Pubblichiamo il saluto che Giovanni Paolo Ramonda, responsabile ultimo dell'Associazione papa Giovanni XXIII, ha rivolto questa mattina al presidente Sergio Matarella, nel corso dell'evento per festeggiare i primi 50 anni della comunità

E' un efficace ritratto della vita dell'Associazione, che tanta parte ha avuto anche nella storia delle persone di Rimini e provincia dal 1968 ad oggi.


Signor Presidente
con grande gioia la accogliamo in questo giorno così importante per tutta la Comunità Papa Giovanni XXIII, presente qui in Italia in tutte le regioni, e nel mondo in 43 Paesi nei 5 continenti.
50 anni di vita e di condivisione con i più poveri ed emarginati, di impegno e responsabilità, di gioia e anche sofferenza nel mettere la spalla sotto la croce di molte persone in difficoltà.
Salutiamo tutte le Autorità civili e il vescovo di Rimini Francesco che hanno voluto condividere con noi questo anniversario.
Insieme a queste migliaia di giovani e alla grande famiglia fondata da don Oreste Benzi, la vogliamo ringraziare per il bene che vuole al Paese, al senso di giustizia che continuamente  richiama nei suoi interventi, nel difendere i diritti fondamentali della vita, della famiglia, del lavoro, dell’attenzione ai deboli, dell’implementare un’economia di condivisione.
Diceva don Benzi: «Le persone fragili non possono essere solo oggetto di assistenza ma sono costruttrici di umanità. Un popolo che lascia indietro i più poveri è destinato ad autodistruggersi.»
È un principio che noi traiamo dal Vangelo, ma anche dalla Costituzione della nostra Repubblica Italiana, di cui quest’anno abbiamo celebrato il 70° anniversario dall’entrata in vigore.
L’articolo 3 afferma che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge» e che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli …». Gli ultimi, gli emarginati, non come oggetto di assistenza ma come protagonisti di una società che grazie a loro diventa più umana, accogliente, simpatica, migliore per tutti.
È un principio che ci guida fin dalle origini, quando don Benzi, nel settembre del 1968, decise di portare in vacanza sulle Dolomiti non solo giovani normodotati ma anche giovani con disabilità, tirandoli fuori dagli istituti. E lì portò non in un ambiente separato ma nei luoghi frequentati da tutti, in una importante località turistica, Canazei, dove aveva costruito “Casa Madonna delle vette” andando a raccogliere i fondi in America.
Per l’epoca fu un’autentica rivoluzione che segnò un nuovo approccio al mondo dell’emarginazione segnato da due slogan: «Non per gli ultimi ma con gli ultimi» e «Là dove siamo noi, lì anche loro». È da questo fatto che nasce la Comunità Papa Giovanni XXIII. Un impegno che ci vede ancora oggi in prima linea ad affrontare le sfide del momento attuale, sempre nell’ottica di «mettere la vita con la vita» e di «rimuovere le cause dell’emarginazione».
Qualche settimana fa abbiamo accolto 51 profughi provenienti dal Niger, molte mamme con bambini scampati alla morte certa, tutti inseriti nelle nostre famiglie e case famiglia per una reale integrazione che preveda il lavoro per il capofamiglia, la scuola per i bambini. Riteniamo la scelta dell’accoglienza imprescindibile: i profughi in mare vanno soccorsi, accolti e integrati, ma soprattutto occorre puntare su una soluzione che è stata già sperimentata con successo: i corridoi umanitari.
Molti poveri continuano a bussare alla nostra porta.
Alcuni sono scomodi, come il popolo zingaro: da decenni siamo loro vicini, accogliendo i loro figli disabili, dando lavoro ai capifamiglia con un reale accompagnamento educativo.
I carcerati che incontriamo negli istituti penitenziari chiedono una pena alternativa, per questo abbiamo aperto le CEC, “Comunità Educanti con i Carcerati”, dove la recidiva è scesa al 15% da 80%. «L’uomo non è il suo errore» diceva don Benzi: è vero, possiamo dimostrarlo.
Incontriamo i giovani che sono catturati da nuove forme di dipendenza: per questo abbiamo avviato in tutto il mondo Comunità Terapeutiche basate sulla relazione e sulla responsabilità, aperte anche ad una dimensione spirituale in cui la salvezza non è data da qualcosa ma da Qualcuno.
Don Benzi è noto per il suo impegno a fianco delle donne schiavizzate dal mercato della prostituzione: oltre 7000 ne sono state salvate negli ultimi 30 anni, molte di loro minorenni. Incontrandole abbiamo capito che nessuna donna nasce prostituta ma c’è sempre qualcuno che la fa diventare prostituita.
I senza fissa dimora, i nuovi poveri ci hanno spinto ad aprire le Capanne di Betlemme, le Case di pronta accoglienza, i Pronto soccorso sociali, scoprendo un’umanità ricca di talenti sepolti tra i rifiuti.
La necessità di dare non solo una famiglia ma anche un lavoro che restituisse dignità ad ogni persona ci ha portato a promuovere 20 cooperative sociali presenti su tutto il territorio italiano, che danno occupazione a persone diversamente abili e considerate svantaggiate per i loro problemi comportamentali. Ma anche all’estero, in Zambia, Sierra Leone, Cile, Bolivia, attraverso le gelaterie Gigi Bontà diamo lavoro a centinaia di giovani che erano sulla strada e forse sarebbero finiti tra coloro che muoiono nelle traversate del mare.
Siamo presenti anche presso le Nazioni Unite (Special Consultative Status), a Ginevra e New York, per essere voce di chi non ha voce e portare il punto di vista della povera gente nelle stanze dei bottoni.

