Mattarella al Meeting: le diversità sono una risorsa
“Il dialogo, il desiderio di incontrare l’altro e di costruire insieme, nelle differenze, compongono l’humus di una società democratica e di una comunità solidale" Lo sostiee il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel messaggio inviato al Meeting. "Si tratta - prosegue Mattarella - di valori quanto mai preziosi, che vanno incessantemente alimentati pena un loro impoverimento. Dalla propensione al rispetto, e dunque all’amicizia, dipende molto della qualità della vita e della forza di una società. Sostenere le proprie idee e affermare la propria identità non consiste nell’innalzare le barriere del pregiudizio e della contrapposizione irriducibile. Al contrario, è dal confronto, dalla consapevolezza che ciascuno, con il suo credo e le sue convinzioni, arricchisce il nostro essere persona, che nasce la possibilità di rendere davvero umano il mondo”.
“Così – sottolinea Mattarella – il Meeting ha dato il suo contribuito alla formazione di cittadini attivi e responsabili: e sono certo che su questa strada nuovi risultati positivi verranno raggiunti. Il tema scelto per il Meeting 2018, ‘Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice, offre molti spunti, che in questi giorni saranno opportunamente approfonditi. La coscienza del legame tra la propria libertà personale e il bene della comunità della quale siamo parte è un patrimonio essenziale della civiltà e della cultura democratica.
Tra le numerose e straordinarie opportunità che i tempi nuovi ci offrono vi sono anche i rischi della piatta omologazione e di chiusure individualistiche. L’esasperazione dell’interesse egoistico così come il mediocre conformismo limitano lo sguardo sul futuro e spingono a considerare il presente come l’unico orizzonte utile. Una gabbia, che riduce le nostre ambizioni e la fiducia nel domani e scoraggia i progetti per migliorare il mondo in cui viviamo”.
“Connettere la ricerca di felicità della persona con il desiderio di costruire una storia migliore per sé e per gli altri è una grande sfida di umanità. - conclude Mattarella - Tenere insieme persone e storie, vuol dire proprio rafforzare i legami tra l’individuo e la comunità, far sì che nessuno rimanga indietro o si senta escluso. È questo un grande impegno di rinnovamento civile che – nel corso del Meeting e dopo il Meeting – mi auguro possa unire sempre più coloro che, nel nostro Paese, in Europa e nel mondo, credono in un comune destino”.
Meeting: Francesco e Giussani, due percorsi convergenti
Prima, una profonda ed articolata catechesi sull’episodio evangelico della Samaritana, per sottolineare come solo l’incontro con Gesù plachi la sete di infinito del cuore dell’uomo e lo renda protagonista nella storia. Poi, una disamina parallela e convergente di come la proposta educativa di papa Francesco e di don Luigi Giussani siano mosse entrambe dal desiderio di facilitare all’uomo questo incontro con Cristo.
Sono questi i binari lungo cui monsignor Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti, ha condotto l’intervento inaugurale del Meeting 2018 sul tema “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice”. “Sia Giussani che Papa Francesco - ha quindi osservato verso la conclusione - vogliono che le persone siano libere dalle ferite del peccato e dalle sue conseguenze in modo che possano assumersi la responsabilità del loro futuro, verificando la verità della Fede attraverso una coscienza ben formata e istruita, una coscienza che conosce la Scrittura, la Tradizione, l'autorità del Magistero e l'esperienza, un'esperienza in relazione con la realtà”.
Il punto di partenza è la categoria dell’incontro, centrale sia nel pensiero di don Giussani che in quello di papa Francesco. E monsignor Pierre l’ha appunto declinata analizzando in ogni dettaglio l’incontro di Gesù con la Samaritana al pozzo di Giacobbe. Attraverso l’incontro con Gesù quella donna scopre la sua umanità e la sua libertà, si accorge di avere di fronte una persona eccezionale, capisce che quell’uomo può finalemente estinguere la sua sete di felicità. Trasformata da quell’incontro, la Samaritana diventa una evangelizzatrice, una protagonista della storia.
È la dinamica che secondo monsignor Pierre costituisce la cifra dell’attuale pontefice: facilitare per ogni persona l’incontro personale con Cristo. Francesco ripropone il kerigma (cioè l’annuncio essenziale) al centro della missione della Chiesa; non insiste sulla dottrina, ma propone l’annuncio in rapporto alle concrete circostanze della vita. È il contenuto dei suoi tre documenti fondamentali, l’Evangelii Gaudium, l’Amoris Laetitia e la Gaudete et Exultate. Monsignor Pierre ha molto insistito sull’esperienza pastorale vissuta da Bergoglio in Argentina e al fondamentale contributo da lui dato nella scrittura del documento finale di Aperecida, l’ultima conferenza generale dei vescovi latino-americani (un passaggio, molto in sintonia con l’esperienza del movimento di CL, è stato citato anche nel messaggio fatto pervenire da Francesco al Meeting). Il metodo di Aperecida è l’ascolto della realtà, e se Francesco parla molto dei poveri e dei migranti è perché non posso essere io a scegliere la realtà con cui coinvolgermi e in cui incontrare Cristo.
Per parlare di don Giussani, monsignor Pierre parte proprio dall’episodio, nel contesto del Sessantotto, i cui pronunciò la frase che costituisce il tema dell’attuale Meeting. Giussani, descritto come profeta e grande testimone, si è misurato con la sfida di annunciare Cristo ad una generazione di giovani che avevano perso ogni riferimento al cristianesimo come reale esperienza di vita. A questi giovani ripropone l’attrattiva di Cristo, li invita a scoprire come Cristo risponde ai loro bisogno, alle loro attese, al loro bisogno di felicità. E dopo il contraccolpo del Sessantotto, quando in molti subirono l’attrazione dell’impegno sociale e della rivoluzione politica, Giussani rilancia la domanda su ciò che vogliamo: l’affermazione di noi stessi o l’incontro con Cristo?
