di vita, don Oreste ha conosciuto centinaia e centinaia di persone, in tanti avrebbero potuto testimoniare la sua santità, evidentemente si sono scelti i soggetti che hanno avuto una più assidua frequentazione e l’hanno visto in azione in più di un’occasione.

Il desiderio che sia riconosciuta la santità di vita di don Benzi è molto diffuso nella Chiesa. La postulatrice Elisabetta Casadei ha raccolto in un volume di oltre 200 pagine le lettere che nel 2013, dopo la notizia di richiesta di apertura della causa, erano state inviate al vescovo di Rimini (lettere postulatorie) per sostenere l’avvio del processo. Quelle di cardinali e vescovi sono una quarantina e ci sono i nomi più noti, da Ruini e Bagnasco, da Scola a Tonini, da Sepe a Comastri, solo per citarne alcuni.

Il processo è cominciato con la seduta pubblica del 27 settembre 2014, quindi è in corso da più di quattro anni. L’ascolto di un testimone ha richiesto in media cinque mattinate. L’interrogatorio, chiamiamolo così, seguiva una traccia composta da 150 domande, coprendo tutta la vita di don Oreste, dall’infanzia fino agli ultimi giorni, e indagando soprattutto come nelle diverse circostanze avesse vissuto le virtù cristiane. Altre volte l’interrogatorio non ha seguito la traccia ma si è concentrato esclusivamente sugli aspetti della vita del sacerdote di cui la persona ascoltata è stata diretto testimone. Fra le persone chiamate a testimoniare, ci sono molti sconosciuti al pubblico, ma anche nomi ben noti, come per esempio, il cardinale Elio Sgreccia, al quale lo legava una fraterna amicizia, un prelato che don Benzi consultava speso sulle questioni etiche o quando doveva intervenire in televisione; il vescovo emerito di Rimini, Mariano De Nicolò, con il quale i rapporti non sempre sono stati facili; ex sindaci come Giuseppe Chicchi o professori universitari come Stefano Zamagni.

L’ultima ragione dei tempi lunghi è data dal fatto che i componenti del tribunale (don Giuseppe Tognacci, giudice delegato; padre Victorino Casas Llana, promotore di giustizia, il cosiddetto avvocato del diavolo; Alfio Rossi, notaio e Paolo Bonadonna, notaio aggiunto) hanno anche altri impegni e non hanno potuto dedicarsi a tempo pieno alla causa. In una recente intervista al mensile Sempre, dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, don Giusepep Tognacci ha risposto ad alcune domande su come il prete dalla tonaca lisa ha vissuto il suo stato di salute. “Dall’ascolto dei testimoni si può perfettamente ricostruire ed essere a piena conoscenza di tutta la parabola clinica di don Oreste, fino alla sua morte. Don Oreste era cosciente della sua condizione di salute, seria e meritoria di maggiori attenzioni e cure, ma per tutta la sua storia, ben consapevolmente, ha deciso di non fermarsi se non con la morte”. Don Tognacci si pone anche una domanda interessante: “questo sacerdote dalla vita così intensa, immersa nella profondità del vissuto degli uomini, con tutte le luci e le ombre, le comprensioni e incomprensioni che avrà dovuto vivere, la sequela alla sua proposta ma anche l’avversione e l’abbandono, con chi ha avuto la possibilità di raccontare se stesso nella profondità della sua anima di prete? Non solo essere guida e trascinatore, come è stato, ma poter raccontare di sé da fratello o magari anche da figlio”. Forse direttamente con il Padreterno, suggerisce l’intervistatrice. “Può essere…”, risponde don Tognacci.

Tornando al processo, gran parte del lavoro è stato compiuto ed ora siamo realmente alle ultime battute del processo diocesano. Quando tutti gli scatoloni saranno riempiti con le copie dei verbali e con tutti i documenti raccolti, ci sarà la cerimonia ufficiale di conclusione del processo diocesano.