Molti di noi sono partiti in questi anni come missionari laici, a volte con l’intera famiglia, per andare a vivere la condivisione di vita con gli ultimi in tutti i continenti dove viene richiesta la nostra presenza: recentemente abbiamo avviato nuove missioni a Cuba, in Tailandia, in Camerun, in Grecia e in Irlanda.
Cerchiamo di vivere come un’unica famiglia sparsa in Italia e nel mondo, che cammina nella Chiesa cattolica con i vescovi, con Papa Francesco e con tutto il popolo di Dio, aperti al dialogo con le varie religioni e culture per sviluppare la società del gratuito, la civiltà dell’amore, e testimoniare la bellezza di un incontro simpatico con Cristo attraverso la condivisione con i più poveri.
Signor Presidente, siamo presenti in tutte le regioni italiane con centinaia di famiglie aperte alla vita e all’accoglienza di chi non ha più una famiglia, collaborando con i servizi territoriali, sociali e sanitari, con la scuola e tutte le agenzie educative.
Cerchiamo di essere voce di chi non ha voce, attivandoci affinché ci siano leggi e politiche giuste, senza alcun legame di tipo ideologico o partitico ma collaborando con chiunque per aiutare i più deboli, mantenendoci allo stesso tempo liberi di esprimere il nostro dissenso e opponendoci in maniera nonviolenta quando i diritti degli ultimi vengono calpestati.
Molti giovani condividono con noi questa scelta nonviolenta e attraverso il servizio civile nazionale e internazionale, o partecipando alle azioni di Operazione Colomba, corpo civile di pace, sono in prima linea in zone di conflitto per lanciare ponti e costruire gesti di pace, in Colombia, Libano, Iraq, Palestina e Israele.
Con loro abbiamo maturato l’idea, lanciata già da don Benzi, di chiedere l’istituzione di un Ministero della Pace che sviluppi anche un’educazione alla non violenza nelle scuole: investiamo ancora troppo per armi e guerre mentre riteniamo che sia necessario investire sulla pace.
La perla preziosa della nostra Comunità è la Casa Famiglia, che lei ha visitato questa mattina: un’intuizione stupenda del nostro fondatore, per permettere a tutti di nascere, crescere e anche
morire in un ambiente accogliente. Diceva don Oreste: «L’uomo ha inventato gli istituti, Dio ha creato la famiglia».
Non dobbiamo più lasciare soffrire nessuno da solo. Migliaia di bambini e persone anche con grave handicap hanno ritrovato la dignità che spetta a loro. Come anche Lei ha ben richiamato il 3 dicembre nella Giornata internazionale della disabilità, ricordando «la necessità di garantire a tutti l'accesso allo studio, al lavoro e di dare la possibilità di esprimere i propri talenti».
Don Oreste Benzi, per il quale tra breve si chiuderà la prima fase diocesana della causa di beatificazione, aveva gli scarponi sempre ai piedi e non poteva che costituire una comunità itinerante, non perfetta ma simpatica, vicina, che incontra la gente e i poveri sulla strada. Una comunità dei volti, del camminare insieme, con le mani in pasta, contemporanea alla storia.

Don Oreste è stato un gigante fra i difensori e i promotori della vita, come tanti santi sociali del nostro Paese, tra i quali ricordo in particolare don Bosco, il Cottolengo, don Orione, don Calabria, pier Giorgio Frassati.
Da poco abbiamo istituito la Fondazione don Oreste Benzi per fare conoscere la sua vita, il suo pensiero, le sue opere, la sua rivoluzione non violenta che può contagiare di speranza i giovani di oggi come lo ha fatto in questi 50 anni.
Ci hanno detto: «Voi siete un’isola ecologica nella società, prendete gli scarti dell’umanità e li riciclate, valorizzandoli». Lo ritengo uno dei più bei complimenti.
Siamo convinti che lavorando insieme, in rete, per il bene comune, anche la povera gente potrà sperare. Vogliamo affermare un impegno sempre maggiore affinché l’Italia sia il paese dell’integrazione, dell’accoglienza, della convivenza civile anche tra le varie religioni, e chiediamo a quanti amministrano il bene comune che siano garanti del rispetto della vita, dell’accoglienza degli stranieri, della liberazione delle donne schiavizzate dal racket prostituzione. Chiediamo che i portatori di handicap possano vivere in famiglia o in autonomia, sostenuti da servizi e aiuti economici adeguati. Proponiamo una giustizia sociale che porti alla condivisione dei beni, abbattendo i privilegi. In questi 50 anni in centinaia di paesi e città italiane i membri della Comunità da buoni cittadini hanno lavorato per costruire la società del gratuito e oggi con responsabilità diamo la nostra piena collaborazione al primo presidente della Repubblica Italiana che viene a visitare il popolo voluto dall’«infaticabile apostolo della carità» don Oreste Benzi.
Tra pochi giorni, il 10 dicembre, ricorrerà il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, la quale afferma nel preambolo che «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo».
Questa terra italiana così ricca di cultura, di opere sociali, di solidarietà, può veramente diventare un faro di luce nell’Europa e nel mondo intero.
Siamo realmente convinti che la condivisione salverà il mondo.
Grazie di cuore.

Giovanni Paolo Ramonda

Chi ha in antipatia il governo gialloverde e la sua nociva influenza sull’andamento dei mercati, potrà iscrivere fra i danni procurati dalle altalenanti dichiarazioni di Salvini e Di Maio anche la mancata quotazione in Borsa di IEG. Al netto di tutte le altre considerazioni, è questa la ragione fondamentale che il presidente Lorenzo Cagnoni e l’amministratore delegato Ugo Ravanelli hanno indicato per spiegare il flop nel collocamento delle azioni.

