Metti un pomeriggio al Palacongressi di Rimini con studenti, genitori e insegnanti delle scuole Karis, il disegnatore Gabriele Dell’Otto, famoso per i supereroi, e un insegnante affabulatore come Franco Nembrini, e l’esito è un evento straordinario che ha coinvolto circa duemila persone. È stato il primo Happening Karis, voluto, come ha spiegato il direttore scolastico Paolo Valentini, “per far incontrare la città con l’esperienza educativa delle scuole”. Un’uscita dalle mura delle aule per proporre in un altro contesto le numerose avventure che alunni e studenti compio ogni giorno per “scoprire tesori”, come recita un fortunato slogan di queste scuole paritarie riminesi.

Se fin dall’apertura le famiglie hanno visitato numerose le mostre e osservato con curiosità e interesse i laboratori didattici, se i giovani hanno subito preso d’assalto Gabriele Dell’Otto per fargli firmare le cartoline con le riproduzioni delle sue tavole sulla Divina Commedia, il momento centrale da tutti atteso era il dialogo sull’educazione, seguendo un maestro, cioè Dante, fra l’insegnante Franco Nembrini e il disegnatore Dell’Otto.

Nembrini da alcuni anni tiene con successo ai pubblici più disparati, dagli studenti alle casalinghe, fino alle composite platee televisive, incontri in cui legge e commenta i versi della Divina Commedia. Non è uno specialista, non è un accademico, è un appassionato capace di aggregare intorno al proprio interesse e di far capire come l’itinerario poetico di Dante abbia molto da dire anche a noi uomini del XXI secolo.

A Dell’Otto è capitato di ascoltarlo in una parrocchia romana ed è subito scattata la scintilla. Quel modo di raccontare la Divina Commedia lo aveva intrigato e gli propose, con grande stupore dell’insegnante, di collaborare. È nata un’amicizia, un sodalizio culturale, che è sfociato anche in una iniziativa editoriale: a fine mese uscirà da Mondadori il primo volume, l’Inferno, della Divina Commedia commentata da Nembrini e illustrata da Dell’Otto.

“E’ stata l’esperienza di fare i conti insieme con un grande maestro – ha spiegato l’insegnante – fino al punto che mi ritrovo a capire meglio Dante da ciò che Gabriele disegna”. D’altra parte, il disegnatore ha raccontato che la sua preoccupazione non è stata solo di realizzare tavole belle, ma che fossero anche di servizio al testo, un aiuto a meglio comprenderlo e assimilarlo.

Un aspetto interessante del loro lavoro è che mentre precedenti blasonati illustratori hanno impresso nelle tavole la loro personale visione delle terzine dantesche, il libro che uscirà da Mondadori è invece il frutto di un serrato confronto fra Dell’Otto e Nembrini, allargato al comitato scientifico di cui fanno parte altri docenti coinvolti negli anni nella comune passione per Dante. E questo confronto reale, ha inciso sull’esito del lavoro, modificando spesso le diverse interpretazioni che ciascuno aveva di un canto. Si veda per esempio il canto XVI dell’Inferno, ricco di storie e di contenuti (i fiorentini illustri, la corruzione di Firenze, l’ascesa di Gerione) che avrebbero fornito fantasiosa e suggestiva materia all’illustratore: in questo caso il suggerimento del comitato scientifico è stato quello di concentrarsi su un particolare, il lancio della corda, che Dante portava ai fianchi, nella scoscesa voragine dove scorreva acqua rossa e da cui sarebbe emersa la misteriosa figura di Gerione. Secondo Nembrini il lancio della corda rappresenta l’abbandono di ogni aggancio sicuro per lanciarsi senza rete nel viaggio avventuroso che aspetta lui e Virgilio.

Discussioni ci sono state anche sulle tre fiere: Dell’Otto ne voleva disegnare, per ragioni di tempo, solo una, simbolica, mentre Nembrini e i suoi colleghi hanno insistito che fossero tutte e tre, perché così meglio si sarebbe reso il percorso ad ostacoli di Dante. In un’altra tavola, quella sul canto che ha Ulisse come protagonista, è stato il comitato ad accettare la prospettiva di Dell’Otto. Nembrini e gli altri pensavano si dovesse documentare tutto o quasi dell’avventura di Ulisse, mentre Dell’Otto ha insistito che si dovesse rappresentare ciò che Dante vedeva, e cioè una fiammella.

Il criterio è stato seguire il maestro. Ma Virgilio, il maestro di Dante, non ha potuto poi seguirlo verso il Paradiso perché non era un salvato, come può restare un maestro?, ha obiettato uno studente. “Tutti siamo dei poveracci, per tutti il punto di partenza è la selva oscura da cui leviamo il nostro grido. – ha risposto Nembrini – L’importante è che sia vera la strada che il maestro ci indica, non la sua coerenza”. E a documentazione di tale affermazione ha letto la straordinaria lettera di un ragazzo ventenne che, miscelando Dante e il dialetto della nonna, chiedeva che la speranza proposta dagli adulti fosse vera, perché solo così sarebbe stata capace di affascinarlo.

Secondo il rapporto nazionale della Caritas sulla povertà un povero su due ha meno di 34 anni. Nello stesso giorno in cui veniva diffuso questo rapporto, a Rimini è stato presentato il primo rapporto sulla povertà giovanile. Il titolo è eloquente: “Poveri giovani”, quasi una sconsolata esclamazione sul destino di una generazione. “Da qualche tempo – spiega il direttore della Caritas di Rimini, Mario Galasso – ci eravamo accorti che ai nostri servizi accedeva una popolazione sempre più giovane. Pertanto abbiamo voluto fare questa ricerca per capire meglio questo aspetto della povertà”.

L’indagine, condotta da giovani ricercatori, ha coinvolto 508 soggetti fra i 18 ei 34 anni, incontrati al Centro per l’Impiego, negli Istituti professionali, in piazza, realizzando focus group nei Centri giovani e interviste nelle Caritas parrocchiali.