Il genio di Giussani, secondo Pierre, sta nella sua antropologia, nella visione dell’uomo aperta al senso religioso. Oggi la situazione è ancora più difficile perché (citazione di Julian Carron) è intervenuto il crollo delle evidenze, negli uomini c’è una maggiore debolezza di coscienza. In questa incertezza esistenziale, c’è il rischio di rispondere o costruendo muri o lasciandosi sopraffare dalla solitudine e dalla paura. L’alternativa (citazione del cardinale Tauran) è il dialogo, il cui contenuto è la comunicazione della propria esperienza.
“Anche noi ha infine osservato monsignor Pierre - possiamo offrire a coloro che incontriamo, specialmente ai giovani, l'opportunità di condividere la grazia che abbiamo ricevuto e invitarli ancora una volta ad appartenere a Cristo e alla Chiesa. Comunichiamo questa grazia attraverso la testimonianza della nostra vita. Il mondo oggi ha bisogno di testimoni: genitori, educatori, politici, compagni di lavoro e sacerdoti. Abbiamo bisogno di una Chiesa che testimoni la gioia dell'appartenenza a Cristo. Cristo era quella Persona ed è quella Persona che è così attraente e che ci aiuta a connetterci con la nostra stessa umanità.
È per questo motivo che il Santo Padre, come don Giussani, vuole una Chiesa vicina alla gente, una Chiesa che non sia autoreferenziale, ma che sia in uscita con la gioia del Vangelo. Ci chiama ad essere una Chiesa che testimonia una gioia e una speranza nate dall'incontro con Gesù”.
Il messaggio di papa Francesco al Meeting 2018
All'inizio della Messa, oggi alle 11,30 in Fiera, giorno inaugurale del Meeting 2018, è stato letto il messaggio di papa Francesco, inviato tramite ilSegretario di Stato, cardinale Pietro Parolin.
Eccoil testo integrale:
Eccellenza Reverendissima,
anche quest’anno il Santo Padre Francesco desidera far pervenire, attraverso di Lei, un cordiale saluto agli organizzatori, ai volontari e ai partecipanti al XXXIX Meeting per l’amicizia fra i popoli, saluto al quale unisco il mio personale augurio per la buona riuscita dell’evento.
Il titolo del Meeting - «Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice» -, riprende un’espressione di Don Giussani e fa riferimento a quella svolta cruciale avvenuta nella società intorno al Sessantotto, i cui effetti non si sono esauriti a cinquant’anni di distanza, tanto che Papa Francesco afferma che «oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca» (Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015).
La rottura con il passato divenne l’imperativo categorico di una generazione che riponeva le proprie speranze in una rivoluzione delle strutture capace di assicurare maggiore autenticità di vita. Tanti credenti cedettero al fascino di tale prospettiva e fecero della fede un moralismo che, dando per scontata la Grazia, si affidava agli sforzi di realizzazione pratica di un mondo migliore.
Per questo è significativo che, in quel contesto, a un giovane tutto preso dalla ricerca delle “forze che dominano la storia”, Don Giussani disse così: «Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice» (Vita di don Giussani, BUR 2014, p. 412). Con queste parole lo sfidava a verificare quali siano le forze che cambiano la storia, alzando l’asticella con cui misurare il suo tentativo rivoluzionario.
Che ne è stato di tale tentativo? Che cosa è rimasto di quel desiderio di cambiare tutto? Non è questa la sede per un bilancio storico, ma possiamo riscontrare alcuni sintomi che emergono dalla situazione attuale dell’Occidente. Si torna ad erigere muri, invece di costruire ponti. Si tende ad essere chiusi, invece che aperti all’altro diverso da noi. Cresce l’indifferenza, piuttosto che il desiderio di prendere iniziativa per un cambiamento. Prevale un senso di paura sulla fiducia nel futuro. E ci domandiamo se in questo mezzo secolo il mondo sia diventato più abitabile.
Questo interrogativo riguarda anche noi cristiani, che siamo passati attraverso la stagione del ‘68 e che ora siamo chiamati a riflettere, insieme a tanti altri protagonisti, e a domandarci: che cosa abbiamo imparato? Di che cosa possiamo fare tesoro?
Da sempre la tentazione dell’uomo è quella di pensare che la sua intelligenza e le sue capacità siano i principi che governano il mondo; una pretesa che si realizza secondo due modi: «Uno è il fascino dello gnosticismo, [...] dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo [...] di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 94).
Ma allora, il cristiano che vuole evitare queste due tentazioni deve necessariamente rinunciare al desiderio di cambiamento? No, non si tratta di ritirarsi dal mondo per non rischiare di sbagliare e per conservare alla fede una sorta di purezza incontaminata, perché «una fede autentica [...] implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo» (ibid., 183), di muovere la storia, come recita il titolo del Meeting.
In tanti si domanderanno: è possibile? Il cristiano non può rinunciare a sognare che il mondo cambi in meglio. È ragionevole sognarlo, perché alla radice di questa certezza c’è la convinzione profonda che Cristo è l’inizio del mondo nuovo, che Papa Francesco sintetizza con queste parole: «La sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. É una forza senza uguali. […] Nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo» (ibid., 276).
Abbiamo visto all’opera questa “forza di vita” in tante situazioni lungo la storia. Come non ricordare quell’altro cambiamento d’epoca che ha segnato il mondo? Ne ha parlato il Santo Padre all’episcopato europeo lo scorso anno: «Nel tramonto della civiltà antica, mentre le glorie di Roma divenivano quelle rovine che ancora oggi possiamo ammirare in città; mentre nuovi popoli premevano sui confini dell’antico Impero, un giovane fece riecheggiare la voce del Salmista: “Chi è l’uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici?”. Nel proporre questo interrogativo nel Prologo della Regola, san Benedetto […] non bada alla condizione sociale, né alla ricchezza, né al potere detenuto. Egli fa appello alla natura comune di ogni essere umano, che, qualunque sia la sua condizione, brama certamente la vita e desidera giorni felici» (Discorso sull’Europa, 28 ottobre 2017).
Chi salverà oggi questo desiderio che abita, seppure confusamente, nel cuore dell’uomo? Solo qualcosa che sia all’altezza della sua brama infinita. Se infatti il desiderio non trova un oggetto adeguato, rimane bloccato e nessuna promessa, nessuna iniziativa potranno smuoverlo. Da questo punto di vista, «è perfettamente concepibile che l’età moderna, cominciata con un così eccezionale e promettente rigoglio di attività umana, termini nella più mortale e nella più sterile passività che la storia abbia mai conosciuto» (H. Arendt, Vita attiva. La condizione umana, Milano 1994, 239-240).