Cagnoni ha sostenuto che c’era nei mercati una positiva aspettativa nell’evoluzione de quadro politico italiano e, quando questa è venuta meno, gli investitori o hanno ridotto il quantitativo di ordini e non li hanno confermati affatto. Ravanelli è quindi sceso nel dettaglio, ripercorrendo tutte le fasi. La data determinante è stata il 29 novembre quando, visto che le azioni IEG non interessavano gli investitori stranieri, è stato deciso di diminuire l’ammontare dell’operazione da 60 a 36 milioni, quasi la metà. Una decisione, come tutte le altre, prese in tre, cioè IEG, Rimini Congressi e gli advisor. Restavano in campo come possibili interessati solo gli investitori italiani. Dopo una giornata che alimentava speranze (Borsa cresciuta del 3 per cento), le rinnovate difficoltà di dialogo fra governo e italiano e Unione europea hanno rispinto l’indice verso il basso. Nel giorno in cui gli investitori italiani dovevano confermare, i sì sono arrivati solo per i due terzi. “Lunedì sera c’era ancora ottimismo – spiega Ravanelli – ma nella giornata di martedì la ventata ottimistica si è sciolta. Si stava preparando, e gli investitori lo sapevano in anticipo già nel tardo pomeriggio di mercoledì, il tonfo del 3,5 per cento di giovedì”. Per quanto riguarda IEG, ciò ha comportato appunto l’effetto che arrivassero solo i due terzi delle risposte positive rispetto alle attese. Con i soli due terzi il collocamento in Borsa sarebbe fallito e pertanto si è deciso di fare il passo indietro. I due massimi investitori italiani, precisa Ravanelli, avevano comunque confermato l’ordine fino all’ultimo.

Secondo Cagnoni le ragioni stanno tutte qui. IEG aveva tutte le carte in regola per presentarsi all’appuntamento. Il presidente e l’amministratore delegato hanno riassunto il quadro economico dell’azienda. Al 30 settembre scorso il Gruppo aveva avuto ricavi totale per 118,8 milioni di euro, con una crescita rispetto al 2017 del 22 per cento e un EBITDA pari a 22,3 milioni (erano 16,5 al terzo trimestre del 2017). Se poi si fanno proiezioni al 31 dicembre, emerge un ricavato di 155 milioni e un EBITDA che supera i 30 milioni. È la seconda fiera a livello nazionale per volume d’affari e la prima per redditività. Se a questi numeri, molto apprezzati dagli advisor, si aggiunge il piano industriale per gli anni 2018-2023, ne viene fuori un quadro che aveva tutto il diritto di presentarsi all’appuntamento della Borsa. “Questi sono i numeri – ha puntualizzato Cagnoni in polemica con alcune forze politiche – se poi alcuni pregiudizi impediscono di essere d’accordo perfino sui numeri o dubitano sulla verità di essi, non so cosa farci”.

Non è che ha giocato un ruolo negativo anche l’indebitamento del gruppo IEG? I numeri forniti riguardano appunto il gruppo, da cui sono escluse società come Rimini Congressi e Società del Palazzo (che hanno sul groppone i debiti per il Palacongressi). Al 31 dicembre 2017 la posizione finanziaria netta, cioè l’indebitamento, era pari a 51,3 milioni, in corso sono intervenuti 14 milioni per investimenti in USA, 21 milioni per l’acquisizione di altre società italiane (Prostand e Colorcom), 14 milioni “virtuali”da tenere accantonati qualora a partire da 2023 i soci vicentini volessero uscire dalla società, più alte spese per 3,8 milioni. L’indebitamento sarebbe insomma per 90,7 milioni, una somma del tutto sostenibile, secondo Cagnoni.

E allora cosa non ha convinto gli investitori? Inutile tentare di riproporre la domanda, la risposta rimanda sempre alla turbolenta situazione dei mercati negli ultimi giorni. Cagnoni, inoltre, liquida con una battuta altre possibili cause di sfiducia. “Non mi si chieda di Marzotto perché tutti sanno che se ne è andato per dissidi con i soci vicentini (ovvero noi non c’entriamo nulla, nda), così come l’ex direttore Facco se ne è andato perché la sua presenza non rientrava nei programmi di questa azienda”. Il presidente non prende minimamente in considerazione che mercati e investitori guardano anche alla stabilità di un’azienda. È stato invece confermato che IEG sta valutando di fare causa a La Stampa per l’ormai famoso articolo dell’11 novembre scorso.

Cosa cambia la mancata quotazione rispetto ai programmi di investimenti? Se qualche mese fa Cagnoni affermava che IEG aveva le spalle robuste per supportare con le proprie risorse il piano industriale, oggi è stato più cauto. Ha detto che al momento tutto resta come prima, in futuro qualche decisione, “anche con aspetti spiacevoli”, potrebbe essere presa. Probabilmente resta l’ampliamento dei capannoni, mentre potrebbero essere ridiscussi altri investimenti. Invece le possibili partnership con Bologna o con altri enti fieristici del nord dipendono da altri fattori e non dalla mancata quotazione in Borsa.

Valerio Lessi

Giovedì, 06 Dicembre 2018 23:43

Il Libero Stato di Croatti

Ieri il senatore del M5S Marco Croatti è intervenuto a fine seduta per lanciare un appello in favore della revisione dei canoni pertinenziali per le concessioni demaniali di uso turistico. Nel comunicato diffuso, si legge che "È l’ultimo, in ordine di tempo, di una serie di provvedimenti adottati dal Senatore Croatti per tutelare i diritti dei pertinenziali".  Che un discorso sia un provvedimento adottato, cioè una legge, succede solo nel Libero Stato di Croatti, non nel Parlamento italiano.