La mancanza di lavoro è fra le cause più frequenti di povertà. Su 508 giovani solo il 19,1% ha un lavoro e nella maggior parte dei casi si tratta di un impiego precario. Se si considera il lavoro stagionale estivo, la percentuale degli occupati, prevalentemente studenti, sale al 51,8%. Il 48,6% ha però dichiarato di aver svolto il lavoro in nero o parzialmente in nero. Mario Galasso osserva che in Italia abbiamo il 29,5 di Neet, cioè giovani che sono fuori da ogni percorso formativo o di ricerca del lavoro. Ed anche la provincia di Rimini è ai primi posti in questa non invidiabile classifica.

Per il 20% dei giovani, pari a 105 ragazzi, la povertà significa non riuscire a pagare bollette o canoni di affitto. I più colpiti sono i giovani dai 29 anni in su, quelli cioè che stanno tentando di costruirsi una famiglia, ma anche i giovani che hanno i genitori separati (il 58,6% dei giovani con genitori separati si trova in una situazione di difficoltà).

In particolare: 30 ragazzi non sono nelle condizioni di mangiare un pasto completo ogni due giorni; 61 non riescono a riscaldare adeguatamente la casa; 71 non sanno come far fronte a spese straordinarie come la rottura di un elettrodomestico; 59 non riescono a sostenere le spese sanitarie; 75 non possono permettersi una settimana di ferie all’anno.

Stranieri? Anche, ma solo il 16,7%, per il resto il campione è formato da italiani (78,9%), da un 2,6% di Sammarinesi, da 1,8% di intervistati in possesso della doppia cittadinanza. Gli stranieri provengono per il 48,2% da paesi dell’Europa Orientale (Albania, Macedonia, Moldavia, Romania, Serbia, Ucraina) e per il 37,7% dall’Africa settentrionale (Algeria, Tunisia e Marocco) e occidentale (Senegal, Gambia e Nigeria).

I giovani del campione non sembrano avere fra le loro aspirazioni per il futuro la formazione di una famiglia. Solo 2,7 giovani su dieci desiderano sposarsi, 3,3 avere dei figli e 1,7 andare a convivere. Giustamente i ricercatori osservano che se avessimo posto questa domanda ai giovani di vent’anni fa i numeri sarebbero stati certamente più elevati.

L’indagine ha restituito una marea di dati che è impossibile riassumere in poche righe. Quel che emerge è che il disagio sociale, in molteplici forme, colpisce duramente la fascia giovanile. I ragazzi appaiono anche molto disorientati e poco informati sui servizi e sui centri ai quali rivolgersi per questo o quel bisogno.

C’è comunque un’appendice (riguarda i giovani che si sono rivolti alla Caritas nel periodo gennaio-maggio di quest’anno) che rivela altri aspetti interessanti. Il 65,3% dei giovani di questo particolare universo abita insieme al proprio partner (sia esso coniuge o compagno), il 66,8% ha figli (di cui il 90,5% abitanti nella stessa casa), il 57,9% è coniugato. È evidente che i giovani maggiormente colpiti dalla povertà sono coloro che hanno cercato di costruirsi una famiglia. Le giovani coppie faticano a costruirsi un futuro a causa delle tante spese e dei pochi guadagni. Il 10% ha un diploma universitario o la laurea, spesso però il titolo di studio preso all’estero non è riconosciuto in Italia, quindi non c’è la possibilità di “spenderlo” per la ricerca di un posto di lavoro attinente.

La maggior parte dei giovani incontrati ha un basso titolo di studio, tra gli italiani ci sono addirittura 2 con la sola licenza elementare e 12 con la licenza media.

Fotografata così bene la situazione, resta una domanda: che fare? “Papa Francesco – osserva il direttore Galasso – ha detto di non rispondere ai bisogni dei giovani con dei convegni. È una sfida ch raccogliamo. Due anni, dal rapporto annuale sulla povertà è nato l’Emporio solidale, l’anno scorso, con il rapporto che verteva sul bisogno di salute, è sorto l’ambulatorio medico. Penso che anche per i giovani nascerà qualcosa che vogliamo fare insieme a loro, loro stessi devono essere protagonisti nel trovare risposte non per il futuro ma nel presente”.

Il reddito di cittadinanza proposto dal governo può essere una risposta? “In questo anno è stata applicata una misura, il reddito di inclusione, che ha rappresentato un primo passo. Non prevede solo aiuti economici, ma nella collaborazione fra Comuni e volontariato, anche percorsi personalizzati di accompagnamento verso l’autonomia. Questa misura, anche per le risorse limitate, non ha risposto al cento per cento, però ha fornito segnali postivi. Il reddito di cittadinanza è ancora una incognita, vedremo come sarà realizzato. Si basa sui centri per l’impiego che, a differenza dei Comuni, non sono attrezzati e non hanno il personale formato a queste esigenze. Al momento è un punto interrogativo, vedremo”.

Se dopo appena due mesi l’iter per la quotazione in Borsa di IEG torna in consiglio comunale con modifiche che potevano tranquillamente essere previste, significa che non si avevano le idee chiare. È una constatazione che preoccupa, vista l’importanza degli interessi in gioco. Per primo Cristiano Mauri, e poi a seguire altri esponenti della minoranza, hanno espresso questa perplessità di fronte al fatto che nel giro di sessanta giorni si cambino le carte in tavola. Una questione come la quotazione in Borsa non era stata sufficientemente ponderata dagli uffici? L’assessore Gian Luca Brasini ha risposto che la quotazione in Borsa non è una pratica che si istruisce tutti i giorni, quindi meglio due passaggi che uno solo se ciò serve a migliorare il progetto.

