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Turismo. Complimenti inaspettati e autorevoli al modello Rimini

Venerdì, 02 Maggio 2014

5bTurismo. Complimenti inaspettati e autorevoli al modello Rimini

Recentemente ha condensato il suo pensiero sul turismo in un volume, edito da Gallucci, che ha un titolo programmatico abbastanza eloquente: Turismo, cambiamo tutto! Parla di turismo anche nel blog che tiene sull’Huffington Post, ed anche in questo caso ogni articolo è una provocazione salutare (per esempio: Il turismo pubblico sconnesso dalla realtà). Antonio Preiti, non è un teorico del turismo: dell’industria dell’ospitalità, come lui preferisce chiamarlo, si è occupato come direttore dell’Apt di Firenze. Poi è stato anche consulente del Ministero dell’Economia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Adesso è direttore di Sociometrica. Il recente libro sul turismo è stato presentato a Roma al Censis da Giuseppe De Rita e da Stefano Visalli, direttore McKinsey.  Nel libro, ricco di spunti interessanti, si parla anche di Rimini ed in modo assolutamente positivo.  Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Lei che si è occupato direttamente di turismo come direttore dell’Apt di Firenze e che ora scrive articoli e saggi sull’industria dell’ospitalità, che immagine ha di Rimini? Da cosa dipende, secondo lei, la sua attrattiva? È un modello di località di vacanza che ha fatto il suo tempo? Ha bisogno di essere rinnovato? Oppure conserva elementi che possono essere forieri di nuovi successi?
Rimini con i comuni vicini è il migliore esempio della via italiana al turismo. Nei decenni scorsi è stata costruita una corazzata, senza che fosse pensata da nessuno, in maniera spontanea, senza aiuti pubblici, senza programmazione. Puro spirito romagnolo. Puro spirito da “self made man”. Puro spirito di cultura dell’ospitalità. Certo che va rinnovata, come tutte le cose del mondo, ma se è fedele a sé stessa, è imbattibile.
Cosa incide di più nella scelta di una destinazione per la vacanza? Bei panorami? attrazioni culturali? Divertimenti, o che altro? Una realtà come Rimini che non ha il mare dei Caraibi secondo lei su cosa deve puntare?
Oggi più che mai viaggiare è fare esperienze, non vedere semplicemente i panorami o i musei. C’è un’enfasi eccessiva sull’esotico dei luoghi, mentre oramai la vacanza si inscrive più nel mondo dei consumi. Si compra una borsa, si fa una vacanza. Bisogna puntare sull’industria dell’ospitalità, quella dove Rimini può essere fortissima.
Cosa serve perché un brand turistico sia vincente?
Ogni destinazione è un brand. Non servono i creativi. L’amore ha il suo nome, una città è il suo nome, le cose non esistono senza un nome. Nel mondo del turismo il brand è il nome della città. Rimini oggi, al solo sentire il nome, evoca mondi pieni di emozioni, di storie. Basta il nome, diceva una vecchia pubblicità.
Cosa può voler dire per una città come Rimini puntare sulle “esperienze” che vi si vivono?
La prima esperienza è il servizio. E’ qualcosa che tendiamo a dimenticare. Uno dei fattori di successo, forse la prima, della Romagna è l’aver creato il servizio anche per famiglie non danarose. Permettersi un albergo, un servizio alberghiero, a Rimini è possibile per tutti, non è così nel resto dell’Italia, o perché non ci sono abbastanza alberghi, o perché sono costosi, o perché ambiscono al lusso, anche se poi lo promettono senza mantenerlo. Rimini permette a tutti di sedersi a tavola ed essere servito, di trovare la sua sdraio in spiaggia, di avere insomma quello che da altre parti hanno solo i “ricchi”. E’ questa la prima fondamentale esperienza che la gente ha di Rimini.
Perché sostiene che invece di turismo bisognerebbe parlare di industria dell’ospitalità?
Il turismo è un fenomeno generico, come il mangiare. Ma in termini economici il mangiare si compone dell’industria alimentare, della grande distribuzione, dei ristoranti, insomma è la somma delle industrie specifiche che vi sono correlate. Quello che conta è l’industria dell’ospitalità (alberghi, ristoranti), dei trasporti, e così via. Che la gente vada al mare non significa niente, bisogna sapere come e quanto utilizza l’industria dell’ospitalità.
Ho letto che lei trova che sia assurdo che la promozione turistica venga fatta per regioni o non puntando sulle singole località-destinazioni che sono meglio conosciute dai turisti. Eppure è stata la politica seguita per oltre quindici anni anche da una regione come l’Emilia Romagna. Perché ritiene sia sbagliato questo approccio?
Non è che i turisti, siccome la competenza passa alle regioni, cambiano la loro testa. Chiunque, da quando è nato il fenomeno turistico, da Stendhal alla crociere dei Caraibi, ragiona per destinazioni turistiche, non per regioni. L’unica politica regionale è la somma delle singole politiche di destinazione.
Perché lei diffida dei Piani strategici?
Perché non servono a nulla. Perché il turismo è un fenomeno che nessuno controlla. Un americano va dove gli pare e magari cambia idea cento volte prima di acquistare. I Cinesi dipendono da quello che decide il loro governo. Sharm potrebbe essere cancellata, come prenotazioni, da un disordine a Città del Cairo. Perché accendo il computer per prenotare un albergo, e poi con la lista davanti cambio idea. I piani strategici vanno fatti sull’offerta (aeroporti, strade, treni, infrastrutture) non sulla domanda. Lì basta una buona e forte comunicazione.
Lei ha scritto che destagionalizzare per il Meridione vuol dire essenzialmente promuovere il turismo dei week end. E per una realtà come Rimini?
I fine settimana sono il secondo mercato turistico, dopo le vacanze lunghe di agosto. E’ importante per tutti.
I russi hanno in qualche modo “salvato” il turismo riminese. Perché non crede ad un immediato successo del turismo cinese in Italia?
Russi e Cinesi sono diversi. Non ce li vedo i Cinesi a prendere il sole nelle nostre spiagge, mentre i Russi amano imitare la “Dolce Vita”, amano il divertimento, anche eccessivo, esuberante, esondante. I Cinesi, se volessero, avrebbero il mare della Tailandia e del resto dell’Asia, Dubai, persino l’Australia, mentre per chi vive a Mosca siamo più vicini di Francia e Spagna. I Russi amano la nostra cucina, i Cinesi molto meno. I Cinesi sono guidati da outlet e sono dei neofiti del mondo del consumo, i Russi sono (sognano) Hollywood.
Valerio Lessi

 


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