Tutti gli atti saranno spediti a Roma alla Congregazione delle cause dei santi, che svolge una funzione di controllo e nomina un relatore. Successivamente, sarà redatto un corposo volume, chiamato Positio, nel quale sono riportati tutti i documenti storici e la narrazione delle virtù del Servo di Dio così come sono emerse dalle testimonianze. Sulla Positio dovrà poi pronunciarsi una commissione di nove teologici il cui parere favorevole è indispensabile perché il candidato sia dichiarato Venerabile. Perché sia proclamato beato è necessario il riconoscimento di un miracolo. La guarigione di un malato deve essere giudicata non spiegabile scientificamente da una commissione di cinque medici. Poi serve anche il parere di una commissione composta da teologici, vescovi e cardinali. Al momento ci sono molte segnalazioni di grazie ricevute, ma non proprio di un presunto miracolo. Qualora venisse segnalato, partirebbe un processo canonico specifico.

Certamente, e non è la prima volta che succede quando si tratta di un fondatore, arriverà prima al traguardo della beatificazione la figlia spirituale di don Benzi, Sandra Sabattini, già proclamata venerabile da papa Francesco. Una curiosità: il processo per don Oreste ha avuto inizio lo stesso giorno (27 settembre, ovviamente in due anni diversi) di quello di Sandra Sabattini, la “santa fidanzata”.

Sfogliando il volume che Cinzia Sartini ha curato sui “40 anni insieme ai poveri”, ovvero la storia della Caritas di Rimini, si ripercorrono gli ultimi quarant’anni di storia della nostra città da un punto di vista particolare, quello delle povertà, vecchie e nuove, che disegnano il panorama sociale. Sartini ha messo insieme tante notizie e un notevole repertorio fotografico che documentano come sia cresciuto e cambiato nel tempo questo servizio della Chiesa locale nei confronti dei poveri.

La Caritas prima non c’era, l’atto di nascita è il 25 gennaio 1978, per iniziativa del vescovo di Rimini Giovanni Locatelli. Il primo direttore è don Sisto Quinto Casadei Menghi, parroco di Sant’Agostino. La sede è in via Isotta, già ci sono i primi obiettori di coscienza, una presenza che sarà una costante, fino al 2004, anno di abolizione del servizio militare. La prima iniziativa è una raccolta di stracci, il cui ricavato deve servire a finanziare una Mensa della Fraternità, da realizzare nella parrocchia di San Giuliano. È la prima opera, alla quale in quarant’anni ne sono seguiti molte altre, fino all’ultima nata, l’ambulatorio “Nessuno escluso” per chi ha bisogno di assistenza sanitaria. In mezzo, una miriade di interventi per tossicodipendenti, senza tetto, disoccupati, profughi, immigrati, nomadi. È interessante come don Oreste Benzi, tra i promotori della Mensa di San Giuliano, ne delineava la fisionomia: “Non è una mensa dei poveri in cui ci si limita a sfamare chi non ha mezzo per vivere, è invece un ambito dove si allacciano rapporti validi con persone che ci si era ridotti a giudicare, discriminare, eliminare. Non è un’opera di pietà, ma un luogo di conversione”.

Lo stesso vescovo Francesco Lambiasi, nella prefazione, dopo aver rievocato tutta la creatività di Caritas (mense, centri di ascolto, fondo di solidarietà per il lavoro) così indica la prospettiva: “Non si è trattato solo di progetti, attività, iniziative, di cose fatte e da continuare a fare. Si è trattato di uno sguardo nuovo sulla realtà, di un rovesciamento di mentalità e di cultura: è il passaggio dalla beneficienza alla carità, dall’assistenza al coinvolgimento, dal fare per i poveri al fare con i poveri”.

Il volume è stato presentato questa mattina nella Sala Ressi del Teatro Galli, con l’intervento, oltre che del vescovo, dell’attuale direttore Mario Galasso, e degli ultimi tre direttori sacerdoti che si sono succeduti, don Pierpaolo Conti, don Luigi Ricci, don Renzo Gradara.