Cosa è dunque cambiato? Le modifiche non sono marginali. La quotazione sarà effettuata prioritariamente nel segmento ordinario e, solo se possibile, in quello Star (ad agosto era invece stato indicato il solo segmento Star). Se due mesi fa le operazioni dovevano concludersi entro il 31 dicembre 2018, adesso si è stabilito che il termine scadrà il 30 giugno 2019; quindi se a novembre non ci dovessero essere le condizioni ottimali, si proverà a primavera. Era stato deliberato che dall’operazione dovessero scaturire circa 18 milioni, la cui maggior parte destinata ad estinguere il mutuo con Unicredit per il Palazzo dei Congressi. Ora invece si è stabilito che dalla quotazione devono arrivare almeno 18 milioni. È stato anche precisato che l’estinzione anticipata del mutuo dovrà riguardare almeno la somma di 15 milioni e che di conseguenza bisognerà ridurre di 6,5 milioni le azioni date in pegno ad Unicredit.

Si darà la possibilità ai dipendenti di acquistare azioni ma solo per un ammontare complessivo di 100 mila euro: il consigliere Renzi ha chiesto il perché di questo limite ma non ha avuto risposta.

È stata introdotta la clausola cosiddetta green shoes, cioè la possibilità di collocare sul mercato un ulteriore 10 per cento di azioni al fine di stabilizzare la quotazione nei primi trenta giorni. Sempre al fine di stabilizzare la quotazione, è stata autorizzata IEG ad acquistare azioni proprie.

Saranno stipulati due distinti patti di sindacato fra Rimini Congressi, detentrice del pacchetto di controllo, e  Vicenza e con la Regione Emilia Romagna per poter sempre nominare un membro in consiglio d’amministrazione.

Se prima era stato indicato una forchetta precisa entro cui stabilire il valore di ogni singola azione, ora è stato invece deciso che il valore sarà individuato dall’advisor in prossimità del collocamento: questo per non indurre gli investitori a offrire il prezzo inferiore.

Aumentano i costi dell’operazione, che per Rimini Congressi lievitano fino a 1,5 milioni.

Poiché la quotazione in Borsa dovrà servire a IEG per aver risorse a sostegno del proprio piano di investimenti, è stato deciso che l’aumento di capitale non sarà di 45 milioni bensì arriverà fino a 55 milioni. Nel testo della delibera, si ripete spesso che tutte le modifiche sono volte a salvaguardare l’interesse pubblico. Significa che prima non era stato adeguatamente valutato?

Nonostante l’enormità degli interessi in gioco, il dibattito non ha offerto spunti originali. Sono intervenuti solo i consiglieri di minoranza, mentre la maggioranza, con disappunto ripetuto di Gennaro Mauro, ha osservato un rigoroso silenzio. Gli interventi hanno sottolineato aspetti non chiari, la mancanza di adeguata informazione, oppure argomenti non a tema come le bordate di Renzi contro gli oppositori dell’attuale governo. Il consigliere Camporesi, che in precedenza aveva reiterato una sua interrogazione sul bilancio della Società del Palazzo, ha motivato il suo voto contrario dal fatto che i bilanci di IEG possono essere falsati dal fatto che il valore del Palazzo dei Congressi non è valutato secondo le norme di legge.

Alla fine, diciotto voti a favore, sette contrari, tre astenuti.

Una notizia sull’aspetto che avrà il Parco del Mare, che rimane ancora un oscuro oggetto del desiderio, è emersa ieri sera in consiglio comunale. Le dune artificiali che saranno create sul lungomare avranno la forma di sardina. Lo ha confermato l’assessore Roberta Frisoni rispondendo ad una interrogazione del consigliere Gioenzo Renzi.

Renzi è tornato ancora una volta alla carica sul parco del Mare chiedendo lumi sul progetto dello studio Miralles Tagliabue e riproponendo le sue perplessità sul rispetto dei tempi. Il consigliere ha interrogato l’assessore perché gli uffici – ha sostenuto – gli hanno negato l’accesso agli atti. Voleva vedere il disegno del lungomare dello studio Miralles Tagliabue, costato alle casse comunali 193 mila euro, e voleva verificare se è vero che ci saranno dune in cemento armato a forma di sardina. Frisoni ha confermato che in effetti è previsto questo elemento delle sardine, ha però negato decisamente che siano di cemento armato. Ha provato a evocare un disguido fra Renzi e i funzionari a proposito dell’accesso agli atti, ma il consigliere ha ribadito che gli è stato dichiarato un inequivocabile “no”. Stando a quanto dichiarato dall’assessore, il progetto definitivo non è ancora stato consegnato all’amministrazione comunale. Siamo ad ottobre, doveva essere consegnato in primavera.

E così arriviamo alla seconda importante questione sollevata ancora una volta da Renzi, quella dei tempi. Era stato detto che i lavori per i primi due stralci (Marina Centro e Lungomare Spaazzi) sarebbero partiti in autunno, e invece partiranno a primavera 2019. Il punto è che per non perdere il finanziamento regionale di 2,8 milioni i lavori devono essere completati entro il 31 dicembre 2019. Renzi nutre forti dubbi che il traguardo sarà raggiunto, anche perché gli risulta che l’amministrazione non abbia ancora chiuso le convenzioni con i soggetti privati. Tutto all’oscuro, tutto senza trasparenza, si è lamentato. L’assessore Frisoni ha fornito la solita risposta: quando ci saranno gli accordi operativi, saranno portati in consiglio comunale. Renzi ha replicato: penso che non vedremo il nuovo lungomare nemmeno in questa legislatura.

Fra un anno si vota per le elezioni regionali, e con largo anticipo è cominciata la pioggia di annunci e promesse. In questi giorni il presidente Stefano Bonaccini, accompagnato dall’assessore al turismo Andrea Corsini, ha fatto il tour delle Destinazioni turistiche e nella giornata di lunedì ha fatto tappa anche a Rimini al cinema Fulgor. Bonaccini ha messo sul piatto 40 milioni per la riqualificazione dell’offerta turistica. Entro l’anno dovrebbe essere approvata la legge sul distretto turistico della Costa, grazie alla quale per il biennio 2019-2020 saranno stanziati 20 milioni di euro per sostenere la realizzazione da parte dei Comuni di progetti di riqualificazione, rigenerazione urbana e quindi valorizzazione delle località della costa. Il bando dovrebbe essere già pubblicato nei primi mesi del 2019. Altri 20 milioni sono invece previsti dal nuovo Fondo per la ristrutturazione delle strutture ricettive, quali alberghi e campeggi. 