Nessuno sforzo, nessuna rivoluzione può soddisfare il cuore dell’uomo. Solo Dio, che ci ha fatti con un desiderio infinito, lo può riempire della sua presenza infinita; per questo si è fatto uomo: affinché gli uomini possano incontrare Colui che salva e compie il desiderio di giorni felici, come ricorda un passo del Documento di Aparecida (29 giugno 2007), frutto della V Conferenza dell’episcopato del Continente latino-americano e dei Caraibi. Il Santo Padre, ringraziando per l’esposizione dedicata al grande Santuario mariano di Aparecida, offre tale passo come contributo all’approfondimento del tema del Meeting: «L’avvenimento di Cristo è [...] l’inizio di questo soggetto nuovo che nasce nella storia [...]: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, 1). [...] La natura stessa del cristianesimo consiste, pertanto, nel riconoscere la presenza di Gesù e seguirlo. Questa fu la bella esperienza di quei primi discepoli che, incontrando Gesù, rimasero affascinati e pieni di stupore dinanzi alla figura straordinaria di chi parlava loro, dinanzi al modo in cui li trattava, dando risposte alla fame e sete di vita dei loro cuori. L’evangelista Giovanni ci ha raccontato, con forza icastica, l’impatto che la persona di Gesù produsse nei primi due discepoli, Giovanni e Andrea, che lo incontrarono. Tutto comincia con la domanda: “Che cercate?” (Gv 1,38). Alla quale fece seguito l’invito a vivere un’esperienza: “Venite e vedrete” (Gv 1,39). Questa narrazione rimarrà nella storia come sintesi unica del metodo cristiano» (Doc. di Aparecida, 243-244).
Il Santo Padre augura che il Meeting di quest’anno sia, per tutti coloro che vi parteciperanno, occasione per approfondire o per accogliere l’invito del Signore Gesù: «Venite e vedrete». E questa la forza che, mentre libera l’uomo dalla schiavitù dei “falsi infiniti”, che promettono felicità senza poterla assicurare, lo rende protagonista nuovo sulla scena del mondo, chiamato a fare della storia il luogo dell’incontro dei figli di Dio col loro Padre e dei fratelli tra loro.
Mentre assicura la sua preghiera perché siate all’altezza di questa sfida entusiasmante, Papa Francesco domanda di pregare per lui e per l’Incontro mondiale delle famiglie che avrà luogo a Dublino il 25 e 26 agosto corrente.
Meeting alle porte, ecco gli incontri irrinunciabili
Chi non si sente orfano o smarrito perché al Meeting non ci saranno Conte, Di Maio e Salvini, può approfittare dell’assenza dei big della politica (del resto sempre accusati di inquinare il raduno o di distrarre l’attenzione da ciò che conta) per seguire i molti, davvero tanti, percorsi culturali offerti dal programma 2018.
Il tema è “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice”. La novità del 2018 è che la riflessione specifica sarà effettuata nel giorno di apertura (domenica 19 alle ore 15) e affidata a Christophe Pierre, il diplomatico vaticano di lungo corso che papa Francesco ha voluto nunzio apostolico negli Stati Uniti.
Il titolo del Meeting 2018 è una frase di don Luigi Giussani, pronunciata in reazione all’entusiasmo di un giovane che partecipava al movimento del Sessantotto. Ed il Sessantotto, dopo mezzo secolo da quell’evento che tanto ha cambiato nel costume, nella cultura e nella vita sociale, costituisce uno dei percorsi più approfonditi. C’è innanzitutto una mostra (Vogliano tutto. 1968-2018) realizzata da un gruppo di studenti universitari che hanno voluto misurarsi con il tentativo di comprendere uno dei miti fondativi dell’epoca contemporanea. Il Sessantotto è poi al centro di numerosi incontri, tutti programmati nell’Arena della Storia, che è una delle novità. Impossibile citarli tutti, eccone alcuni: Lunedì 20 alle 12,30 “Il mondo chiama. Tra ideologia e realtà”, con l’interveto dell’ex brigatista Franco Bonisoli; martedì 21 alle 19 “da tutto è politica all’antipolitica”, confronto fra giovani impegnati in politica; venerdì 24 agosto, “Giustizia e libertà sembravano a portata di mano”, con Franco Bertinotti ed Emilia Guarnieri. Senza dimenticare “Perché il Sessantotto. Domande dalla storia”, alle 17 di mercoledì 22 agosto in Auditorium, con la partecipazione di Marta Bocci, docente universitaria, Mario Calabresi, direttore La Repubblica, e Francesco Magni, assegnista di ricerca.
Uno dei protagonisti del Meeting 2018, è Giobbe, il personaggio biblico che esprime la domanda sulle ragioni del male e della sofferenza innocente. “C’è qualcuno che ascolta il mio grido?” è il titolo della mostra proposta dagli spagnoli Ignacio Carbajosa e Guadalupe Arbona. Certamente uno degli incontri più frequentati sarà quello appunto su Giobbe (lunedì 20magosto, ore 17, Auditorium) con Julian Carron, presidente della Fraternità di Cl, Mario Melazzini, direttore Aifa, e il filosofo Salvatore Natoli.
Nel periodo in cui va molto di moda lo slogan “prima gli italiani”, il Meeting si interroga su cosa voglia dire essere italiani oggi. Si tratta di un ciclo coordinato da Luciano Violante e che comprende incontri con Diego Piacentini, commissario per l’agenda digitale; l’imprenditore Brunello Cucinelli; l’attore e regista Gabriele Lavia (alle 19, in Sala Neri); un incontro del ciclo, con a tema “Popolo, Libertà e Democrazia) avrò luogo il 20 agosto alle 15, all’Arena della Storia, con lo stesso Violante e Andrea Simoncini, docente di diritto costituzionale.