Nel libro sono ricordati tutti i principali avvenimenti della vita di Caritas; solo per citarne alcuni: la nascita della cooperativa Madonna della Carità, l’apertura del primo servizio immigrati nel 1994, il trasferimento, nel 2001, nell’attuale grande sede di via Madonna della Scala, il premio Sigismondo d’Oro ottenuto nel 2009 dal Comune di Rimini, le nuove sfide del decennio della grande crisi mondiale, i rapporti sulla povertà a Rimini stilati ogni anno a partire dal 2004. .

Nel corso dell’incontro l’attuale direttore Mario Galasso ha detto di desiderare, al posto dell’attuale grande mensa che serve 200 pasti, tante piccole mense parrocchiali, luoghi dove ci si possa guardare in faccia, intessere dei rapporti, dove ci si possa sedere intorno ad un tavolo tondo. Nell’introduzione al libro spiega che è questo il metodo che lui propone per la Caritas: “Dobbiamo anteporre sempre più e sempre meglio l’incontro e la relazione alle risposte materiali. Dobbiamo creare comunione e, attraverso il nostro esempio educare le nostre comunità ad accogliere, non è facile, è certamente più facile offrire una risposta concreta che ascoltare, lasciarsi interrogare, dare dignità a chi abbiamo di fronte”.

Toh, chi si rivede, Forza Italia! Una grande storia, un grande futuro, promette la diapositiva proiettato sul muro della Sala del Buonarrivo, dove Giulio Mignani, coordinatore del partito, ha convocato una conferenza stampa per presentare il nuovo direttivo provinciale. Il presente, invece, è ancora tutto da scoprire. Oggi è stato dato un segnale di vita. Il messaggio è: ci siamo, abbiamo anche i gilet azzurri con i quali domani saremmo in centro con il nostro bel banchetto anti-governativo, siamo pronti a sfidare la sinistra in tutti i 16 Comuni dove a maggio si voterà. È una ripartenza, dopo anni in cui il radar della politica locale faceva fatica ad intercettare segnali da Forza Italia.

Per il direttivo fresco di nomina i nomi, poco più di una ventina, sono stati scelti, comunica Mignani, con il criterio dell’usato sicuro. Amministratori di lungo corso, militanti fedeli, campioni delle preferenze. Ecco allora il senatore Antonio Barboni, che giusto un anno fa cominciava la campagna elettorale che l’ha portato a Roma, il vice coordinatore regionale Nicola Marcello, impegnato nello scouting per nuovi iscritti, il battagliero consigliere comunale di Rimini Carlo Rufo Spina, il presidente del consiglio comunale di Bellaria, Filippo Giorgetti, già assessore e probabile candidato a rilevare l’eredità di Enzo Ceccarelli.

Le buone notizie vengono da Marcello che racconta: “Se l’anno scorso avevamo 45 iscritti in tutta la regione, adesso sono 450, 250 dei quali in provincia di Rimini”. Se sono rose e fioriranno anche nelle urne, lo vedremo presto.

Forza Italia domani sarà in piazza per protestare contro il governo che non ha introdotto la flax tax ma il reddito di cittadinanza, che taglia le pensioni e blocca le grandi opere; nello stesso tempo continua a corteggiare la Lega, che ha l’ambizione di prenderne tutti i voti, perché capisca che il programma di centrodestra si realizza meglio con gli azzurri piuttosto che con il M5S. Dove può portare questo continuo inseguimento di Salvini? Barboni replica che in verità non c’è rincorsa, che bisogna ricordare che siamo un sistema elettorale di fatto proporzionale, che anche nella Prima Repubblica il Psi stava con la Dc a Roma e con il Pci nelle città. Il coordinatore Mignani sente l’obbligo di una precisazione: non ci saranno nella prossima tornata elettorale candidati sindaci imposti dalla Lega, come è avvenuto nel 2016 a Rimini dove Forza Italia, che candidava Barboni, ha dovuto ingoiare Marzio Pecci. Nei Comuni si dovrà scegliere il candidato migliore, quello capace di raccogliere più voti, specialmente nei paesi dove si vota con liste civiche senza simboli di partito.

