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Dieci, cento, mille Ceis. La città non la si costruisce da soli

Martedì, 08 Gennaio 2019

Intervenendo in commissione consigliare nel dibattito sugli abusi edilizi al Ceis, l’assessore alla pubblica istruzione Mattia Morolli ha avvertito che fra le ‘baracche’ sopra l’anfiteatro vanno a scuola ben 360 bambini e che se il Comune, da un giorno all’altro, dovesse trovare per loro una nuova collocazione la spesa sarebbe di oltre un milione di euro. Probabilmente senza esserne consapevole, l’assessore ha usato uno degli storici argomenti che i sostenitori della libertà di educazione usano per fare capire all’ente pubblico (Stato, Regioni, Comuni) che una politica di discriminazione nei confronti delle scuole paritarie, lungi dall’essere un risparmio per le casse pubbliche, si traduce in realtà in un aggravio di spesa. Anche perché tutti i bambini sono uguali, tutti hanno il diritto di andare a scuola e il Comune deve rispondere ai bisogni di tutti.

E infatti il Ceis è una scuola paritaria, cioè una scuola privata che svolge una funzione pubblica riconosciuta dalla legge. È una scuola nata per iniziativa del Soccorso Operaio Svizzero che nel 1945 inviò a Rimini per realizzarla la ‘mitica’ Margherita Zoebeli. Sorta come espressione del solidarismo operaio, la scuola in settant’anni di attività ha sviluppato un proprio metodo pedagogico e una collaborazione con istituti universitari che l’hanno portata a essere un punto di eccellenza in campo educativo. Con il Ceis il Comune di Rimini ha sempre intrattenuto un rapporto privilegiato, fino al punto di esserne socio e di nominare alcuni membri del consiglio d’amministrazione. Ciò ha portato le varie amministrazioni susseguitesi nel tempo a considerarla quasi una cosa ‘loro’ e da questo punto di vista la proposta lanciata dal consigliere di Patto Civico Davide Frisoni (via il Comune dal Cda) risponde all’esigenza di liberare il dibattito sulla valorizzazione dell’anfiteatro e il conseguente spostamento del Ceis da incrostazioni e strumentalizzazioni di tipo politico. Da una parte la storia dei ripetuti abusivi edilizi riscontrati dagli uffici comunali è un indizio di una inaccettabile opacità di rapporti fra scuola ed ente pubblico; dall’altra, l’affermazione, salita dai banchi dell’opposizione, sull’impossibilità di paragonare il valore storico e culturale dell’anfiteatro, un monumento che ha duemila anni di storia e che può contribuire allo sviluppo di un certo tipo di turismo, con quello del Ceis che in fondo è solo una scuola privata con settant’anni di vita, ha un sapore tutto politico. Di fronte alla storica vittoria ottenuta (il trasferimento del Ceis non è più un tabù), le opposizioni avrebbero potuto facilmente convenire con l’assessore Roberta Frisoni che si tratta di salvaguardare e sviluppare due beni pubblici entrambi di valore per la città, l’anfiteatro romano e l’esperienza educativa del Ceis.

A proposito di dichiarazioni di valore, particolarmente interessante quella dell’amministrazione comunale del 20 dicembre scorso: “E’ bene ogni volta ribadire questo concetto - il ruolo pubblico e di comunità del Centro italo svizzero - allorché ciclicamente si torna a discutere dell’istituto. Sia per il presente che soprattutto per il futuro. L’amministrazione comunale di Rimini sarà sempre al fianco e sosterrà il Centro e la sua esperienza educativa e didattica per evidente interesse pubblico. Questo semplicemente perché il CEIS costituisce uno dei primi esempi di sussidiarietà che la nostra Costituzione riconosce ed esalta nell’articolo 118. Dove l’iniziativa, la volontà del privato-privato animato da valori positivi - affianca e sostiene l’azione del pubblico”. Perfetto, e soprattutto valido non solo per il Ceis, perché a Rimini ci sono non uno ma tanti Ceis da valorizzare e sostenere. E non solo in campo scolastico, dove pure numerosi sono gli istituti paritari e gli studenti che li frequentano.

Si può forse pensare che il Comune basti a stesso in campo culturale e non abbia bisogno dell’iniziativa di privati e associazioni? O nell’assistenza sociale: l’enorme mole di servizi messi in campo quanto durerebbe senza il contributo e la collaborazione di enti e associazioni del volontariato e del privato sociale? Se anche si pensa allo sviluppo economico e turistico della città, è forse possibile immaginarlo senza l’iniziativa di imprenditori che decidono di rischiare e di investire? In base alla nostra Costituzione non si può forse parlare anche di un ruolo sociale dell’impresa?

Ciò che vogliamo dire è che la vicenda del Ceis ha il merito di mettere in evidenza un aspetto che viene frettolosamente dimenticato in nome di vision e di progetti dai quali unicamente ci si aspetta il rilancio della città. In realtà si deve avere l’umiltà e la lungimiranza di riconoscere che la città, una città più bella, più vivibile, più attraente, più umana, non la si costruisce da soli. Il Ceis oggi esiste perché settant’anni fa un’associazione operaia svizzera ha deciso di prendersi cura dei bambini di Rimini che uscivano dalla tragedia della guerra. Non c’è stato nessun progetto dell’ente pubblico all’origine di quest’opera che oggi giustamente l’ente pubblico difende.

La città non la si costruisce da soli. C’è bisogno di uno, dieci, cento, mille Ceis. E di un Comune disposto a sostenerli e a valorizzarli tutti.


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