Da tanta generosità sono per il momento esclusi i bagnini: per loro si aspetta che venga definita l’annosa questione della Bolkestein. Tuttavia Bonaccini ha cercato di gratificare anche gli operatori balneari: ha detto infatti che se si arriverà al 2020, data di scadenza dell’attuale proroga, con un vuoto normativo, la Regione Emilia Romagna è pronta a intervenire con un provvedimento regionale che garantisca i diritti degli attuali concessionari. Sempre che Bonaccini sia ancora alla guida della giunta regionale…

L’anno elettorale porta a promettere milioni su milioni e ad ingigantire oltre ogni misura i dati sulle presenze turistiche. Nel comunicato stampa riferito al tour di Bonaccini e Corsini si scrive che nel 2017 in Emilia Romagna sono stati registrati 57 milioni di presenze. Se si guardano i dati ufficiali Istat sono in realtà 40 milioni, ma sappiamo che la Regione si fida delle stime dell’Osservatorio in quanto i dati Istat non sarebbero completi. Ma qui sono state valutate 17 milioni di presenze in più, mica bruscolini; Le statistiche ufficiali sono state aumentate del 40 per cento, una rivalutazione davvero esorbitante, anche se si considera il nero, le case al mare e gli altri fattori indicati dall’Osservatorio. Immaginiamo che corrispandono a questo sistema di ritoccamento anche i dati relativi al periodo gennaio-agosto: tra Comacchio e Cattolica sarebbero oltre 6 milioni gli arrivi (+1,6%) e quasi 37 milioni le presenze (+1,5%). Incrementi che escono ulteriormente rafforzate dalle proiezioni (dati ancora provvisori) relative al periodo maggio-settembre che registrano rispettivamente un +2,1% e un +1,8%. Sul sito della Regione le statistiche ufficiali sono ferme a luglio, impossibile quindi fare paragoni. Viene però da chiedersi, visto che i dati ufficiali esistono e su questi la Regione fa i suoi ritocchi, perché non vengano tempestivamente pubblicati.

All’incontro con Bonaccini e Corsini erano invitati tutti i soci di Destinazione Romagna, il nuovo organismo incaricato di organizzare la promo-commercializzazione del territorio delle province di Ferrara, Ravenna, Forlì Cesena e Rimini. Un organismo che stenta a decollare, ma nel corso dell’incontro non si è parlato di questo, sono stati ascoltati gli annunci di Bonaccini e Corsini.

In occasione della festa di San Gaudenzo, patrono della città e della diocesi, il vescovo di Rimini monsignor Francesco Lambiasi ha rivolto un discorso alle autorità sul tema "Uscire dalla paura: si deve, ma si può?". Una riflessione sul fenomeno dell'immigrazione, con l'invito a passare dalla paura all'incontro, alla relazione, all'integrazione.

Ecco il testo integrale.

 

Per questa edizione 2018, permettetemi di presentarmi a voi con una cartella di dediche rivolte a uomini e donne di buona volontà, che si sono distinte per opere e segni di accoglienza nella nostra Città e Provincia. Leggo queste dediche come altrettante buone notizie, che ritengo ci faccia bene condividere tra di noi e ci torni utile farle circolare, perché equivalgono a dieci “storie belle e buone”, dieci segnali di speranza e di inossidabile fiducia. Perché il bene fa sempre bene: è diffusivo di suo e contagioso. Il bene fa bene anche solo conoscerlo, anche solo condividerlo tra di noi e diffonderlo attorno a noi.

Pertanto vorrei dedicare questo mio intervento a:

- Rino, ex vigile del fuoco: incontrava R., giovane senegalese, tutti i giorni fuori dal panificio con la mano tesa. Rino e la moglie hanno preso a preparargli un posto a tavola, nella loro casa di Villa Verucchio. Quando è partito il progetto “Rifugiati in Valmarecchia”, è stato ‘automatico’ per lui e la moglie accogliere almeno una volta a settimana i ragazzi ospiti, insieme a figli e nipoti.
- Sara Barraco: una vita spesa con i dimenticati, gli esclusi, i più deboli. In questi ultimi anni per i bambini dell’Operazione Cuore, che arrivano in Italia dallo Zimbabwe. Nonostante l’età, continua a correre tra Rimini e Bologna, tra la Caritas e gli ospedali.
- Luca e Roberta che hanno deciso di portare avanti la gravidanza pur sapendo che la figlia sarebbe nata con delle malformazioni.

- Nicoletta, Gabriele, Veris, Paolo e tutti gli altri volontari della zona pastorale Flaminia che stanno offrendo il loro tempo per accogliere una famiglia eritrea arrivata con i corridoi umanitari.
- Alima, Melissa, Mustafà, Ascmir, Mariame, Mohammed, delle comunità musulmane presenti a Rimini che ci stanno aiutando nella difficile arte del dialogo e della costruzione di ponti tra cattolici e musulmani.
- Marius Ciocian, pizzaiolo romeno residente a Santa Maria in Casale e Andrea Alessandrini di Montegridolfo che, dopo aver trovato un portafoglio rispettivamente con 1500 e 1000 Euro l’hanno restituito.
- Alessandra Cetro e Fabio Cassanelli: hanno aperto la loro casa a George Benose, un ragazzo di 23 anni proveniente dalla Nigeria che hanno conosciuto nell’accoglienza di Casa Betania.
- Luciano e Lella Bagli, volontari di protezione civile, hanno realizzato una casa del pane in Tanzania per ricordare e continuare a far vivere la figlia Paola morta giovane.
- Giacomo Pacassoni, classe 1981, è un giovane medico riminese, specializzato in medicina del lavoro. È il medico volontario che ha fatto nascere la bimba Miracle sulla nave Open Arms della Ong spagnola Proactiva, lo scorso 6 settembre 2017.
- I giovani dell’Operazione Colomba, corpo non-violento di Pace della Papa Giovanni XXIII, presenti in luoghi di conflitto – Palestina, Libano, Colombia, Albania – che vogliono sperimentare con la propria vita che la nonviolenza è l'unica via per ottenere una pace vera, fondata sulla giustizia, e la riconciliazione.