La vita della Chiesa ha sempre uno spazio particolare nei programmi del Meeting. Una riflessione sulla presenza della Chiesa nell’attuale cambiamento d’epoca sarà condotta (lunedì 20 agosto, ore 15, Salone A3) da due autorevoli personaggi: il cardinale filippino Luis Antonio Gokim Tagle, presidente di Caritas Internationalis, e Philip Jenkins, storico delle religioni. Lo stesso Jenkins sarà poi protagonista alle 19, nell’Areena Cammini) di un incontro sul tema “Cristiani domani”. Al Meeting ci sarà l’occasione per una conoscenza approfondita e fuori degli schemi del pensiero di papa Bergoglio: ne parleranno lunedì alle 11,30 in Salone A3, Massimo Borghesi, autore di una approfondita biografia intellettuale del papa, il filosofo Rocco Buttiglione, Gusman Carriquiry, presidente della Pontificia commissione per l’America Latina, e Austen Ivereigh, autore di una biografia di Francesco.
Da non perdere, giovedi 23 agosto ore 15, Sala Neri, l’incontro con il cardinale Anders Arborelius, vescovo di Stoccolma, già luterano, passato al cattolicesimo nel 1969.
In questi anni il Meeting ha costruito tentativi di dialogo con il mondo musulmano. “Costruttori di ponti” è il titolo dell’incontro che venerd’ 24 agosto (ore 19, Salone A3) che vedrà la partecipazione di Muhammad Bin Abdul Karim Al-Issa, Segretario Generale della Lega Musulmana Mondiale, e di Khaled Azab, dirigente della Biblioteca di Alessandria, dove in autunno si terrà un’iniziativa promossa dal Meeting. Di grande interesse anche l’incontro (Un ponte chiamato amicizia. L’islam il terrorismo, il dialogo con i cristiani) con Valeria Khadija Collina, madre di uno degli attentatori del London Bridge. È in programma giovedì 23 agosto alle 19 nell’Arena Cammini.
Per chi è interessato alle tematiche sociali, economiche e politiche il programma del Meeting è una sorta di corso di aggiornamento su tutto. Fra i tanti incontri, vale la pena di segnalare “Come si risparmia.Le risorse per lo sviluppo” (lunedì 20, ore 15, Sala Neri) con Carlo Cottarelli, che non ha bisogno di presentazioni, e Tommaso Nannicini, senatore esperto di economia del Pd.
Presenze turistiche, in attesa dei big data l'Osservatorio difende la propria metodologia
Un giorno arrivano i dati dell’Osservatorio turistico regionale, e sindaci e assessori spandono ventate di entusiasmo e di ottimismo. Qualche giorno dopo arrivano le statistiche ufficiali, ed è un bagno di realismo che meglio si accorda con la percezione degli operatori.
Ai giornali, fra cui BuongiornoRimini, che avevano sollevato qualche dubbio sulla “correzione” al rialzo dei dati Istat, l’Osservatorio, una creatura di Regione Emilia Romagna e Unioncamere con la collaborazione di Trademark Italia, ha inviato una nota per spiegare la metodologia usata. La trovate integralmente più sotto.
Nella nota si parla di “non esaustiva rilevazione dei movimenti alberghieri, le cui ragioni vanno ricercate in dichiarazioni mancanti o incomplete”. Che significa: che gli albergatori non denunciano tutte le loro presenze?
Giriamo la domanda a Claudio Pasini, segretario generale di Unioncamere.
“Non è questione di dichiarazioni più o meno fedeli. La questione è che l’Istat non riesce a fotografare completamente la complessità dei fenomeni turistici. Una delle ragioni sta nel fatto che la rilevazione Istat ha molteplici obiettivi: di pubblica sicurezza, amministrativi, fiscale e infine anche statistico. È evidente che se mettiamo insieme tutte queste cose qualche problema c’è. Si consideri un aspetto: è forse realistico, come dice l’Istat, che la permanenza media sia solo di 4,1 giorni?”.
Beh, stando a quel che si vede e raccontano gli albergatori potrebbe essere. Voi dite di tenere conto anche delle seconde case. Sapete quante sono e quanto sono occupate nel periodo estivo? Le seconde case sono per definizione un elemento statico, che non incide sul peggiore o miglioramento di una stagione turistica. Non crede?
“Noi ci rifacciamo ad un panel messo insieme da anni da Trademark, che comprende oltre alla ricettività alberghiera ed extralberghiera, anche le seconde case, i campeggi, gli Airbnb. Credo che le seconde case siano da ascrivere al fenomeno turistico: se una persona le abita, consuma al bar, va a fare la spesa, va in pizzeria, affitta l’ombrellone sulla spiaggia. C’è una ricaduta evidente sul territorio. Ma le nostre valutazioni si basano anche su altri parametri: consumo di energia elettrica, rifiuti, spesa alimentare, traffico ai caselli autostradali”.
A propositi di caselli, in giugno il movimento era di segno negativo, eppure avete detto che giugno è andato bene.
“I dati bisogna interpretarli bene e nemmeno ci si più basare su un unico dato. Noi integriamo i dati con le interviste ad un panel di operatori”.
Voi dite che moltiplicate le presenze Istat per un coefficiente che è circa pari a 2. Perché 2 e non 1,5 o 2,5, da cosa nasce questa scelta?
“E’ una metodologia che abbiamo ripreso da una ricerca del 2016 curata da Turistica - New Mercury Tourism Consulting e dall’Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo (IRISS) del CNR. Quei ricercatori hanno capito che occorreva un coefficiente per rivalutare statistiche altrimenti sottostimate. Per la nostra Regione il coefficiente è stato individuato in 2, nel sud è molto più alto, in Molise, per esempio, è 8. Bisogna capire che anche a livello nazionale c’è un grande dibattito sulle metodologie per meglio fotografare il fenomeno turistico. E’ chiaro che tutti possono sbagliare, non sosteniamo che i nostri dati siano esatti, diciamo che sono stime ben valutate”.
Certamente a tagliare la testa al toro, sarebbe una ricerca che pone in primo piano i fatturati. Se voglio sapere come va l’industria meccanica, cerco il volume d’affari. Perché non tentate questo tipo di rilevazione?
“Penso che a nessuno sfugga la difficoltà di questo tipo di rilevazione. Non credo che gli albergatori siano disponibili a dichiarare i loro fatturati. Comunque noi abbiamo sotto controllo l’andamento dei prezzi, insieme agli arrivi e alle presenze si può arrivare a una valutazione molto vicina alla realtà”.