A Santarcangelo Forza Italia appoggerà Domenico Samorani, a Bellaria Igea Marina il candidato è Filippo Giorgetti. Né l’uno né l’altro nome sono al momento ufficiali, solo ufficiosi. In tutti gli altri comuni si cercherà l’accordo fra tutte le forze di centrodestra (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia) e dei civici di area. “I rapporti personale coi dirigenti della Lega sono buoni”, assicura Mignani.

Il capogruppo Carlo Rufo Spina attacca Gnassi, Santi a Moretti per la “indecente difesa” che hanno diffuso a proposito delle dichiarazioni dell’ex vice presidente di IEG Matteo Marzotto. “La mancata quotazione in Borsa – afferma – avrà pesanti conseguenze sul destino della fiera e del territorio”. Il consigliere provinciale Walter Vicario sostiene che il presidente Riziero Santi usa la sua carica per fare campagna elettorale, e protesta perché non gli è stato consentito l’accesso agli atti a proposito della senologia di Santarcangelo. Il bellariese Filippo Giorgetti ricorda che nel 2014 nel voto europeo aveva vinto il Pd, mentre alle amministrative Ceccarelli aveva sfondato al primo turno. Messaggio: a livello locale i trend nazionali contano fino a un certo punto, gli elettori guardano alle persone del territorio. Un “mantra” sul quale i ritornati dirigenti azzurri fanno molto affidamento.

Questi tutti i nomi del nuovo direttivo provinciale:

Nicola Marcello - Vice Coordinatore Regionale
Antonio Barboni - Senatore eletto in Provincia
Gabriella Pezzuto - Responsabile Regionale Seniores
Raffaele Minieri - Responsabile Provinciale Seniores
Antonella Tancredi - Militante Bellaria Igea Marina
Carlo Rufo Spina - Capogruppo CC Rimini
Pier Giorgio Ricci - Capogruppo CC Riccione
Antonio Mignani - Capogruppo CC Misano Adriatico
Marino Bindi - Responsabile Provinciale Giovani
Gilberto Lisi - Militante Rimini
Umberto Casalboni - Militante Rimini e primo dei non eletti in CC
Giuseppe Riccio - Militante Rimini ed ex presidente di circoscrizione
Gianfranco Cellarosi - Militante RSM
Ivano Batani - Militante Riccione
Walter Vicario - Capogrupppo CC Santarcangelo e Cons. Provinciale
Roberto Giannini - Militante Rimini
Filippo Giorgetti - Presidente CC Bellaria Igea Marina
Andrea Agostini - Vicesindaco Morciano di Romagna
Massimo Bordoni - Militante Bellaria - Igea Marina
Roberto Maggioli - Vicesindaco Bellaria Igea Marina
Alessandro Letta - Militante Rimini

(Rimini) I soci pubblici di IEG (Comune, Provincia, Camera di Commercio), chiamati in causa da Matteo Marzotto per non aver sfiduciato il management colpevole, a suo giudizio, della mancata quotazione in Borsa, replicano alle affermazioni dell’ex vicepresidente pronunciate nel corso dell’audizione in commissione consigliare.

Gnassi, Santi e Moretti precisano innanzitutto di non aver espresso alcuna valutazione sulla decisione del socio vicentino di sostituire Marzotto nel consiglio di amministrazione. “avranno avuto loro ragioni per scegliere di avvicendare. Può essere che la si valuti una decisione condivisibile o meno ma, comunque la si pensi, resta una scelta nelle legittime prerogative del Socio Vicentino”.