1. L’immigrazione nel 2018
Oggi l’immigrazione è diventata nel nostro Paese un fenomeno sorprendente nel suo incremento, anche se negli ultimi anni il fenomeno si è fermato. All’inizio del 2016 il numero aveva superato i 5 milioni, con una incidenza sulla popolazione totale pari all’8,3%. Non dimentichiamo che il 52,6% di questi sono donne, portatrici di esigenze e sensibilità specifiche, e che nel 2016 sono arrivati in Italia più di 25.000 minori stranieri non accompagnati. Non possiamo poi dimenticare che a fronte di 5 milioni di immigrati in Italia, 5 milioni di italiani sono oggi emigranti nei cinque continenti alla ricerca di un lavoro e di una vita dignitosa.
La nostra situazione di Rimini Comune e Provincia si condensa in queste cifre. I residenti nel Comune al 1° gennaio 2018 ammontavano a un totale di 149.403, di cui 77.828 Femmine; 71.575 Maschi. In pari data gli immigrati ammontavano a 19.127, di cui 10.699 Femmine; 8.428 Maschi. La percentuale degli stranieri sul totale della popolazione del Comune di Rimini è del 12,8%. In Provincia di Rimini al 1° gennaio 2018 i residenti ammontavano a 337.325, di cui 174.657 Femmine; 162.668 Maschi. In pari data gli immigrati ammontavano a 20.659 Femmine; 15.785 Maschi, con una percentuale del 10,8% sul totale della popolazione della Provincia. Sono numeri di volti, persone, storie, vite.

2. Immigrazione, una grande sfida
Di fronte a questa situazione non possiamo limitarci a risposte prefabbricate, ma dobbiamo affrontarla con realismo e intelligenza, con creatività e audacia, e, al tempo stesso, con prudenza, evitando soluzioni semplicistiche. Riconosciamo che esistono dei limiti nell’accoglienza. Al di là di quelli dettati dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità, esistono limiti imposti da una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita dignitose. Siamo, inoltre, consapevoli che il periodo di crisi che sta ancora attraversando il nostro Paese rende più difficile l’accoglienza, perché l’altro è visto come un concorrente e non invece come una opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la stessa crescita del Paese. «L’opera educativa – hanno ricordato sempre i Vescovi italiani – deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione.[1]. Vogliamo ricordare inoltre che il primo diritto è quello di non dover essere costretti a lasciare la propria terra. Per questo appare ancora più urgente impegnarsi anche nei Paesi di origine dei migranti, per porre rimedio ad alcuni dei fattori che ne motivano la partenza e per ridurre la forte disuguaglianza economica e sociale oggi esistente.
Occorre avere uno sguardo diverso di fronte a coloro che bussano alle nostre porte, che inizia da un linguaggio che non giudica e discrimina. I termini stessi che spesso ancora utilizziamo per parlare di immigrati (clandestini, extracomunitari…) portano in sé una matrice denigratoria Se noi siamo parte di una comunità, essi ne sono esclusi.
Incontrare un immigrato a Rimini, in piazza Cavour o nei pressi del Mercato coperto significa fare i conti con la diversità. In questo incontro emerge la paura. Anzi, due paure si ritrovano a confronto: la mia paura e quella che prova lo straniero. La sua paura è quella di chi è venuto in un mondo a lui radicalmente estraneo, dove non è di casa e non ha casa, un mondo di cui non conosce nulla. La mia è quella di ritrovarmi di fronte ad uno sconosciuto che è entrato nella “mia” terra, che è presente nel “mio” spazio e non so come lo abiterà, e che, nonostante sia solo, mi lascia intravvedere che forse molti altri lo seguiranno. «Queste paure sono legittime, fondate su dubbi pienamente comprensibili da un punto di vista umano. Avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto.[2].

3. Un percorso praticabile

a. Dalla paura all’incontro
Le paure si possono vincere solo nell’incontro con l’altro e nell’intrecciare una relazione. Si tratta di riconoscere l’altro nella sua singolarità, dignità, valore umano inestimabile, di accettarne la libertà; significa riconoscere la sua peculiarità (di sesso, di età, di religione, di cultura,…) e desiderare di fargli posto, di accettarlo. Tutto ciò senza rinnegare la nostra cultura e le nostre tradizioni, ma riconoscendo che ve ne sono altre ugualmente degne. Scopriremo una ricchezza inaspettata: occhi nuovi per guardare realtà note; tradizioni e abitudini diverse che aiutano a valutare e ad apprezzare più in profondità le nostre; sofferenze patite che ci rivelano quanto accade lontano da noi.


b. Dall’incontro alla relazione
Da un incontro vero nasce la relazione e il dialogo: non più una semplice conoscenza dell’altro, non più solo un confronto di identità, ma una conoscenza “simpatica” dei valori dell’altro. Un dialogo che non ha come fine l’uniformità, ma il camminare insieme, il ricercare un “con-senso”, un senso condiviso a partire da presupposti differenti. È nel dialogo, allora, che si modificano i pregiudizi, le immagini, gli stereotipi, e siamo indotti a riflettere sui nostri condizionamenti culturali, storici, psicologici, sociologici: siamo interrogati sulle nostre certezze e sulla nostra identità. Nel dialogo, aperto alle persone di altre Chiese e di altre religioni, si allarga anche la comunione e la fraternità. Questo è l’inizio di un cammino che può trasformare la possibilità della convivenza in una scelta consapevole. L’immigrazione, con le reazioni di rigetto che talvolta suscita, mette in luce un atteggiamento presente nelle società occidentali e che non le è direttamente connesso: il crescente individualismo, che sempre più spesso si manifesta anche fra connazionali e addirittura all’interno delle famiglie.