Nella vostra nota scrivete che l’Istat sta pensando a modalità di rilevazione che utilizzano i dati della telefonia mobile, delle sim. Perché non percorrete anche voi questa strada? In regione abbiamo avuto l’esempio del concerto di Vasco Rossi a Modena dove Vodafone ci ha detto tutto: quanti erano, da dove venivano, ecc.
“Chi l’ha detto che non ci stiamo pensando? Ci pensiamo, eccome, certo che un progetto di questo genere costa molto più dei 160 mila euro che ad alcuni sembrano già tanti. Monitorare un’intera stagione coi big data sarebbe economicamente insostenibile. Si potrebbe però utilizzarli per eventi che hanno una durata nel tempo come la Notte Rosa, la MotoGp”.
Magari, così almeno avrebbe fine la “spannometria” applicata agli eventi. In attesa che i big data ci restituiscano una fotografia reale dei movimenti turistici, dobbiamo ancora restare al balletto fra dati ufficiali e dati integrati dall’Osservatorio. Non vi pare di ingenerare disorientamento nell’opinione pubblica?
“Bisogna che anche voi giornalisti comprendiate che i dati dell’Osservatorio, integrando le statistiche Istat con altre fonti, restituiscono un quadro più veritiero”.
Quest’anno in realtà cozzano con la percezione diffusa degli operatori di una stagione più magra…
“Ma tutti gli anni è così. Bisogna avere la pazienza di tirare le somme a fine stagione e si vedrà che le nostre valutazioni non sono infondate. D’altra parte è da 25 anni che facciamo l’Osservatorio, se abbiamo resistito nel tempo una ragione ci sarà. E il dibattito va liberato dalle polemiche sul +0,3 o il -0,4”.
L'Osservatorio regionale sul turismo spiega come nascono i propri dati
Aeroporto 2 / Senza investimenti Enac può revocare la concessione
Se si visita il sito di Enac, sezioni aeroporti, link ai Master Plan, si ha la conferma fotografica di una poco piacevole realtà. L’aeroporto di Rimini è fra gli unici quattro che non hanno ancora presentato alcun Master Plan. Non siamo in buona compagnia: nelle nostre condizioni sono Ancona, che ogni giorno lotta per evitare il fallimento, Perugia e Cuneo, due piccoli aeroporti che fanno numeri inferiori a quelli di Rimini. Ancona e Perugia sono inoltre i due aeroporti con i quali un anno fa l’amministratore di Airiminum Leonardo Corbucci immaginava mirabolanti strategie comuni. In effetti sono accomunati dal non avere un proprio Master Plan.
“I Master Plan – spiega Enac - rappresentano gli strumenti che individuano le principali caratteristiche degli interventi di adeguamento e potenziamento degli scali tenendo conto delle prospettive di sviluppo dell'aeroporto, delle infrastrutture, delle condizioni di accessibilità e dei vincoli imposti sul territorio”. Una sorta di piano regolatore dell’aeroporto. In Emilia Romagna quello di Bologna prevede investimenti per 371 milioni e quello di Parma è corso di istruttoria all’Enac. Dalla tabella, aggiornata al 17 novembre 2017, si vede che, tranne i quattro indicati fra cui Rimini, non c’è aeroporto italiano che non abbia un programma di investimenti più o meno cospicuo.
Dalla lettera agli azionisti della presidente di Airiminum Laura Fincato sul bilancio 2017, apprendiamo con sollievo che entro il 2018 (non mancano molti mesi) dovrebbe essere avviata la fase di approvazione del Master Plan, da cui sarà estrapolato l’accordo di programma 2020-2023 sulla cui base poter ridefinire le tariffe aeroportuali. Il concetto è ribadito due volte: mentre tutti sul territorio aspettano l’approvazione di questi strumenti per vedere qualche aereo in più atterrare e partire da Rimini, gli amministratori della società li aspettano per poter ridefinire le tariffe. Un particolare che rappresenta bene le tensioni e le polemiche mai sopite tra una società privata che giustamente cerca un proprio profitto e una comunità che ribadisce le proprie aspettative e il valore dell’aeroporto come strumento di servizio all'economia turistica..
Nella nota al bilancio si spiega anche che fra gli obiettivi del 2018 ci sono il consolidamento del rapporto con Ryanair (l’attuale rapporto termina a fine estate) e l’individuazione di nuove rotte europee con destinazioni strategiche per il territorio. Al momento non c’è nulla.
Nel 2014 Airiminum si è aggiudicata la gestione dell’aeroporto di Rimini sulla base di alcune elementi: strategie e previsioni di traffico, piano degli investimenti e piano economico-finanziario. Impegni, e relative sanzioni, che sono ricordati nella convenzione sottoscritta fra Airiminum ed Enac nel marzo 2015 e resa pienamente esecutiva dal decreto interministeriale del novembre scorso. Secondo Airiminum, i propri impegni sono scattati solo con il decreto interministeriale, mentre a livello politico, per esempio Giuseppe Chicchi, di Liberi e Uguali, si sostiene che facciano testo i programmi e le proposte presentate al momento del bando e che Enac dovrebbe verificare subito che fine abbiano fatto. Dal bilancio 2017 sappiamo che gli investimenti dell’anno sono pari a 342 mila euro, che non può essere certo la somma indicata per riuscire ad aggiudicarsi la gestione dell’aeroporto.
Leggendo la convenzione, si notano alcune cose. Mentre si specifica che entro un anno dal decreto ministeriale la società deve varare il piano regolatore dell’aeroporto, all’art.12 non si fa riferimento a tale decreto quando si indicano altri impegni. Si dice, per esempio, che “Ogni anno la concessionaria deve fare una relazione sullo stato di attuazione del programma di intervento e del relativo piano degli investimenti proposto” e che sei mesi prima della scadenza di ogni quadriennio si deve presentare il programma per il quadriennio successivo. BuongiornoRimini ha chiesto di poter parlar con un dirigente di Enac per capire se tali impegni decorrano subito al momento della firma della convenzione o solo dalla data del decreto interministeriale, ma da Enac non è arrivata alcuna risposta. Inutile cercare lumi dal codice della navigazione. All’art.704 si stabilisce che “entro sei mesi dalla conclusione del primo esercizio finanziario successivo all'affidamento in concessione, un contratto di programma che recepisce la vigente disciplina di regolazione aeroportuale emanata dal CIPE in materia di investimenti, corrispettivi e qualità”. Bene: resta la domanda dal marzo 2015 o dal novembre 2017?