Il presidente di IEG Lorenzo Cagnoni ha annunciato di essere pronto, nella conferenza stampa di domani, a rispondere a tutte le domande, anche le più impertinenti, che i giornalisti gli vorranno porre sul fallimento della quotazione in Borsa.

In effetti, sono molti gli interrogativi che l’inatteso esito negativo della procedura suscita nell’opinione pubblica. Abbiamo allora pensato di predisporre una sorta di questionario sul quale il presidente Cagnoni possa cimentarsi per affrontare un “question time” che si annuncia ad altissima temperatura.

  1. Cagnoni, nel comunicato diffuso oggi, attribuisce la mancata quotazione all’inconsistenza di un mercato, o di una parte di esso, figlio impaurito del ciclo economico del Paese. IEG sarebbe insomma vittima della congiuntura sfavorevole. Qui sorge la prima domanda. È da almeno due mesi, da quando si discute la manovra del governo leghista-pentastellato, che qualsiasi cittadino sa che l’economia è entrata in una fase di turbolenza: lo spread che sale, la Borsa che scende, la fiducia degli investitori che viene a mancare, il fantasma della recessione dietro l’angolo. Tutto ciò non ha suggerito un riesame attento delle decisioni prese prima di affrontare la prova del mercato? Perché non ci si è fermati una settimana fa, prima di dare il via libera al collocamento? Quale quadro avevano rappresentato a IEG le società coordinatrici dell’offerta, ovvero Intermonte SIM ed Equita SIM? Era un quadro rilevatosi non veritiero alla prova dei fatti?
  2. Le azioni IEG sono state proposte non a un astratto mercato ma riservate esclusivamente ad investitori qualificati in Italia e istituzionali esteri. Se la vendita non è andata a buon fine, significa che gli investitori, persone informate sui fatti, specialisti del mestiere economico-finanziario, non hanno giudicato l’investimento in IEG un buon affare. E questo è avvenuto nonostante il management di IEG abbia sempre offerto una narrazione più che positiva dei traguardi raggiunti dalla società negli ultimi anni. Cosa non ha convinto gli investitori? La situazione della società quali emerge dai bilanci? La consistenza del debito? Le notizie circa l’instabilità dei vertici aziendali, vista l’uscita polemica di Matteo Marzotto?
  3. A metà ottobre il procedimento di quotazione in Borsa è stato nuovamente sottoposto all’esame dei soci pubblici (Comune, Provincia, Camera di Commercio, azionisti di Rimini Congressi) per importanti modifiche rispetto al prospetto approvato solo due mesi prima. In quell’occasione non sono state chiarite fino in fondo le ragioni di questo cambiamento in corso d’opera. Adesso è arrivato il momento di chiarirle. C’erano già le avvisaglie di una sfavorevole situazione del mercato? Se si è stati prudenti in quel momento, non lo si doveva allora essere a maggior ragione alla vigilia del collocamento? Il cambiamento in corso d’opera può essere una delle ragioni della mancata fiducia dei mercati?
  4. Il vice presidente Matteo Marzotto si è dimesso dichiarando che fra lui e Cagnoni c’erano visioni opposte circa la gestione di IEG. Marzotto non ha mai spiegato in cosa consistessero queste divergenze, né lo ha fatto il presidente Cagnoni. Adesso è il momento di chiarire: perché Marzotto se ne è andato? Siamo certi che questa uscita, alla vigilia della quotazione in Borsa, non abbia allarmato gli investitori?
  5. L’articolo del quotidiano La Stampa, pubblicato l’11 novembre scorso, al di là della veridicità o meno dei fatti in esso narrati, non ha certo giovato all’immagine pubblica della società. Alla luce dei fatti, è stata forse insufficiente la risposta, affidata esclusivamente ad una lettera ai dipendenti dell’amministratore delegato Ugo Ravanelli? Quella rappresentazione negativa della società quanto ha influito sull’esito negativo del collocamento?
  6. La quotazione in Borsa aveva due obiettivi: il primo era la consistente diminuzione del debito di Rimini Congressi nei confronti di Unicredit, contratto per la costruzione del Palacongressi, (destinandovi almeno 15 dei 18 milioni di ricavo previsti); il secondo era un finanziamento per l’ambizioso progetto industriale di IEG per il prossimo triennio (nuovi contenitori a Rimini e a Vicenza, espansione all’estero, ecc.). Che impatto avrà questa brusca frenata su questi due obiettivi? Se IEG continuerà a produrre utili, i soci pubblici avranno certamente le risorse per pagare le rate del mutuo. Ma in caso di una nuova recessione? Quanto al programma degli investimenti, continuerà? Con quali risorse?
  7. Dopo questa vicenda IEG ha le carte in regola per ritentare con successo l’avventura della quotazione in Borsa? O questo fallimento ha prodotto un danno di immagine e di credibilità che solo a fatica si riuscirà a superare?
  8. Ci saranno ripercussioni anche sulle ventilate nuove aggregazioni che fino a ieri IEG aveva messo in programma, siano esse il polo emiliano-romagnolo o l’accordo con altre società fieristiche di importanza nazionale?

Non sappiamo se queste domande siano “impertinenti” come Cagnoni auspica. Ci sembra che siano comunque molto pertinenti a comprendere l’attuale difficile passaggio di IEG.