c. Dalla relazione all’integrazione
È questo il passaggio più difficile. L’integrazione è un processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze; che ha come obiettivo la formazione di società plurali in cui vi è riconoscimento dei diritti, in cui è permessa la partecipazione attiva di tutti alla vita economica, produttiva, sociale, culturale e politica, avviando processi di cittadinanza e non soltanto di mera ospitalità. «In conformità con la sua tradizione pastorale, la Chiesa – scrive papa Francesco – è disponibile ad impegnarsi in prima persona per realizzare tutte le iniziative (…), ma per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno, secondo le responsabilità proprie»[3]. L’opera della Chiesa nel campo della mobilità umana non può che essere sussidiaria all’azione dello Stato e delle istituzioni internazionali.
La civiltà ha fatto un passo decisivo, forse il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes). Il giorno in cui nello straniero si riconoscerà un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo. È il passo che le nostre comunità devono saper compiere, non dimenticando l’importanza dell’ospitalità che porta dalla paura all’incontro, dall’incontro alla relazione, dalla relazione alla integrazione. In breve, dall’ostilità all’ospitalità.
Permettetemi di concludere con un invito. Domenica 18 novembre p.v. celebreremo a Rimini la II Giornata Mondiale dei poveri indetta da Papa Francesco. E con i poveri prenderemo parte alle due mense: quella del pane eucaristico e quella del pane quotidiano.
Vi anticipo a voce un cordialissimo invito a partecipare a quell’evento, e vi ringrazio per la cortese attenzione da voi prestata e per la vostra solerte, generosa disponibilità.

La pre-comprensione in cui tutti o quasi siamo immersi vede in Antigone un’eroina della sempre attuale lotta della legge eterna contro l’arbitrio dispotico del potere, e in Edipo il simbolo del movimento che porta ogni uomo ad uccidere metaforicamente il proprio padre. Il merito di Luciano Violante e di Marta Cartabia è di essersi accostati alle due tragedie greche restituendoci una lettura di Antigone diversa rispetto a quella dominante dal dopoguerra in poi, ed una lettura inedita dell’Edipo re, liberata dalla gabbia psicoanalitica in cui il personaggio di Sofocle è stato tenuto prigioniero da Freud in poi. L’esplorazione dei due testi da parte di due giuristi molto diversi fra loro per formazione culturale ed esperienza professionale, diversi ma avvinti in un dialogo foriero di stimolanti contaminazioni, ha prodotto un prezioso libretto su Giustizia e mito, edito da Il Mulino, e l’altrettanto preziosa lectio magistralis con cui i due autori hanno aperto a Rimini nella Sala del Giudizio, la decima edizione del Festival del mondo antico. Violante non ha bisogno di particolari presentazioni, essendo ben nota la sua carriera di magistrato ed il percorso politico all’interno della sinistra che lo ha portato fino alla carica di presidente della Camera; forse meno nota è Marta Cartabia, una docente di diritto costituzionale di formazione cattolica che il presidente Napolitano ha nominato giudice della Corte Costituzionale, organismo di cui oggi è vice presidente.

Perché ancora oggi ci si appassiona a sentir parlare di Antigone e di Edipo? Perché nelle loro vicende sono presenti molti degli eterni dilemmi che affaticano il cuore dell’uomo e muovono le vicende storiche. Sono talmente eterni che negli interventi di Violante e di Cartabia, senza che essi facessero espliciti riferimenti, abbiamo visto scorrere tanti dei fatti e degli argomenti che oggi dominano l’attualità.

Violante ha voluto smontare il mito di Antigone buona e di Creonte cattivissimo. Creonte aveva ordinato che non fosse data sepoltura a Polinice, colpevole di aver ucciso il fratello Eteocle. Antigone si ribellò all’editto, seppellì Eteocle e fu condannata a morte da Creonte. Ecco perché, dopo l’esperienza dei totalitarismi del XX secolo, è invalsa la lettura di una Antigone eroina e di un Creonte feroce tiranno: vi si leggeva la rivolta del popolo contro ogni forma di totalitarismo. Secondo Violante il tema che pone la tragedia è in realtà il governo della città e la condizione di solitudine di chi governa. Antigone non è un’eroina perché ha una visione familistica dei vincoli che regolano la polis, mentre Creonte rappresenta la modernità, perché governa lo stato con principi secolari, secondo una determinata gerarchia di valori. La tragedia insegna che chi ha responsabilità politiche non può aprire un conflitto se non è in grado di risolverlo. A Tebe non c’era una corte costituzionale che potesse dirimere il conflitto insorto fra Creonte e Antigone, nella tragedia non c’è nemmeno un dio che intervenga a risolverlo. Il filo delle riflessioni ha infine portato Violante ad affermare che il processo penale non ha l’obiettivo di stabilire la verità dei fatti, ma di accertare la responsabilità, non sempre una sentenza rispecchia la verità oggettiva.

Ecco allora Cartabia che sostiene come nell’Edipo Re emerge il dramma di chi deve giudicare e discernere dove sta la responsabilità di un fatto grave. Tebe è afflitta dalla peste e da altri gravi mali, la città implora il re Edipo di liberarla ancora una volta come fece quando risolse l’enigma della Sfinge. C’è un responsabile, c’è un “impuro” da individuare, Edipo è deciso a scovarlo ma prima di iniziare la sua indagine si rivolge, diremmo oggi, ai collaboratori di giustizia, chiede che chi sa parli. Alla fine dell’indagine scoprirà il colpevole e scoprirà che l’impuro era proprio lui.