Ma cosa succede se Airiminum non rispetta gli impegni presi? L’art. 14 della convenzione stabilisce che, in contradditorio con la società, vengano indicate da Enac azioni correttive, fissando il termine entro cui debbano essere eseguite. L’art. 15 prevede inoltre il ritiro della concessione per la mancata attuazione del programma di intervento e del programma degli investimenti nell’ulteriore termine fissato da Enac.
Aeroporto 1/E se diventasse Forlì lo scalo della Riviera?
Divagazioni sotto l’ombrellone su tema aeroportuale. Ora che anche la Regione e il Comune hanno capito che l’aeroporto Federico Fellini stenta a decollare, vale la pena interrogarsi sullo scenario che si potrebbe aprire quando l’aeroporto Ridolfi di Forlì riaprirà i battenti. Non è più un’ipotesi teorica, l’Enac ha assegnato lo scalo alla società F.A., una cordata di imprenditori romagnoli. Quindi fra qualche mese avremo in Romagna due aeroporti funzionanti, uno a Forlì e uno a Rimini. E probabilmente entrambi di interesse nazionale, se la Regione, come ha annunciato a BuongiornoRimini l’assessore Raffaele Donini, riuscirà nell’obiettivo di far rientrare il Ridolfi in questa categoria.
Sarebbe fuorviante leggere la nuova situazione semplicemente come un ritorno al passato, come una riproposizione di quella guerra degli aeroporti che ha lasciato “morti” sul campo e sperperato milioni di denaro pubblico. Per la prima volta a cinquanta chilometri di distanza ci sono due aeroporti a gestione privata. È prevedibile che fra i due scali si inneschi un meccanismo di concorrenza, ma non sarà più una lotta fra campanili combattuta con denaro pubblico sonante. Avremo due imprese private che si contenderanno il titolo di aeroporto della Romagna mettendo in campo programmi e investimenti capaci di attivare nuovi voli e aumentare i rispettivi volumi di traffico. E che vinca il migliore.
O almeno così si spera. Certo è che la riapertura dell’aeroporto di Forlì non potrà lasciare indifferente Airiminum, la società di gestione del Fellini. Da quel che si è capito, gli imprenditori romagnoli hanno deciso di prendersi il Ridolfi non per piantare una bandierina, ma per farlo funzionare. E di fronte ad un concorrente così vicino cosa farà la società di Leonardo Corbucci? Continuerà l’attuale gestione che mira esclusivamente a produrre utili per gli azionisti, o riuscirà a realizzare il concetto che a Rimini un aeroporto interessa soprattutto se riesce a portare movimento turistico? Alla Riviera interessa che il Fellini sia uno strumento per l’incoming, specialmente dai mercati esteri, per l’outgoing i riminesi non hanno problemi ad andare, se necessario, a Bologna, Bergamo o Verona.
È facilmente prevedibile che il terreno di concorrenza fra i due scali sarà soprattutto il mercato turistico. È improbabile che Forlì accetti il ruolo di scalo per le merci, lasciando i passeggeri a Rimini. Anche perché di passeggeri a Rimini al momento non ce ne sono molti, e quindi ci sono vaste praterie da battere in Europa. Non c’è nulla di scandaloso e negativo se due imprese private decideranno di farsi concorrenza. Non è che un imprenditore rinuncia ad aprire un ristorante perché a pochi passi ce ne già uno. Sarà poi il mercato, e la sua bravura, a stabilire quale resterà aperto e farà ottimi affari.
Se questo scenario è verosimile, gli operatori turistici ed anche gli enti locali devono ricalibrare le loro strategie. Ciò che serve alla Romagna, perché questo è l’ambito geografico da prendere in considerazione (non esiste forse Destinazione Romagna come soggetto promozionale?), è un aeroporto che funzioni, non un campanile da difendere. Se possono essere plausibili le perplessità di chi sostiene che l’aeroporto della Riviera non può essere Bologna, vista la distanza di 120 chilometri e l’assenza di collegamenti veloci, non altrettanto si può dire dell’aeroporto di Forlì che è appena a cinquanta chilometri dalla costa. Se dovesse succedere che l’aeroporto di Rimini non si muove e che quello di Forlì dà segni di vitalità, cosa dovrebbe impedire agli operatori turistici e agli enti locali della Riviera di stringere accordi con il Ridolfi? Non sono quelle fra Rimini e Forlì le distanze fra le grandi città europee e il loro aeroporto?
Non sfugge il particolare che un ragionamento di questo genere cozza contro la storica rivalità Forlì-Rimini e le storiche guerre dei cieli durate dagli anni Ottanta fino a cinque sei anni fa. Ma si tratta di voltare pagina e di guardare non tanto agli interessi di Airiminum (che li sa benissimo difendere da sola) quanto agli interessi del territorio e dell’economia turistica, in un’ottica romagnola. Se si crede alla Destinazione Romagna, se ha un senso il progetto di Confindustria di considerare la Romagna come un'unica città, se i Comuni stanno elaborando un piano strategico della Romagna, tutto questo non può non fare i conti in modo nuovo con la questione aeroporto.
E' auspicabile che l’aeroporto di Rimini, ad ormai quattro anni dalla riapertura, presenti al più presto un corposo piano di investimenti, chiedendo, a questo punto con le carte in regola, la collaborazione di Regione e Comune. Sarà così attrezzato a competere al meglio con Forlì, nella consapevolezza che l’economia turistica della Riviera non può fare a meno di un aeroporto, sia esso a Rimini oppure a Forlì.