Valerio Lessi

“Durante la conferenza stampa di domani, saremo anche aperti a rispondere a tutte le domande, perfino le più impertinenti, che dovessero riguardare una recente pagina della nostra Società”. Lo promette il presidente di IEG Lorenzo Cagnoni in una nota diffusa oggi per preparare il terreno alle dichiarazioni che farà domani a proposito del ritiro dalla quotazione in Borsa.

Intanto dice già la sua a proposito delle richieste di dimissioni chieste dal capogruppo della Lega Marzio Pecci. “E’ peraltro una solenne sciocchezza tentare di addossare responsabilità individuali al nostro Amministratore Delegato, che ha lavorato invece, e lo dico con convinzione e determinazione, come meglio non si sarebbe potuto.

Quando una certa politica, e mi riferisco a dichiarazioni apparse oggi su alcuni giornali, tenta di applicarsi a questioni complesse rischia di denunciare una vocazione alla banalità e all’incompetenza.

Ribadisco che le vere e uniche ragioni del nostro ritiro dell’offerta stanno scritte nel comunicato diffuso ieri e riguardano l’inconsistenza di un mercato, o di una parte di esso, figlio impaurito del ciclo economico del Paese”.

Brusca frenata sulla quotazione in Borsa di IEG. Con una nota diffusa nel tardo pomeriggio la società ha infatti comunicato di aver deciso di ritirare il collocamento privato riservato ad investitori istituzionali delle azioni ordinarie, finalizzato alla quotazione delle Azioni sul Mercato Telematico Azionario (“MTA”). Ieri era stata data notizia della proroga del collocamento, ma evidemente la proroga non ha dato i risultati sperati.

"Tale decisione - scrive infatti IEG - è stata assunta a causa della sfavorevole situazione del mercato azionario, domestico e internazionale, che non permette al momento di apprezzare compiutamente il valore di IEG".
"La società, i cui fondamentali sono e rimangono solidi, - conclude la nota - continuerà il suo percorso di sviluppo valutando altre possibili leve strategiche coerenti con il suo andamento di crescita continua; il piano industriale non subirà rallentamenti e modifiche. La quotazione in Borsa resta, in ogni caso, uno degli obiettivi futuri della società".

Subito dopo questa nota, è arrivata la convocazione di una conferenza stampa che i vertici di IEG, Lorenzo Cagnoni e Ugo Ravanelli, terranno venerdì mattina per presentare i risultati della società a settembre e delle previsioni al 31 dicembre 2018

Filippo Sacchetti, 30 anni, assessore al Comune di Santarcangelo, è il nuovo segretario provinciale del Pd. Lo ha eletto ieri sera l’assemblea provinciale del Pd con un voto che ha raccolto l’adesione pressochè unanime dei presenti ma solo perché gli esponenti dell’area Orlando-Zingaretti hanno abbandonato l’aula.

Una prima prova di forza si era avuta sulle procedure. La decisione di padsare subito all’elezione del segretario (l’alternativa era indire il congresso) è passata con 76 voti favorevoli, 24 contrari e 4 astenuti. A sostenere la proposta del congresso era appunto l’area Orlando - Zingaretti che, contando di riuscire vincitrice al congresso nazionale, spingeva perché la scelta locale fosse rinviata.

Ha prevalso quindi la tesi di chi, come Riccardo Fabbri e il consigliere regionale Giorgio Pruccoli, voleva invece subito un segretario che avesse il volto della discontinuità generazionale per avviare subito un lavoro in vista delle importanti scadenze elettorali del 2019.

“Essermi candidato su spinta dei giovani del Pd e al di fuori delle piccole correnti di partito, - ha dichiarato il neo segretario - ritengo possa essere un elemento che garantisca più di qualsiasi parola il mio impegno per un’idea della politica che é l’attività più nobile che esista. Quando libera e disinteressata”.

“Bisogna smettere – ha aggiunto Sacchetti - di avere quel modo autoreferenziale di chi pensa di aver sempre ragione, e che si consuma in vicende interne incomprensibili ed inutili.

L’unità la dobbiamo ritrovare con i cittadini in carne ed ossa, tornando nel mondo reale e nel confronto con le nostre comunità.Non ci sono rendite di posizione acquisite che devo impegnarmi a tutelare e dobbiamo avere la piena consapevolezza che l’autorevolezza ed il consenso lo si guadagna ogni giorno con la capacità di essere utili alle nostre comunità. Sarà quello il campo del confronto”.

Di tutt’altro tenore il commento dell’assessore regionale Emma Petitti, leader della componente uscita sconfitta dalla votazione. “Quella scritta ieri sera è una una brutta pagina del PD provinciale di Rimini. In assemblea provinciale la divisione si è consumata in maniera evidente con l’imposizione di una candidatura probabilmente nata da tempo e fino a ieri letta unicamente sugli organi di informazione. Nessuna presentazione di un programma politico da parte del candidato, nessun confronto di merito; in tanti si sarebbero aspettati perlomeno una dichiarazione d’intenti sul lavoro che lo attende”.

Il Comune di Rimini è pronto ad investire nei prossimi tre anni un massimo di 2 milioni e 270 mila euro (più altre 500 mila in caso di proroga di un anno) per avviare la propria DMC (Destination Management Company), ovvero la propria società per il marketing territoriale. L’argomento è approdato martedì mattina nella quinta commissione consigliare e prossimamente sarà esaminato dall’intero consiglio per l’approvazione.