“Un secondo aspetto non meno importante – aggiungono - consiste nel fatto che non risulta che nel corso del loro incarico fino al dicembre 2018 vi siano mai state distinzioni da parte dei membri del CDA  rispetto agli indirizzi presi dal CDA stesso o che abbiano mai fatto segnare prese di posizione sull’opportunità di intraprendere strategie diverse da quelle condivise dal management della società”

Comune, Provincia e Camera di Commercio intervengono poi sull’idea ventilata da Marzotto di un unico polo fra le fiere italiane (idea del tutto teorica, come lui stesso ha riconosciuto). “Non può sfuggire a nessuno – dicono Gnassi, Santi e Moretti - che l’eventuale l’idea di unificazione “nazionale” dei poli fieristici non trovi, almeno fino ad oggi, nessuna presa di posizione o lancio anche solo di una suggestione da nessuno degli attori in campo nel settore, siano essi Operatori, Enti Locali, Istituzioni o Istituti di sviluppo economico. Il segno forse che un’ipotesi di questo tipo, per i player italiani, capaci per la conoscenza del settore di stare nel mercato internazionale,  non ha i presupposti per essere nemmeno posta in discussione”. Rimini, al contrario, “è stata (a tutt’oggi) l’unica esperienza (in campo fieristico congressuale) di aggregazioni strategiche e “pesanti”  al di là di confini geografici e politico amministrativi relazionandoci con un polo fieristico di un’altra regione. Una scelta guidata elusivamente da obiettivi di piano industriale e di respiro internazionale per quanto riguarda il comparto Fieristico-Congressuale”. Comune, provincia e Camera di Commercio sono invece “convinti che sia giusto continuare con lo schema che fin qui ci ha dato soddisfazione trovando strategie che mettano in equilibrio e in relazione virtuosa gli interessi industriali dell’impresa “IEG” e gli interessi dell’economia diffusa del nostro territorio, cioè la ricaduta economica territoriale. Convinzione, la nostra, supportata non da teorie ma da fatti: da una parte i risultati economici di IEG di cui abbiamo detto; dall’altra parte dai riscontri che abbiamo dal tessuto economico dell’intera provincia”.

Secondo Gnassi, Santi e Moretti è quindi “da stigmatizzare infine il tentativo di alcune forze e gruppi politici di delegittimare IEG. Un tentativo strumentale per due ordini di motivi: il primo la contraddizione tra i risultati economici della gestione di IEG e la richiesta di sfiduciare il Management che quei risultati ha prodotto; il secondo riguarda la tendenza a vedere il dito e non la luna ovvero di non voler vedere che la causa del rinvio della quotazione in Borsa di IEG sta tutta negli avvenimenti nazionali e internazionali degli ultimi mesi contrassegnati da stagnazione per il presente e recessione per il futuro. Condizione questa che ha spinto investitori internazionali e nazionali a scappare dalla Borsa”.

“Nessuno – concludono - lavori per danneggiare la fiera né le previsioni del suo Piano Industriale che riguardano gli investimenti su Rimini. Attività che saranno condotte dal CdA di IEG che ha la piena fiducia per il conseguimento degli obiettivi fissati da parte dei Soci compresa la quotazione in Borsa. Come fin qui fatto nella nostra qualità di soci pubblici valuteremo e approveremo tutte le attività proposte dal Management sempre con l’attenzione di produrre vantaggi sia per l’azienda IEG sia per il territorio”.

Il ruolo della Fondazione Carim ai tempi di Crédit Agricole. Con il gruppo bancario che ha rilevato la Cassa di Risparmio l’istituto presieduto da Linda Gemmani ha instaurato un rapporto di collaborazione che per il biennio 2018-2019 vale 330 mila euro messi a disposizione del territorio. E, come vedremo, non sono le uniche risorse di cui la Fondazione dispone per continuare la storica missione di sostegno a iniziative culturali, sociali ed economiche.

