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Referendum e sussidiarietà esperti divisi

Lunedì, 21 Novembre 2016

La riforma costituzionale sulla quale siamo chiamati a votare il prossimo 4 dicembre intacca o non intacca il principio di sussidiarietà così importante per la dottrina sociale cattolica? In alcuni settori del mondo cattolico la risposta è che tale principio sia seriamente compromesso e lo si intuisce anche dal tema dell’incontro (Persona, sussidiarietà, famiglia) che la Fondazione Giovanni Paolo II organizza per domani sera il 29novembre al centro congressi Sgr con la partecipazione del senatore Gaetano Quagliariello e del giornalista Robi Ronza.

Un nostro precedente articolo aveva suscitato un vespaio di reazioni, per cui abbiamo provare a girare il quesito ad alcuni esperti.

Il professor Saverio Regasto, ordinario di diritto pubblico comparato all’Università di Brescia, firmatario del manifesto per il no promosso dal presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, osserva che la riforma “si esprime per un neo centralismo statale, eliminando la legislazione concorrente e di fatto riducendo le Regioni a mero ente amministrativo”. “Gran parte delle attuali competenze regionali – spiega – vengono trasferite a Roma e ciò indubbiamente mette in discussione la sussidiarietà verticale. Lo Stato avoca a sé funzioni importanti come i trasporti o l’energia. Se un giorno decidesse di costruire una centrale nucleare a Rimini, nessuno potrebbe bloccarlo. È vero che i cittadini spesso hanno abusato del loro diritto di bloccare iniziative, però anche questo centralismo risulta pericoloso”. Il professore mette in rilievo il centralismo rispetto all’autonomia regionale, però quando si parla di sussidiarietà non si intende innanzitutto quella che riguarda il potere di autonoma iniziativa e risposta ai propri bisogni da parte dei cittadini? “Sì, è vero che la sussidiarietà non viene formalmente toccata – replica il professor Regasto – e che nella riforma non c’è alcuna norma in proposito, però temo che uno Stato centralista, una volta svuotate le competenze regionali, non si muova tenendo conto delle esigenze dei cittadini”.

Un altro costituzionalista schierato per il no, il professor Luca Antonini, dell’Università di Padova, condivide la sostanza di queste valutazioni. “Sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale vanno insieme. Il centralismo impedisce che ci siano esperienze locali interessanti come quelle attuate dalla Lombardia su sanità e buono scuola”. Meglio quindi un’Italia a macchia di leopardo, dove ciò che è stabilito per un territorio non vale per l’altro? “Lo diceva anche don Sturzo nel 1949. Non bisogna avere paura delle diversità locali, che sono un valore”. Visto che l’articolo 118 rimane inalterato, non è questo un antidoto per eventuali politiche stataliste antisussidiarie? “Penso che se rimane il decentramento, ci siano maggiori possibilità concrete di attuarlo. È anche il contesto istituzionale che può favorire o meno l’attuazione di politiche ispirate al principio di sussidiarietà”.

Sembra invece non avere questi timori il professor Stefano Zamagni, da una vita impegnato sulla questione decisiva della riforma del welfare. “No, - spiega – non bisogna fare confusione. La riforma ridisegna le competenze di Stato e Regioni, riservando allo Stato alcune materie come sanità e ambiente sulle quali adesso c’è una potestà legislativa concorrente, ma non tocca la questione della sussidiarietà. Probabilmente il testo non passerà, ma non ha modificato gli articoli 118 e 119 che trattano appunto del tema. Non mi pare neppure che sia un tema che sia al centro dell’attuale dibattito nazionale. Chi c’è che sostiene queste tesi del tutto sbagliate?”.

Alcuni settori del mondo cattolico – spieghiamo al professore - motivano il loro no proprio in ragione di una svolta antisussidiaria che sarebbe contenuta nella riforma. “Si confonde il decentramento, sussidiarietà verticale, - risponde Zamagni - con la sussidiarietà orizzontale e circolare, quella che riguarda l’iniziativa dei cittadini. Il principio è stato introdotto dalla riforma del 2001. Certamente in questi quindici anni è stato fatto poco o niente per darvi attuazione, ma questo è un altro problema che non c’entra nulla con il referendum. La sussidiarietà non la si applica per altri motivi”.

Che conclusioni trarre? Non c’è nella riforma un legame diretto fra compressione del decentramento legislativo e svuotamento della sussidiarietà. C’è però chi ritiene che un ritorno al centralismo possa nuocere anche ad una futura realizzazione della sussidiarietà e chi invece sottolinea che se l’articolo 118 è rimasta lettera morta, anche nell’attuale assetto costituzionale, dipende da altri motivi, più politici e culturali.


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