L’amministrazione ha un traguardo che è quello del prossimo 1 ottobre. Al 30 settembre, infatti, chiude definitivamente Rimini Reservation, la società che fino ad oggi ha gestito il sistema di prenotazioni e la gestione degli Uffici Iat. Ma la nuova società che nascerà non si occuperà solo dell’accoglienza e dell’informazione turistica, i suoi obiettivi sono molto più ambiziosi. La sua mission sarà quella di promuovere il brand Rimini a 360 gradi, dovrà fare pianificazione e ricerca, marketing, promozione, commercializzazione e sviluppo del prodotto, leadership, coordinamento e team building fra tutti gli attori del territorio, sviluppare relazioni virtuose con la comunità locale. Tutto questo dovrà farlo “in coerenza con le strategie regionali per la promo-commercializzazione e nell’ambito delle funzioni proprie attribuite ai Comuni dalla Costituzione e dal Testo Unico degli Enti Locali”. Nel documento che accompagna la delibera il riferimento alle strategie regionali è ripetuto più di una volta: evidente la preoccupazione di sgomberare il campo da possibili attacchi sulla lesa maestà della legislazione regionale. La Regione, per attuare il marketing del territorio, ha creato le Destinazioni, nel nostro caso Destinazione Romagna, che è un vero e proprio ente pubblico, con tutti i limiti di snellezza, operatività ed efficienza che questo nome porta con sé. La Destinazione Romagna, sorta ufficialmente da più di un anno, è ancora ai primi passi, tanto che non ha nemmeno realizzato l’obiettivo minimo di un sito web. Il documento di Rimini non a caso sottolinea questa fase di avvio della Destinazione e l’esigenza di dare una risposta agli Uffici Iat,che non possono essere gestiti dal Comune.

Ma la vera ragione della scelta di costituire una DMC sta in quella parte del documento in cui si narrano le trasformazioni in atto nella città, dagli interventi nel centro storico, al piano per la balneazione fino al Parco del Mare.

“Se, dunque, - questo il passaggio centrale - gli anni passati sono stati contraddistinti dallo sforzo economico e progettuale finalizzato alla realizzazione delle citate, strategiche, opere pubbliche, gli anni prossimi dovranno vedere la città impegnata nella promozione e promo commercializzazione della nuova Rimini che cambia e si riqualifica, costituendo indubbiamente un ulteriore, fondamentale, fattore di attrattività turistica, da affiancare ai prodotti più conosciuti ed affermati (leisure, family, business...)”.

Ancor più esplicito un passaggio successivo: “La nuova Rimini che cambia ha bisogno di dotarsi di un organismo di alto profilo che faccia marketing della destinazione per un cambio di passo verso un’azione di promozione turistica forte ed organica”.

C’è quindi bisogno di un soggetto terzo, una società specializzata in destination management, che il Comune selezionerà con un bando pubblico entro i primi sei mesi dell’anno prossimo.

E si precisa che “I soggetti partecipanti alla selezione dovranno proporre al Comune, in un quadro ampio, professionale e coordinato, un progetto di destination marketing e management per la città di Rimini, articolato su un arco temporale massimo di 3 anni (eventualmente prorogabile di un ulteriore anno)”.

L’idea è da tempo che cova nei pensieri dell’amministrazione, visto che la giunta ha anche incaricato l’Università di svolgere una ricerca di benchmarking per verificare come funzionano le DMC di importanti città europee di mare come Barcellona, Nizza, Göteborg, Lisbona e Valencia, alle quali sono state aggiunte una destinazione internazionale come Londra e una città italiana come Bologna. L’inserimento del capoluogo emiliano è tutt’altro che casuale: Bologna Welcome è infatti un virtuoso esempio, sia per la capacità di coinvolgimento di tutte le espressioni della città sia per i risultati raggiunti, visto che Bologna negli ultimi anni ha visto crescere le presenze turistiche con percentuali a due cifre. Un boom al quale non è certo estraneo lo sviluppo dell’aeroporto, al quale collabora Bologna Welcome siglando le intese di co-marketing con le compagnie aeree.

Nel documento che accompagna la delibera e che riassume anche i risultati del benchmarking, si osserva che “la decisione del Comune di allocare una parte della tassa di soggiorno alla DMO (destination Managenent Organization) può rappresentare una forma di “public seed funding” in logica di imprenditorialità istituzionale nel territorio, rilevante per innescare un ciclo virtuoso che nel medio-lungo termine può generare ricavi propri e quindi anche il conseguimento di livelli crescenti di autonomia finanziaria”.

Cosa voglia dire in concreto questo meccanismo è tutto da scoprire, ma è certo che a Palazzo Garampi pensano che la nuova Rimini Welcome, o come altro si chiamerà, potrebbe essere lo strumento utile anche per avviare una collaborazione fra il territorio e l’aeroporto a gestione privata, al fine di incrementare i voli da città europee interessanti per il turismo.

Nel 2019 l’introito dell’imposta di soggiorno a Rimini sarà di nove milioni, le risorse quindi non mancano, soprattutto se non le si disperdono in mille rivoli spesso discutibili.. Una somma enorme rispetto ai 2 milioni e 270 mila euro che il Comune è disposto a investire per i primi tre anni. Sono sicuri a Palazzo Garampi che una tale somma sia sufficiente a far fronte agli ambiziosi obiettivi che vengono assegnati alla nascente DMC?