Dei primi frutti dell’accorto fra Fondazione e Crédit Agricole si è parlato questa mattina in una conferenza stampa tenuta da Linda Gemmani e da Massino Tripuzzi, responsabile regionale della banca. Dei 330 mila euro ne sono già stati impegnati 175 mila per progetti avviati nel 2018 o in fase di completamento. Gli interventi riguardano quattro aree: arte e cultura, educazione e formazione, volontariato e solidarietà, sviluppo locale.

Nell’ambito dell’area arte e cultura sono stati finanziati un volume dell’Istituto Scienze Religiose sugli affreschi del Trecento Riminese nella chiesa di Sant’Agostino; il restauro e la conservazione di volumi antichi presenti nell’archivio della Confraternita di San Girolamo; il restauro e la riapertura della Grotta centrale di piazza Balacchi a Santarcangelo; la stagione teatrale ‘Oltremisura 2019’ promossa a Montescudo dall’Associazione Atto Scuro. Nell’area educazione e formazione sono stati finanziati una borsa di studio per alunni di famiglie non abbienti dell’Asilo Infantile A. Baldini, una storica istituzione di Rimini alla cui fondazione ha partecipato anche la Cassa di Risparmio, ed un doposcuola materno per i bambini di San Leo che abitano nel borgo storico.

Tre progetti nell’area della solidarietà: un percorso di formazione e assistenza per adozioni realizzato dall’associazione Famiglie per l’accoglienza; un Progetto di avviamento al basket per disabili della Valconca promosso dal Gruppo Pacassoni a San Giovanni in Marignano, l’acquisto di un importante strumento diagnostico (Ecoergometro) per la cardiologia dell’Ospedale Infermi. Ed infine, per l’area sviluppo locale, il sostegno al Piano Strategico di Rimini che proprio in queste settimane sta avviando la seconda fase della propria attività.

“Grazie alla positiva collaborazione avviata con Crédit Agricole – ha osservato Linda Gemmani – possiamo potenziare le tradizionali attività d’intervento sociale della Fondazione a favore dell’ambito locale. La Fondazione arricchisce così quella fruttuosa relazione con il territorio riminese che dura da 26 anni, che ha portato ad investire complessivamente oltre 100 milioni di euro a beneficio delle comunità locali e che ha prodotto nel tempo iniziative di notevole spessore sul fronte sia della spinta al recupero ed alla promozione di aspetti artistici e culturali, sia della sperimentazione di progetti di innovazione e di sviluppo, sia del sostegno al meritorio lavoro di soggetti sociali impegnati quotidianamente a rispondere ai molteplici bisogni espressi dalla realtà riminese”. Gemmani ha inoltre sottolineato che nell’erogazione dei fondi si è tenuto conto anche di una equa ripartizione territoriale, e delle esigenze di enti locali, istituti ecclesiastici e associazioni del volontariato.

Da parte sua Massimo Tripuzzi ha sottolineato che “Per Crédit Agricole Italia il territorio rappresenta la base dell’attività quotidiana. Siamo molto soddisfatti del proficuo accordo con la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, consapevoli delle importanti ricadute che avrà su tutta la provincia. D’altro canto l’esperienza di Eticarim ci insegna quanto il territorio sia particolarmente attento alla solidarietà sociale: ad oggi, grazie alla generosità dei cittadini, il portale di crowdfunding ha consentito a ben 15 organizzazioni non profit di raggiungere l’obiettivo di raccolta per la realizzazione di progetti solidali, a vantaggio della comunità.”

Ma nel 2019 l’orizzonte di impegno della Fondazione sarà più ampio. Ai 330 mila euro offerti da Crédit Agricole, si aggiungono gli oltre 200 mila euro di cui dispone autonomamente la Fondazione (assorbiti in larga parte dall’impegno per l’Università), 100 mila euro di residui e i 150 mila che riceverà dall’associazione regionale delle Fondazioni, che ha deciso di intervenire in favore delle proprie associate più deboli. Non sono le somme dei tempi d’oro, ma si tratta comunque di un gruzzoletto di circa 800 mila euro che potrà incidere in modo significativo a sostegno della comunità locale.

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