La sua corruzione non è di tipo economico e politico. Lui era fuggito da Corinto dopo che l’oracolo gli aveva detto “Tu ucciderai tuo padre e giacerai con tua madre”. Edipo aveva chiesto chi fossero i suoi genitori, ma si era fermato a quella risposta e inorridito era fuggito. La colpa di Edipo, sostiene Cartabia, è una colpa tragica che sfugge alla sua autocoscienza. Emerge insomma la fallibilità della nostra condizione umana, simboleggiata anche dai suoi piedi feriti. La tragedia di Edipo ci mette di fronte alla ferita che impedisce alla nostra umanità di giungere ad una conoscenza perfetta. Cartabia ricorda la sua esperienza in Corte Costituzionale quando, in camera di consiglio, ogni intervento dei colleghi mette in luce un aspetto diverso sul fatto che si è chiamati a giudicare. La conoscenza è una procedura faticosa, i fatti sono difficilmente interpretabili, ed in ogni caso l’esito finale è sempre una conoscenza imperfetta.

Ecco perché spesso siamo insoddisfatti da una sentenza. Cartabia cita la Bibbia, il libro di Qoelet: “Non voler essere troppo giusto”. Che significa? Secondo la vice presidente della Corte Costituzionale, significa non dimenticarti della tua condizione umana, della fallibilità del tuo agire. La giustizia è allora giuris-prudemza, dove prudenza significa attenzione a tutto ciò che accade, e per rafforzare il concetto legge alcuni brani dell’elogio dell’imperfezione contenuto in un libro di Karl Popper (Miseria dello storicismo).

Da oggi è online il sito visitemilia.com, dove è presentata l’offerta turistica della Destinazione Emilia, che comprende le province di Parma, Regio Emilia e Piacenza. È in linea anche, ma da tempo, il sito bolognawelcome.com, in precedenza solo relativo a Bologna ma, visto che Bologna Welcome ha vinto il bando per la gestione delle attività di promozione e commercializzazione della Destinazione, ora è anche il sito che promuove l’offerta turistica di Bologna, della Città metropolitana e di Modena. Ma la notizia importante sta nell’inciso: Destinazione Bologna ha fatto il bando per scegliere la DMO (Destination Management Organization), aggiudicato nell’aprile scorso a Bologna Welcome, la collaudata “macchina da guerra” che promuove, con ottimi risultati, la città felsinea.

Bene, l’Emilia apre il sito, Bologna marcia spedita verso nuovi traguardi, e Destinazione Turistica Romagna? Non pervenuta. Il sito della Destinazione è annunciato da mesi, ma ancora non si è visto. Fosse questo il solo problema, non sarebbe gravissimo, anche se oggi non si capisce come sia possibile fare promozione senza il web. L’impressione è che la Destinazione presieduta da Andrea Gnassi per il momento arranchi, che non abbia preso il via. Già questa è una notizia clamorosa: che in Romagna siano più indietro rispetto all’Emilia in tema di promozione turistica. Del resto, la conferma viene dalle statistiche ufficiali: da quelle parti la crescita delle presenza è a due cifre, sopra il dieci per cento, mentre da noi si festeggia o si polemizza per l’1 virgola qualcosa.

Nei primi tre giorni della prossima settimana il presidente Stefano Bonaccini e l’assessore Andrea Corsini faranno il tour delle Destinazioni, con appuntamento lunedì a Rimini al Cinema Fulgor, dopo essere passati per Ferrara, Ravenna e Bagno di Romagna. Ecco, per accontentare tutto il territorio, devono fare quattro tappe. La vastità del territorio e l’eterogeneità delle situazioni è il primo dilemma in cui si dibatte la Destinazione. Con un presidente, Andrea Gnassi, per il quale il turismo è soprattutto quello che si fa in Riviera, dalle parti di Rimini soprattutto, e questo genera spesso qualche malumore fra gli altri soci romagnoli e ferraresi.

La Destinazione non ingrana perché non ha personale, a parte un direttore, Chiara Astolfi, che però in Provincia deve svolgere anche altri mestieri. Come può un organismo di promozione turistica lavorare senza personale? Il consiglio d’amministrazione, che per bilanciare la rappresentanza dei vari territori ha il numero record di quattordici membri, non ha certo la possibilità di svolgere un lavoro reale, spesso si limita a passare le carte e ad approvare gli atti proposti dal presidente.Atti che poi non sono nemmeno tanti.

Le vecchie Unioni di Prodotto ex legge 7 hanno chiuso i battenti, ha aperto Destinazione Romagna senza ereditare dal passato nemmeno un dato riassuntivo delle azioni svolte, dei target raggiunti, di indagini di mercato, di analisi di bench marking. È come se Destinazione Romagna fosse all’anno zero del turismo, aperta ufficialmente nel 2017, nel 2018 si è limitata a finanziare la Notte Rosa p poco più. Non a caso il primo atto rilevante è stato l’affidamento a Tradermark Italia di una indagine di mercato sulla percezione, in Italia, all’estero e fra i turisti ospiti, della Romagna come destinazione turistica, sui suoi vantaggi competitivi e sulle sue criticità, sui suoi asset strategici.

Nel 2019 pensa di realizzare qualche azione promozionale. A questo scopo nelle settimane scorse ha indetto un bando per chiedere ai privati se vogliono partecipare. Le risposte dovevano arrivare entro oggi, è probabile che siano numerose perché ai privati è chiesta la partecipazione di appena 500 euro. Nella scheda finanziaria riepilogativa delle azioni per il 2019 il contributo dei privati è pari a 45 mila euro, a fronte di una spesa pubblica di 2 milioni 955 mila euro. Nella comunicazione esterna Destinazione Romagna dichiara di spendere 6 milioni, ma gli altri tre non sono per la promozioni fuori dal territorio, ma per le iniziative turistiche locali, cioè per gli uffici di informazione turistica e per gli eventi di intrattenimento (il mestiere che un tempo svolgevano le Province). Cioè per i turisti che già sono sul territorio, a parte i 285 mila euro per la promozione degli eventi di sistema, in primis la Notte Rosa.