Turismo, i dati confermano un giugno negativo. Stranieri in picchiata
A dispetto dei dati ottimisti e trionfalistici diffusi dal sindaco Andrea Gnassi e dall’assessore regionale Andrea Corsini, i dati ufficiali Istat pubblicati sul sito della Regione, cioè le effettive presenze denunciate dagli albergatori, arrivano a confermare che il mese di giugno è stato in sofferenza rispetto all’anno scorso. In tutta la provincia si registra uno 0,6 per cento di presenze in meno, così distribuite: +1,3 di italiani, -8,6 di stranieri. È un calo rispetto a un 2017 che era stato eccezionale, ma è comunque la smentita di un giugno che secondo le autorità sarebbe stato comunque in crescita.
I numeri come sempre variano da Comune a Comune: a salvarsi dal segno meno è solo Riccione, che porta a casa un +1,2 per cento. Per tutti gli altri sono dolori: Rimini -1,8; Cattolica -0,3; Bellaria Igea Marina -0,7, Misano Adriatico -2,7.
Il saldo dei primi sei mesi dell’anno resta comunque positivo a livello provinciale: +2,8 di arrivi e +2,6 di presenze. Però non è certo di buon auspicio che il primo mese pienamente balneare (giugno) si sia concluso con il segno negativo, quando le valutazioni unanimi di tutti gli operatori turistici sono che luglio sia andato ancora peggio. Secondo i dati “corretti” dell’Osservatorio turistico regionale nei primi sei mesi ci sarebbe una crescita del 4,3 per cento, esattamente il doppio delle statistiche reali.
I dati ufficiali arrivano a smentire anche la narrazione di una Riviera che ormai ha consolidato la quota del 30 per cento di presenze straniere: in realtà da gennaio a giugno sono state il 22,7 per cento del totale, e se si guarda solo a giugno si scopre che gli stranieri sono stati appena il 19,2 per cento.
Per un quadro completo è bene dare un’occhiata anche alle provenienze dei turisti. Nel mese di giugno i tradizionali bacini italiani della Riviera sono in linea con la media finale delle presenze: +1,5 Emilia Romagna, +1,1 Lombardia, +0,7 Veneto. Maggiori percentuali di crescita hanno invece le regioni del Centro Sud: +7 per cento Abruzzo, +5,8 Lazio, +5,6 Puglia, + 19,4 Calabria, solo la Campania è in controtendenza: -0,3. La Riviera sta diventando la meta di vacanze del meridione? Una bella domanda da verificare con attenzione.
Sul fronte estero, parliamo sempre di giugno, la Francia è sostanzialmente stabile (-0,1); la Germania registra un -33 per cento, certamente effetto delle vacanze di Pentecoste che quest’anno sono cadute in maggio (però anche il bilancio dei sei mesi è negativo, -4,2); buone notizie arrivano dal Regno Unito che ci regala un bel +17,8 per cento, frutto evidente del volo Ryanair con Londra; la Polonia che ormai è uno dei mercati importanti della Riviera scivola bruscamente a -25 per cento (evidentemente in questo caso il volo Ryanair non ha portato nulla di significativo); la Russia si conferma sempre in calo anche se non clamoroso (-1,3); soddisfazioni arrivano dalla Svizzera che è in crescita del 3,7; c’è infine l’exploit della Lituania che, sebbene i numeri assoluti siano ovviamente bassi, aumenta del 17,8, anche in questo caso grazie al volo Ryanair.
Una nota a margine su Rimini: Il lieve aumento di presenze italiane (+0,7) e il deciso calo di stranieri (-9,0) fanno intuire che certi eventi di giugno (Rimini Wellness, Molo Street Paradee) hanno un appeal limitato al pubblico italiano (che poi tale appeal si traduca in presenze è certo solo per Rimini Wellness).
Abbiamo già avuto modo di osservare e di documentare con i dati statistici che mentre la Riviera romagnola ha ritmi di crescita minimi o addirittura arretra, le città d’arte dell’Emilia hanno performance strepitose. Anche nel mese di giugno la tendenza è confermata. Bologna cresce del 9.3 e vede le presenze straniere aumentare del 9,6; Modena ha uno strepitoso +23,8, dovuto essenzialmente ad un boom di stranieri (+71,9); va più a rilento Parma che in giugno cresce solo del 4,5 ma nel semestre può vantare un +9,8.
I prodotti turistici di queste città (arte, enogastronomia, motori) evidentemente hanno un appeal maggiore dell’offerta balneare della Riviera e possono contare su un aeroporto, quello di Bologna, che sta letteralmente volando. Si può aggiungere che forse hanno colto nel segno le campagne promozionali dell’Apt rivolte a quei segmenti di mercato, mentre non ha funzionato il “Ciao Mamma” con cui per esempio è stata bombardata la Germania. Il dibattito è aperto.
IEG in Borsa, e il Comune cerca fondi per il trasporto rapido stazione-fiera
Una IEG (la società della Fiera) che si attrezza per vincere la competizione sul mercato globale, una società che si pensa in grande e vuole conquistare nuovi traguardi. È il senso alla doppia operazione di privatizzazione e quotazione in Borsa che il presidente Lorenzo Cagnoni ha fornito ieri sera al consiglio comunale, chiamato a dare il via libera al progetto. Cagnoni ha anche risposto alle varie obiezioni e preoccupazioni arrivate dai gruppi di minoranza che, come al solito, si sono presentati in ordine sparso. Alcuni hanno votato contro altri si sono astenuti. Luigi Camporesi, di Obiettivo Civico, ha ripetuto le ormai note critiche alla gestione della Fiera, arrivando, lui che in campagna elettorale aveva proposto la privatizzazione come mezzo per realizzare investimenti pubblici, a votare contro il progetto. Gennaro Mauro, del Movimento per la sovranità, non condivide gli attacchi alla Fiera ma insiste perché non si scenda sotto il 50 per cento per potere avere assoluta certezza sul mantenimento della governance. Marzio Pecci, capogruppo della Lega, rivendica la bandiera storica della sinistra, ovvero lo statalismo e il controllo pubblico delle società. Carlo Rufo Spina si pone in linea con la tradizione di collaborazione sulla Fiera realizzata da Forza Italia. Gioenzo Renzi, di Fratelli d’Italia, spinge sul tasto dell’accessibilità. Mario Erbetta, ex Patto Civico, si dichiara completamente a favore.
