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Cattolici e referendum costituzionale, Sacchini ci scrive

Mercoledì, 16 Novembre 2016

Il nostro articolo su “Referendum costituzionale, cattolici e posizioni strumentali” ha sollevato un vespaio di polemiche, anche oltre i confini riminesi. Ben vengano se aiutano a fare chiarezza e a stimolare un dibattito costruttivo. L’amico Bruno Sacchini, le cui posizioni, insieme ad altre, erano prese di mira nell’articolo, ci ha inviato alcune repliche che volentieri pubblichiamo anche se non condividiamo.

Siccome non voglio farla lunga, oltre a ringraziare di cuore l’amico Valero Lessi per aver replicato al mio pezzo sulla “Scelta religiosa” in campo cattolico (perché non solo la diversità di idee, ma anche il dialogo e il confronto su idee contrapposte è una ricchezza), vorrei limitarmi a riportare alcuni passaggi del bell’articolo col contrappunto di alcune mie osservazioni. Ovviamente critiche, ma non ostili, anzi.

bR Sul tema del referendum costituzionale del 4 dicembre è legittimo per chiunque avere opinioni diverse, per il sì o per il no. Quanto detto è una tautologia, ma si rende necessaria perché in taluni settori dell’opinione pubblica, specialmente in campo cattolico, vengono sollevati argomenti che portano a sostenere che la fedeltà a determinati principi e valori implichi un sicuro “no” al quesito referendario.

Sacchini Ma io ho sempre detto il contrario, cioè che sono proprio i valori a portarci fuori strada. Nella misura in cui la retorica dei “valori” (magari non negoziabili) si muove all’interno d’un moralismo soffocante e liberticida, inaugurato a suo tempo da quel vero killer della politica italiana a nome Enrico Berlinguer. Ricordate la menata della “questione morale”, usata come clava contro i nemici e divenuta strumento di distruzione giustizialista della politica nel nostro paese?

Eppure si sostiene che la legge ha cancellato il principio di sussidiarietà.

Questo io non l’ho mai detto.

Eppure un giurista colto e preparato come Alfredo Mantovano, pure lui intervenuto nei mesi scorsi a Rimini, sostiene, trovando molti seguaci, che la riforma va bocciata perché favorisce il “processo di disintermediazione”, cioè riduce il ruolo dei corpi intermedi.

Resta che l’indebolimento del parlamento rispetto alla volontà di potenza d’un governo che, a quel punto, potrà decidere “con rapidità ed efficienza”, cioè senza contrappesi, ciò che vuole, porta in quella direzione.

Gli unici fatti che il giurista Mantovano ha citato nel corso del suo intervento a Rimini sono alcune prassi di governo attuate dal premier Renzi.

Ma è stato Renzi a personalizzare l’esito del Referendum, fino a farlo diventare un voto sulle sue prassi di governo. Cosa che, una volta fatta, capo ha. Nel senso che gli elettori non la dimenticheranno più: ma di chi è la colpa se non dello stesso Renzi?

L’altro argomento che viene messo in campo, anche in questo caso nell’ambito del mondo cattolico, è che chi pensa di votare “sì” al referendum è in qualche modo succube del potere e della mentalità dominante, che qualcuno, con qualche triplo salto mortale dialettico, definisce addirittura come gramsciana e comunista. In questo caso il pensiero, che si pretende intelligente e arguto, denuncia una totale incomprensione della realtà. Continuare a leggere la situazione sociale e culturale di oggi con categorie che ormai appartengono solo ai libri di storia non aiuta a capire il presente.

Personalmente continuo a pensare chela manipolazione del pensiero unico consiste appunto nell’indurci a credere che “i comunisti non esistono più”. Il che è vero, ma solo perché (mi permetto di aggiungere sulla scia di Chesterton) lo siamo già diventati tutti senza neanche accorgercene: è il trionfo dell’egemonismo Gramsciano senza più il partito di riferimento, come peraltro sosteneva già a suo tempo Augusto Del Noce.

Se c’è una mentalità dominante oggi non è forse quella, in vario modo espressa, dell’antipolitica e del populismo?

Ma la mentalità antisistema si fonda proprio sulla “dialettica” intesa come filosofia implicante la rottamazione violenta, cioè la distruzione, dell’avversario tipica del pensiero marxista. A ulteriore dimostrazione che la logica vetero-comunista la fa oggi da padrona senza che gli stessi “populisti” se ne rendano conto. La cui colpa infatti non è di essere tali, bensì ignoranti come le capre, in quanto servi sciocchi della mentalità dominante senza rendersene conto.

Esiste il concreto rischio che il 4 dicembre tutti coloro che oggi entusiasticamente si esprimono per il “no” facciano da battistrada per una ravvicinata affermazione del populismo grillino o salviniano.

E con questo? Non è forse questa la logica della democrazia, di vincere sempre anche quando perde? Purché “democraticamente” (cioè attraverso libere elezioni, espressione della volontà popolare) foss’anche a favore d’un populismo alla Brexit o alla Trump. Perché se abbiamo paura della democrazia siamo fottuti in partenza. Cosa d’altra parte dimostrata dal fatto che, unici in Europa, noi Italiani sono quattro anni che ci impediscono di votare. Mediante l’imposizione di ben tre presidenti del consiglio non eletti (Monti, Letta, Renzi: neanche la Grecia!) bensì designati. Designati da chi? Dai poteri forti internazionali, politici e finanziari, i quali, grazie all’intermediazione del vetero-comunista Giorgio Napolitano, hanno fatto dell’Italia un protettorato, anzi una satrapia in cui la volontà popolare conta come il due di coppe. In un meccanismo di controllo esterno sancito da un progetto di Riforma in cui viene abolito ogni contrappeso del parlamento sull’operato del governo. Operato che sarà certo, a Riforma approvata, più rapido ed efficiente, ma a favore di chi? Questa semmai è la domanda da porsi.


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