Valerio Lessi

Quanta confusione quando si parla di Romagna! E ad avere, in parte, le idee poco chiare sono proprio alcune categorie di persone che dovrebbero essere più esperte di altre, i tour operator e i giornalisti/blogger. La ricerca svolta da Tradermark Italia e Sociometrica per conto di Destinazione Romagna, ha sondato anche queste categorie di persone. Confusione perché fra i personaggi riconosciuti della Romagna vengono inseriti anche l’attore Edward G. Robinson (americano di origine rumena) e Lady Diana. Ma la confusione regna anche a proposito dei prodotti e marchi tipicamente romagnoli. I tour operator, a parte piadina e tagliatelle, citano tutte eccellenze emiliane, dall’aceto balsamico al prosciutto di Parma. Anche i giornalisti/blogger, che in questi anni hanno frequentato gli educational tour dell’Apt, conoscono benissimo tutti i marchi emiliani, da quelli del food a quelli dei motori, e li scambiano per romagnoli. Di realmente made in Romagna conoscono la piadina, il formaggio di fossa, le tele stampate, il sale dolce di Cervia, l’acqua Galvanina e il Rose & Crown. Curiosamente, né i tour operator né i giornalisti, citano il pesce dell’Adriatico: nessuno gli ha mai offerto una buona frittura o anche una semplice grigliata?

Ai tour operator è stato anche chiesto di indicare punti di forza e punti di debolezza della Romagna. Fra i primi, hanno indicato l’offerta enogastronomica, la qualità dell’ospitalità intesa come capacità di accogliere e far stare bene i propri ospiti, la convenienza economica, la qualità degli stabilimenti balneari e delle spiagge unitamente alla piacevolezza e genuinità dell’atmosfera. Passando ai punti di debolezza, in primo piano c’è l’inadeguatezza dell’offerta alberghiera. Non è una novità, mentre va sottolineata una specificazione: la Romagna si pretende destinazione famigliare, ma negli hotel non ci sono camere adeguate alle famiglie. Osservazione su cui riflettere. Altri punti critici sono la brevità della stagione, che porta gli hotel a non garantire gli stessi servizi lungo tutto l’anno, e l’inadeguatezza dei collegamenti, a partire da quelli aeroportuali.

I giornalisti, a loro volta, hanno raccontato di sentire spesso confondere Romagna con Romania perché molti non sanno che si tratta di una regione dell’Italia (ecco spiegato perché spunta Robinson!). Altri punti di debolezza sono i piccoli alberghi senza standard adeguati, la spiaggia troppo affollata, la mancanza di informazioni in inglese sul web, la scarsa promozione di molti festival ed eventi.

Un altro aspetto interessante della ricerca è il confronto fra la forza del brand Romagna con i brand delle altre destinazioni di vacanza. In questo caso l’indagine è stata condotta fra il pubblico, duemila interviste realizzate. Quali regioni ti vengono in mente come luogo di vacanza? Le prime cinque sono Sicilia, Sardegna, Puglia, Toscana e Trentino, l’Emilia Romagna arriva sesta a notevole distanza dalle prime. Se la Puglia è la prima che viene in mente (valore 16) l’Emilia Romagna è valore 8, con prevalenza di preferenze nella X generation, cioè i nati fra il 1960 e il 1980.

Passando dalla notorietà spontanea a quella sollecitata (gli intervistati sono stati invitati a indicare quali regioni conoscessero anche solo per sentito dire come luogo di vacanza), il ranking non cambia in maniera significativa. La triade Sardegna-Sicilia- Puglia (conosciuta turisticamente da circa 9 italiani su 10) stacca la Toscana (81%) e il terzetto Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige e Liguria, regioni conosciute comunque da circa l’80% del campione. La notorietà della sola Romagna (74%) è inferiore a quella dell’intera regione.

Se però si chiede quale regione è stata visitata per le vacanze almeno una volta la Romagna balza al terzo posto, dopo l’Emilia Romagna in generale e la Toscana. Insomma, uno sogna la Sardegna e la Sicilia ma poi viene in Romagna. Fra quelli che ci sono stati, più della metà l’ha visitata almeno cinque anni fa e, in buona percentuale, anche molto tempo prima. In media ciascuno intervistato è stato in vacanza in Romagna 3,4 volte.

“Tutti gli indicatori sintetici risultano superiori agli indici medi calcolati per le altre regioni e il territorio emiliano-romagnolo, e romagnolo più nello specifico, - osservano i ricercatori - risulta quello più capace di convertire la propria notorietà in visite turistiche. Da migliorare l’appeal turistico, ovvero la capacità di rappresentare la categoria di prodotto e di farsi includere nel paniere di opzioni nel momento della decisione di vacanza”.

La Romagna dunque non fa sognare, ma si fa scegliere e preferire per la solidità della sua offerta, per l’organizzazione dei suoi servizi, per la mancanza di brutte sorprese.

Tra le regioni “top”, è quella che più viene associata ad aspetti collegati alla socializzazione come l’essere “adatta per famiglie” e “adatta per i giovani”, molto meno per la possibilità di vivere un’esperienza unica. Inoltre non si viene in Romagna per la qualità del mare, ma per la vacanza attiva e per gli eventi.

È stato chiesto agli intervistati quali caratteristiche assocerebbero alla Romagna: nei primi cinque posti si posizionano divertente, popolare, genuina, per giovani, per le famiglie. Se queste caratteristiche hanno un punteggio da 25 a 39, quelle negative (datata, vecchia, elitaria, pericolosa si fermano a 3. E questo è dato davvero sorprendente: i turisti, venendo in Romagna, non hanno la percezione di venire in un luogo pericoloso.

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Turismo, si punta sul nome Romagna. Ma all'estero non sanno cosa sia e dove sia

La "nuova" Rimini sorprende i turisti; Riccione destinazione di qualità

Rimini è più forte del suo brand. Ecco la piacevole sorpresa che ci regala l’indagine su “Destinazione Romagna: una galassia di brand”, ovvero la ricerca-sondaggio sul posizionamento di immagine in Italia e in Europa della Romagna e delle singole località. Abbiamo già parlato in sintesi di ciò che è stato "scoperto" sul brand Romagna, oggi vediamo la percezione dei brand Rimini e Riccione. 