La nota trasversale emergente in quasi tutti gli interventi sono stati i dubbi circa la possibilità che il territorio di Rimini possa perdere il controllo di una delle realtà economiche più vive ed efficienti.
Il consiglio comunale era chiamato ad approvare due distinte operazioni: un aumento di capitale e la relativa offerta pubblica di sottoscrizione, l’offerta pubblica di vendita delle azioni di Rimini Congressi che in questo modo passerà dal 65 per cento a circa il 41 per cento di IEG. In questo modo saranno raccolti circa 70 milioni di euro, 45 milioni dalla sottoscrizione e 25 dalla OPV. Con quali obiettivi? Sostenere il programma di sviluppo e di investimenti di IEG, dimezzare il debito contratto per la realizzazione del Palacongressi.
Cagnoni ha spiegato che non si deve interrompere il percorso di crescita della società e che la quotazione in Borsa è il primo passo verso traguardi ancora più ambiziosi di quelli finora raggiunti.
IEG ha adottato un business plan che prevede la costruzione di nuovi padiglioni sia a Vicenza che a Rimini (fra cui anche quello circolare per gli eventi di spettacolo) e investimenti sui prodotti. Sono finanziati dal reddito prodotto dalla società, anche se in alcuni anni l’esposizione debitoria sarà maggiore. Quindi non si va in Borsa per stato di necessità, - è il mantra di Cagnoni da sempre - ma per acquisire ulteriori risorse che potrebbero servire per nuove acquisizioni o aggregazioni al momento non prevedibili. Peraltro, IEG, sarebbe il terzo gruppo fieristico che accede alla quotazione, per ora ci sono solo Milano e Basilea. Se si resta sopra il 50 per cento – ecco la risposta alla prima obiezione - le risorse raccolte sono inadeguate. Nemmeno è possibile rinunciare alla vendita delle azioni di Rimini Congressi, perché con la sola sottoscrizione si avrebbe comunque una diluizione delle quote pubbliche e la discesa sotto la quota del 50 per cento.
Il rischio di perdere la governance dell’azienda? Cagnoni ha ribadito che con tutti i meccanismi previsti (voto maggiorato per tre anni, unanimità del consiglio e maggioranza dei due terzi in assemblea per le questioni strategiche), il rischio è assolutamente scongiurato.
Conclusa l’operazione in Borsa, si potrà pensare a ulteriori passi. Sempre disponibili all’integrazione con Bologna, ma non perché si resta ne confini amministrativi dell’Emiia Romagna, ma perché è un’idea industriale valida. Se per qualche ragione Bologna si tirasse indietro, l’obiettivo dell’integrazione va ricercato con altre realtà. E in Italia sono poche (Verona, Milano) quelle a cui guardare. Cagnoni ha invitato anche a superare una mentalità localistica che vede come un pericolo l’eventuale esportazione di fiere di successo all’estero. “E’ sbagliato – ha detto – pensare di difendere l’attrattività internazionale dei nostri prodotti pensando di farli crescere solo a Rimini. Dobbiamo invece replicarli e posizionarli solo all’estero”.
Il dibattito è stato concluso dal sindaco Andrea Gnassi che ha dato notizie sulle ipotesi di lavoro in campo per migliorare l’accessibilità alla Fiera. Il Comune di Rimini si candida a intercettare i fondi statali (2 miliardi a disposizione) per il potenziamento del trasporto rapido di massa. L’idea è quella di un collegamento rapido su gomma (ma non lo si chiami TRC!) fra la stazione centrale e quella di Rimini Fiera. Se si otterranno i finanziamenti (il nuovo governo li confermerà?), si realizzerà un tracciato dedicato sull’asse stradale esistente.
In discussione con Trenitalia c’è il potenziamento della linea ferroviaria fra Rimini e Santarcangelo. Nella tratta esistenze c’è un problema di cadenza mento dei convogli e potrebbero essere necessari investimenti per aumentare il traffico.
Con Autostrade invece si discute del potenziamento del casello di Rimini Nord e/o dell’apertura di un casello per Rimini Fiera. E infine Gnassi ha proposto (“Non ridete”, ha messo le mani avanti) interventi per migliorare l’accessibilità pedonale e ciclabile.Tutti in Fiera in bicicletta.
Presenze turistiche: +4,3% secondo i dati "corretti" dalla Regione
Secondo i dati elaborati da Trademark per l’Osservatorio turistico regionale, in Riviera da gennaio a giugno le presenze sono aumentate del 4,3%. E’ così confermato il dato che l’assessore regionale Andrea Corsini aveva anticipato lunedì scorso nella conferenza stampa al Grand Hotel.
Si tratta, si badi bene, non dei dati Istat delle strutture ricettive, ma dei dati corretti dall’Osservatorio. Si parte dal concetto che i dati Istat, quelli denunciati dagli albergatori, non siano lo specchio fedele della realtà e li si corregge. In che modo? “La rilevazione dell’Osservatorio – si legge nella nota della Regione - tiene conto sia del contributo delle attività che sono direttamente riconducibili al turismo (alloggio, ristorazione, attività agenzie viaggio e tour operator), sia di quello relativo ad altre attività che comunque traggono beneficio dalla spesa turistica”. Non è molto chiaro, perché se uno va al ristorante e non dorme, non è tecnicamente una presenza turistica, ma invece così è secondo la Regione.
Per correggere i dati statistici viene usato anche il movimento ai caselli autostradali. Nel periodo prese in esame, da gennaio a giugno, a Rimini Nord c’è stato un calo dello 0,9, a Rimini Sud un aumento dello 0,7, a Riccione una crescita del 2,2 e a Cattolica dell’1,5.
I dati sono riferiti unicamente al semestre, nulla si dice sui singoli mesi, ad esempio giugno. In questo caso bisogna aspettare i dati Istat che ancora non sono sul sito della Regione.
La crescita delle presenze in Riviera non è comunque pari a quella di altri segmenti dell’offerta turistica dell’Emilia Romagna. Le città d’arte crescono del 10,1, l’Appennino del 10, le terme del 7,9, le altre località del 14,7 per cento.
Per riviera si intende tutta la costa regionale, dai Lidi di Comacchio a Cattolica. Gli stranieri in questo primo semestre sono il 23% del totale.