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I 2mila anni del ponte che Palladio definì "il più bello e degno di ammirazione"

Mercoledì, 30 Aprile 2014

4bI 2mila anni del ponte che Palladio definì "il più bello e degno di ammirazione"

 

Nei suoi duemila anni, la prima pietra fu posta nel 14 d.C. per volontà dell'imperatore Augusto (della cui età interpreta il gusto monumentale) e i lavori furono completato nel 21 quando al timone dell'impero sedeva già Tiberio, il ponte che da quest'ultimo prende il nome e che continua saldamente a collegare Rimini a San Giuliano è sopravvissuto brillantemente a potenti terremoti, piene, usura e guerre. Tra cui quella "guerra fra Goti e Bizantini che, nel 552, vide il comandante goto Usdrila ordinare l’abbattimento dell’ultima arcata verso il borgo per impedire l’ingresso dell’esercito nemico e, nel secolo scorso, la Seconda Guerra Mondiale con il tentativo, da parte dei Tedeschi in ritirata, di far saltare le arcate millenarie, tentativo fallito grazie alla sensibilità di un loro ufficiale", ricordano nella loro ricostruzione storica Angela Fontemaggi e Orietta Piolanti dei Musei Comunali di Rimini.

 
Per di più, forse non tutti sanno che il ponte romano sul fiume Marecchia (l’Ariminus da cui aveva preso nome la città) "gode di fama internazionale per essere stato assunto nel Rinascimento a modello nell’intera Europa, grazie soprattutto al Palladio che lo definì “il più bello et il più degno di considerazione, sì per la fortezza come per il compartimento".


Spiegano le studiose che "il ponte nei pressi dell’approdo di foce, univa il decumano massimo (oggi corso di Augusto) al suburbio di Ariminum (Rimini), garantendo il passaggio già assicurato da una struttura probabilmente in materiale deperibile. Posto all’inizio delle vie consolari dirette a Nord, l’Aemilia e la Popillia, il ponte costituiva, sul versante Adriatico, il perno di collegamento fra Italia peninsulare e settentrionale".


Possente, in calcestruzzo ricoperto da pietra d'Istria, il ponte è caratterizzato da cinque arcate "diverse nelle dimensioni (da un minimo di 8,30, a un massimo di 10,70 metri) e nel profilo (ora a tutto sesto, ora policentrico, ora rialzato, ora quasi acuto)", fatto che conferisce "alla struttura un ritmo mosso e nell’insieme armonico. Un ritmo sottolineato dalle grandi nicchie a pseudoedicola disegnate sui piloni, profonde appena una ventina di centimetri, così come dalla robusta cornice a dentelli, aggettante, che corre sotto il parapetto in lastre di pietra. Ma anche dai rilievi scolpiti nelle chiavi delle arcate: su quella centrale, a valle una corona di quercia e a monte un grande scudo; su quelle laterali si conservano, a valle, i vasi per il rito (l’urceo e la patera), a monte, il bastone ricurvo dei sacerdoti e dei magistrati (lituo). Sopra l’arcata centrale le lastre del parapetto si fanno più alte e spesse per ospitare l’iscrizione ripetuta su entrambi i lati della carreggiata: il testo restituisce i nomi dei due imperatori e, attraverso le loro titolature, le datazioni di inizio e fine lavori. Il piano stradale, lastricato con i tradizionali basoli di trachite, aveva una larghezza di 4,80 metri ed era fiancheggiato da marciapiedi sopraelevati di circa 30 centimetri e ampi 60. In origine più lungo degli attuali 74 metri per la presenza delle due spalle di cui oggi è superstite solo quella verso la città, il ponte ha piloni con speroni frangiflutti disposti in obliquo rispetto all’asse stradale, al fine di assecondare la corrente per attenuarne l’urto".


Il ponte non era solo più lungo di quanto si possa vedere oggi. Disponeva anche di banchine in pietra a lungo rimaste nascoste e che hanno rivisto la luce grazie ai lavori per la deviazione del Marecchia e per l’attuale bacino. "I sondaggi hanno poi rivelato che la struttura poggia su un sistema di pali di legno, perfettamente isolati".


"Paradigma di architettura e ingegneria idraulica, il ponte è anche un manifesto della propaganda politica della prima età imperiale attraverso l’iscrizione e il sobrio apparato decorativo. Il richiamo all’autorità civile nella corona d’alloro e nello scudo, ma soprattutto religiosa nel lituo, nell’urceo e nella patera per i sacrifici, connota il princeps come uomo di pace, interprete della pietas, e nel contempo sigla la continuità del potere da Augusto a Tiberio".


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