La differenza di passo fra Bologna e Romagna lo si vede dal programma per il 2019, a partire dalla data di approvazione, luglio per Bologna, settembre per Romagna. Ma anche lo stile è profondamente diverso. Mentre il documento romagnolo è verboso, ripetitivo dei concetti, e a leggerlo sembra che il compito di Destinazione Romagna sia quello di creare il prodotto anziché promuoverlo, il programma di Bologna Welcome si limita a descrive le azioni concrete che saranno intraprese e che già appaiono ben definite. Ai privati che vogliono partecipare alla Destinazione si chiede un’iscrizione di 300 euro, salvo poi stabilire volta per volta i costi di adesione alle singole iniziative. Una delle voci di spesa più rilevanti sono le azioni di co-marketing e visibilità sui media insieme alle compagnie aree (210 mila euro).

Insomma, una diversità evidente che i lettori possono constatare direttamente cliccando sui relativi link.

Forse non a caso Andrea Gnassi per Rimini sta pensando a una DMC che sia uno strumento operativo efficiente al pari di Bologna Welcome. A quanto pare Destinazione Romagna, a dispetto del nome, fino a questo momento non è uno strumento per il marketing di destinazione, che in teoria doveva essere esaltato dalla nuova legge regionale.

Riccione ci crede, si potrebbe dire parafrasando la domanda che recentemente il consulente turistico Mauro Santinato ha rivolto agli operatori della Riviera: “Ma voi ci credete ancora?”. La risposta è sì: gli imprenditori di Riccione credono ancora allo sviluppo della città e delle loro imprese, pronti a mettere mano al portafogli per investire.

Lo si intuisce guardando alla risposta che hanno dato al bando dell’amministrazione comunale per la presentazione di manifestazioni di interesse relative alla zona strategica compresa fra la ferrovia e la spiaggia. Al 24 maggio scorso, data ultima di scadenza, sono pervenute 22 manifestazioni di interesse, in realtà veri e propri progetti, anche se non ancora esecutivi, accompagnati dal relativo business plan.

Le proposte arrivate in municipio prevedono per ciascuna area investimenti di almeno cinque milioni. Pertanto si può immaginare che a breve-medio termine nel territorio di Riccione, anzi nella città turistica, si apriranno cantieri per un valore complessivo di almeno 110 milioni, ma certamente ne movimenteranno molti di più. Significa che nel giro di qualche anno sarà radicalmente cambiato il volto della città e sarà anche profondamente rinnovato il volto dell’offerta turistica.

I progetti saranno presentati pubblicamente il prossimo 19 ottobre alle 21 nella sala del consiglio comunale. Mentre a Rimini le manifestazioni di interesse relative al Parco del Mare sono ancora avvolte dal mistero, a Riccione sarà così possibile conoscere quali soggetti privati hanno intenzione di investire. Fra i progetti, per esempio, ci sono quelli di Riccione Terme, dei campeggi, e di altre aree urbane in zona turistica bisognose di interventi di riqualificazione e di rigenerazione.

Riccione ha colto l’opportunità offerta dalla nuova legge urbanistica regionale, entrata in vigore il 1 gennaio di quest’anno. La legge prevede che entro tre anni dalla sua entrata in vigore, i Comuni avviino il procedimento di redazione della nuova strumentazione urbanistica sostitutiva che ha il suo fulcro nel Pug, il piano urbanistico generale. In attesa del Pug, i Comuni possono promuovere la presentazione di proposte di accordi operativi per dare immediata attuazione a parte delle previsioni contenute nei vigenti Psc. Devono pertanto pubblicare un avviso pubblico per la presentazione delle manifestazioni di interesse, ed è appunto ciò che ha fatto Riccione. L’avviso si riferiva all’attuazione delle previsioni del Psc (piano strutturale comunale) attualmente in vigore ed approvato dalle precedenti amministrazioni. Il secondo passaggio è l’approvazione da parte del consiglio comunale di una “delibera di indirizzo” con la quale sono determinati i criteri di priorità, i requisiti e i limiti in base ai quali valutare la rispondenza all’interesse pubblico delle proposte presentate. A quel punto i privati potranno stipulare con l’amministrazione “accordi operativi” relativi alla loro proprietà. Riccione è fra quei comuni che hanno stipulato con la Regione una convenzione per essere fra gli enti sperimentatori dei nuovi percorsi stabiliti dalla legge urbanistica. Ciò significa che entro il 31 dicembre 2019 Riccione dovrà presentare il nuovo Pug, che andrà a sostituire tutti gli strumenti urbanistici esistenti.

La novità sta da una parte in percorsi operativi più snelli, dall’altra nella possibilità di concretizzare in tempi brevi l’obiettivo di recuperare e valorizzare aree di pregio della città che richiedono di essere ripensate e rilanciate. È una scommessa certamente ambiziosa che dovrà essere verificata alla prova dei fatti. Ciò che positivamente sorprende è la risposta della città e dei suoi operatori: la proposta di 22 interventi di notevole impatto ed alto peso economico indica che non è venuta meno la volontà di rischiare e di credere al futuro turistico della città.

Che Riccione sia in movimento dal punto di vista dell’edilizia lo indicavano già alcuni dati diffusi dall’amministrazione nel giugno scorso. Dopo l’approvazione della variante al Rue, nel dicembre 2016, le pratiche edilizie sono notevolmente cresciute: 1102 nei primi cinque mesi del 2018 contro le 1035 del 2017 e 909 del 2016. Inoltre al 31 maggio scorso, gli introiti degli oneri di urbanizzazione che hanno registrato un + 9 per cento nei primi cinque mesi del 2018 rispetto a tutto il 2017.

Giovedì, 11 Ottobre 2018 10:18

11 ottobre

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