I ricercatori hanno analizzato quanto si è scritto e pubblicato sui social, su siti di viaggi e su Tripadvisor dal luglio 2017 a luglio 2018. Sul web, nel periodo indicato, Rimini ha collezionato la bellezza di due milioni di citazioni, sia in italiano che in inglese. Fatto 100 il numero di citazioni ottenute da Rimini, al secondo posto è Riccione con il 51% rispetto a Rimini, al terzo e al quarto posto ci sono le due maggiori città d’arte dell’area romagnola Ferrara con il 43% rispetto a Rimini, e Ravenna con il 31%.

C’è quindi una indubbia notorietà di Rimini, che risalta anche osservando la classifica delle attrazioni turistiche maggiormente riconosciute nell’area romagnola.

Le prime dieci attrazioni della Romagna sono aperte da Mirabilandia, al secondo posto compare l’Italia in Miniatura e, all’ottavo e nono posto, Fiabilandia e Ponte di Tiberio. Se poi si considera che fra le prime dieci ci sono anche Oltremare e Aquafan, si capisce quanto ampio sia primato di notorietà di Rimini e provincia rispetto alla Romagna.

Tuttavia, il dato di fondo che emerge è la sorpresa dei turisti, un’esperienza che distingue nettamente Rimini dalle altre località. Molti hanno scritto di essere sorpresi nel trovare un centro storico così bello, affascinante e attrattivo. Altri si sono soffermati sulle qualità storico-artistiche della città. Commentano i ricercatori: “Qui siamo davanti ad un evidente passaggio di percezione di identità della destinazione. Le persone si aspettavano una destinazione balneare e si ritrovano una città molteplice, con risorse e attrazioni inaspettate”. Il brand Rimini è percepito in mutamento rispetto allo stereotipo che i turisti avevano prima della partenza. Certamente questa sorpresa indica una tendenza positiva, perché colloca Rimini fra le località in cui si possono vivere esperienze ed emozioni che non sono solo quelle balneari in senso tradizionale e stereotipato. Dall’altra parte, segnala anche quale lungo e impegnativo lavoro di comunicazione debba fare la città per far sapere ai suoi turisti che il suo volto è cambiato e sta ulteriormente cambiando. “L’esempio di Rimini – avvertono i ricercatori - ci dice che è possibile migliorare la propria percezione e che si cambia non con operazioni di (sola) comunicazione, ma creando un “prodotto” diverso, cioè lavorando sull’offerta”.

Anche le cinque attrazioni di Rimini con maggiore notorietà digitale confermano la scoperta della Rimini storica e artistica: dopo Italia in Miniatura e Fiabilandia, seguono nell’ordine il Ponte di Tiberio, il Centro Storico e l’Arco di Augusto.

C’è un altro aspetto sorprendente che emerge. Per i turisti Rimini è innanzitutto una comunità di persone. Quando parlano dell’Hotel dove hanno alloggiato, della spiaggia frequentata o del ristorante in cui hanno cenato, l’accento cade sull’albergatore, sul bagnino, sul ristoratore. Rimini emerge come un insieme di relazioni umane autentiche. È la caratteristica che ha decreto il suo successo come località turistica e, fortunatamente, a dispetto di molte analisi, sembra essere un tratto identitario vivo ancora oggi.

La tabella qui sotto riporta la mappa concettuale del brand Rimini, cioè le esperienze e le percezioni che i turisti associano al nome Rimini.

“Movimento, vita, luce sono elementi – si legge nel commento - che connotano Rimini e, in questo senso, mantengono caratteristiche che già nel passato erano attribuite alla città. Anche il “prezzo” rimane ancora un elemento caratterizzante della destinazione, anche questo in continuità con il passato. Elemento nuovo sono gli eventi, che contribuiscono a dettare l’identità della destinazione, in questo caso, in parte con continuità rispetto al passato, ma in parte anche come innovazione, a cominciare dalla Notte Rosa”.

Le parole chiave associate al brand Rimini sono la spiaggia, il centro storico, i negozi e le strade dove si può passeggiare e passare del tempo piacevolmente. Esempio tipico di post sui social: “Quando uno pensa a Rimini pensa a locali, spiagge e mare, quando in realtà il centro storico non ha nulla da invidiare ad altre rinomate città italiane”.

Riccione o della potenza del leisure, così Trademark e Sociometrica titolano l’analisi semantica sul web riferita a Riccione.

La seconda località più nota dell’area Romagna emerge come il regno del leisure, si mostra meno complessa di Rimini ed è a suo modo una sorta di estensione per qualità e intensità di alcune caratteristiche di Rimini.

Le cinque attrazioni più conosciute sul web sono nell’ordine Oltremare (100), Aquafan 54,0, Playa del sol (20,3), ospedale delle tartarughe (14,5) , la spiaggia delle donne (11,9).

La mappa concettuale restituisce alcuni degli elementi già citati per Rimini e ne aggiunge di nuovi. Caratteristiche della destinazione Riccione sono la qualità del servizio, la qualità delle risorse umane, le qualità psicologiche che il soggiorno assicura. Commentano i ricercatori: Riccione è una destinazione dove regna soprattutto e proprio la qualità dell’ospitalità nelle sue varie forme. Anche la parole chiave prevalenti (divertimento, negozio, parcheggio, ombrellone e ristorante) rimandano tutte al concetto di “migliore”. Commento finale: “E’ la narrazione di un’esperienza che si delinea come la migliore dell’area se la domanda è quella di un divertimento vario, accessibile e di qualità”.

Valerio Lessi

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